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Autore: Francy_Kid    10/03/2017    5 recensioni
Chat Noir, la Belva Nera, un ragazzo che ha il potere di distruggere tutto ciò che tocca: una maledizione che lo vede essere temuto da tutti. Solo una ragazza, Marinette, sarà in grado di conoscerlo meglio e capirlo.
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•MariChat•
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INIZIATA: 9 Marzo 2017
CONPLETATA: 20 Marzo 2018
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Cap. 1


 

Era una sera come tante altre a Parigi: la città splendeva per luci da cui prende il nome; la luna faceva da custode ai sogni delle persone addormentate; la Tour Eiffel torreggiava verso il cielo, fiera di essere il simbolo di tale città.

Marinette stava camminando verso casa dopo essere uscita dalla casa della sua migliore amica: Alya l'aveva invitata per una serata tra amiche, ma, una cosa tira l'altra, e si fece mezzanotte passata.

La corvina riusciva ad orientarsi facilmente grazie alla memoria ed alle luci dei lampioni, almeno finché rimase sulla strada principale, ma quando voltò in un vicolo per la sua solita scorciatoia, erano i raggi chiari della luna e la torcia del cellulare a guidarla.

La ragazza pregò con tutta se stessa che la batteria non l'abbandonasse in un luogo tetro come quello, ma lei era famosa tra gli amici per la sua cattiva sorte: il cellulare si spense nel punto più scuro, dove la luna era coperta dai camini della casa alla sua destra.

«Coraggio Marinette.» inspirò, cercando di darsi coraggio. «Fai questa strada tutti i giorni, ormai la conosci a memoria.» continuò, riprendendo a camminare e ignorando il soffio di un gatto che aveva svegliato. «Ma di giorno è meno spaventosa...» piagnucolò, mettendo il cellulare, ormai inutilizzabile, nella tasca destra anteriore dei jeans.

La ragazza continuò a camminare con passo spedito, decisa più che mai di tornare a casa il più velocemente possibile, appuntandosi mentalmente di non passare mai più per quella strada durante la notte; piuttosto avrebbe fatto il giro più lungo.

Marinette, parlando tra sé e sé per cercare di tranquillizzarsi, non si accorse dell'uomo che la stava seguendo da qualche minuto.

Solo quando lo sentì troppo vicino si immobilizzò sul posto, pietrificata dalla paura.

«Guarda, guarda, cosa abbiamo qui.» ridacchiò l'uomo, facendo premere il suo corpo contro quello della corvina, che deglutì. «Che ci fa qui una ragazza come te? Ti sei persa?»

La giovane non rispose, sentendo le lacrime agli occhi non appena sentì la mano ruvida ed umida dell'uomo percorrerle il braccio per raggiungerle la vita, mentre con l'altra le solleticò la pelle del collo.

«Sembra che sia la mia notte fortunata: una bella fanciulla mi ha fatto visita nel cuore della notte. –ridacchiò– E pensare che volevo approfittare di qualche puttana di passaggio.»

Marinette smise di respirare quando lo sentì scendere con le mani verso i jeans, continuando a respirare con il suo alito fetido nell'orecchio.

«Rilassati. Vedrai che ti piacerà.»

Doveva reagire, ma non riusciva a muovere nessun muscolo, ed in più non sapeva combattere; mentre urlare non se parlava nemmeno: e se quell'uomo fosse stato armato? L'avrebbe ferita o, peggio ancora, uccisa.

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così: stuprata in un vicolo buio.

«Questo ti insegna a non passeggiare da sola di notte. Strano che la tua mammina non ti abbia insegnato niente.»

Eppure sua madre continuava a ripeterglielo, ma lei non l'aveva ascoltata, pensando che non sarebbe successo niente.

Ed ora eccola lì: imprigionata da un uomo che voleva violentarla.

Sentì l'uomo canticchiare allegramente non appena riuscì a sbottonarle i jeans, tentando di abbassarglieli.

Marinette tentò di fare resistenza.

«Se fossi in te resterei ferma. Non voglio farti del ma–»

Le parole di finta rassicurazione dell'uomo furono interrotte da un ringhio proveniente alle sue spalle.

Voltandosi lentamente, credendo si trattasse di qualche animale selvatico, notò immediatamente una figura nera nell'ombra e due occhi luminosi di color verde che lo fissavano minacciosi; poi, un altro ringhio lo fece immobilizzare, capendo di chi si trattava.

«La Belva Nera.» sussurrò l'uomo, spaventato.

Marinette, che non ebbe la possibilità di scappare, invece, si voltò, osservando terrorizzata la figura che si avvicinava con estrema lentezza.

Appena prima di uscire dall'ombra, Chat soffiò come l'animale di cui porta il nome, facendo scappare immediatamente l'uomo.

Nel fuggire, spinse Marinette a terra, facendole sbattere violentemente la schiena e la testa contro il muro; il dolore le invase la parte colpita e, per un secondo, sentì la testa girarle per il forte colpo.

Non ancora ripresasi dallo shock, guardò l'uomo allontanarsi, per poi spostare il suo sguardo verso il suo soccorritore.

Malgrado fosse nascosto nell'ombra, la ragazza riuscì a distinguere una coda, un paio d'orecchie da gatto tra i capelli ribelli e dei feroci occhi verdi, caratterizzati da una pupilla verticale.

Ma sopratutto, rimase colpita da una cosa: se prima quegli occhi erano minacciosi, ora esprimevano preoccupazione per la ragazza a terra.

Marinette rimase immobile mentre lo vide accucciarsi al suolo, camminando, piano piano, verso di lei, come un animale curioso.

Se quell'uomo avesse avuto ragione, allora si trovava nei guai; se realmente il suo salvatore era il mostro che terrorizzava Parigi da quasi un anno, significava che si era messa in una situazione peggiore dell'essere stuprata.

La figura si fermò appena prima del filo che separava l'oscurità dal punto illuminato dalla luna, per poi, lentamente, muovere una mano più vicino alla ragazza, rendendo visibile gli artigli affilati ed un anello nero con un'ora da gatto verde al dito medio.

La figura continuò ad avvicinarsi lentamente e, solo quando fu a pochi centimetri da lei, la ragazza si rese conto di essere davvero nei guai.

«Chat Noir...» sussurrò, incapace di muoversi.

Era un ragazzo forse della sua età –non poteva dirlo con esattezza– dal viso coperto da una maschera nera, un paio d'orecchie da gatto tra i capelli biondi ed una specie di tuta nera; gli artigli affilati, che erano in grado di scalfire persino l'acciaio, le sfioravano i piedi ed i suoi occhi verdi la guardavano con curiosità.

Marinette rimase in silenzio per qualche secondo, resistendo allo sguardo del felino.

C'era qualcosa nei suoi occhi.

Non era cattiveria o istinto omicida, ma... sollievo.

La ragazza si rilassò, inclinando leggermente la testa e, subito, il ragazzo fece lo stesso.

Fu difficile per lei trattenere una risata, ma sorrise. «Grazie per avermi salvato, Chat Noir.» disse.

Dire che Chat Noir rimase sorpreso era un eufemismo: aveva gli occhi sbarrati, le pupille verticali dilatate e stava addirittura arrossendo.

Il biondo sporse una mano, avvicinandola a lei, ma si fermò quando fu a pochi centimetri dal viso.

Subito si ritrasse, come se Marinette si fosse appena tramutata in un mostro, le soffiò contro, le pupille tornarono due fessure nere e mostrò i denti appuntiti, per poi, con velocità felina, saltare nuovamente nell'oscurità, sparendo.

La ragazza rimase senza parole e mille domande le vorticavano in testa: perché Chat Noir avrebbe dovuto salvarla? Come mai aveva reagito in quel modo?

Ora non aveva tempo per trovare le risposte o porsi altre domande, ma doveva andarsene al più presto da lì.

Alzandosi, si abbottonò i jeans, sospirando, per poi rimettersi a camminare verso l'uscita di quel vicolo.

Non voleva testare nuovamente la sua fortuna, così, si mise a correre, sperando che quell'uomo fosse fuggito il più lontano possibile.

Svoltando a destra, sbucò sulla strada, prendendo dei respiri profondi per recuperare il fiato perso durante la corsa e dallo spavento avuto poco meno di cinque minuti prima.

La ragazza, camminando per altri pochi metri, finalmente, si trovò davanti alla porta di casa sua; prese le chiavi dalla tasca sinistra e, armeggiando con le mani tremanti, riuscì ad inserire la chiave nella toppa, aprendo la porta per fiondarsi dentro e chiuderla subito dopo.

La tensione la abbandonò non appena iniziò a salire la rampa di scale che portava al suo appartamento, facendo il più piano possibile per non svegliare i suoi genitori.

Chiusa la porta a chiave e salì le scale che conducevano alla sua camera, accendendo la luce non appena chiuse la botola.

Marinette si sedette sulla chaise longue per fare un breve excursus su tutto quello che era successo quella sera.

Era restia a credere che proprio Chat Noir, la Bestia Nera, l'avesse salvata per poi lasciarla andare; eppure eccola lì: sana e salva nella sua stanza, a rimuginare su quello che le era successo.

Ricordava perfettamente ogni singolo momento: il cellulare che si scaricava; il buio spettrale che l'avvolgeva; le mani sudicie del suo assalitore, mescolate al suo alito caldo e fetido; l'apparizione di Chat Noir; la sua curiosità nell'avvicinarsi a lei ed il suo terrore appena prima di allontanarsi.

Chissà perché le persone lo definivano mostro, pensò lei, con l'immagine del biondo che chinava la testa di lato come un animale curioso.

Proprio non se lo spiegava.

Con il sorriso stampato sul volto, Marinette svuotò e tasche dal cellulare –mettendolo in carica– e dalle chiavi, per poi cambiarsi nel pigiama e sciogliersi i capelli; salì sul soppalco, sistemandosi sotto le coperte e, grazie all'interruttore installato anche sul muro a pochi centimetri più in alto dalla sua testa, spense la luce.

Sistematasi nel suo letto comodo, fissò il cielo dalla botola aperta, permettendo ad un filo d'aria primaverile di accarezzarle il viso; chiuse gli occhi, rilassandosi e girandosi di lato per scivolare, lentamente, tra le braccia di Morfeo.

 

—•—•—

 

Chat Noir se ne stava lì, appollaiato su un camino, guardando la luce della stanza spegnersi.

Perché l'aveva salvata gli era ancora un mistero, ma la cosa più strana era il perché l'aveva seguita fino a casa!

Eppure era una ragazza come le altre, una ragazza che lo considerava un mostro, malgrado l'avesse soccorsa.

E allora perché gli aveva sorriso? Perché l'aveva guardato fisso negli occhi senza che si spaventasse? Perché sentiva come se quella ragazza fosse più che una semplice cittadina? Perché sentiva le guance riscaldarsi al solo ricordo del suo sguardo?

Che cosa gli stava succedendo?




 

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Ehi ehi bella gente :D

(VI PREGO LEGGETE TUTTE LE NOTE)

E nel mentre che sto scrivendo "Masque sans visage", nel mentre che dovrei pensare alla tesina per uscire da questa stramaledetta scuola, nel mentre che dovrei dormire, nel mentre che sto finendo di leggere "Cronache dell'Accademia", mi viene in mente un'idea (non so se chiamarla così) EPICA per una fanfiction. Ovvio.

Spero che il prologo ed il primo capitolo vi abbiano interessato ed ora, vi aspettano un po' di note per capire al meglio la storia (poiché faccio schifo a spiegarmi e preferisco dirvi quasi tutto ora):

•Ladybug non esiste :D
•I kwami non esistono :D
•Chat Noir è l'unico possessore.
•Niente Papillon, niente akuma.
•Chat Noir può usare il Cataclisma ogni volta che vuole.
•Chat Noir può muovere la coda e le orecchie esattamente come un gatto e non ha il bastone.

Per ora vi do queste note generali, poiché scoprirete tutto più avanti e devo ancora sistemare le idee :3

Ci vediamo venerdì ^^

Francy_Kid

  
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