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Autore: Gemini_no_Aki    10/03/2017    1 recensioni
[...] «Sono entrato qui da uomo, ti prego Signore dammi la forza di uscirne da uomo.»
Mick lo osservò, così simile a lui, così dannatamente simile, come un gemello, come…
«Si sono aperte 52 brecce su 52 Terre come la nostra. 52 versioni di noi con vite completamente diverse eppure sono sempre e comunque noi.»
Era lui, per qualche scherzo del destino nella morte era destinato a vedere quella che era la sua vita su un’altra Terra.

| Nella distruzione dell'Oculus, Mick, non si aspetta di salvarsi, sempre che quello voglia dire "salvarsi". Ma il Tempo è strano e capriccioso e lo salva. A modo suo.| [Heatvibe, anche se solo accennata]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Mick Rory
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: La coppia, anche se solo accennata è decisamente insolita (e crack, me ne rendo conto!). A questo punto della storia è già creata e non spiego come sia nata o perché, semplicemente è lì che fa da contorno ad alcune scene. Il primo incontro di Mick e Cisco nella serie non è stato dei migliori, scrivendo di loro (e non è la prima volta) ho sempre immaginato come ambientata nell’ultima linea temporale creata da Barry dopo Flashpoint e magari in questa linea le cose sono andate in modo diverso. Tutto qui. Spero possa piacere in ogni caso, fan o meno della coppia (ah, perché esistono dei fan??)


Falling Through Time.


Quando aveva acconsentito a seguire Snart in quella folle corsa nel tempo non sapeva ancora a cosa stava andando incontro, nessuna delle persone presenti sulla nave lo sapeva, forse nemmeno Rip Hunter. Ogni volta che sembravano fare un passo avanti si ritrovavano a farne altri tre indietro, la frustrazione era talmente palpabile che chiunque sarebbe riuscito a percepirla. Il fatto che tra tutti solo lui fosse esploso non era una sorpresa, tra tutti era il più instabile, ed essere chiuso in quella scatola di metallo dove se osava accendere il fuocherello innocuo di un accendino avrebbe probabilmente causato un disastro di proporzioni inimmaginabili, o almeno così gli avevano detto, non aiutava per niente. Aveva preferito non commentare nulla quando Hunter stava cercando di spegnere, con molta calma, un fuocherello causato da un cortocircuito quando erano stati colpiti dal pazzoide che dava loro la caccia.
Quando era tornato nella squadra dopo che avevano sistemato qualunque cosa pensassero ci fosse da sistemare nella sua mente dopo il trattamento dei Signori del Tempo, come se davvero sapessero cosa aveva dovuto passare, come se sapessero cosa aveva visto, cosa aveva fatto, cosa gli avevano fatto, come se sapessero sul serio dove guardare e come, non sapeva più se quello era davvero il suo posto. Non lo sapeva nemmeno quando erano partiti ma a quel punto era tutto ancora più in dubbio, la sua mente era avvolta da costanti dubbi, da nebbia, da ricordi che reprimeva sempre di più e da conoscenze che desiderava non avere ma che ora erano parte di lui e a volte tentavano di uscire con la stessa voce tranquilla e controllata di Chronos. Di colui che Mick non era. Ma l’ultima volta che aveva chiesto di essere riportato nel loro tempo era stato abbandonato nel nulla, nessuno gli poteva confermare che non lo avrebbero fatto di nuovo, per proteggere le loro famiglie, per proteggere sé stessi, la loro missione, per la missione qualunque uomo, o donna, era sacrificabile nella visione delle cose che aveva Hunter, non che Mick lo biasimasse, non più, non per quello. Ma quel posto, quella nave, lì non c’era posto per lui, a casa invece c’era qualcuno che lo aspettava. A parte Leonard nessuno ne era a conoscenza, forse era anche meglio così, di sentirsi una paternale e svariate proteste e commenti non aveva poi così voglia, ricordava anche troppo bene come il team dei Laboratori STAR si era espresso a riguardo riferendosi alternativamente a lui e Leonard. Piuttosto che trovarsi lì in quel momento avrebbe preferito dover affrontare la loro disapprovazione, non era un eroe, non lo sarebbe mai stato, né tanto meno una Leggenda.
Quando erano giunti alla fine del viaggio Mick era incerto sulle dinamiche che l’avevano portato a tenere abbassata la levetta di sicurezza dell’Oculus, era indeciso se si trattava di un improbabile senso di lealtà verso quel gruppo, se era una decisione che i Signori del Tempo avevano già messo in conto controllando ogni mossa fino a quel momento, anche quella, se era l’unico modo di essere libero. Mick non sapeva, non capiva, non era un eroe, non era una Leggenda, non voleva davvero morire, voleva tornare a casa come aveva promesso. E invece aspettava che fossero lontani sulla nave, fuori dalla portata dell’onda d’urto che si sarebbe scatenata, fuori dall’esplosione che avrebbe distrutto quel luogo di tortura in cui aveva vissuto per decine e decine di vite. Improvvisamente una parte di lui desiderò aver raccontato ogni cosa che era successa, ogni missione, ogni volta che aveva creduto di fare davvero la cosa giusta come Chronos, raccontare la verità, a Leonard magari, lui avrebbe ascoltato, Rip forse avrebbe capito, forse avrebbe addirittura ricordato, Cisco, ma lui già sapeva probabilmente, lui forse sapeva anche di quel momento.
Ma non c’era stato tempo per i racconti. Che immensa ironia quel pensiero in quel momento, mentre teneva ferma la leva che avrebbe aperto scatenato l’intero Flusso Temporale, non c’era stato abbastanza tempo. I Signori del Tempo si erano raccolti lì, con le loro armi, le loro minacce, le promesse ormai vuote, Zaman Druce ancora si sforzava di avere una voce calma e gentile. Mick li guardò, uno a uno, riconoscendo volti, nomi, storie, poi sorrise, la mente sgombra da ogni pensiero inutile, libera come mai la era stata in passato. Sotto i suoi piedi i vortici del Flusso Temporale si muovevano placidi, i filamenti dorati si intersecavano gli uni con gli altri, Mick aveva smesso di temere il Tempo da molto, da quando lo aveva toccato la prima volta come Chronos, da quando gli aveva sussurrato quel nome che sarebbe stato suo, il Tempo lo aveva scelto, amava pensarla in quel modo, o lui non sarebbe mai sopravvissuto al suo tocco. No, non lo temeva. E non lo temette quando sollevò la mano dalla leva e ogni cosa attorno a loro esplose in un bagliore verde.
Fu un solo istante, le voci che urlavano vennero inghiottite dal silenzio, il dolore venne cancellato da un morbido tepore, come un neonato che viene cullato dalla madre la prima volta, la luce accecante si affievolì mentre l’oscurità e il vuoto la prendevano con sé. Vista dall’esterno poteva sembrare quasi una stella che nel giro di qualche attimo era morta, esplosa e divenuta un buco nero senza passare da alcuna fase intermedia. Dall’esterno. Ma Mick era al centro di quella stella divenuta buco nero, e cadeva, cadeva, cadeva.
Tutti dicono sempre che quando sei ad un passo dalla morte la vita che hai vissuto ti scorre davanti e rivedi ogni cosa che hai fatto, le cose belle, quelle brutte, le scelte giuste, quelle sbagliate, ogni cosa. Non dicono mai se c’è modo di scegliere quale vita vedere, ma nessuno ne ha mai vissute così tante, se potesse scegliere Mick sceglierebbe la prima, la vita di Mick, quella vera e nessun’altra. Sceglierebbe di rivedere la sua famiglia felice prima dell’incendio, il fratello, l’incontro con un giovane e anche troppo loquace Snart, Lisa, il primo colpo, l’anello, l’incendio, il secondo grande incendio che gli cambiò la vita, l’arrivo di Flash, l’arrivo di Cisco, il momento in cui era davvero cambiato pur non essendosene mai reso conto.
Len, Cisco, Len, Cisco, Cisco, Cisco, Barry, Len, Len, Cisco, Cisco, Cis –

Ciò che vide invece fu un uomo esattamente come lui, no, era lui ma al tempo stesso non lo era, in una cella singola, piccola, su una branda, lo sguardo fisso su un punto indefinito davanti a sé e un rosario tra le mani, mentre accarezzava i grani scuri e sussurrava a mezza voce quella che doveva essere una preghiera.
«Sono entrato qui da uomo, ti prego Signore dammi la forza di uscirne da uomo.»
Mick lo osservò, così simile a lui, così dannatamente simile, come un gemello, come…
«Si sono aperte 52 brecce su 52 Terre come la nostra. 52 versioni di noi con vite completamente diverse eppure sono sempre e comunque noi.»
Era lui, per qualche scherzo del destino nella morte era destinato a vedere quella che era la sua vita su un’altra Terra. Si portò una mano davanti al volto scoprendo di vedersi come se fosse di carta velina, trasparente, ma non del tutto, quasi un fantasma, se avesse creduto in quel genere di cose. Ma non vi credeva.
Eppure era lì, silenzioso, semitrasparente e intento a fluttuare a qualche passo dal suolo.
Spostò lo sguardo attorno a sé alla ricerca di un indizio, qualunque Terra fosse non se la passava bene.
«Sono entrato qui da uomo, ti prego Signore dammi la forza di uscirne da uomo.»
La litania di quel Mick, sempre se quello era sempre il suo nome, non si era mai interrotta, continuava a ripeterlo ancora e ancora e ancora, con tono sempre più basso, confuso, disperato. Non serviva un genio per capire cosa sarebbe accaduto di lì a poco, era stato in prigione quanto bastava da riconoscere un condannato a morte. Un barlume di curiosità si fece strada nella sua mente.
Cos’hai fatto per meritare questa sorte?” Si domandò, provava una sorta di pietà per quell’uomo. Fisicamente erano uguali, Mick si sedette a terra contro il muro, se avesse avuto un corpo in quel momento l’altro Mick si sarebbe accorto di lui tanto erano vicini da toccarsi, lo osservò come si osserva il proprio riflesso allo specchio. Quello che aveva davanti era uno specchio incrinato irrimediabilmente, distrutto e aggrappato solo ad una vana preghiera. Quel riflesso non era un assassino, Mick lo sapeva, lo sentiva dentro, non era nemmeno un criminale, era solo un uomo che per qualche ragione era finito in mezzo ad una serie di eventi che avevano portato a quello, gli assassini, anche quelli pentiti, non avevano quegli occhi.
Lo seguì in silenzio quando venne scortato fuori dalla cella, non avrebbero potuto sentirlo comunque eppure non emise suoni. Len era lì, non il suo Len, quello di quella Terra, lo abbracciò, sembrava così giovane, sembravano entrambi così giovani rispetto a lui. Per un attimo quando venne assicurato alla sedia lo sguardo dell’altro Mick si posò su di lui, lo guardò dritto negli occhi, sembrò scavargli dentro per conoscere ogni segreto, cercare di capire chi fosse, cosa facesse lì, perché era uguale a lui. Ma non poteva vederlo e Mick chiuse gli occhi.

Barry afferrò Cisco prima che si lanciasse come una furia su Rip Hunter, Leonard aveva posato la pistola di Mick su uno dei tavoli e stava dietro di loro a pochi passi, avrebbe detto che sarebbe intervenuto per aiutare se serviva ma sarebbe stata una menzogna anche troppo palese, se il giovane scienziato voleva dare un pugno a Hunter non sarebbe stato lui a impedirlo. Barry non era della stessa idea e tratteneva il ragazzo con entrambe le braccia. Quando Cisco sbuffò, arrivato in fondo alla sequela di insulti e si voltò a guardare l’amico allora, e solo allora, lo lasciò andare. Cisco osservò il lanciafiamme sul tavolo, non lo sfiorò per non rischiare di vedere cose che non desiderava vedere, non una seconda volta.
Eppure, ore dopo, a mente più lucida e calma, mentre sedeva immobile con lo sguardo nel vuoto un pensiero fece capolino nella sua mente e si sedette a fargli compagnia.
Forse…
«Forse…» Ripeté immobile.

La prima sensazione che Mick provò fu di essere sceso da delle montagne russe particolarmente movimentate, aveva riaperto gli occhi in un parco a Central City, una Central City ben più futuristica della loro. Una Terra diversa, una vita diversa, un Mick diverso.
«Oh buon cielo! Era davvero necessario?» Esclamò una voce poco distante, una voce che Mick aveva imparato a riconoscere durante quei mesi, mesi?, a bordo della Waverider.
«Hai visto le loro facce, Martin? Si sono illuminati come tanti piccoli alberi di Natale!» Si mosse verso il lato del parco da cui arrivavano le voci per trovare il professor Stein, lui e una ragazzina bionda.
«Michael!» Sbuffò Stein a metà tra l’esasperato, come se avessero avuto quella discussione già un centinaio di volte, e il paterno, un tono che Mick aveva dimenticato come fosse da molti anni.
«Beh i bambini adorano quando lo fate.» Cinguettò allegra la ragazzina ottenendo un verso di approvazione da Mick.
«L’ha notato anche lei, visto? E comunque non vedo cosa ci sia di male.»
«Usare le abilità di Firestorm per far divertire dei bambini? Oh cosa potrà mai esserci di --»
Mick scoppiò a ridere passandogli un braccio sulle spalle ignorando l’esclamazione dell’uomo.
«Sempre così serio il nostro Martin, vero Kara?» Domandò alla ragazza con un sorriso mentre il professore si liberava della presa e assumeva un’espressione infastidita. Mick addolcì lievemente il sorriso e il Mick spettatore si domandò se anche lui potesse essere in grado di avere una simile espressione, era ancora più simile a lui rispetto alla versione che aveva visto prima, magari…
«Quei bambini erano spaventati, se fare un trucchetto e creare un uccellino di fuoco mentre siamo Firestorm può aiutarli a non avere più così tanta paura allora sono pronto a rifarlo ancora con te che strilli come una donnina isterica nella mia testa.» Martin sembrò soppesare qualche istante la cosa.
«Non strillo come una donnina isterica Michael.» Disse poi, piccato, arricciando appena le labbra in un’espressione che Mick non aveva mai visto sul professore. L’altro Mick parve ignorare quel commento o metterlo da parte.
«È come quando li facciamo salire sull’auto di servizio in un momento di tranquillità e facciamo il giro del quartiere e loro chiedono sempre di accendere la sirena. Non dovremmo farlo in teoria ma…»
«Ma non si riesce a dire di no ad un bambino.» Annuì Martin con un sospiro arreso e un sorriso.
C’era una sorta di familiarità nel loro modo di rapportarsi notò Mick, il professore non lo stava rimproverando, non veramente, era più il tono di un padre, a volte esasperato, a volte orgoglioso, a volte entrambe le cose insieme come in quel momento.
Mick aveva cercato di avvicinarsi al professore e al ragazzino sulla Waverider, il fatto di essere Firestorm era la ragione principale, erano letteralmente la torcia umana, Mick non poteva non esserne attratto. Non era solo quello però. Cisco rispettava e stimava quell’uomo, una parte di lui voleva conoscerlo meglio per vedere quel che il ragazzo vedeva in lui, era solo curiosità e null’altro. Ma non c’era mai riuscito veramente. Nel periodo che aveva seguito il suo ritorno sulla nave, dopo Chronos, un pomeriggio, o almeno così Gideon aveva detto, aveva preso da parte, o per meglio dire sequestrato, il professore ed erano rimasti a parlare per delle ore sul suo lavoro su Firestorm. Quando Chronos era stato messo alle calcagna della squadra aveva imparato ogni cosa imparabile su tutti loro, le loro abilità, le armi, l’origine dei loro poteri, aveva studiato Firestorm da cima a fondo eppure restare seduto ad ascoltare il professore spiegare come fosse passato da un’idea ad una teoria ad un nucleo effettivo, sentirlo parlare dell’esplosione e di come si era fuso al nucleo e al giovane Ronnie era diverso che leggere un file di centinaia di pagine su di lui. Era stato reticente all’inizio, non capiva il perché di quella richiesta insolita da parte sua, da parte di quello non abbastanza intelligente, ma dopo un paio di minuti aveva messo da parte ogni cosa e si era lanciato nella più dettagliata delle spiegazioni, la passione per il suo lavoro e per quel risultato trasudava da ogni singola parola che diceva. Non ne avevano fatto più parola, era stato solo un pomeriggio e nient’altro.
Su quella Terra l’altro Mick non aveva avuto bisogno di spiegazioni, su quella Terra lui era Firestorm. Mick si ritrovò ad invidiarlo almeno un po’.
Poi così come era arrivato in quel parco, dopo la folle corsa su un ottovolante impazzito, la scena davanti a lui si dissolse come fumo, un fumo azzurrino e verde, Mick si sentì mancare la terra sotto i piedi di colpo e si ritrovò a cadere con gli occhi sgranati dalla sorpresa.

Nel giro di un paio di secondi il cielo sopra di lui e la terra sotto erano nuovamente diversi e lui stava cadendo dal cielo in una nuova Terra. Atterrò sgraziatamente su un prato verde smeraldo che si estendeva ovunque si voltasse, con un gemito si rimise in piedi, non era certo di sentire davvero dolore per la caduta o se era solo il ricordo del dolore che avrebbe provato, non aveva tempo di fermarsi a pensare a quello, o di cercare di capire cosa stava succedendo, perché continuasse a visitare altri lui su altre Terre, ricordava chiaramente l’Oculus, l’esplosione, il dolore, la sensazione che ogni singola cellula del suo corpo si dividesse da esso e venisse sbalzata via finché di lui non restava più nulla se non un corpo impalpabile che cadeva nel nulla. Si guardò intorno disorientato da tutto quel verde e dal silenzio, se funzionava come le due volte precedenti allora avrebbe dovuto vedere sé stesso, ma lì non c’era nessuno. Lentamente iniziò a camminare senza una meta precisa, senza sapere dove si trovasse o dove stesse andando, nessuno era in grado di vederlo e lui non aveva fretta, per una volta nella vita non stava fuggendo da nulla. Fu dopo quelle che parvero ore di cammino, non che il suo non-corpo ne risentisse, che trovò poco lontano davanti a sé un manipolo di quelli che a prima vista parevano soldati usciti dal medioevo, o qualcosa del genere.
Uno di loro, capelli biondo scuro alle spalle e una cotta di maglia all’apparenza molto usata, si avvicinò ad un uomo più giovane, immobile a qualche metro da loro, fissava l’orizzonte e Mick, in un moto di curiosità guardò nella stessa direzione, in lontananza, gran lontananza, si intravedevano delle mura e una torre che svettata sul resto.
«Lord Mikael.» Chiamò il più anziano con una strana gentilezza.
Mikael. Mick si affiancò a lui, inclinò la testa di lato abbassandosi appena per osservarlo meglio, quella volta le differenze erano ovvie, se non fosse stato per il nome non vi era nulla ad accomunarli, eppure era lui, Mick ne era certo, se lo sentiva, in qualche modo.
«Lord…» Tentò nuovamente l’uomo, il giovane inspirò seccato dall’interruzione, si voltò con un movimento repentino e Mick lo vide finalmente in viso.
«Ti ho sentito Eobard.» Sibilò fissandolo negli occhi finché l’altro non chinò il capo, la voce era sottile, a tratti c’era ancora qualcosa di infantile, era giovane, incredibilmente più giovane di Mick, non poteva avere nemmeno vent’anni quel ragazzino, i capelli erano rasati e ora Mick comprese che quella non era una scelta del giovane quanto più una conseguenza. Il lato destro del suo viso era stato divorato dalle fiamme riducendolo ad un ammasso di cicatrici in un’intricata trama, si estendeva lungo il collo, la nuca e giù sulle spalle, Mick non sapeva di quanto, poteva essere il busto, poteva essere ferma alle spalle, magari scendeva sulle gambe.
«Dobbiamo riprendere il cammino, raggiungere l’Altopiano Bianco prima del tramonto, non è una strada sicura da percorrere, ne converrete anche voi.» Lo spronò nuovamente l’uomo, Eobard. Mikael lo guardò brevemente con l’unico occhio ancora in grado di vedere e l’uomo nuovamente fallì nell’intento di sostenere il suo sguardo e chinò riverente il capo, Mick non era sicuro se fosse per rispetto o perché non riusciva a guardare quel volto così sfigurato, aveva visto molti distogliere lo sguardo dalle cicatrici sul suo corpo.
Mikael voltò un’ultima volta lo sguardo triste verso la città lontana e con un sospiro si voltò raggiungendo il resto degli uomini.
«C’è una cosa che non comprendo, Eobard.» Mick aveva preso a seguirli, se funzionava davvero come la volta precedente allora sarebbe precipitato su un’altra Terra senza un preavviso, tanto valeva seguire sé stesso, non che avesse di meglio da fare. Cavalcavano lentamente lungo la distesa verde, il sole ancora alto in cielo e, da un lato, era da poco comparsa una lunga catena montuosa che andava via via alzandosi maestosa gettando ombra sul loro cammino.
«Sono così orribile che il mio stesso marito, la persona a cui ho acconsentito di unirmi, che ho imparato ad amare, che credevo mi amasse, ha preferito allontanarmi?» Aveva esitato appena sulle prime parole, la voce si era rotta quando si era dichiarato orribile, ma aveva subito ripreso il controllo e la fiducia per proseguire. Eobard era rimasto spiazzato dalla domanda e da come gli era stata posta, scosse il capo con un piccolo sorriso.
«Il nostro Re, vostro marito, non vi ha allontanato per questo, lo sapete anche voi.» Disse gentilmente, i cavalieri alle loro spalle non fiatavano, si limitavano a seguire obbedienti. «Fino a quando le cose non si saranno calmate è meglio che voi stiate lontano, al sicuro.» Precisò quando lo vide rabbuiarsi. «Siete fortunato ad essere sopravvissuto al fuoco, Lord Mikael, non potete tentare la sorte una seconda volta. Lo so io, come lo sapete voi, come lo sa vostro marito. Non dovreste dubitare di questo.» Mikael rallentò brevemente l’andatura del suo cavallo, a Mick parve di aver visto qualcosa attraversargli lo sguardo quando aveva parlato del fuoco, qualcosa di pericoloso. Voltò il cavallo per fronteggiare l’uomo, la schiena dritta e lo sguardo fiero e deciso tanto che in un momento non sembrava più un ragazzino come pochi attimi prima bensì un uomo fatto e finito. E orgoglioso.
«Ah!» Asserì sprezzante sollevando il mento per accentuare l’espressione, un sorriso beffardo si aprì sul suo viso mentre guardava negli occhi Eobard che, per la prima volta da quando Mick li seguiva, sostenne lo sguardo. «Come se il fuoco potesse uccidere quelli come noi.» Strinse le redini saldamente nelle mani, con un leggero colpetto del piede indirizzò nuovamente l’animale verso la via che percorrevano. «Non siamo chiamati Draghi solo perché è un bel nome.» Disse prima di partire al galoppo seguito a ruota da Eobard e dai cavalieri.
Mick fece un passo per continuare a seguirli ma quando appoggiò il piede la terra svanì e nuovamente prese a cadere.

Per la prima volta ebbe la prontezza, e il coraggio, di non chiudere gli occhi e guardare cosa lo circondasse, magari c’era il modo di fermare quello strano viaggio tra le sue altre vite, magari c’era il modo di scegliere dove atterrare. Invece ciò che vide fu uno spettacolo ben più familiare di quel che si aspettava, vortici scuri, tendenti al blu, a volte all’azzurro, altre con vaghe o meno sfumature verdi e una miriade di filamenti dorati che si intrecciavano. Secondo dopo secondo Mick continuò a cadere attraverso il Tempo.
Atterrò goffamente per la seconda volta e rimase disteso a terra immobile a riprendere fiato prima che il pensiero che non aveva bisogno di fiato lo attraversasse.
Sono morto.” Si disse mentalmente, come a volerselo ricordare, era un po’ assurdo continuare a dimenticare un particolare del genere ma forse era quell’assurda situazione a farglielo dimenticare. Il Tempo stava facendo del suo meglio per beffarsi di lui.
Ah ah!” Poteva quasi sentirlo ridacchiare. “Guarda tutte le vite che non vivrai mai. Tutte sempre e comunque migliori della tua.” E lui che aveva pensato che il Tempo potesse essere suo amico.
Si sedette scandagliando i dintorni alla ricerca di sé stesso, ormai aveva capito come funzionava quella cosa, qualunque essa fosse. Il corridoio bianco sterile fu l’unica cosa che vide davanti e dietro di sé, un lungo, lunghissimo corridoio. Sospirando si alzò e dopo un momento di esitazione si voltò iniziando a camminare. A prima vista poteva dare l’idea di un ospedale, tutto quel bianco asettico, le porticine con i cartellini e i vetri con le tapparelle abbassate, ma era troppo silenzioso, nessun dottore, nessuna infermiera, nessuno. Ad un secondo esame il corridoio era troppo stretto per essere di un ospedale, le porte su entrambi i lati, nessun rumore. Mick si fermò di colpo, tese l’orecchio ma ne ebbe la conferma, non c’era niente. Pur incorporeo gli parve di avvertire un brivido percorrergli la spina dorsale a quel silenzio. Era irreale, sbagliato, il perfetto inizio per quei film horror che Cisco tanto si ostinava a voler guardare. Senza pensare, spinto dall’istinto, iniziò a correre nel corridoio fino ad un’anonima porta grigia, allungò la mano sulla maniglia per aprirla ma si ricordò di non avere più un corpo quando la mano passò attraverso e un istante dopo lo stesso fece il suo corpo. La stanza in cui era finito era ampia, aveva tutta l’aria di essere un laboratorio di ricerca. Ogni cosa si faceva più e più inquietante e Mick non vedeva l’ora di andarsene da quella nuova Terra eppure aveva la sensazione che finché non avesse trovato l’altro sé di quel luogo sarebbe rimasto lì bloccato. Il Tempo doveva proprio odiarlo.
Osservò nuovamente la stanza, spaziosa, bianca, con delle luci al neon sul soffitto, una di quelle tremolava lasciando che le ombre intermittenti che gettava rendessero la stanza e quel silenzio ancora più sinistri. C’era un tavolo in metallo grigio lucido al centro della stanza, un mobile di metallo anch’esso con delle gabbiette aperte e una scrivania su un lato con una piccola lampada ricurva, in fondo alla stanza un’altra porta stavolta socchiusa. Nient’altro. Niente finestre, la sola luce arrivava dai neon sopra la sua testa. Si avvicinò alla scrivania e osservò brevemente i fogli sparsi su di essa, formule, equazioni, parole e sigle che per lui non avevano senso, stava per andarsene verso la porta socchiusa che una frase scarabocchiata su uno dei fogli attirò la sua attenzione e nuovamente il silenzio si fece gelido e inquietante.
Sono scappati tutti.” Lesse, la parte razionale della sua mente, quella che tendenzialmente veniva ignorata, gli disse che si trattava solo di una scritta senza significato, magari dettata dalla frustrazione di qualcuno che lavorava lì e che, non avendo risultati aveva visto i colleghi andarsene. Il resto della mente e del corpo la ignorò come aveva sempre fatto e ruotò su di sé puntando gli occhi sulle sette gabbiette aperte.
Sono scappati tutti.” Non era razionale, non aveva senso, ma d’altronde quante cose lo avevano da quanto aveva iniziato a viaggiare nel tempo? Non erano i colleghi ad essere scappati. Era qualunque animale fosse in quelle gabbie, e se erano scappati non poteva essere un buon segno. Deglutendo e ripetendosi mentalmente che nulla poteva fargli del male da morto oltrepassò la porta socchiusa imboccando l’ennesimo corridoio cercando di ignorare le minuscole impronte sul pavimento e, proseguendo sempre più verso un’altra porta, anche sul muro. Impronte di sangue.
Oltre la porta, anch’essa socchiusa, c’erano delle scale che Mick sperava ardentemente lo avrebbero portato fuori nonostante continuasse a desiderare di essere altrove in quel momento, vivo o morto che fosse quel posto era inquietante. Normalmente non avrebbe avuto paura ma i film sono solo fantasia, sono attori, scene, sono inventati. Quando arrivò fuori il silenzio si trasformò in frastuono, non assordante ma comunque forte, gutturale. I film erano una cosa, quello che aveva davanti Mick sapeva che era reale, quantomeno su quella Terra, a patto che fosse rimasto ancora molto.
Portami via. Portami via di qua! Ti prego, ti scongiuro portami via!” Non potevano vederlo, non potevano ferirlo, trasformarlo in uno di loro, certo, ma quello non cambiava le cose per Mick, la consapevolezza che su una delle tante Terre quella era la realtà non rendeva la sua situazione migliore. Si appiattì contro un muro attento a non passarvi attraverso nel mentre, si stava guardando intorno, smarrito e shockato, quanto un rumore di spari sovrastò i versi delle creature, seguito dal motore di una macchina che si fermava, e altri spari. Si voltò osservando un gruppetto di cinque persone farsi largo a suon di proiettili, due aprivano la strada, gli altri tre di volta in volta entravano nei negozi, nelle case, in qualunque spazio in cui qualcuno avrebbe potuto cercare riparo. Uno dei due avanti era Mick, l’altro indubbiamente Leonard, i tre dietro non aveva avuto modo di vederli bene ma quello bastava.
Almeno non sono diventato uno di quei cosi.” Pensò in un moto di sollievo avvicinandosi restando all’erta, non voleva passare troppo vicino a una di quelle creature nemmeno in quel mo—
«Oh, dai! Non anche questo!» Sbottò alzando le mani al cielo quando una raffica di colpi gli passò attraverso diretta verso gli zombie, non sentire dolore non significava che fosse piacevole trovarsi attraversati dalle cose, nemmeno attraversarlo come aveva fatto con le porte, se doveva essere sincero.
«La prossima volta che tu e quella banda di scienziati pazzi decidete di fare esperimenti, Mick…» Mick si voltò verso Snart con un ringhio.
«Ne facevi parte anche tu se ben ricordo.» Controbatté irritato, una manica strappata e una spessa fasciatura sporca di sangue sul braccio.
«Cercate di non creare altri morti viventi.» Concluse Leonard come se non lo avesse sentito.
«Cazzo Len! Lo sai bene che non era questo che volevamo! E come ho detto anche tu ne facevi parte!» Esclamò scuotendo l’arma che portava a tracolla, i tre uomini si erano affiancati nuovamente e stavano proseguendo verso il resto della città.
«Me ne sono tirato fuori quando ho capito che quel Wells era completamente fuori di testa.»
«Scientificamente parlando la sua teoria era corretta.» Proruppe un ragazzino occhialuto. «Diciamo che poi c’è stato un… imprevisto.» Esitò cercando la parola più corretta.
«Imprevisto!» Lo scimmiottò la ragazza di colore scuotendo le mani e alzando gli occhi al cielo. «Se questo lo chiami imprevisto non voglio sapere come sarebbe andata se fosse stato tutto deciso.» Mick aveva già sentito una storia simile, l’esplosione dell’acceleratore di particelle ad opera di Harrison Wells non era stato un incidente, forse nemmeno quello che era accaduto su quella Terra lo era. O magari era davvero solo un tragico caso.
«West, pensi davvero che stavamo cercando di creare un’arma biologica?»
«A dire il vero sì.» Disse lei senza fermarsi a pensare alla risposta. «Tutto di quei famigerati Laboratori STAR urlava guai. E infatti…» Indicò svogliatamente attorno a loro.
«Stavamo cercando…» Iniziò a ribattere ancora il giovane.
«Silenzio. Tutti e due.» Li interruppe una terza voce che Mick era certo di non conoscere a differenza delle altre.
«Cosa…?» Borbottò Hartley, stizzito per essere stato interrotto.
«Shhh shhh…» Fece ancora, passandosi l’indice sulle labbra per convincerlo di più mentre si guardava attorno. Mick indietreggiò di qualche passo portandosi accanto a lui mentre Leonard controllava la strada davanti a loro.
«Cosa succede Thomas?» Domandò a mezza voce, il ragazzo continuò a osservare in silenzio finché non fermò lo sguardo sul tetto di un edificio a diversi metri da loro, entrambi i Mick seguirono il suo sguardo ma, mentre quello incorporeo che non vedeva l’ora di svanire da quella Terra non capì cosa stessero vedendo, l’altro Mick emise un verso strozzato.
«Non va bene. Non va bene per niente.» A quel punto anche gli altri si erano voltati a guardare. «Correte.» Disse soltanto spingendo la ragazza davanti mentre Snart e Hartley avevano già iniziato a correre verso la macchina, Thomas avvicinò l’occhio al mirino puntando qualunque cosa vedesse nell’oscurità e sparando un colpo. Il verso sofferente che si alzò seguito da un ringhio non sembrava promettere nulla di buono, Mick lo afferrò da un braccio seguendo gli altri senza lasciarlo andare.
«Bel colpo Tommy.» Disse ironico mentre salivano sulla macchina e metteva in moto accelerando senza pietà per mettere quanta più distanza potesse dalla strana creatura che dopo essere stata colpita era saltata dal tetto a quattro zampe e aveva iniziato a rincorrerli veloce facendo saettare la lingua assurdamente lunga. «Ora l’hai fatto incazzare!»
Mick rimase immobile incapace di comprendere quello che stesse vedendo, la creatura stava raggiungendo la macchina, la lingua saettò verso di loro, poi il Tempo decise che aveva visto abbastanza.

Cisco prese il lanciafiamme e se lo rigirò in mano un paio di volte, era arrivato presto al laboratorio, quando gli altri erano ancora a casa e le luci spente, le aveva lasciate soffuse quel che bastava a vedere dove stesse camminando. Era rimasto immobile con la pistola nelle mani senza riuscire a carpirne nulla, non era certo avrebbe funzionato ma non poteva saperlo senza provare. Si appoggiò allo schienale prendendo gli occhiali che teneva nel cassetto, erano ancora un prototipo ma sembravano funzionare a dovere, li indossò tornando a rilassarsi contro lo schienale chiudendo gli occhi e stringendo l’arma con entrambe le mani.
«Mick…» Sussurrò lentamente, assaporando quasi il nome che negli ultimi tempi era diventato così familiare nella sua mente. A parte Barry gli altri non avevano preso molto bene la notizia, non che fosse una cosa da troppo scalpore.
«Mick. Mick dove sei?» Non si sentiva ancora forte abbastanza da usare il solo pensiero per rintracciare qualcuno attraverso le dimensioni, non era nemmeno sicuro che Mick si trovasse lì, ma come era accaduto a Barry allora poteva essere accaduto a lui e Cisco non poteva lasciar perdere prima ancora di aver provato.
Si guardò attorno trovando solo uno spazio in continuo movimento, inconsciamente nella realtà strinse con più forza la pistola, non sapeva quanto tempo aveva prima di rischiare di perdersi, al tempo stesso in quel momento poco gli importava di perdersi se non riusciva a trovare Mick.
«Mick!» In lontananza, in mezzo ad un vortice azzurro, qualcuno si voltò ma non fece in tempo ad aprir bocca che il vortice lo ingoiò trascinandolo con sé in un’altra dimensione.

«Cisco!» Mick allungò una mano col solo risultato di passare attraverso l’asta di una lampada in metallo. Cisco lo cercava, si era proiettato nel Flusso Temporale e lo cercava, doveva tornare indietro. Ispezionò la stanza, larga, ben illuminata e piena di cavi. Al centro non lontano da una pulsantiera c’era una piattaforma scura, Mick la conosceva, l’aveva già vista seppur spesso in dimensioni ridotte, forse quello era un prototipo di quello che conosceva. La porta laterale si aprì e richiuse nel giro di pochi secondi, i passi erano leggeri.
«Ehi Mick.» Mick si voltò incredulo, convinto che per la prima volta qualcuno fosse in grado di vederlo, e non un qualcuno a caso ma…
«Professor Ramon.» Ruotò la testa verso la piattaforma osservando l’ologramma azzurrino che era comparso. Era lui, in tutto e per tutto, solo meno reale.
«Non ti ho già detto che mi puoi chiamare per nome?» Rise Cisco posando una tazza colma di caffè accanto alla pulsantiera e accendendo uno schermo vicino.
«Non sarebbe rispettoso Professore.» Mick credette per un attimo di aver visto l’AI sorridere in rimando al giovane che scosse la testa divertito.
«Come vuoi, come vuoi Mick.» Diede un paio di comandi e l’ologramma sfarfallò qualche istante prima di stabilizzarsi nuovamente. «Informami se ci sono dei cambiamenti sulla frequenza inter-dimensionale. Per il resto fa che nessuno mi disturbi.»
«Come desiderate Professore.»
«Cisco.» Lo corresse sollevando brevemente lo sguardo dallo schermo, l’AI lo guardò di rimando, esitò inclinando il capo da un lato prima di sollevare un angolo delle labbra.
«Cisco.» Ripeté prima di svanire e lasciare la stanza nel silenzio, Mick si voltò a guardare il ragazzo. Si era seduto davanti allo schermo e ora che l’AI era scomparso lo stesso era stato per il suo sorriso, sospirò abbandonandosi sulla sedia osservando non più lo schermo ma una cornice accanto ad esso. Mick fece il giro del tavolo, ancora non abituato alla sensazione che provava passando attraverso le cose, e la osservò.
«Oh Micky…» Sussurrò con voce rotta passandosi una mano sul viso. «Troverò il modo di riportarti a casa. Io… Io ti troverò. Dovessi scandagliare ogni singola dimensione esistente.» Mick lo guardò allungando una mano verso di lui per toccargli la spalla. Tra tutte le Terre che aveva visitato quella era la più simile alla sua, quantomeno per la sua sorte. La mano passò attraverso la spalla e lui la ritrasse immediatamente quando vide Cisco sussultare e voltarsi verso di lui senza vedere nulla. Il giovane scosse la testa tornando a concentrarsi sullo schermo e sulle stringhe di codice che aveva davanti.

«Voglio tornare a casa.» Sussurrò, era una frase che aveva ripetuto così tante volte che era diventata familiare quanto respirare. Chiuse gli occhi pensando più intensamente che poté al luogo da cui iniziava tutto, il Flusso Temporale, l’Incrocio di infinite vie. Quando lì riaprì non stava più cadendo, era immobile sospeso tra vortici e filamenti. Lentamente alcuni vortici attorno a lui si allargarono divenendo veri e propri passaggi, incerto Mick fece un passo rendendosi conto che finché riusciva a mantenere la calma non sarebbe precipitato come le volte precedenti.
«Cisco?» Chiamò tentativamente senza ottenere una risposta, girò su sé stesso un paio di volte cercandolo con lo sguardo. Stava dando la schiena ad uno dei vortici quando avvertì un soffio freddo sulla nuca, si voltò di scatto mentre vortici più piccoli uscivano dal maggiore e lo avvolgevano trascinandolo con sé.

Quando ne uscì lo fece con calma, in piedi, prese alcuni secondi per osservare l’ambiente attorno a lui, ovunque fosse era caldo e un palazzo estremamente ricco. Si avviò verso un balcone su uno dei lati e quando uscì venne accolto da uno scenario che aveva visto di sfuggita in alcuni film la sera tardi quando non riusciva a dormire ma non era abbastanza sveglio da andare in giro e lasciava il televisore acceso come compagnia. O forse somigliava all’antico Egitto, l’unica volta in cui aveva tentato di uccidere Savage prima che diventasse immortale, col solo risultato di essere raggiunti da Chronos. Qualunque fosse la situazione che gli ricordava quel paesaggio non cambiava il fatto che si trovasse affacciato al balcone davanti ad una distesa semi desertica dai colori aranciati, indubbiamente lo scenario più bello che avesse visto in molto tempo.
«Nobile Dagon.» E non era solo su quel balcone. Doveva avere diverse porte, una quella da cui era arrivato lui, poi altre tre che non sapeva dove entrassero. Ad alcuni metri da lui un uomo vestito di un’armatura dai toni sabbiosi era fermo a osservare il panorama come stava facendo anche lui fino a poco prima, una spada all’apparenza pesante era posata accanto a lui in piedi contro la balaustra, voltò la testa con lentezza verso il soldato che era apparso alle sue spalle.
«Non siete costretto a farlo, possiamo fermarli prima ancora che arrivino alle mura.» Disse con sicurezza, la schiena dritta e la testa alta, una mano posata sull’elsa della spada al suo fianco. «Non c’è bisogno che voi, nobile Dagon, scendiate in battaglia.» Dagon sorrise appena, se c’era qualcuno di cui si fidava ciecamente nella corte quello era Hadad, la sua determinazione era qualcosa di difficilmente eguagliabile, così come il coraggio in battaglia, mai l’aveva visto farsi da parte. Aveva pensato spesso, Dagon, di renderlo come lui in un moto di egoismo, per non rimanere da solo nella sua immortalità. Ogni volta quel pensiero veniva accantonato da un getto d’acqua fredda, era egoista certo, ma non fino a quel livello.
Mick si affiancò ai due uomini, inarcò un sopracciglio osservando Dagon e ciò che li circondava.
«Se quello là era il medioevo questa è preistoria.» Borbottò. «Saranno anche dimensioni diverse ma almeno il tempo non poteva essere lineare?»
Proprio tu chiedi la linearità nel tempo, Chronos?” Domandò una vocina nella sua mente, canzonatoria quanto bastava perché Mick la riconoscesse. “Come siamo pretenziosi. Cos’altro vuoi, che si aggiusti le anomalie temporali da solo?” Scosse la testa, infastidito da quel tono saputello che Jolyn era solito usare quando lui si lamentava sommessamente di alcuni incarichi.
«E invece scenderò in battaglia, Hadad.» disse con voce calma e calda riscuotendo Mick dai suoi pensieri. «Così che questa sia l’ultima che dobbiamo affrontare.» Allungò la mano prendendo la spada e assicurandosela in vita, gli occhi avevano una sfumatura dorata surreale, Mick non sapeva se era davvero quello il colore o se era solo un riflesso della luce, eppure erano magnetici, sembravano costringerti a continuare a guardare, senza vie di scampo.
«Possiamo fermarli.» Insistette l’uomo ma Dagon lo guardò sorridendo.
«Fermali, amico mio, e loro torneranno ancora e ancora.» Gli posò una mano sulla spalla, un gesto fraterno, quasi intimo. «Ma non questa volta.» L’altra mano si fermò chiusa sull’elsa della sua spada mentre rientravano nella stanza con Mick invisibile al loro seguito. «Saremo noi a vincere una volta per tutte.»
Poi, come se Mick avesse inavvertitamente premuto il tasto per velocizzare il video, la scena davanti ai suoi occhi iniziò a scorrere e vorticare lasciandolo disorientato, e nauseato, in mezzo ad un cruento campo di battaglia. Quando riprese fiato e la testa smise di girare si rese conto di essere esattamente nel mezzo di una distesa apparentemente sconfinata di corpi mutilati senza pietà, qualcosa che nemmeno nella più realistica riproduzione cinematografica di una guerra si sarebbe mai immaginato di vedere. Nel mezzo proprio come lui, solo più calmo, si trovava anche Dagon, non aveva impiegato molto a capire che fosse lui la vita che aveva su quella Terra, per quanto assurda e apparentemente ben rispettata potesse essere. Quando si girò e Mick poté vederlo in volto aveva lo sguardo più afflitto e tormentato che avesse mai visto. E arrabbiato. Era furioso al punto che gli occhi sembravano aver preso una sfumatura ancora più chiara, gialla quasi, mentre il sangue gli sporcava il viso, quando aprì la bocca per dire qualcosa che Mick non riuscì a comprendere, la parlata troppo veloce, la lingua troppo antica che nemmeno i traduttori dei Signori del Tempo sarebbero stati in grado di tradurla, qualunque cosa dicesse suonava in tutto e per tutto come una serie di maledizioni per gli antichi Dei, la prima cosa che saltò agli occhi furono i denti. I canini sporgevano aguzzi e pericolosi. E sporchi del sangue di ogni singolo uomo a terra, la spada era ancora assicurata alla cintura, immacolata. La spada era solo un ornamento così come l’armatura, era solo un modo per mostrarsi umano o quanto più simile a loro, quando invece non lo era.
«Mai più.» Sibilò tra le maledizioni agli antichi. «Mai più. Mai più per questa inutile, mortale umanità. Mai più.» Tremò sulle ultime parole, i sussurri si trasformarono in un urlo disumano, nessuno accorse, come se nessuno esistesse più su quel campo di battaglia. Al calar del sole Dagon si alzò, si diresse lento e solitario verso il palazzo e nei sotterranei. Un corridoio, due corridoi, poi tre, Mick lo seguì in silenzio. La stanza in cui si fermò sembrava una di quelle soprastanti, riccamente decorata e accogliente, chiuse la porta e fece scattare un meccanismo che dal rumore che arrivò dall’esterno doveva aver bloccato completamente le vie sotterranee. Si distese sul letto fissando il soffitto.
«Mai più.» Mormorò un’ultima volta prima di chiudere gli occhi in un sonno che sperava fosse eterno, troppo disgustato dalle manie di potere degli uomini, e dalla loro mortalità.

Di fianco a Mick comparve un piccolo vortice di luce bianca, l’uomo lo guardò un attimo, tornò a osservare il vampiro poi si voltò e vi entrò facendo pochi passi prima di ritrovarsi ancora una volta nel Flusso Temporale avvolto in una calma irreale mentre il Tempo vorticava intorno a lui. Le parole del sé immortale gli erano rimaste in mente e non riusciva a spiegarsi la ragione. “Mai più.” Aveva provato una solitudine tale da provar pena per lui, per sé stesso. Scosse la testa per liberare la mente e si guardò attorno, di Cisco non c’era alcuna traccia e un vortice poco distante aveva preso ad allargarsi facendosi di secondo in secondo più vicino, un chiaro invito ad attraversarlo. Mick non se lo fece ripetere una seconda volta, stanco di essere agguantato e sputato fuori senza modo di scegliere, si voltò, guardò il vortice fermarsi a pochi passi da lui e lo attraversò di sua spontanea volontà.
Un ambiente familiare si aprì davanti a lui, per un attimo pensò di essere arrivato sulla sua Terra, a casa, poi si ricordò che sarebbe stato comunque invisibile a chiunque, mosse qualche passo incerto nella stanza circolare dei Laboratori STAR, osservò i macchinari che coprivano ogni spazio libero, i cavi che nascondevano il pavimento ad eccezione di poche piccole isole libere, una navetta temporale trasparente in un angolo, lo stesso tipo che alcuni Signori del Tempo usavano, non adatta a viaggi lunghi o pericolosi, completamente priva di armi e con uno scudo che resisteva esclusivamente al viaggio, simile a quella che Cisco aveva detto di aver dovuto costruire.
«Sei sicuro Michael?» Si voltò quando la porta si aprì e tre figure entrarono, familiari, così incredibilmente familiari al punto da lasciargli uno strano senso di nostalgia nello stomaco.
«Noi non bastiamo, Myria.»
«Siamo stati abbastanza fino ad ora.»
«E poi?» Mick, quel Mick, si voltò verso la donna ferma qualche passo indietro, un cappotto lungo in pelle nera che tentava di farla sembrare più imponente dello scricciolo che era in realtà. «Siamo noi tre.» Indicò con un cenno l’altro uomo che stava lavorando ad uno dei macchinari. «Se accadesse qualcosa resteremmo in due. No, Myria, siamo troppo pochi, abbiamo bisogno di più persone.»
«E come pensi di fare?» Lei incrociò le braccia al petto. «Metterai un annuncio sul web come se si trattasse di un lavoro come un altro?» Mick sorrise a quella proposta sarcastica, come se quello fosse davvero ciò che aveva intenzione di fare.
«Sono anni che non operiamo più nell’ombra.» Prese a camminare mentre parlava, sfiorando piano con le mani i macchinari accanto cui passava, attento ai cavi che calpestava. «Il mondo sa che le Anomalie esistono, sa che gli Alieni esistono e non sono tutti pacifici. Sa che le due cose possono finire col combinarsi.» Si portò al centro della stanza e si voltò a guardarli entrambi. «Inizieremo a proporlo a quelli con cui abbiamo lavorato, metaumani, alieni, persone normali che vogliono proteggere la storia. Le cose saranno lente all’inizio, li addestreremo, li istruiremo su tutto ciò che c’è da sapere.»
«Potremmo evitare di coinvolgere anche Flash?» Domandò l’uomo sollevando il capo dalla pulsantiera su cui era chino. «Perché sai… ha un talento speciale per incasinare la linea temporale ed è la ragione principale per cui abbiamo sempre così tanto lavoro.» Myria roteò gli occhi con un mezzo sorriso, per quanto l’avesse posta in modo semplicistico nessuno poteva negare che fosse vero, Flash era un vero e proprio danno per ciò che riguardava il Tempo. Mick rise annuendo brevemente, attivò uno schermò touch accanto a lui e aprì alcuni file.
«Questi sono solo alcuni dei nomi, delle possibili reclute.»
«Vuoi creare una vera e propria società a difesa del Tempo…» Commentò Myria facendo scorrere rapidamente una dopo l’altra le schede da uno schermo più vicino. «Questo è carino.» Commentò soffermandosi su uno facendo alzare uno sbuffo da Mick.
«Non li ho scelti perché sono carini.» Si lamentò facendola sorridere. «Sto solo cercando di assicurare un futuro a quello che abbiamo iniziato. Nessuno conosce il Tempo come noi.»
«Nessuno come lo conosci tu.» Precisò l’uomo. «Certo, se non ti fossi infilato in qualunque cosa fosse quella in cui ti sei infilato sette anni fa con la navetta…»
«Karsa!» Sbottò scuotendo in aria le braccia.
«Sto solo dicendo che è stata una fortuna.» Si difese ritornando al suo lavoro. Myria si avvicinò, il cappotto svolazzava alle sue spalle elegante.
«Dunque addestriamo un manipolo di eroi, li trasformiamo in difensori del Tempo e noi andiamo in pensione?» Sorrise ammiccante fermandosi davanti a lui con una mano sul fianco e la testa lievemente inclinata, Mick parve offeso da quell’insinuazione.
«Stai dicendo che sono in età da pensionamento?» Borbottò arricciando le labbra, lei rise spostandosi indietro una ciocca di capelli corvini.
«Non saranno difensori, come li hai chiamati tu però, e non opereremo da questa base.» Myria alzò un sopracciglio a quelle parole, avendo riottenuto la sua attenzione Mick sfiorò lo schermo spostando le schede in un angolo e aprendo un altro file di quella che sembrava un’immensa stazione spaziale, disegnata sulla falsa riga della Colonia Olympus.
«Appariscente.» Fu il solo commento di Karsa che aveva alzato gli occhi per osservare il progetto.
«Non sarà nella orbita terrestre, sarà nello spazio di confine.»
«L’Incrocio.» Il Mick fantasma che si era appoggiato, al meglio delle sue capacità in quella situazione, ad una delle scrivanie, drizzò le orecchie a quella parola. Sembrava che qualcun altro oltre a lui chiamasse in quel modo il Flusso Temporale che attraversavano abitualmente, e quel qualcun altro era lei, inconsciamente sorrise a quel pensiero.
L’altro Mick annuì.
«È il posto più sicuro.»
«E il Tempo è praticamente quasi fermo.» Aggiunse Karsa lasciando perdere la pulsantiera e avvicinandosi a loro al centro della stanza.
«Non è una colonia, è il Punto di Non Ritorno.» Spiegò Mick e per poco all’altro Mick non venne un colpo, aveva capito che loro tre era Signori del Tempo, o qualcosa che doveva somigliarvi ma non aveva capito fino a quel momento l’estensione della cosa. «E noi, i nostri allievi e chiunque verrà in futuro che prenderà il nostro posto non saranno dei difensori ma dei Signori.» Myria teneva ancora le braccia incrociate e il capo leggermente inclinato, un sorriso divertito e in parte compiaciuto si aprì sul suo viso, Karsa era al suo fianco, le braccia abbandonate lungo il busto e una posa totalmente rilassata.
«Signori del Tempo.» Ripeté come se volesse saggiare il suono di quelle parole, di quel titolo. «Devo ammetterlo, Chronos, stavolta ti sei superato.» Disse con un sorriso ferino scoprendo i denti leggermente più appuntiti del normale.
Mentre sia Karsa che Myria tornavano al lavoro Mick si voltò verso un lato della stanza, osservò la scrivania poi sollevò le labbra in un mezzo sorriso.
«Ti conviene andare.» Disse in un sussurro e Mick sobbalzò guardandolo dritto negli occhi con la bocca leggermente aperta.
«Cos—Come?» Biascicò sbattendo le palpebre.
«Sei un’Anomalia, e sei il genere di Anomalia che sa cosa succede a quelli come te.» Poi si voltò seguendo gli altri due colleghi al lavoro, avevano così tante cose da fare che non poteva certamente mettersi a chiacchierare con lui.
Mick dal canto suo ruotò su sé stesso, individuò il debole vortice da cui era arrivato e vi si infilò dentro in un baleno ritornando nel Flusso Temporale, ancora sconvolto dal fatto che qualcuno fosse riuscito a vederlo.

«Quindi dopo tutto quello che è successo, quello che hanno fatto, causato, tu sei ancora sicuro di voler continuare a… qualunque cosa facciate.» Cisco incrociò le braccia osservando Len per un attimo.
«Ne ho già parlato a Barry se è questo che ti preoccupa.» Disse azzardando poi un ghigno divertito. «E comunque non serve che ti preoccupi per me, sono adulto e vaccinato, so cavarmela da solo.» Cisco emise solo un versetto non troppo convinto prima di dargli le spalle osservando il Laboratorio così innaturalmente vuoto dopo il breve passaggio delle Leggende. Leonard sapeva cosa intendeva il ragazzo, in quel momento riusciva a leggerlo come un libro aperto.
Anche Mick sapeva cavarsela da solo.” Ecco cosa diceva.
«Rip ha detto che è impossibile andare indietro, che quel momento è fisso, qualcosa di inaccessibile, o qualcosa del genere.» Iniziò bloccandosi quando Cisco sembrò prendersi gioco di lui facendogli un infantile verso con le mani sempre dandogli le spalle, a quella vista Len alzò un sopracciglio.
«È inaccessibile perché non esiste, è una cosa un po’ diversa.» Disse piano voltando la testa verso di lui, il corpo lo seguì un attimo dopo e si incamminò verso uno dei tavoli su cui il lanciafiamme e i suoi occhiali erano posati uno accanto all’altro.
«Se già lo sai allora non capisco cosa cerchi.» Snart diede una veloce occhiata all’orologio, non mancava molto all’ora stabilita del ritrovo. «È morto.» La voce si spezzò più di quanto avrebbe voluto, dirlo era tutta un’altra cosa che pensarlo. «Non tornerà… non – »
«Tu non hai questo.» Sollevò gli occhiali senza però indossarli per il momento. «Non l’ho visto morire.» Sussurrò. «L’ho visto dissolversi nel mezzo di un’esplosione di energia.» Snart deglutì a quelle parole, conosceva i poteri di Cisco, Barry gli aveva spiegato, quantomeno a grandi linee la situazione, non ne conosceva l’estensione però.
«Non vedo la diversità tra le due cose.» Disse perentorio. «Sentì ragazzino, lo capisco ok? Vorrei anch’io credere in qualcosa di diverso ma non è così che funziona. Non sempre una vittoria è felice.»
Cisco era rimasto fermo sul posto, gli occhiali stretti in mano e un’espressione sicura sul viso, rabbuiandosi solo leggermente alle parole di Leonard. Contrasse la mascella facendosi più determinato e convinto nelle sue idee, aveva deciso che non si sarebbe arreso finché non avesse trovato una soluzione, qualunque essa fosse.
«C’è differenza.» Sibilò assottigliando gli occhi in un’espressione che di rado era vista sul suo viso. «È successo una volta e abbiamo sistemato le cose. Posso farlo di nuovo.» Snart non ebbe il tempo di domandare cosa intendesse, di cosa parlasse o quale fosse la fantomatica differenza in cui si ostinava a credere perché Barry arrivò ad informarlo che era ora di andare e che lo avrebbe portato lui. Un istante dopo, con un saluto troncato sul nascere Cisco era solo nel Cortex. Con un sospiro osservò il lanciafiamme, si sedette accanto alla scrivania e indossò gli occhiali.
«Forza.» Si disse piano mentre davanti a sé si apriva uno spazio immenso fatto di vortici e filamenti e fulmini di tanto in tanto. «È ora di tornare a casa.» Si incamminò davanti a sé alla ricerca dell’uomo.

Il nuovo vortice colse Mick alla sprovvista, non contava di entrarvi nemmeno quando lo vide ingrandirsi ma quello scattò verso di lui attraversandolo, o forse fu Mick ad attraversarlo crollando su un pavimento lucido e pulito.
«Sembra quasi che trovi divertente trovare ogni volta un modo per eludere la mia presenza.» Mick si mise in piedi con un gemito, ancora non si capacitava del come e perché provasse dolore, l’uomo ad alcuni metri da dov’era atterrato era indubbiamente lui, solo vestito in modo più elegante, professionale oserebbe dire. Accanto, con un sorriso compiaciuto e un vestito talmente elegante da sembrare assurdo, era Cisco. Mick alzò un sopracciglio a quella vista, non aveva mai visto il giovane così elegante in vita sua.
«Se tu non fossi sempre così noioso da seguirmi come un’ombra non dovrei farlo, non credi?» Cisco lo guardò dal basso con un sorrisetto e un occhiolino.
«No – Noioso?» Borbottò Mick, frenandosi dall’allentare ancora una volta la cravatta. «È il mio lavoro essere la tua ombra!» Esclamò seguendolo alcuni passi indietro misurandoli in modo da non arrivare mai ad affiancarlo né tanto meno superarlo, Cisco ridacchiò soltanto. «Se mi trovi così noioso dovevi pensarci prima di assumermi.»
Mick lasciò vagare lo sguardo nell’androne del palazzo curioso di sapere dove si trovasse, Ramon Industries attirò subito la sua attenzione, non esattamente quello a cui Cisco aveva sempre aspirato ma quella non era la sua Terra, non poteva sapere quali altre differenze c’erano.
«Non è il mio lavoro essere divertente.» Puntualizzò con uno sbuffo, Mick li seguì in silenzio ascoltando quell’inusuale battibecco che tutti gli altri attorno parevano ignorare o accogliere con modesti sorrisi, come se fesse all’ordine del giorno. «Proteggerti, questo lo è.»
Cisco entrò in una stanza in fondo al corridoio dopo essere uscito da un’ascensore privato con Mick al seguito.
«Con te in giro nessuno si azzarderebbe mai ad avvicinarsi, sei grande, grosso e intimidatorio, direi che questo basta.» Disse senza mai perdere il sorriso voltandosi e appoggiando le mani alla scrivania alle sue spalle. «E se anche ci provassero – »
Istintivamente quando il vetro si frantumò Mick si ritirò su un lato appiattendosi contro il muro, morto o no essere attraversato dai proiettili non era per niente divertente, l’altro Mick invece era scattato avanti quando Cisco stava ancora parlando. Cisco aveva visto il cambiamento nella sua espressione ma ogni cosa era stata talmente repentina da non dargli il tempo di riflettere. Mick lo afferrò abbassandolo e schiacciandolo contro la scrivania in metallo mentre astraeva una pistola e puntandolo verso la finestra facendo spuntare solo le mani e gli occhi da dietro il mobile mentre Cisco era bloccato a terra con gli occhi sgranati dalla sorpresa, incastrato tra la scrivania e il corpo di Mick. l’allarme era scattato immediatamente e altre due guardie erano entrate nella stanza controllando a loro volta da dove potesse essere arrivato il colpo senza troppi risultati.
«Cosa stavi dicendo poco fa?» Sibilò a denti stretti Mick guardandolo per un istante prima di riportare lo sguardo sulla finestra. Cisco balbettò qualcosa muovendosi inquieto a terra, posò una mano sulla giacca scura di Mick come a convincerlo a spostarsi.
«Sei ferito?» Domandò con tono più alto e sorpreso di quel che avrebbe dovuto, a metà tra la domanda e un’esclamazione, Mick dismise la cose con un gesto vago e si alzò quando assicurarono che non vi era nessun pericolo.
«Non fare il vago con me.» Disse deciso il giovane alzandosi rapidamente in piedi cercando di convincerlo a togliere la giacca per esaminare la ferita.
Mick!” Mick impiegò diversi secondi prima di capire che la voce non arrivava da quella Terra, era più lontana e ovattata. “Mick!!” Si guardò intorno freneticamente, si voltò abbandonando la scena che aveva davanti e correndo verso il piano inferiore da cui era arrivato alla ricerca di un qualche segno del vortice che lo avrebbe portato fuori. Man mano che scendeva due a due le scale la voce sembrava farsi più vicina e al tempo stesso una strana e spiacevole sensazione si mosse dentro di lui.
Mick…?” Sentì nuovamente la voce chiamarlo ora più esitante e lui accelerò, prese una curva alla fine della rampa passando attraverso un impiegato con le braccia piene di fogli e di caffè e riprese a scendere.
Mick dove sei?” “Sono qui!” Avrebbe voluto urlare, arrivò in fondo all’ennesima rampa e quando iniziò a scendere gli ultimi gradini che mancavano sentì la terra mancargli sotto i piedi, non era come la prima volta che aveva abbandonato una di quelle Terre, era più reale, come se fosse banalmente inciampato e stesse per accorciare la distanza tra la rampa e il piano a cui era diretto, venti gradini in un colpo solo. D’istinto serrò gli occhi preparandosi all’impatto, per una volta felice di non poter morire di nuovo.

«Mick!» La voce lo accolse calda e vicina, confortante in molti più versi di quanto avesse mai creduto possibile. Quando si decise ad aprire gli occhi scoprì di essere nuovamente all’interno del Flusso Temporale, spalmato sgraziatamente a terra. Cisco era chino su di lui, la preoccupazione dipinta in modo fin troppo evidente sul suo volto ma si rilassò un poco quando lo vide aprire gli occhi, sorrise sospirando sollevato e allungo una mano sul suo viso quando Mick si mise a sedere.
«Non sai quanto ti ho cercato.» Sussurrò con gli occhi che si facevano via via più lucidi prima di gettargli le braccia al collo continuando a biascicare parole che a Mick non arrivavano, fievoli contro la sua spalla, lentamente gli passò un braccio sulla schiena stringendolo a sé e stupendosi di poterlo fare.
«Cosa ci fai qui?» Domandò dopo un paio di minuti in cui erano rimasti entrambi fermi a terra, Cisco ancora inginocchiato con la testa contro la sua spalla e i capelli che solleticavano la guancia e il collo di Mick ogni volta che si muoveva.
«Pensavi davvero che ti avrei lasciato qui?» Domandò shockato spostandosi e guardandolo in viso. «Sono venuto per portarti a casa.» La decisione e la dolcezza con cui pronunciò quelle parole fecero sorridere appena Mick. «L’ho fatto una volta con Barry, posso farlo anche con te.» esitò un attimo abbassando lo sguardo. «Soprattutto con te.» Mormorò poi prima di staccarsi guardandosi intorno preoccupato. Alcuni dei vortici si erano fatti più vicini, scuri e minacciosi, i filamenti dorati che Mick riconosceva come linee temporali si muovevano inquieti, riusciva quasi a sentirli mentre soffiavano contro Cisco, contro l’Anomalia.
«Devi andare.» Decretò alzandosi in piedi, Cisco scosse la testa con forza.
«Non senza di te.» Si lamentò aggrappandosi a lui, uno dei filamenti saettò tra loro come a volerli separare. «Ah!»
«Vai.» Disse perentorio spingendolo indietro. «Sarò ancora qui quando torni.» Usò il tono più calmo che trovò e lo guardò svanire lentamente, dissolversi come fumo chiaro.
«Sarò ancora qui.» Ripeté a sé stesso come a convincersi, ora animato da una nuova speranza di non essere costretto a passare il resto dell’esistenza saltando da una Terra all’altra, una vita all’altra. Se c’era un modo per tornare Cisco lo avrebbe trovato, ne era più che sicuro, e una volta tornato aveva un po’ di cose da dire alla felice compagnia di eroi.
Alle sue spalle un filamento dorato che si avvolgeva placido attorno ad un vortice blu oltremare si allungò scendendo lungo la sua spalla e sul braccio come a voler attirare la sua attenzione in modo discreto. Mick guardò per un attimo il punto in cui era svanito il giovane metaumano poi sospirò, non sarebbe tornato subito e lui non sapeva quanto tempo passasse quando entrava su un’altra Terra. Il filamento picchiettò brevemente sul suo braccio e Mick si voltò.
«Ho capito, ho capito. Vengo con te.» Come se lo avesse capito, e Mick iniziava a sospettare che fosse proprio così, il sottile filo si spostò muovendosi sinuoso a mezz’aria tornando a riavvolgere il vortice quando Mick lo oltrepassò.

Il rumore della nave era tranquillo e basso, simile alle fusa di un gatto nella mente di Mick, rilassante. Era un suono a cui si era abituato da tempo, somigliava in modo incredibile a quello dell’Hypérion, ma il corridoio in cui si trovava era un luogo mai visto prima, indubbiamente appartenente ad una nave Temporale, o spaziale che fosse, ma non una di sua conoscenza. Si avviò in una direzione casuale lasciandosi guidare dall’istinto e sperando di non ritrovarsi in qualche vano insolito senza via d’uscita. I corridoi erano stretti, un un freddo colore metallico ma la nave sembrava comunque spaziosa.
Sbucò, dopo una serie di ripidi scalini che scese con attenzione e senza fretta, ancora memore della caduta sulla Terra precedente, in quella che doveva essere la stiva. Il portellone sigillato su un lato lasciava intravedere attraverso un vetro spesso, la pedana di uscita e una serie più piccola di finestrelle rettangolari schermate. all’esterno, per quel poco che si poteva intravedere c’era una distesa nera.
«Non riesci a dormire?» Una voce gentile arrivò alle sue spalle, si voltò notando in quel momento un uomo seduto su uno dei ponti superiori con le gambe a penzoloni e le braccia incrociate sulla ringhiera più bassa della balaustra, il mento appoggiato su di esse. In piedi al suo fianco c’era una ragazza con indosso una salopette verde sporca di olio e i capelli raccolti in una coda disordinata e in parte sfatta. Si appoggiò alla balaustra guardando dall’alto mentre lui aveva mosso appena la testa per voltarsi verso di lei mugugnando una risposta. Lei sorrise rigirandosi una ciocca fuggiasca tra le dita. Più Mick li osservava e più li trovava diversi, come se fosse quasi impossibile che potessero stare nella stessa stanza a parlare, come se lei dovesse per qualche ragione temere l’uomo che se fosse stato in piedi l’avrebbe sovrastata di parecchio. Solo a vista erano diametralmente opposti eppure lei sembrava totalmente a suo agio al suo fianco, sorrideva gentile, mentre lui non la allontanava e Mick era quasi certo di aver visto come le spalle si erano rilassate quando lei si era avvicinata. Erano opposti un po’ come lui e Cisco.
«Sono quei dannati Reaver.» Disse con voce roca continuando a fissare un punto della stiva. «Non riesco a togliermeli dalla testa.» Si batté il palmo della mano sulla fronte come a voler accentuare quelle parole, strinse gli occhi poi tornando con le braccia incrociate e posandovi la fronte.
«Allora anche il grande Jayne ha paura di qualcosa.» Disse con tono scherzoso la ragazza, quando vide che lui non rispondeva si sedette lentamente sul ponte accanto a lui posando una mano sul suo braccio. «Non c’è niente di male, lo sai vero?»
 «Io avevo detto a Mal che quella nave era una trappola.» Borbottò senza alzare la testa. «Ma non mi ha voluto ascoltare. Per una volta che dico qualcosa di sensato… Potevano mangiarci.» La voce uscì strozzata, una nota di terrore in quelle parole e negli occhi quando si voltò verso la ragazza. «Violentarci e poi mangiarci.» Ripeté deglutendo, Mick dalla stiva sotto di loro si domandò che razza di pazzi potesse fare una cosa del genere, non ne aveva mai sentito parlare, e come Chronos di cose assurde ne aveva viste anche troppe. «Hun dan! Potevano farlo a te, bâo bèi.» Sbottò voltandosi di colpo verso di lei, Mick non era riuscito ad afferrare l’ultima parola, sapeva solo che la prima equivaleva ad un’imprecazione, qualunque cosa l’altra significasse però doveva essere qualcosa che alla ragazza piaceva. La vide sorridere dolcemente, piegare la testa posandola contro il suo braccio e venire poi avvolta in un abbraccio sicuro.
«Non con te al mio fianco.» Disse dolcemente schiacciandosi contro di lui e chiudendo gli occhi felice che a quell’ora fossero tutti nelle rispettive camere e che nessuno potesse scoprirli. Non che avessero qualcosa da nascondere, però Mal sapeva essere anche troppo protettivo, e non era sicura che avrebbe preso bene quello che si andava creando tra lei e Jayne. «Non con te.» Ripeté con tono rassicurante.
Mick fece qualche passo indietro come per lasciare sé stesso e quella ragazza che per certi versi gli ricordava Cisco, da soli, inciampò in qualcosa e si ritrovò di colpo seduto nel Flusso Temporale. Aveva perso il conto di quante Terre avesse visitato, le prime ormai faticava anche a ricordarle. Solo e senza saper cosa fare rimase seduto in quella posizione osservando il Tempo e i suoi filamenti dorati dispiegarsi tutto attorno a lui avvolgendolo in un inusuale stato di tranquillità come se lo riconoscessero come parte di quel luogo.

«Cisco cosa stavi facendo?» La voce di Barry sembrò spaccargli in due la testa, mugolò un’implorazione muovendosi sul lettino dell’infermeria senza aprire gli occhi. «Questo non risponde alla mia domanda.» Sospirò il velocista passandosi una mano sul viso stanco. Quando era arrivato nel laboratorio aveva trovato Cisco riverso su una delle sedie privo di sensi, aveva un’idea su quello che stava facendo, o quantomeno cercando di fare, per quanto fosse una stupida da fare da solo.
«Dovevo provare.» Disse piano socchiudendo un occhio e richiudendolo un attimo dopo con un gemito. «E devo tornare indietro.»
«Rallenta, rallenta Cisco. Non puoi.» Barry scattò in piedi accanto al letto, Cisco lo guardò con espressione sofferente e tentò di mettersi seduto senza risultati.
«Non posso lasciarlo là.» Ribatté deciso. «Ho tirato fuori te dalla Forza della Velocità, posso fare lo stesso con lui. E lo farò.» Si impuntò testardo.
«Ti ha quasi ucciso farlo.» Ma Cisco aveva smesso di ascoltarlo, si mise a sedere e lo guardò mentre lentamente la stanza intorno a lui si faceva più stabile invece di girare come una trottola impazzita.
«Per questo ho bisogno del tuo aiuto.» Barry gemette mettendosi le mani nei capelli, non c’era verso di fargli cambiare idea, lo sapeva bene, e se non avesse acconsentito ad aiutarlo Cisco lo avrebbe fatto comunque.

Mick rimase immobile seduto a gambe incrociate per quella che parve un’eternità, aveva iniziato a farlo quando era Chronos, a metà della prima vita quando ancora cercava di adattarsi alla rapidità delle missioni, ai continui salti temporali, alle sessioni di addestramento e apprendimento e al tocco leggero dei Nuclei Temporali. Tutte quelle sensazioni lo avvolgevano in uno stato caotico in cui anche solo sentire i propri pensieri era impossibile, così aveva iniziato a sedere immobile nell’area motori dell’Hypérion, chiudeva gli occhi e si concentrava esclusivamente sul calmo ronzio della nave. In quel momento, bloccato nel Flusso Temporale, si rese conto che non era solo il suono della nave a rilassarlo, ma era il Nucleo che le dava energia, il frammento di energia temporale che permetteva loro di viaggiare. Il Tempo era ciò che calmava il caos nella sua mente.
Ormai tu ci appartieni.” Gli sussurrò una voce melliflua nelle orecchie. “Sei parte di Noi e Noi siamo parte di te.” Mick tenne gli occhi chiusi quando sentì un filamento avvolgersi attorno al suo corpo con delicatezza e trascinarlo indietro con sé, non oppose resistenza.
La stazione di polizia di Central City lo accolse col suo consueto via vai.
«Pensi di riuscire a farlo di nuovo?» Mick riconobbe la voce del poliziotto che tempo prima era riuscito a prendere lui e Leonard, non conosceva il nome ma la voce era familiare.
«Chiedo scusa?!» La sua voce era più acuta del solito forse dovuto al fatto che avesse appena trattenuto un urlo, Mick li guardò avvicinarsi e imboccare le scale verso gli uffici al piano superiore e li seguì.
«Se ti concentri dovresti riuscirci di nuovo.» Ripeté l’uomo mentre Mick scosse con forza la testa. «Una volta che ti abitui diventa semplice, sia farlo che ignorarlo.»
«Non potrei solo ignorarlo?» Domandò Mick speranzoso.
«Ignorare cosa?» Joe West uscì da uno degli uffici in quel momento fermandosi ad osservare i due, salutò brevemente il collega poi osservò Mick.
«Eddie…?» Si avvicinò al collega passando lo sguardo interrogativo tra i due. Eddie lo salutò di rimando sorridendo di più a quell’espressione.
«È una Sentinella Joe.» Disse entusiasta, a differenza di Mick al suo fianco, confuso e disorientato. «Potrebbe aiutarci.»
Mick a quelle parole scosse la testa con veemenza e lo stesso fece West.
«È un criminale.» Si limitò a dire, Mick passò dal confuso all’indispettito guardando il detective.
«Ero un criminale.» Puntualizzò incrociando le braccia. «E se vi fa stare più tranquillo non ho alcuna intenzione di aiutare. Sarò anche dalla parte della giustizia ma ora non ingigantiamo le cose.» Eddie parve ignorarlo, si voltò e iniziò a parlare spedito con West.
«Avrà bisogno di una Guida.»
«Ho bisogno che qualcuno mi dica cosa diavolo sta succedendo.» Tentò di interromperlo senza successo.
«Eddie, non guardare me. È già difficile aiutare te quando ti estrani da tutto, non posso farlo con due persone.»
«Ehi!» Mick mosse la mano alle spalle di Eddie sperando che il detective lo notasse. «Sono ancora qui io.»
«Possiamo chiedere al professor Ramon.» Azzardò l’uomo con una scrollata di spalle trovando l’approvazione del collega.
«Prof – Ehi!»
«È la persona che per prima ha studiato questo fenomeno.» Disse spiccio West tirando fuori da una tasca un biglietto da visita stropicciato che il giovane professore gli aveva dato alcuni anni prima. «Lui ha tutte le risposte che ti servono.»
«Joe non puoi lasciarlo così!» Eddie ruotò su sé stesso quando il collega si diresse verso le scale alle loro spalle.
«C’è del lavoro da fare, posso eccome.» Fece un cenno con la mano per farsi seguire e non si fermò. Eddie si mosse incerto sul posto, lo sguardo saettò tra le scale e l’uomo fermo col bigliettino in mano.
«Ok, facciamo così. Tu vai lì» Indicò l’indirizzo sul biglietto riportante la facoltà in cui il professore insegnava. «Di’ che ti mando io, che sei come me, una Sentinella. Al resto penserà lui.» Sorrise incoraggiante battendogli una mano sulla spalla e inseguendo West giù dalle scale di corsa.
«È fantastico!» Il giovane professore si passò una mano nei capelli che scendevano sulle spalle, li tirò indietro e una volta che li lasciò andare quelli tornarono nella posizione iniziale. Era Cisco in tutto e per tutto, aspetto, carattere, modi di fare, entusiasmo, Mick sorrise.
«È fantastico!» Ripeté girandogli attorno studiandolo sotto ogni aspetto. «Sapevo che c’era la possibilità che altri oltre Eddie potessero sviluppare queste capacità ma non mi aspettavo di incontrare qualcuno.» Prese un libro dallo scaffale dietro la scrivania, così stipato di libri che era un miracolo fosse ancora in piedi.
«Questa è stata la mia tesi. Certo è basata su quello che ho potuto studiare da Eddie ma è abbastanza. Tieni.» Gliela mise davanti. «Ti aiuterà a capire quello che è successo.»
«Voglio solo sapere come fermarlo.» Cisco inclinò la testa confuso.
«Perché dovresti?» Domandò. «Un dono come questo potrebbe cambiare così tante cose nel mondo.» Sgranò gli occhi come se fosse stato colpito da un fulmine, oltrepassò la scrivania con una corsetta e si mise davanti a Mick prendendogli le mani prima che potesse ritrarsi.
«Ti insegnerò come fare. Sarò la tua Guida.» Esclamò con un rinnovato entusiasmo confondendo sempre di più Mick. «Forza, forza! Mettiamoci subito al lavoro!» Con un sorriso di cui Mick avrebbe voluto preoccuparsi lo trascinò fuori dalla stanza.

«Sei sicuro di volerlo fare?» Domandò Barry dall’altro lato della stanza, Cisco sbuffò leggermente senza rispondere a quella domanda che arrivava puntuale ogni dieci minuti nelle ultime due ore, e nei tre giorni precedenti che Barry l’aveva convinto a prendere prima di farlo, per rimettersi in forze.
«Se fosse Snart avresti già cambiato la linea temporale.» Aveva risposto una delle prime volte, non era servito a zittire del tutto Barry ma aveva sortito i suoi effetti almeno in parte.
«Hai mezz’ora Cisco. Se entro allora non sei tornato da solo spengo tutto.» Il giovane avrebbe voluto impedirglielo ma quello era stato l’unico compromesso che erano riusciti a trovare, lui avrebbe avuto mezz’ora di tempo e Barry lo avrebbe aiutato, non un secondo in più. Indossò gli occhiali e stringendo il lanciafiamme si lasciò immergere nel Flusso Temporale.
Impiegò meno di quanto aveva pensato a trovarlo, in piedi come lo aveva lasciato, per un attimo si domandò se per Mick non fossero passati che un paio di minuti, sorrise allungando la mano verso di lui.
«Forza, vieni.» Disse speranzoso. Mick lo guardò per un attimo, inespressivo, poi raddrizzò la testa lievemente inclinata e gli occhi scintillarono dello stesso colore dorato dei fili che fluttuavano tutt’intorno a loro.
«Lui appartiene a Noi.» La voce apparteneva a Mick eppure c’era qualcosa di diverso e pericoloso e non centrava col fatto che avesse appena parlato al plurale. «Il suo posto è qui.»
«Il suo posto è con noi.» Rispose dopo un attimo di esitazione Cisco. «Con me!» Puntualizzò stendendo la mano verso Mick pregandolo di afferrarla ma l’uomo rimase immobile.
«Vuole portarti via da Noi.» Mugolò rivolto a Mick. «Vuole separarci. Vuole strapparci da te. Portarti via dall’unico posto in cui sei al sicuro. Noi ti abbiamo salvato, Noi non ti abbiamo mai tradito come gli umani, e Noi non ti lasceremo mai solo. Sei parte di Noi adesso e lui vuole –» Mick chiuse gli occhi riaprendoli un attimo dopo, allungò la mano afferrando il braccio di Cisco mentre i filamenti di Tempo presero a vorticare attorno a loro furiosi.
Non fu paragonabile a nessuno dei viaggi che aveva fatto sulle altre Terre e nemmeno ai salti temporali, tornare nella loro dimensione, nel loro tempo sulla loro Terra fu qualcosa di violento in tutti i sensi. Mick non si chiese se fosse dovuto al fatto che una volta uscito aveva nuovamente un corpo e ne avvertiva la pesantezza e ogni singolo dolore, se fosse colpa del viaggio in sé o di qualcos’altro di esterno. Crollò in ginocchio sul pavimento freddo del laboratorio, la stanza continuava a girare e il corpo sembrava immensamente più pesante di quanto non fosse mai stato in precedenza, si rannicchiò fino a toccare terra con la fronte e rimase immobile ignorando la voce di Barry che chiedeva come stessero e cosa fosse successo e altre decine di cose che Mick non riusciva a sentire. Avvertì lo spostamento d’aria e il cambiamento di materiale sotto il suo corpo, non era più rannicchiato con la fronte a terra ma disteso su un materasso con un cuscino sotto la testa, il cuscino più morbido su cui si era posato negli ultimi anni probabilmente. In breve ogni cosa svanì in un tepore calmo e rilassante, avvolto da una gradita oscurità e non più da vortici e fili.

«Sei sicuro che non vuoi fare in modo di informarli?» Chiese Cisco voltando la testa dal computer verso l’uomo seduto poco distante. «Pensano tutti che tu sia morto.» Gli ricordò.
«Appunto.» Ghignò facendo un cenno con la testa a Caitlin che entrava in quel momento. «Vuoi togliere il divertimento delle loro facce sorprese quando mi vedranno?»
«Sei terribile!» Sbottò Barry senza cattiveria. «Len è stato il tuo partner per trent’anni. Non puoi fargli questo.» Mick si appoggiò allo schienale scivolando appena avanti per mettersi più comodo, le gambe allungate sotto la scrivania.
«Proprio per quello so che non c’è bisogno di dirglielo. Mi conosce meglio di chiunque al mondo.» Picchiettò con un dito contro la tempia destra. «Abbiamo sempre avuto entrambi degli assi nelle maniche.»
«Quindi io ero il tuo.» Annunciò divertito Cisco scuotendo una mano, Mick sorrise appena senza confermare né negare la cosa. Cisco non era stato il primo piano di fuga che aveva in mente quando era rimasto a distruggere l’Oculus, se doveva essere sincero non aveva un vero e proprio piano, solo qualche idea, ma questo non serviva che loro lo sapessero. Non serviva sapessero che non aveva avuto il tempo di metterle insieme.
Tempo.
Guardò un attimo il suo riflesso sullo schermo spento del computer davanti a lui, gli occhi scintillarono per un breve istante di un bagliore dorato.
«Ora sei Noi.»




Angolino dell’autrice: * che non è morta come si poteva pensare * se siete arrivati fino a qui, prima di tutto, GRAZIE! Come ho detto all’inizio è una coppia strana e probabilmente siamo in 3 a shipparla, ma fa niente, di questo ho parlato prima. Qui voglio solo fare qualche piccolo chiarimento riguardo la storia e le varie Terre, sul mio blocchetto le ho divise con ordine segnandomi anche i rispettivi numeri. Non è una novità che il fandom di Legends crei le AU più disparate (l’ho detto e lo ripeto, ci sono i draghi in questo fandom! DRAGHI!!! (e sia benedett@ chi l’ha creata!) così mi sono potuta sbizzarrire, contando poi che si parla di multiverso,meglio di così.
Alcune AU sono abbastanza ovvie e banali, insomma, impossibile non usare Prison Break in questo caso no? O una cosa classica come l’apocalisse?
Altre mi hanno fatta penare di più per trovarle. Guardando Firefly ho sempre pensato che Mick e Jayne si somigliassero (non a caso sono i miei preferiti in entrambe ;) )
  • Hun dan: Dannazione
  • bâo bèi: Tesoro
L’ultima Terra di cui ho scritto invece è qualcosa un po’ più di nicchia temo (ma che temo! Non si trova nemmeno in italiano -.-) The Sentinel, una serie di 20 anni fa che ho scoperto tardi e di cui mi sono innamorata.
Poi poi poi… La visione a vortici e filamenti del Flusso Temporale me la sono auto presa in prestito da Rebirth, così come certi piccoli dettagli. Così come il finale, che più aperto di così non potevo, ma si ricollega tutto, promesso!
Quindi, ancora grazie se siete arrivati in fondo, ogni errore che trovate è mio, e mio soltanto, l’ho riletta ma come minimo ho perso qualcosa per strada che troverò alla prossima rilettura. E se volete farmi sapere cosa ne pensate siete i benvenuti >3< 

Aki out
   
 
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