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Autore: Vanya Imyarek    10/03/2017    15 recensioni
Italia, 2016 d.C: in una piccola cittadina di provincia, la sedicenne Corinna Saltieri scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Nello stesso giorno, si ritrova uno strano campo energetico nella città, che causa guasti e disguidi di lieve entità prima di sparire del tutto.
Tahuantinsuyu, 1594 f.A: dopo millenni di accordo e devozione, gli dei negano all'umanità la capacità di usare la loro magia, rifiutando di far sentire di nuovo la propria voce ai loro fedeli e sacerdoti. L'Impero deve riorganizzarsi da capo, imparando a usare il proprio ingegno sulla natura invece di richiedere la facoltà di esserne assecondati. Gli unici a saperne davvero il motivo sono la giovanissima coppia imperiale, un sacerdote straniero, e un albero.
Tahuantinsuyu, 1896 f.A: una giovane nobildonna, dopo aver infranto un'importante tabù in un'impeto di rabbia, scopre casualmente un manoscritto di cui tutti ignoravano l'esistenza, e si troverà alla ricerca di una storia un tempo fatta dimenticare.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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                                        CAPITOLO 2

       DOVE  UNA  RAGAZZA  CAMBIA  STATUS  SOCIALE

 

 

 

                                                                dal Manoscritto di Corinna

 

Non mi accorsi che il terreno mi era sparito da sotto i piedi finché non ci atterrai di nuovo. L’impatto fu leggero, ma mi buttò a terra lo stesso.

Le scariche energetiche nella mia visuale iniziarono a dissolversi. No, non potevo essere finita da nessuna parte! Non avevo lasciato il mio mondo!

“Temo di sì, cara mia” replicarono le scariche. “Benvenuta nell’Impero di Tahuantinsuyu! È uno dei più grandi Stati di questo mondo, con una popolazione numerosa e un’organizzazione efficiente. Ho la certezza che sia molto meglio che lasciarti in un buco di due anime dimenticate dall’Ente”

“Riportami subito indietro!”

Faceva freddo. Questa fu la mia prima impressione dell’Impero di Tahuantinsuyu. Sì, ero veramente finita in un altro mondo. Nessuno sarebbe riuscito a organizzare uno scherzo simile.

Avevo lasciato le case e le strade asfaltate di un centro urbano; adesso ero in montagna. Le scariche lasciavano la mia visione sempre più libera, e potevo vedere con chiarezza il terreno roccioso e brullo su cui mi trovavo, il verdeggiare dei muschi e dell’erba, le cime dei monti innevati attorno a me, e il cielo nuvoloso.

“Su, su” mi rimproverò Energia. “Non può fare così freddo, ti ho portata qui in … primavera, la chiamate voi? Hai evitato il peggio, comunque”

 Alla faccia, stavo battendo i denti. La primavera sarebbe la stagione della Rinascita, comunque; facendo adesso i calcoli, credo di essere arrivata al massimo un paio di settimane dopo l’Huachtukambe.

 “E chissenefrega! Senti, non me ne frega niente delle tue idee malate, io non voglio niente a che vedere con questo esperimento, me la cavo benissimo a casa mia!”

Non poteva essere successo questo. Quella cosa doveva assolutamente riportarmi indietro!

 “Ho fatto un piccolo aggiustamento ai tuoi neuroni” mi informò quella con tutta la calma del mondo. “Non voglio problemi linguistici a intralciare l’esperimento. Capirai tutto quello che la gente ti dice, e loro ti sentiranno parlare nella loro lingua”

 “Ma vaffanculo! Stai alla larga dai miei neuroni e riportami indietro, mi capisci? Riportami – subito – indietro!”

 “Buona fortuna!”

Non sentii più niente. Mi sforzai di pensare con tutte le mie forze di mettermi in contatto con quell’essere – ce l’avevo nel cervello, a quanto pareva, quindi doveva sentirmi – di urlargli mentalmente di farmi tornare a casa, ma niente. Per un attimo pensai perfino di supplicarlo – no. Io non supplicavo per principio, e comunque quel bastardo non mi avrebbe ascoltata. Anzi, magari si sarebbe pure divertito. Non potevo tornare indietro. Ero stata così presa a urlare che non avevo nemmeno dedicato del tempo a quel pensiero, ma ora che la possibilità era andata …

Ero bloccata in un altro mondo. Senza possibilità di tornare a casa, a quanto ne sapevo. Oddio, quanto ci avrei messo a tornare (perché io sarei tornata)? Cosa avrebbero pensatoi miei genitori nel frattempo?

 A meno che quella specie di viaggio interdimensionale non avesse occupato più tempo di quanto mi era sembrato, probabilmente non avevano ancora iniziato a preoccuparsi. Non erano nemmeno a casa, erano entrambi al lavoro, ed eravamo d’accordo che io avrei telefonato loro (un metodo di comunicazione istantaneo, anche a lunghe distanze, possibile con determinati apparecchi) una volta arrivata a casa. Probabilmente pensavano che mi fossi attardata a chiacchierare con qualcuno, o che avessi momentaneamente dimenticato il solito arrangiamento. Avrebbero iniziato a preoccuparsi dopo un’ora circa, probabilmente, e allora avrebbero provato a telefonarmi loro … dubitavo che i cellulari prendessero negli altri mondi/universi paralleli/ quel che erano. Si sarebbero spaventati sul serio a quel punto, forse avrebbero preso un permesso al lavoro per tornare prima, e avrebbero trovato la casa vuota. Mi sentii quasi mancare.

 Va bene, probabilmente non ero la figlia più affettuosa e devota né per gli standard Soqar né per quelli italiani, ma volevo bene ai miei genitori. Forse non me ne ero mai resa conto come in quell’istante, ma il pensiero di loro, ansiosi, che tornavano a casa per non trovarci nessuno, e poi chiamavano a scuola, dai nonni, da tutti quelli che pensavano che io conoscessi bene … mi faceva battere il cuore tanto da darmi una lieve nausea. Non si meritavano questo. Lo sapevo che sarebbe successo così, non andavamo d’accordo, ma ero sicura che mi volessero bene. Io volevo bene a loro, anche se non era un pensiero in cui indugiavo spesso. Dovevo tornare a casa, non potevo permettere che la loro vita fosse rovinata da una specie di mostro psicopatico.

Ottimo proposito, certo; ma come ci tornavo a casa? Gli insulti non sembravano smuovere Energia. Se davvero era nella mia testa, probabilmente sapeva cosa sarebbe successo ai miei genitori, e il fatto che non mi avesse ancora riportata nel mio mondo indicava che non gliene fregava niente.

Cosa fare adesso? Magari trovare una specie di portale? Potevano esistere, quelle cose? Nel nostro mondo se ne parlava solo nelle trasmissioni sensazionaliste, che io guardavo solo per deridere i veggenti e gli spiritisti di nota professionalità che vi comparivano; forse avrei dovuto prestarvi più attenzione, cercare prove concrete, e magari avrei potuto ricomparire da lì a Stonehenge (un monumento imputato di essere uno di questi portali, tra mille altre cose) in qualche modo.

Ma per fare qualsiasi indagine sul soprannaturale, avrei prima dovuto trovare una presenza umana … oddio, questo era un altro mondo, sarebbero esistiti gli esseri umani – sì. Energia li aveva menzionati, ed era il motivo per cui mi aveva mandata su questo mondo, probabilmente perché potessi confondermi meglio con loro … aveva menzionato un paio di vote un certo ‘Ente’ che li aveva creati tutti, in entrambi i mondi.

 Chi era, o cos’era, questo Ente? Dio (la nostra religione ne considerava uno solo)? Non ci credevo da anni. Era da quando ero bambina che tutto quel parlare di Dio onnipotente e onnipresente mi sembravano stupide superstizioni.

Però ne avevo appena avuta una specie di prova materiale piazzata davanti al naso. Forse poteva essere una via di fuga. La nostra religione predicava che Dio fosse amorevole e misericordioso, se si escludeva il fatto che uccideva e/o condannava all’inferno tutti quelli che non gli piacevano; forse avrei potuto appellarmi a lui?

Per conseguenza delle mie idee di cui sopra, non ricordavo molte preghiere, solo una molto breve, e credo di averla accidentalmente mischiata con qualcun’altra. La dissi lo stesso.

 Niente.

 Ti prego, riportami a casa, pensai. Mi metterò a credere. Accenderò una candela e porterò dei fiori in chiesa. Farò donazioni agli enti benefici. Farò di tutto, ma ti prego, portami a casa. Niente. Almeno pensa ai miei genitori!

Ero sempre lì su quella montagna, da sola, al freddo.

 Ma vaffanculo!

 Persa ogni speranza di appellarmi all’Altissimo, probabilmente mettendoci una definitiva pietra sopra con l’ultima linea della mia ‘preghiera’, tornai a pensare a un altro modo di andarmene da lì.

Per la cronaca, stava cominciando ad imbrunire. Se fossi rimasta ancora lì a pensare alle mie disgrazie, mi sarei trovata su una montagna, da sola, di notte, e senza mezzi di illuminazione. Per di più, man mano che la luce diminuiva, si metteva a fare davvero freddo.

Dovevo muovermi. Avrei pensato a come tornare quando mi sarei trovata in un luogo sicuro e al caldo. Avevo intravisto una strada, al mio arrivo, scavata nella pietra, e decisi di prenderla in discesa. Da qualche parte mi avrebbe pure portata, e magari scendere di quota avrebbe fatto diminuire il freddo.

 Tra parentesi, non avevo coperte o altro che quello che avevo addosso per difendermi dalle temperature locali, solo il mio zaino (una specie di sacca) scolastico, pieno di libri. Era di tela, quindi se avessi avuto un coltello o un qualche tipo di oggetto tagliente – ma forse le rocce lì intorno sarebbero andate bene – forse avrei potuto fare degli strappi e improvvisarne una coperta. Non ero certa che avrebbe funzionato magnificamente, ma si poteva fare. Era un’alternativa migliore al morire assiderata nel sonno.

 Era compresa nell’esperimento di Energia, questa possibilità? Se sì, era il peggior scienziato di sempre.

La strada, per essere stata scavata nella montagna stessa, era sorprendentemente facile e comoda da scendere, non impervia ma nemmeno così liscia da essere scivolosa. Provai a guardarmi meglio attorno mentre scendevo. Non c’era niente di diverso che nelle nostre montagne: se Energia non fosse stato anche fin troppo chiaro sull’argomento, non avrei mai pensato di essere in un altro mondo.

 Non so bene come feci a camminare tutto quel tempo, non ero mai stata un’appassionata podista; so solo che passò mezz’ora di cammino ininterrotto prima di avere il secondo brutto incontro della giornata.

Era il tramonto quando intravidi una luce avvicinarsi. Aveva una forma e un movimento strani, come un grosso pennacchio di fuoco che si muoveva a balzi tra le rocce. Sembrava si stesse avvicinando velocemente a me, e presto fui in grado di distinguere dettagli e cause dello strano fenomeno … oh cavolo, questo era davvero un altro mondo.

 La bestia che vedevo avvicinarsi somigliava un po’ a una che c’era anche nel mio mondo di origine, chiamata scoiattolo; solo che gli scoiattoli potevano stare in mano a una persona, non erano più grandi della maggioranza dei mezzi di trasporto. Inoltre, gli scoiattoli erano marroncini invece che rosso cupo, non avevano zampe innaturalmente lunghe che gli permettevano di muoversi a balzi impressionanti, e ora che ci penso, credo che la loro coda fosse fatta di ossa, carne, pelle e peli, invece che di fuoco.

 Adesso la pongo così, sul divertito; allora rimasi impalata a fissare la bestia che si muoveva verso di me, troppo occupata a fissarla e a chiedermi come, su qualunque mondo, fosse scientificamente possibile una cosa del genere, tanto che non notai neppure gli altri dettagli associati a quell’assurdo animale.

“Prendila! Prendila!” urlò una persona decisamente entusiasta. Il grido mi riscosse, mi fece guardare attorno, e poi realizzare che la sua fonte era sull’animale stesso.

Troppo presa dalla surreale coda di quello scoiattolo gigante, non avevo neppure notato la gabbia sistemata sul suo dorso, presso le spalle, né la piccola portantina subito dietro, entrambe fissate sul ventre dell’animale con delle cinghie. Dettaglio ancora più minuto, un uomo era appollaiato sulla testa della creatura, reggendosi alle orecchie, e mi fissava. Doveva essere il tizio che aveva urlato di prendermi.

Non mi piaceva la sua espressione, sembrava un maniaco, non sapevo cosa stesse succedendo ma quella persona non era chiaramente la migliore come primo contatto con gli umani di questo nuovo mondo, corsi via.

 Fu una cosa abbastanza patetica, vedi: io avevo appena camminato per diversi metri, non ero capace di lanciarmi in avanti a velocità pazzesca con dei salti, ero sfiancata dal freddo, e anche se le strade non erano scivolose (erano pensate per correre, grazie tante) il fatto di essere in discesa non mi fu di grande aiuto. Avevo fatto pochissima strada, quando sentii il muso dell’animale sfiorarmi leggermente il collo; per la sorpresa, misi i piedi in malo modo e crollai a terra.

 La zampa dell’animale mi fu subito sulla schiena. Io cercai di divincolarmi, sgusciar via da sotto, ma senza risultato, quella bestia era incredibilmente forte (e probabilmente addestrata apposta per simili imprese).

“Bravo, Biqa!” esultò la voce di prima.

“Possiamo scendere?” chiese qualcuno dalla portantina.

“Dovete scendere, questa si muove peggio di un bulqui” replicò il primo.

 No, io non mi facevo trattenere, né portare da nessuna parte. Dovevo assolutamente scappare. Questa situazione mi spaventava ancora di più di quella di partenza: un conto era un rapimento soprannaturale da parte dell’incarnazione di un elemento, un altro era un rapimento molto terreno da quello che, a giudicare da quanto sentito finora, era un gruppo di soli uomini. Non volevo, non potevo finire così, dovevo scappare, e quella maledetta zampa non si levava, potesse morire quell’animale, una mano umana cercò di afferrarmi per una spalla, io cercai di allontanarla con una manata, il tizio mi afferrò il braccio e mi trascinò fuori da sotto la zampa.

“Mollami, bastardo schifoso!” gli urlai, cercando di divincolarmi e di colpirlo con la mano libera. Lui mi fece perdere l’equilibrio con uno strattone, uno dei suoi compagni accorse e mi afferrò per l’altro braccio. Iniziai a tirare calci e strattoni, ma quelli erano dannatamente forti. Ci misi tutto l’impegno che potevo, e tutto quello che guadagnai fu un pugno fortissimo sotto il mento. Mi sentii immediatamente confusa e con una leggera nausea, e svenni quasi subito dopo.

Mi ripresi quella che doveva essere una manciata di secondi più tardi, con un dolore infernale alla mascella, e più freddo di prima. Sentivo la stoffa dei miei vestiti scivolarmi di dosso, e questo mi riportò immediatamente alla realtà.

 Probabilmente si aspettavano che sarei rimasta in quello stato confusionale più a lungo, perché li colsi di sorpresa e riuscii a divincolarmi abbastanza da fare mezzo passo via di lì. Mi riafferrarono subito, e uno di loro preparò il pugno. Io rimasi immobile. Non potevo svenire di nuovo in quella situazione, dovevo restare lucida e trovare un modo di scappare.

Quei tizi mi costrinsero a sedermi, mentre uno di oro armeggiava con le stringhe dei miei anfibi tra molte imprecazioni. I miei pantaloni almeno erano ancora su; giacca e maglia erano sparite, e io mi trovavo lì in reggiseno in alta montagna e davanti a un gruppo di soli uomini. Non riuscivo a imbarazzarmi, ero troppo terrorizzata.

“Ha una pelle magnifica” approvò uno dei due che mi trattenevano. “Non ho mai visto qualcuno così pallido”

 “Fatto, finalmente!” esclamò uno, togliendomi la scarpa. Gli allungai istintivamente un calcio e mi arrivò uno schiaffo.

 “Non rovinarla troppo!”

“Lo so che è gnocca, ma non ci farà niente di buono se ci scappa!”

“Limitati a trattenerla! Comunque, è davvero molto magra”

 “Una poveraccia, per fortuna! Nessuno ne sentirà la mancanza, nemmeno a casa sua” mi ritrovai un groppo in gola a queste parole, per nessuna ragione logica.

“Ma ce la facciamo a ingrassarla abbastanza per la vendita? Potrebbero pagarcela a un prezzo inferiore di quello che merita …”

Ah, e qui la situazione iniziava ad essermi più chiara. In questo posto vigeva la schiavitù: quello non era un tentativo di stupro, era un controllo della merce. Mi sentii leggermente sollevata … leggermente perché quello che aveva commentato sulla mia pelle non aveva un’espressione confortante. Una cosa non escludeva l’altra. Dovevo andarmene in ogni caso … così svestita? Quegli stronzi mi stavano portando via anche i pantaloni.

 Mi ritrovai girata sulla pancia senza troppi complimenti, e qualcuno mi abbassò le mutande. Mi ritrovai il cuore in gola e aumentai gli sforzi per scappare.

“Non ha di sedere” borbottò sprezzante quello delle scarpe.

“Le daremo un sacco di cibo. Possiamo permettercelo, se la portiamo in buona forma ce la prenderanno a un ottimo prezzo. Adesso girala, non le ho ancora controllato il seno”

 Feci del mio meglio per ricacciare indietro le lacrime. Ero bloccata lì, a una distanza inconcepibile da casa, nelle mani di quei cosi, che mi avevano piazzata al rango di oggetto. Non ne potevo più, volevo che tutto finisse. Mi girarono e spostarono il reggiseno, con espressioni più o meno distaccate.

 “Neanche qui è molto piena” sentenziò quello che aveva già commentato sul mio sedere.

“Ma meglio di prima” lo rimbeccò un altro. “Nulla che una buona dieta non possa risolvere. Però sono ben strani questi vestiti. Da dove arriva?”

 “Sarà una profuga di un qualche villaggio in culo al mondo” ipotizzò quello di prima. “Oppure una qualche mocciosa scema che cerca di evitare un governatore tirannico, o una famiglia che non fa quello che vuole lei. Comunque, chi se ne frega? Ci penseranno al bordello a inventarle le origini più esotiche possibili. Una volta ci ho visto una delle mie vicine di casa, in quei posti, e la vendevano dicendo che proveniva da Yrchlle …”

 Mi sentii leggermente mancare dopo quell’informazione.

 Pensai a tutte le prostitute che avevo intravisto di sfuggita sulle strade del mio Paese. Le avevo sempre un po’ disprezzate. Seriamente, perché non si davano una mossa e andavano a cercarsi un lavoro decente? Se erano costrette, perché non fare una denuncia?

Avevo sempre pensato che a quelle donne piacesse il loro mestiere, andarsene a letto con emeriti sconosciuti. Non avevo mai avuto problemi a usare il nome di quella professione come insulto per le ragazze che non mi piacevano. E ora stavo per diventare una di loro, in un mondo completamente alieno, e chissà che fine avrei fatto, a parte quella di farmi scopare dal primo venuto. Mi venne il voltastomaco.

No, io dovevo fare qualcosa, dovevo scappare, ma i miei vestiti ce li avevano ancora loro, e al diavolo l’imbarazzo, a quelle temperature sarei morta assiderata di sicuro. Mi sentii un groppo in gola e le lacrime agli occhi. No, cazzo, io non avrei pianto davanti a questi bastardi! Era solo che la situazione sembrava senza vie di fuga …

“A proposito di questo …” finalmente qualcuno si degnò di parlare direttamente con me, e ovviamente lo fece con uno sguardo e un tono che non mi piacquero per nulla. “Sei vergine?”

 “Sì!” risposi immediatamente. L’espressione dell’uomo divenne delusa.

“Non toccarla, idiota, che ce la pagano meno …”

 “Lo so, cazzo, perché credi che gliel’abbia chiesto?” brontolò il mio interrogatore, decisamente rabbuiato. Poverino, non poteva violentarmi. Comunque, per la prima volta da quando ero lì mi sentii minimamente sollevata. Avevo la prova scientifica che certe cose non cambiavano mai, a prescindere da città, Paese o mondo: il modo in cui una ragazza era stimata ‘valida’, in qualunque senso, era inversamente proporzionale al numero di rapporti sessuali da lei avuti.

“Comunque” intervenne il terzo. “Visto che è così gnocca, nessuno sembra mai aver visto caratteristiche come le sue, ed è pure vergine, perché limitarsi al bordello?”

 “Infatti stavo parlando di uno di classe …”

“Sta’ zitto e ascoltami: non pensi che una rarità simile starebbe bene nell’harem dell’Imperatore?”

 “Adesso stai puntando un po’ troppo in alto. Non credo sia una principessa straniera o tantomeno una nobile, altrimenti non viaggerebbe da sola”

Mi ritrovai ad ascoltare attentamente la conversazione. Le cose ancora davvero non mi piacevano e volevo scappare di lì alla prima occasione; ma nel caso non ci fossi riuscita, essere praticamente la schiava sessuale di un uomo solo mi sembrava una prospettiva leggermente migliore dell’essere venduta a tutti quelli che passavano.

 “Questo ragionamento avrebbe retto con Duqas, lui era più attento ai legami dinastici. A Manco, che Achesay lo protegga sempre, piacciono le belle ragazze”

La bella ragazza intanto stava morendo di freddo, ma suppongo non fosse affar loro. Tra questo e le prospettive future, ero talmente giù di morale che non mi importava nemmeno di essere lì in intimo davanti a un gruppo di uomini.

“L’Imperatrice non vorrà” ribatté un altro. “Sua Altezza Llyra … nel suo giusto amore materno, vuole il trono per uno dei suoi figli, è evidente. Se avrà il potere di impedire l’acquisto di questa ragazza, lo farà”

E si tornava al punto del bordello. Grazie mille, Imperatrice Llyra. Oh, tanto io dovevo scappare, no? Non sarei rimasta qui per sempre, dovevo tornare a casa in qualche modo. Qualsiasi altra cosa sarebbe stata solo temporanea. Però fare la puttana faceva schifo lo stesso!

“Allora dobbiamo batterla sul tempo-“ iniziò uno dei bastardi.

“Ma che cazzo dici?!” protestò un altro, sconvolto, come se avesse appena sentito un’orribile bestemmia. “Non puoi-“

“Non voglio mancare di rispetto alla sovrana!” ribatté velocemente l’altro. “Ma penso che sia necessario rispettare i desideri dell’Imperatore. E’ il dovere di ogni Soqar, anche di Llyra-“

“E questo sarebbe non mancare di rispetto alla sovrana?”

“No, dannazione! Sentite … portiamola al palazzo. L’Imperatore è in guerra al momento, la sua sposa è rimasta ad Alcanta. Tentiamo la fortuna: se arriviamo quando Manco è già tornato, l’affare probabilmente andrà in porto; altrimenti, la portiamo al bordello”

I suoi compagni sembrarono un po’ più soddisfatti di questa idea; tranne il tizio che mi aveva chiesto se fossi vergine, che mugugnò qualcosa di simile a ‘in ogni caso, noi non ce la scoperemo mai’. Non riporto tutte le maledizioni che gli tirai mentalmente e passerò ai suoi più pratici compagni.

“Mettila nella gabbia e dalle qualcosa da mettersi, non ci sarà molto utile se crepa congelata” osservò uno dei tizi con tanto buon cuore.

 “Mah, io sono sicuro che se la riportiamo ben conservata, qualcuno disposto a prendersela ci sarà!” ghignò uno di loro, iniziando a trascinarmi verso l’animale. Prima avevo il voltastomaco, adesso fu un miracolo se non vomitai.

Lo scoiattolo infernale si accucciò, permettendo a quegli stronzi di tirare giù una scaletta e farmi salire, prima di buttarmi nella gabbia. Andai a sbattere contro il pavimento di legno, imprecai loro contro, e mi sentii della stoffa buttata addosso. La afferrai immediatamente. Erano un paio di rettangoli di lana grezza, uno un po’ più grande dell’altro, più una cintura vecchia e sfilacciata e una spilla di legno. Vestiti, finalmente.

Ci misi un po’ a capire come si indossassero: il rettangolo più grande andava avvolto attorno al corpo, e fissato con la cintura. Poi con la spilla si univano due dei lembi di stoffa sopra la spalla, facendo passare sotto l’ascella quella che era diventata l’altra parte di una specie di corpetto. Il che creava una specie di tunica con uno spacco su un fianco e sulla gonna, che per qualche motivo quel popolo degenerato pensava bene di portare in montagna. L’altro pezzo di stoffa era un mantello, molto benvenuto per i motivi di cui sopra.

Mi ci rannicchiai dentro e afferrai alcuni pezzi di stoffa più logori, probabilmente delle coperte, che si trovavano già all’interno della gabbia. Ecco, adesso almeno il problema del freddo era risolto – mi ritrovai improvvisamente sballottata dall’altro lato della gabbia.

 Lo scoiattolo aveva ripreso a muoversi, e io avevo appena fatto l’emozionante scoperta che no, la sua andatura a balzi non faceva per un viaggio comodo. Dovetti aggrapparmi alle sbarre della gabbia per avere un po’ di stabilità.

Bene, che schifo. Che schifo, che schifo, che schifo! Avevo il cuore che batteva a mille, la nausea, cercare di stare ferma e tenermi le coperte addosso allo stesso tempo era un’impresa, e stavo per finire a fare la puttana. Era questo quello che Energia voleva? Potesse crepare, quella cosa bastarda! Io volevo tornare a casa, volevo che la sveglia mi spaccasse i timpani e mi dicesse che era stato tutto un sogno orribile, volevo che quell’Elemento si pentisse e mi rimandasse indietro, volevo che tutto quello non fosse mai successo – no, basta, io non potevo mettermi a piangere! Io ero forte, dannazione, sarei uscita da quella merda – e i miei genitori a quell’ora saranno già stati a casa, nel panico, a iniziare le loro ricerche, e cosa sarebbe successo a loro, come avrei fatto a tornare, non li avrei mai più rivisti e sarei crepata come il giocattolo sessuale di qualcuno – BASTA!

 Pensare in quel modo non mi avrebbe portato a niente di utile. Io non potevo star lì a frignare come una mocciosa, dovevo essere forte e far vedere i sorci verdi a quella manica di bastardi. Non ero il tipo che si sottometteva alla richiesta da qualsiasi stronzo con l’arua da bulletto passasse.

Sì, ma in futuro? Che avrei fatto? Come potevo evitare di finire al bordello o nell’harem di quell’Imperatore?

Be’, sarei scappata. Avrei approfittato di un momento di distrazione. Avrei buttato giù la porta della gabbia a calci. Se avessimo incontrato altre persone, avrei convinto qualche anima buona a liberarmi. Poi sarei corsa via, e sarei stata più veloce di loro.

 Oh, per tutte le potenze che esistono … è imbarazzante scrivere quest’ultima parte. Io, che non conoscevo i luoghi e i tipi di terreno, e non ero mai neanche stata questo granché nelle attività sportive, che battevo in corsa uomini che probabilmente avevano vissuto in quei luoghi tutta la loro vita, e dotati di gambe molto più lunghe delle mie? Perdonamelo, lettore, non capivo niente.

 Tra un mio vagheggiamento di fuga e l’altro, il paesaggio aveva iniziato a cambiare. Stavamo decisamente scendendo di quota, e le rocce e i muschi avevano iniziato a lasciare spazio ad alberi veri e propri. Avevano la corteccia molto chiara, e le foglie verdi e gialline. Rimasi perplessa, perché Energia aveva detto che ci trovavamo in primavera; ma poi notai un dettaglio che mi fece lasciar perdere il fogliame. Si muovevano.

In modo appena percettibile e discreto, ma i loro rami si spostavano senza che ci fosse abbastanza vento da giustificare il fenomeno, e i loro tronchi si contorcevano su sé stessi. Anche se in misura minore rispetto a prima, mi ritrovai di nuovo con il cuore in gola. Che erano quei cosi? Sarebbe stato prudente avvicinarsi? Be’, ci stavamo dirigendo verso di loro, e questi tizi probabilmente sapevano la strada, quindi pensai di sì … poi vidi il tunnel.

Non saremmo passati attraverso gli alberi: all’interno della foresta era stato costruito un lungo tunnel di pietra … ebbi la certezza che passare accanto a quelle piante non fosse sicuro, affatto. Conferma: un attimo prima che saltassimo nel tunnel, i rami si protesero verso di noi. Mi ritrassi istintivamente proteggendomi la testa, ricordando di un albero immaginario in una serie di libri di racconti fantastici, ma i rami non riuscirono a raggiungerci in tempo, e noi fummo al sicuro nella galleria.

Il luogo era illuminato da fiaccole, con buchi sul soffitto a intervalli regolari per far uscire il fumo e per far capire ai viaggiatori che ora del giorno fosse. C’erano perfino indicazioni stradali, imboccature di altri tunnel con il nome dei luoghi in cui avrebbero condotto inciso sopra. Quei tunnel erano lunghissimi (un’intera foresta di quelle dimensioni troppo pericolosa per attraversarla normalmente? Andavamo bene …) e di dimensioni interessanti: erano abbastanza alti perché lo scoiattolo infernale ci passasse con la gabbia e tutto, ma abbastanza bassi perché dovesse limitarsi a zampettare invece di saltare come suo solito.

Sulle prime mi irritai, perché odiavo andare così piano -anche se ero sollevata che non si saltasse più a quel modo – poi capii che la cosa aveva molto senso. Era probabilmente un metodo di regolamentazione della velocità apposta per prevenire incidenti: per come erano strutturati quei tunnel, chiunque poteva saltar fuori da qualunque parte senza preavviso, e farlo ad alta velocità non sarebbe stato diverso che farlo con due automobili (i mezzi di trasporto più comuni nel mio mondo). Inoltre, la ridotta velocità permetteva di vedere bene le indicazioni stradali. Noi, a quanto pareva, stavamo andando in un posto chiamato Alcanta – mi pareva di averlo anche sentito nominare ai miei carcerieri.

 Devo dirlo, anche se non ne ero minimamente confortata, morivo dalla curiosità nel vedere tutte quelle cose, e fui più volte tentata di chiedere informazioni agli schiavisti, ma ci ripensai sempre. Non ero sicura che mi avrebbero risposto, e se mi fossi mostrata molto ignorante della natura di quel luogo, avrei dato solo l’impressione di essere smarrita e indifesa.

E io non ero smarrita e indifesa. Io non mi sarei raggomitolata in un angolino a piangere: avrei preso il controllo di quella maledetta situazione, e chiunque avesse cercato di trattarmi come un oggetto se lo sarebbe preso in culo. E quegli stronzi facevano bene a cacciarselo in testa.

Ora che dovevo stare semplicemente chiusa lì, a guardare tunnel, avevo un sacco di tempo per riflettere sui dettagli del mondo che mi circondava. All’inizio non ci avevo fatto troppo caso per ovvie ragioni, ma gli schiavisti avevano caratteristiche somatiche piuttosto diverse dalle mie. Avevano tutti la corporatura piuttosto bassa e tozza, la pelle color rame, i lineamenti marcati e occhi ‘a mandorla’ (come dalle mie parti si definivano quelli leggermente tendenti all’insù, non erano affatto comuni in Italia), scuri come i capelli. Se li avessi visti nel mio mondo, probabilmente avrei pensato che venissero dal Cile o dal Perù, entrambi posti dall’altra parte del pianeta rispetto a dove vivevo io.

Informazione piuttosto irrilevante: non mi era di grande conforto sapere che i miei rapitori erano sudamericani extraterrestri, visto che questi posti avevano ancora i bordelli, e contavano di mettermi in uno. O nell’harem dell’Imperatore, certo.

A questo proposito, se proprio proprio non fossi riuscita a forzare la gabbia, cos’avrei fatto? Avrei dovuto cercare di correre via una volta che mi avessero tolta da lì per la vendita? Avrei potuto probabilmente confondermi tra la folla, in questo modo. Alcanta sembrava una grande città, sarebbe stato facile. E se fossero riusciti a bloccarmi la fuga, se fossero riusciti davvero a vendermi … mi sentii la bile risalire per la gola e dovetti sforzarmi parecchio per non vomitare. Okay, a quello avrei pensato nel caso tutte le altre opzioni avessero fallito. Sarebbe stato solo dannoso andare nel panico a quel modo.

 Ehi, altri pennacchi di luce in lontananza. A quanto pareva, lo scoiattolo infernale era un mezzo di trasporto comune da quelle parti. Sentii i miei carcerieri borbottare qualcosa in tono eccitato nella portantina dietro di me, non volevano per caso fare una vendita rapida?

 Man mano che ci avvicinavamo, riuscii a distinguere più dettagli. Era una specie di piccola processione: quattro scoiattoli che portavano diversi tipi di ‘carichi’. Li osservai tutti man mano che passavamo.

Due, quelli all’inizio e alla fine del corteo, erano sormontati da una portantina abbastanza grande, ricoperte di piastre di metallo come se fossero corazzate, e contenevano ognuna un piccolo manipolo di uomini con indosso pettorali di cuoio, strani copricapi a forma di teste di pantera (così mi sembrò) e che imbracciavano quelle che sembravano catapulte tascabili; il penultimo aveva la portantina più piccola, anche se sempre corazzata, e conteneva un manipolo di persone vestite con i miei stessi abiti di lana grezza, che mi osservavano con un misto di pena, solidarietà e confusione, probabilmente erano schiavi. La seconda portantina aveva probabilmente il ‘pezzo da novanta’.

 Innanzitutto quella cosa stessa, anche se ricoperta di placche di metallo come le altre, era tutta intarsiata nelle parti in legno; poi era l’unica ad avere le tende, di una stoffa che pareva finissima, in colori vivaci e disegni stilizzati. Le avevano tirate, quindi non si vedeva chi era all’interno.

“Achemay protegga chi viaggia!” gridò qualcuno degli schiavisti, facendomi sobbalzare per la sorpresa. “Supplichiamo protezione da chi può viaggiare con più fortuna di noi!”

 Qualcuno all’interno della portantina lussuosa ordinò alla carovana di fermarsi, e il ‘nostro’ scoiattolo fece lo stesso. Le tende furono scostate e un paio di persone ci guardarono.

Uno era un uomo di mezz’età, con tutte le stesse caratteristiche somatiche che avevo visto nei miei rapitori, solo che riusciva ad avere l’aria più sofisticata anche per una che era lì da una manciata di ore. Innanzitutto stava seduto ritto come un palo, voltando solo la testa per osservarci; poi aveva due grossi orecchini d’oro, grandi come piattini da tè, che in qualche modo riuscivano a farlo sembrare regale anziché ridicolo, e sembrava avesse vestiti più belli e colorati rispetto a tutti gli altri che avevo visto.

 Il ragazzo sembrava molto più imbranato. In primo luogo, sembrava star cercando un compromesso tra la postura signorile dell’uomo più anziano e una più spontanea manifestazione di curiosità, con il risultato che stava rigido, ma obliquo e con la testa fuori dalla portantina. Inoltre, anche se per i lineamenti da soli avrei potuto definirlo abbastanza carino, si ritrovava con un paio di spettacolari orecchie a sventola con cui quelle specie di piatti d’oro sembravano decisamente ridicoli anziché regali.

 L’espressione stupefatta con cui mi guardava, per finire, ne occultava abilmente l’intelligenza. Che poi, che aveva da guardarmi? Odiavo che mi fissasse a quella maniera, come se … non potevo usare la stereotipata espressione ‘provenissi da un altro mondo’ perché in questo caso era vera … comunque distogliesse lo sguardo, non mi piaceva.

Lo fulminai con un’occhiataccia, lui arrossì e si mise a fissare la parete della portantina. Finalmente qualcuno che si comportava come era giusto fare! Elessi subito il ragazzo a mia persona preferita in quel posto.

 “Richiedete protezione nel viaggio” elaborò l’uomo più anziano.

 “Posso sapere da parte di chi, e per quali ragioni viaggiate?”

Non ricordo i nomi degli schiavisti. Non sono importanti, e sinceramente non mi interessa nulla di quelle persone. Tutto quello che fecero in questa vicenda fu essere il mio sgradito tramite per Alcanta. Ma credo che vi interesserà maggiormente l’identità degli altri viaggiatori.

“Protezione accordata” rispose semplicemente il viaggiatore adulto. “Non vedo niente di losco nel vostro commercio” ma vaffanculo! Come pensava la gente di queste parti? “Ve la concedo io, Etahuepa Atahuii, governatore di Dumaya, con l’assistenza del mio figlio adottivo, Simay Etahuepai”

 

Choqo dovette prendersi una pausa nella lettura. Quello era stato il primo incontro tra i leggendari Imperatori? Quello?

 La versione ufficiale diceva che gli dei stessi, dopo aver rapito Corinna dal suo paese natale, l’avevano messa sulla stessa strada di Simay! E invece … tre schiavisti. Divinità eterne e immortali … schiavisti. Eh eh eh … questa era buffa. Seriamente, gli Imperatori della Vita dovevano essersi divertiti un mondo a creare quella versione.

Certo, era noto che Corinna fosse stata una schiava (non una prostituta o l’amante del precedente Imperatore, che era successo?) per un certo periodo di tempo, prima che saltasse fuori che era una profetessa … di Pachtu. Il dio dell’energia.

Ma che …? Cos’aveva combinato quella ragazza per ottenere un simile potere, visto che l’Energia del suo racconto non sembrava affatto disposto a darle retta?

E a questo proposito … per la miseria. Non si sarebbe mai aspettata che la versione ufficiale sarebbe stata così. Si era aspettata una storia banale, ridicola, terra terra … invece Corinna era sempre stata rapita da poteri soprannaturali, da un altro mondo addirittura. L’unica cosa che cambiava era il motivo: nella versione ufficiale, l’arrivo di Corinna era necessario per preparare il mondo alla partenza degli dei, qui era tutta colpa di una … specie di divinità annoiata, che voleva fare un esperimento. In pratica, tutto quello che era successo alla storia era che aveva perso di significato.

Abbastanza deprimente. Era un po’ come scoprire versioni più antiche delle favole che le leggevano da bambina: spesso e volentieri erano molto più cupe e cruente di quelle attuali, e invece di renderle migliori, la cosa lasciava solo l’amaro in bocca a un sacco di bei ricordi. Comunque, riflessioni su una storia che, essendo una storia vera, non aveva morali, a parte … era quasi scioccata nell’ammettere che Corinna le piaceva.

Cioè, le piaceva la sua versione adolescenziale, quella che agiva nella storia: era grintosa, non aveva paura di esprimere la sua opinione, non aveva paura di ribellarsi all’autorità, anche se la cosa l’avrebbe messa nei guai, seppure intrappolata in una famiglia che non le lasciava scelta sul suo futuro. Choqo ci si ritrovava moltissimo.

Ed era per questo che detestava i commenti della Corinna narratrice. Era così diversa: pronta a giudicare, altezzosa, nostalgica (i suoi genitori l’avevano costretta a studi che non le piacevano! Non se lo ricordava, quando scriveva di quanto le mancassero?), non aveva nulla di diverso dalla stragrande maggioranza degli adulti. Come era possibile che una fosse diventata l’altra? Cosa le era successo, per farla cambiare in quel modo? Forse aveva dovuto adattarsi alle leggi di Tahuantinsuyu per sopravvivere (purtroppo per lei, per tutte le lamentele che ne aveva fatto, il suo mondo di origine pareva decisamente avanzato) e aveva finito per dimenticare il suo carattere originario?

E se a quella Corinna giovane era successa una cosa simile, era possibile che succedesse lo stesso anche a Choqo? No, porca –

“Mia signora” una schiava fece capolino sulla porta. “La cena sarà servita a breve”

Oh, che noia. Proprio a quel punto della storia! Choqo annuì e iniziò a rassettarsi l’abito per scendere, la schiava uscì – ma aveva visto il manoscritto. L’avrebbe riferito ai suoi genitori? A meno che non le chiedessero direttamente di riferire ogni suo movimento, probabilmente no, per semplice quieto vivere.

 E poi, anche se i suoi l’avessero scoperto, quello era ‘solo’ un libro: al massimo, sua madre sarebbe stata felicissima che Choqo finalmente si dedicasse ad attività ‘più femminili’. Probabilmente le si sarebbe fermato il cuore se avesse saputo l’effettivo contenuto del libro (Choqo non vedeva l’ora che Malitzin entrasse nella storia: cosa c’era, davvero, dietro la Devozione alla Vita?).

A questo proposito, doveva recuperare anche il libro di Simay, adesso voleva proprio sapere l’eventuale altro lato della storia … poteva andarci al mattino presto l’indomani, se l’avessero vista gli schiavi … avrebbe inventato che voleva vedere le dolyne chiudersi all’alba. L’avrebbe fatta sembrare ancora più femminile, i suoi genitori non potevano essere che contenti. Problema risolto.

Intanto, avrebbe continuato a leggere un po’ del manoscritto di Corinna dopo cena; poi sarebbe andata a dormire presto, per potersi svegliare per tempo la mattina dopo.

 

 

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

ed ecco il primo impatto di Corinna con Tahuantinsuyu, la sua cultura e le forme di vita che lo abitano. Ovviamente le va nel peggiore dei modi. Comunque, aggiungo una curiosità, che avevo dimenticato di menzionare nel capitolo precedente: Tahuantinsuyu è ispirato a tutte le informazioni che ho potuto trovare sulle civiltà dell’America precolombiana, soprattutto quella incaica. Perché dopo una quantità di fantasy ispirata al Medioevo europeo troppo grande per essere calcolata, con solo qualche piccola escursione nell’Estremo Oriente, ci voleva qualcuno che facesse anche questo.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

  
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