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Autore: _NimRod_    10/03/2017    2 recensioni
In piedi nello stretto corridoio centrale del treno, il ragazzo guardò il sedile accanto a sé. La tizia con il taglio alla Semola e gli anfibi si esaminava le unghie smaltate di rosso scuro. Era quasi certo ci fosse un girone speciale dell’Inferno riservato unicamente a coloro che nell’ora di punta occupavano la seduta di fianco alla propria con giacca e borsa, costretti per l’eternità a rimanere scalzi, in piedi su braci ardenti, impossibilitati a sedersi per via delle giacche e delle borse inamovibili che ricoprivano ogni superficie rialzata del girone. Aveva un quarto d’ora scarso di treno davanti, era mattina presto e si moriva di caldo: non aveva per niente voglia di mettersi a sindacare e probabilmente dover discutere per uno stupido sedile per una questione di principio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Valerio rimase a fissare lo schermo del portatile.

Erano belle parole, certo, davvero incoraggianti. Ma era pur sempre un rifiuto, l’ennesimo rifiuto.

Nessuno che gli avesse detto che la sua trama faceva cagare o che scriveva di merda: solo non rispetta la nostra linea editoriale, seicento pagine sono davvero tante per un esordiente e le spese di tipografia sarebbero troppo alte, siamo una casa editrice appena nata e la Sua opera è troppo di nicchia o altre supposte indorate. Perché era proprio lì che Valerio se le ficcava, quelle e-mail.

Ormai quel romanzo lo repelleva fisicamente, l’aveva tessuto, tagliato e cucito troppe volte, l’aveva steso dall’inizio alla fine nel giro di cinque mesi, aveva impiegato il doppio del tempo per sistemarlo e a ogni rilettura lo ritrovava più stupido e vomitevole. Aveva finito con l’odiarlo.

Chiuse la scheda della casella di posta elettronica e tornò a guardare pigramente Facebook: Valentino non era connesso da tre ore. Il vero problema, però, era che Valentino non era connesso con l’Universo da almeno tre giorni: parlava a malapena e una sorta di fasulla accondiscendenza apatica si era sostituita alla sua gentilezza abituale. Tutti hanno i propri scazzi, non c’è nessun bisogno di trattare gli altri con sufficienza.

Paolo era già terrorizzato da Valentino e gli girava più alla larga del solito, Giovanni sembrava non essersi accorto di nulla, a Luca non poteva importare di meno: gli unici che a quanto pare soffrivano le sue rispostine insipide e le sue sigarette spente a metà con lo scopo di evitare ogni tentativo di indagine erano Eugenia e Valerio stesso. Era quasi imbarazzante rimanere ad aspettare il treno accanto a lui mentre tremava per il freddo fissandosi la punta delle scarpe in silenzio, vederlo prendere nervosamente appunti senza alzare la testa per la durata dell’intera lezione, guardarlo perdersi nei propri pensieri mentre tutti gli altri ridevano e scherzavano, sentirlo tirare su con il naso in continuazione senza capire se fosse per un raffreddore o meno.

Valerio rimise nel pacchetto la sigaretta che gli penzolava dalle labbra dal momento in cui aveva letto la mail di rifiuto e aprì la finestrella della conversazione con Valentino.

Cosa cazzo hai in questi giorni?

Abbassò lo schermo del portatile, si alzò dalla scrivania e uscì dalla propria stanza.

Li trovò già spiaggiati sul divano del salotto, con il televisore acceso: la mamma dormiva e il papà aveva la gatta accucciata sul pannetto che teneva sulle gambe.

“Vale, mi porteresti una bottiglia d’acqua, per favore? La micia brontola se mi alzo.”

Valerio prese la bottiglia d’acqua dal frigorifero in cucina e la porse al padre. Si sedette sul tappeto, con la schiena appoggiata al bordo del divano e un braccio allungato per accarezzare la gatta. La verità era che Bianca non si sarebbe mai mossa da dov’era se qualcuno non l’avesse presa in braccio, e suo padre l’aveva sicuramente messa sul divano prima di coricarsi. Era più di un anno che non riusciva più a saltare e nelle ultime settimane non camminava quasi più ed era diventata incontinente, per quel poco che mangiava e beveva. Stavano rimandando da troppo tempo il momento di prendere quella decisione, e considerando che la gatta aveva la stessa età di Valerio era una decisione abbastanza difficoltosa.

“Cosa ti va di guardare?” chiese l’uomo.

“Quello che vuoi tu.”

“La mamma dorme e sul quattro danno casualmente Arma Letale.”

“E allora che Arma Letale sia”, sorrise Valerio.

 

***

 

Ilaria allungò la mano verso il pacchetto di sigarette appoggiato sul tavolo, certa che suo fratello e la Milena non se ne sarebbero accorti, impegnati com’erano a chiacchierare. Valentino lo spostò fuori dalla portata della bambina: “Tra qualche anno, previa mia approvazione.”

Milena, intenta a pettinare Ilaria seduta sulle sue gambe, strabuzzò gli occhi e fulminò Valentino: “Titti intende dire che fumare è sbagliato e fa molto male a tutte le età, vero?”

“Sì, quello”, rispose Valentino accendendosi una sigaretta.

“Come te li faccio i capelli?” disse Milena tentando di cambiare argomento.

“Come Elsa per favore!”

Valentino sospirò: “Pensavo ti fosse passata la fissa, Yaya.”

Ilaria scosse la testa energicamente e si immobilizzò subito dopo per permettere a Milena di iniziare a intrecciarle i capelli.

“Oggi mi ha fermata Francisco al supermercato e mi ha chiesto di te”, fece la ragazza.

Francisco, all’anagrafe Francesco Della Vedova, era un simpatico signore che aveva passato la cinquantina, fan sfegatato dei Modena City Ramblers e tutto sommato di bell’aspetto: aveva vissuto buona parte dell’infanzia e tutta l’adolescenza in Argentina e, nonostante fosse nato in Italia da genitori italiani emigrati in un secondo momento, avesse in effetti trascorso nemmeno dieci anni in Sud America e avesse finito per tornare in Italia e sposare un’italiana, si sentiva a tutti gli effetti un argentino. A Valentino stava particolarmente a cuore, quel simpatico signore: per quanto fosse a tratti strambo, in più di un’occasione l’aveva identificato come una figura paterna più influente del proprio padre biologico. In una cosa i due uomini si assomigliavano: l’abitudine di affibbiare a Valentino dei soprannomi. Benché Flaco e Delgado di Francisco fossero descrittivi tanto quanto i vari Fnòch, Culàn e Buliccio (sintomatico della discendenza genealogica genovese della famiglia Ferri) del padre di Valentino, questi ultimi sembravano avere stranamente una valenza meno affettuosa. L’unico problema relativo al rapporto con il signor Francisco era emerso negli ultimi tempi e poteva essere identificato in un certo Della Vedova junior, detto anche Miguelito, meglio conosciuto come Michele.

“Cosa ti ha chiesto?” disse Valentino schiarendosi la voce.

“Se stavi bene.”

“Potrebbe chiedermelo lui dato che abita a due pareti di distanza.”

Milena sospirò senza alzare gli occhi dai capelli biondi di Ilaria: “Ce l’hai anche con lui, adesso? Proprietà transitiva?”

“Io non ce l’ho con nessuno.” Valentino si strinse nelle spalle: “Dico solo che oggettivamente avrebbe potuto chiedermelo di persona.”

“Spero uscirai presto da questa fase polemica, non sembri neanche tu. E’ già un po’ che vi siete mollati, non capisco il perché del tuo comportamento passivo-aggressivo solo ora.”

Titti spense la sigaretta nel posacenere e appoggiò gli avambracci sulla superficie in legno del tavolo della cucina di casa propria, mettendosi a torturare la cover del cellulare: “L’altra sera ho avuto l’impressione che lui fosse in una fase successiva a quella in cui sono rimasto io. Non tanto perché ha trovato già un altro, da lui me l’aspettavo. E’ che l’ha affrontata da adulto, come se non avesse più la voglia di perdere tempo con qualcosa che non lo faceva stare bene. Da ragazzi ci si sguazza in questa roba, lo struggersi e i drammi sono d’obbligo, sono i problemi maggiori della vita di un adolescente. Vedere Michele che ragiona e si veste da adulto e pensare a Michele che soltanto qualche mese fa si è presentato all’esame di maturità con la stessa maglia di Dookie che aveva a quindici anni, questo mi ha fatto incazzare. Io non mi sono evoluto e mi sento davvero un coglione in questa situazione.”

“Secondo me sbagli a sentirti in difetto. Tu il salto l’hai già fatto anni fa e probabilmente eri troppo piccolo per sentire lo stacco, ma non è un mistero per nessuno che tu abbia gestito la crescita di una bambina in modo paritario a tua mamma. Tra di voi ci sono stati dei problemi proprio perché Michele era ancora un ragazzino e tu no. Stai male e la stai vivendo così soltanto perché hai un carattere differente dal suo, punto e basta. Ti sta sul cazzo esserti reso conto di non aver avuto un gran ruolo nella maturazione fulminea di Michele, ma lui era il tuo moroso e quello di farlo crescere non era né il tuo compito, né il suo momento, evidentemente.”

“Non lo so”, sospirò Valentino, perplesso. Attivò distrattamente lo schermo del proprio cellulare e vide la notifica di un messaggio su Facebook.

“Mi ha scritto un mio compagno di università”, disse di nuovo a Milena.

“Se è carino, presentamelo.”

“E’ della mia riva del fiume, mi spiace.”

“Ma basta! E’ un’epidemia!” rise Milena.

“Quale fiume?” chiese incuriosita Ilaria.

Valentino guardò Milena, che annuì e disse: “Non è un fiume vero. Si usa quando devi dire se ti piacciono le femmine o i maschi.”

“Ma a voi due piacciono i maschi, allora siete dalla stessa parte.”

“Dalla mia parte ci sono i maschi a cui piacciono i maschi e le femmine a cui piacciono le femmine, dall’altra le persone tipo la Mile, la mamma e il papà. Capirai meglio quando inizierai catechismo, Don Pietro è bravissimo a spiegare la differenza”, fece Valentino dopo aver composto il messaggio.

 

Ti spiego domani.

   
 
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