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Autore: LilituDemoneAssiro    09/03/2017    1 recensioni
Sebastian Stan, al suo primo contratto importante, cerca di farsi forza nell'universo Hollywoodiano e a testa alta, prova a combattere le paure che lo rendono un ragazzo introverso. Fino a che un incontro inaspettato, sconvolge le sue certezze e lo costringe a guardare il mondo da un'altra prospettiva. Forse, migliore.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Evans
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ci meritavamo entrambi la pace, evidentemente. 
E non rimpiansi nulla di quello che era successo quella sera, perché così vivo non mi sentivo da anni; uno slancio simile verso un altro essere umano sembrava quasi il ricordo di una vita passata, non mia, per quanto era lontano nella memoria l’ultimo tentativo. Eppure con lui mi era riuscito dannatamente bene. 

Alcuni dicono che “Chi ben comincia è a metà dell’opera”: quella sera dovevo aver compiuto un miracolo, evidentemente, perché dall’inizio delle riprese il tempo di nuovo riprese a scorrere veloce, come se qualche divinità capricciosa avesse posato le sue dita sulle lancette forzandole in avanti, e tutto nei mesi che seguirono divenne estremamente semplice e vivido. Sul set scherzavamo tutto il giorno, scambiandoci occhiate d’intesa quando si trattava invece di comportarsi da professionisti per rendere il giusto pathos nelle scene più drammatiche; e fuori, beh, fuori eravamo inseparabili. Trascorrere ogni momento libero con lui divenne quasi necessario, discutere delle successive riprese ci faceva sentire più tranquilli in un lavoro che aveva un profondo significato. Io ero al mio primo vero impegno con una major, ma lui doveva portare sulle spalle il fardello della letterale personificazione del sogno della potenza americana; con il tempo e la confidenza, però le circostanze mi portarono a notare come l’idea spesso lo mettesse a disagio, rendendolo quasi insofferente. 

E la cosa mi preoccupava. Il carattere affettuoso e gioviale che mi aveva avvicinato quel primo meeting, era la luce delle giornate di tutti, nessuno escluso. Vedevo in lui il sapore della vita che non si arrende, della gioia di alzarsi ogni mattina come un sopravvissuto alle sofferenze, pronto a testa alta come un faro che davanti alle tempeste non smette di guidare i marinai verso la salvezza, e volevo fare quanto in mio potere per non vedere mai quella luce offuscarsi. Ma temevo per lui. Non posso negarlo. Spesso lo vedevo allontanarsi senza una ragione dal gruppo in fretta e furia, per tornare poi dopo una ventina di minuti, con la raccolta di scuse più ridicola della storia. E non ne capivo la ragione.

Fino a quella sera. 

Oramai avevamo l’abitudine di ritrovarci nello stesso pub ogni giovedì alle 7, e solo in caso di contrattempo, dovevamo chiamare per avvisare che non saremmo potuti trovarci lì. Giunsi davanti all’ingresso saltellando come un cucciolo, avevo anche appena acquistato un nuovo paio di Nike, e non vedevo l’ora di mostrargliele. 

Ma lui non c’era.

Gli è accaduto qualcosa. Non so perché quello fu il primo pensiero, ma l’idea mi pugnalò al cuore come uno stiletto: dannatamente doloroso. Dov’era. Iniziai a chiamarlo, ma non rispondeva. Una, due, tre chiamate. Niente. E ripensai a quella telefonata afferrata per puro caso fuori l’ufficio degli executives. Se gli è accaduto qualcosa e non ha fatto in tempo a chiamarmi? Devo cercarlo. Presi la macchina e ingranata la quarta in men che non si dica, iniziai a tagliare ogni scorciatoia per andare a vedere se fosse almeno a casa, al sicuro tra le mura domestiche.
-Se ti è successo qualcosa e io non ero lì, non me lo perdonerò mai. Questi mesi, io, io…dio, io sono stato felice. Non farmi questo, non dirmi che ti è successo qualcosa e non ho potuto aiutarti, un pensiero simile è troppo da sopportare-, ripetevo ossessivamente guardando il finestrino sperando che nessuna pattuglia notasse la velocità folle con cui stavo tagliando la città. Piangevo al volante come una femminuccia, ero terrorizzato per un essere umano che non era il sottoscritto, e il mondo improvvisamente sembrava iniziare a ripiegarsi su se stesso; fosse stato necessario l’avrei raggiunto anche correndo, fino a lasciare i polmoni vomitati a terra. Chris sto arrivando.
Giunto davanti casa, vedendo la luce dalle finestre accesa, mi rincuorai parzialmente ma finchè non avessi constatato la sua sicurezza, non me ne sarei andato. Suonai il citofono, iniziai a battere come un pazzo sul portone ma niente. Finchè a gran voce iniziai ad urlare “Chris, apri! Sono io dannazione, sono Sebastian! Cosa ti è successo!?!??! Apri maledizione o sfondo il portone, sai bene che ne sono capace!” 

Un secondo in più. Solo un secondo di silenzio in più e lo faccio, dea sfortuna non mi sfidare. 

Ma fui anticipato dal suono dell’apertura del portone: di volata, su per le scale, dalle luci accese, presto. Non perdere un attimo, guarda ovunque, dove diavolo sei, urla il mio nome. Improvvisamente però, il cuore si fermò in gola. 
Quasi non lo riconoscevo perché era rannicchiato, seduto a terra accanto al letto, con le mani protese in avanti dalle ginocchia contratte: tremavano. 
Teneva la testa tra le gambe, e sì e no potevo sentirlo respirare.
“Chris cos’hai! Ti prego, guardami! Mi stai spaventando a morte!” , e gli presi il volto tra le mani cercando un segno di vita; ma gli occhi socchiusi, la pelle bianca come un lenzuolo e le gocce di sudore dalla fronte, non lasciavano presagire nulla di buono. Assolutamente nulla di buono. E fu lì che, guardando meglio, mi accorsi di un sacchetto di carta a terra, sotto il viso, calpestato tra i piedi, bagnato sui bordi…. Un sacchetto di carta…Il respiro flebile, il tremore…. Non è possibile. E sei riuscito a nascondermelo tutto questo tempo? Complimenti, testone.

Il non detto dei mesi precedenti aveva preso forma. 
Dopo un profondo respiro, deciso a tranquillizzarmi, con un braccio sotto le ginocchia e l’altro dietro le spalle per sorreggerlo, lo sollevai da terra. Magro sì, debole, decisamente no. Feci qualche passo e lo adagiai delicatamente sul letto, con la testa leggermente sollevata -aveva bisogno di respirare- e, ritagliato un piccolo spazio per me seduto lì accanto, tenendogli stretta la mano gelida, gli sussurrai “Sono qui, Chris, tranquillo, non vado da nessuna parte”, prima di iniziare ad intonare “Now I’ve heard there was a secret chord...”…
Se poteva lavare via il mio dolore, avrei fatto sì che corresse in tuo aiuto. C’è musica anche adesso, Chris, nonostante tutto. Il fiato sembra perso ma non è così, lo hai solo dimenticato dietro un muro fatto di creta, che può crollare molto in fretta se lo desideri. Io sono qui, toccami. Sentimi. Non sei solo, affrontalo con me. 
Non giunsi neppure a fine prima strofa che, dopo vederlo scosso da un profondo singulto, me lo ritrovai con la testa affondata nella spalla sinistra, in un mare di lacrime: era un fiume in piena che sfondava le dighe, che distruggeva tutto quello che trovava sul suo passaggio tra le foreste, le case, le strade, e le mie difese. Ogni tanto lanciava un urlo disperato, batteva i pugni contro la mia spalla, e giù di nuovo in lacrime. Mi venne spontaneo poggiare la mano libera dietro la sua testa, e girando le dita tra i suoi capelli, rassicurarlo “Piangi pure tutte le lacrime del mondo. Non ho paura”. 

Piccolo principe, non aver paura degli incubi. Sai? L’alba arriva sempre e di loro non resta più nemmeno un ricordo. 

Restammo seduti per un tempo interminabile, mentre io continuavo a tenere la mano dietro la sua testa per il timore che una nuova ondata di dolore, più forte delle precedenti, lo sopraffacesse. La disperazione non aveva corrotto – fortunatamente- il suo profumo, e senza essermene accorto, mi ero ritrovato con la testa appoggiata sulla sua spalla, a mia volta. Non me ne accorgevo, ma stavo sprofondando in quel profumo, e il ritorno non era contemplato. La lacrime lentamente cessarono.
Ne fui immensamente sollevato, quando finalmente sentii di nuovo la sua voce. 

“Ho pianto così tanto… Perdonami Sebastian. Non avrei mai voluto darti questo dispiacere.” Ed ecco di nuovo la dolce arrendevolezza dell’innocente al martirio: Chris maledizione smettila, non lo vedi quanto mi ha fatto male NON sapere cosa ti stesse accadendo, anziché saperlo e poterti stare vicino? Sono morto dentro quando non ti ho visto arrivare al pub, prima; non farmi questo, non lasciarti andare, non lasciarmi andare, resta con me.

L’unica cosa che mi uscì dalla bocca però fu un “Se dici un’altra cavolata di questo calibro, ti prendo a pugni. E stasera se vuoi, se hai paura e non te la senti di restare solo, posso rimanere a dormire. Il letto è grande nella camera degli ospiti, posso anche cucinare qualcosa per entrambi: non hai idea del diavolo che sono in cucina”, sogghignai, tentando di fingere una padronanza della situazione che non avevo, ma lo avesse aiutato, avrei finto fino alla fine.
E il sorriso a cui tanto dovevo, si affacciò di nuovo sull’orizzonte degli eventi. Le mie parole erano servite; recuperato il colorito, sembrava lui quello pronto a confortare me, pronto a tranquillizzarmi con quell’unico, immenso e immacolato sorriso, non più il contrario. 

Al che mi alzai, e dopo avergli adagiato una coperta sopra, mentre lui accennava un momento di riposo, mi avvicinai alla cucina per vedere cosa potevo combinare. Fortunatamente non diedi fuoco a nulla- dato che avevo mentito spudoratamente sulle mie qualità da cuoco, questo era ovvio- per cui l’importante era risolvere la cosa nel modo più celere e meno dannoso possibile: pasta, ci sono anche i pomodori, l’olio…. e sì, forse salvo la faccia. Mezz’ora e la cena era pronta, Chris forse è riuscito anche a riposare, quindi se gli porto il piatto, avrà forze sufficienti per mangiare: svoltato l’angolo con i piatti tra le dita, lo trovai seduto, poggiato ai cuscini, che aspettava il mio arrivo.
“Tu così mi vizi, sappilo. Poi se mi abituo, divento esigente” disse, diretto come un treno.
L’impatto, il cataclisma, l’esplosione di quella meteora si fece sentire senza filtri, e il mio viso si ritrovò dipinto come la tavolozza di un artista davanti l’opera in fieri: tu, e solo tu, un giorno spiegami come fai a centrare il bersaglio ogni volta, con precisione quasi chirurgica.  
Preferii però dissimulare l’imbarazzo ingiustificato, non ha bisogno di altre stranezze a tormentarlo quindi almeno dai tuoi pensieri –dato che puoi-, difendilo. 

“Tranquillo, non la cavi a buon mercato. I prossimi giovedì saranno tutti in conto sul tuo portafoglio, e stai sicuro che non mi tratterrò con le consumazioni”, risposi sedendomi accanto a lui, con l’ironia che sapevo riportarlo sui cieli più alti, disposto a tutto pur di tranquillizzarlo e non recargli altra insicurezza. 
“Mangia ora, o si fredda, e lo sai quanto poco mi piaccia sprecare energie senza un fine”, conclusi poi con un occhiolino. Con calma, lo vidi assaporare quello che avevo cucinato e direi, con estrema soddisfazione, dato che per me era il terzo tentativo tra i fornelli di tutta una vita e già il non vederlo rimettere, mi riempiva d’orgoglio; ero lì per aiutarlo, non per dargli il colpo di grazia, pensai tra me e me. Provai a terminare anche io il piatto, ma lo stomaco non rispondeva molto, quindi preferii portare il tutto in cucina, col proposito semmai di scaldare la portata nel microonde non appena avessi avuto reale appetito. 

“Come ti senti, ora, meglio? , dissi tornando in camera.

Si volse verso di me e quello gli uscì dalle labbra, suonò come la campana del treno che passa verso il non ritorno.

“Sei la persona più cara che ho, Sebastian. Certo che sto meglio, e lo devo solo a te. Puoi e devi restare, tutto il tempo che vorrai. Non avrò più segreti, te lo prometto.”
Non so come riuscii a mantenere la posizione eretta, dato che le gambe avevano ceduto, le dita formicolavano, e non riuscivo a smettere di sentire un caldo atroce darmi alla testa mentre i sensi facevano di tutto per abbandonarmi e io con le unghie e i denti, li ancoravo a me: cosa sta succedendo, Mr.Stan, calma, è solo la persona gentile ed amorevole di cui ti sei curato stasera, cosa ti stupisce. Non è nulla di strano, è il solito Chris, il solito stupido che continua a temere per gli altri, anziché per se stesso, che tiene così tanto a te da sentirsi in colpa per non essere stato sincero fino in fondo, quando tu avresti voluto sincerità solo per esser sicuro di non lasciarlo solo quando avesse avuto più bisogno di te.

E’ lui, è Chris. Calma.

“Era ora che ti rendessi conto di chi hai davanti. Sono contento. Ora cerca solo di riposare, la sera è stata lunga e non proprio piacevole, hai bisogno di riprenderti senza fretta. Perciò ora prenditi tutto il tempo che vuoi, io vado a sistemarmi nella camera degli ospiti.” E mi allontanai.
Avevi bisogno anche tu di riposare, caro il mio Sebastian, che tu lo voglia o meno quello che hai visto e sentito stasera ti ha colpito, e fingere un cuore di pietra non ti serve a nulla: la gentilezza e la bontà d’animo, sono le nemesi da cui non sei mai riuscito a sottrarti. Meglio dormirci su. Complimenti: dei propositi iniziali di conquista del set sei riuscito a fare una landa desolata in men che non si dica, augurati di non gestire allo stesso modo i prossimi impegni, o la tua carriera finisce prima ancora di iniziare.

Il letto era davvero confortevole, e le lenzuola morbide erano sulla pelle, soffici come una brezza estiva che ti sveglia alle prime luci del mattino; ma qualcosa mi tormentava, un pensiero, una virgola nel contesto fuori posto che, nonostante necessaria per dare un senso al discorso, non riuscivo a sistemare, e il sonno non arrivava. Continuavo a girarmi tra le lenzuola, agitato, spossato dal mio stesso nervosismo e data l’ora ormai tarda, avevo paura che la nottata sarebbe trascorsa in bianco. Dei rumori però attirarono la mia attenzione e il silenzio della inquieta notte venne infranto: erano dei passi. Mi voltai di scatto, ma non ero pronto a ciò che stava per accadere, lo ammetto. Chris era in piedi sulla porta.

“Cos’hai Chris? Ti senti male? Vuoi che ti preparo una tisana?”, chiesi, fingendo un sonno interrotto.
Ma lui non fece altro che avvicinarsi ancora, tenendo lo sguardo a terra, e sedette accanto a me. 
Gli appoggiai una mano sull’avambraccio e continuai “Chris, tranquillo, se hai bisogno di me, ci sono. Parla pure, non aver timore. Non te l’ho dimostrato a sufficienza quanto mi stai a cuore?”. E mentre uscivano quelle parole, imprecai per la lingua che non era stata tagliata dai denti che avrebbero dovuto serrarsi, prima di lasciarle uscire. Ormai il danno era fatto –tentai di rincuorarmi-, spera solo che lui sia in grado di sorvolare, e ricomincia a curarti di lui anziché del tuo povero ego ferito.
Un filo di voce, solo un filo di voce, non riusciva proprio a far uscire altro mentre, seduto, lo sguardo restava a terra e le dita incrociate non si staccavano. 

Al che compresi. “Se vuoi puoi dormire qui con me, il letto è spazioso, e non corri rischi di prendere calci, nonostante il mio sonno agitato. Allora, che ne dici? Il tuo amico d’infanzia Captain o mio Captain, ti dice resta pure se non riesci a dormire.” E gli sorrisi, di nuovo, come non avevo mai fatto per nessun altro in vita mia. Era troppo fragile per essere vero, tutto quel riserbo, tutta la delicatezza che trasudava, facevano male a chi, dal fango, lo guardava e sognava una vita in cui tanta purezza avrebbe potuto anche solo sfiorare un’esistenza tanto ingrata e vile. Mi scostai verso il centro del letto, per fargli posto.  
Lui sgranò gli occhi, lasciando accendere il blu che si animava così di vita propria, mentre la bocca spalancata non poteva credere a ciò che avessi appena fatto. 

Non rimanere immobile Chris, ti sto dando la possibilità di non sentire più male, almeno per stasera: mi sei caro e non sopporto vedere qualcuno a cui tengo, soffrire. Non stupirtene. 

Tenendogli la mano poggiata sulla spalla, lo aiutai allora a stendersi, scostando le lenzuola cosicchè nulla lo facesse sentire rifiutato. Lui si poggiò su un fianco, e io trovai naturale come il mattino che segue la notte, abbracciarlo. “Dormi ora, io sono qui. Ti tengo stretto, gli incubi stanotte saranno lontani.”
Ci svegliammo nel primo pomeriggio del giorno successivo.
Così riposato non mi svegliavo da anni. La stanchezza, il nervosismo e l’agitazione della notte prima, erano dissolti come una bolla di sapone che tocca terra, e mi sentivo un uomo nuovo. Non volevo aprire gli occhi, avevo paura che quella sensazione svanisse col risveglio, non volevo scoprire di aver sognato tutto. Ma preferii farmi coraggio e, col viso riscaldato dal sole, aprii lentamente gli occhi. 

Lui mi stava guardando. Sbattendo le palpebre nell’incredulità dell’avermi lì, non potè fare a meno di sorridermi come solo lui sapeva fare, artista ormai esperto nell’arte del ridurmi in pasta modellabile, solo con uno sguardo: va bene, hai vinto. Ogni dubbio su di te è fugato, hai la mia piena fiducia.

Allungò una mano per carezzare la ciocca di capelli che mi era caduta sul volto girandomi, e sistemarla dietro l’orecchio, prima di sorridermi di nuovo. E la mano che mi sfiorava, riportava di nuovo quell’aroma di vaniglia che avevo saggiato per la prima volta agli studios… Volevo la mia vita riempita solo di quel profumo, volevo svegliarmi ogni mattina sentendolo in tutta la stanza rendere la mia vita migliore, rendere me, migliore. La fantasia è un calice amaro da digerire, alle volte. 
Smettila Sebastian e torna in te. Continuavo a ripetermi che era davvero troppo prezioso, mentre io un egoista senza speranza. Ti vuole bene come se fossi un fratello, e te lo dimostra in ogni modo possibile: sii grato già per questo, e basta, che la fantasia non porta mai da nessuna parte, se non in vicoli ciechi dove pareti di gommapiuma su cui sbattere senza rimedio ti aspettano, pronte sempre a restituirti al punto di partenza. 
“Buongiorno Occhibelli. A quanto pare ti sono sempre più in debito, in fondo se stanotte sono riuscito a dormire è merito tuo”, si stirò pigramente.
Merito mio. Io non ho nessun merito, Chris, non valgo tanto. Pensai solo -Non farlo, non farti spazio tra le mie mura, tra le trappole che ho piazzato, tra i fossati che ho scavato intorno al pozzo nero che mi porto dentro, se ne venissi contaminato non me lo perdonerei mai, ed un altro peso simile ora non lo sopporterei. Non ora che mi guardi come se la mia vita potesse contare qualcosa, potesse essere davvero preziosa… -

Volevo piangere, ma lui me lo impedì, preferendo abbracciarmi.
   
 
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