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Autore: laragazzadislessica    10/03/2017    0 recensioni
Se non tutta la discendenza licantropa di Klaus fosse morta?
Se uno di essi fosse sopravvissuto allo sterminio di Mikael e se fosse dotato di un potente potere?
Storia che si allaccia all'episodio 01*13, ma che prosegue in un'altra direzione.
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah/Hayley, Klaus/Caroline, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Time is running out

You will be
The death of me
Yeah, you will be
The death of me
Bury it
I won't let you bury it
I won't let you smother it
I won't let you murder it

 
Aveva dormito.
Per quanto aveva dormito?
Alzò una mano e con il palmo si toccò la fronte. Scottava. Scottava ancora.
Aveva ancora la febbre nonostante tutte le erbe mediche e gli intrugli che il medico di corte le aveva fatto prendere. Brynhild non era abituata a sentirsi così, negli Hoenan non esistevano malattie particolari, né tanto meno in tutte le altre specie, ma da quando quelle popolazioni straniere avevano deciso di sbarcare sulla loro parte di mondo, tutto era decisamente cambiato.
Queste nuove civiltà oltre all'aver portato un numero non irrisorio di streghe maniache del controllo, desiderose di attenzioni provenienti da uomini diversi dai loro mariti, che abbandonavano figlie al loro destino e progettavano la loro morte, avevano portato anche tante malattie a loro ancore sconosciute. C'era già stata una febbre che aveva colpito quasi tutti gli indigeni che ancora vivevano allo stato brado, ma era stato facile per i medici Hoenan salvarli quasi tutti, questa volta invece sembrava che tutte le medicine che possedevano erano vane. Si ammalarono tutti e neanche la stirpe reale riuscì a sfuggire a questo virus. Avevano provato a curarsi esponendosi al loro sole, che permetteva la loro potenza ed esistenza, ma questa influenza rendeva gli occhi sensibilissimi a qualsiasi tipo di luce, costringendoli a restare nel buio fino a che la febbre per un motivo non ancora chiaro, se ne sarebbe andata da sola. Erano passati già sei giorni dalle prime linee di febbre comparse nel corpo di Brynhild, e da allora era rimasta barricata nella sua stanza reale, nell'oscurità.
Battete le palpebre per diverse volte prima che i suoi occhi potessero abituarsi a quell'assenza totale di luce. La sua stanza era al buio, ma non ricordava che potesse raggiungere tale oscurità. Adesso che ci stava facendo caso, non sentiva il calore rassicurante della coperta sulla pelle.
Si alzò piano fino a mettersi di mezzo busto. Le gocce di sudore le scesero dalle tempie e percorsero il profilo del suo viso fino a scenderle giù sul collo. Appoggiò le mani sul materasso…, no…, cos'era? Non era il suo materasso. Era troppo duro e farinoso per poterlo essere. Cos' era? …sembrava terriccio?
Non era nella sua stanza. Non riusciva ancora a scandire gli oggetti, ma sentiva che quella non era la sua stanza. Forse era un sogno.
Con grande difficoltà riuscì a mettersi in piedi e un giramento di testa la fece barcollare. Trovò un appiglio su un qualcosa di irregolare e franante. Cos'era? Dov'era?
Aprì una mano a palmo all'insù, mentre con l'altra si teneva salda a quella strana parete. Il primo incantesimo da strega che le aveva insegnato Ayanna fu quello di rendere l'acqua infiammabile. Era stato facile impararlo e facilissimo attuarlo. Chiuse gli occhi. Gli Hoenan riuscivano a percepire il componimento delle cose e modificarle. Percepì le minuscole goccioline d'acqua che galleggiavano nell'aria sopra al suo arto accaldato. Nacque una scintilla rossa e poi una fiamma, come se avesse usato delle pietre focaie. La fiamma che galleggiava in aria sopra alla sua mano, illuminò il buio, anche se di poco, ma bastò per darle ragione. Quella non era la sua stanza, né altro a lei conosciuto. Dov'era?
Mosse la sua mano e come se fosse attratta da una calamita, la fiamma magica la seguì illuminando anche il resto, ma quel posto le sembrava completamente vuoto. Camminò strisciando la mano alla parete rocciosa... Roccia? Veloce avvicinò la sua torcia magica e finalmente riuscì a riconoscere qualcosa. Una parete rocciosa, come se fosse ai piedi di una montagna o una grotta. Una grotta? Sì, era in una grotta. Come ci era finita lì?
La luce della fiamma trovò su quel muro naturale un particolare che catturò la sua attenzione. Un disegno o meglio una serie di disegni incisi nella pietra, poi la sua fiaccola illuminò dei nomi. Erano scritti nell'alfabeto runico, la lingua di sua madre che aveva appreso quando si connesse a lei, e di suo fratello. Infatti quello che stava illuminando era il suo nome. Era anche lui lì con lei? Chiuse di nuovo gli occhi, ma lo percepì a chilometri di distanza da lei. Chilometri?
Il cerchio alla testa le stava dando il tormento e mescolando i pensieri. Tutto quello che voleva era dell'acqua e il poter dormire fin quando quella dannata febbre non fosse andata via, ma doveva capire cose le era successo e cosa stava succedendo. Nonostante tutto sì concentrò di nuovo usando tutta la forza rimanente. Un piccolo soffio le gelò la bollente pelle febbricitante. Era fievole e sottile, ma Brynhild riunì tutta la sua attenzione su di esso e come aveva trovato l'acqua, trovò quella brezza fresca che sapeva tanto di aria aperta. Lo avvertiva da dietro alle spalle e doveva girarsi. Se l'avesse seguito avrebbe potuto trovare l'uscita.
Come era arrivata lì? Chi l'aveva portata?
Altre due domande che erano riuscite a saltare l'intontimento del suo cervello rovente, accompagnarono la sua ricerca, ma rimasero per un primo momento senza risposta. Aiutata da quel muro naturale riuscì a camminare per dei faticosi passi, finché la debolezza le portò un altro capo giro. Stava per cadere dall'altra parte del muro, ma fortunatamente non arrivò a battere sul suolo perché un'altra superficie arrestò la sua caduta. Era più granulosa e sfaldabile. Al suo impatto sentì un rumore di pietre cascare e quando avvicinò la sua torcia naturale spalancò gli occhi. Sassi e macigni, gli uni sugli altri, coprivano il luogo dove lo spiffero si era trasformato in più corposo e prepotente. L'uscita era stata bloccata da una frana. Era in trappola.
Con l'avambraccio tirò via il sudore dalla fronte e si sentì più calda di prima. Qualcuno l'aveva portata lì, era l'unica spiegazione plausibile. Chi?
Oh no!
Tutto le fu chiaro. Aveva solo una nemica, solo una era la persona che voleva ucciderla e quella era sua madre. Era stata lei. Era stata Esther. Lei l'aveva portata lì e fatto cadere con un incantesimo tutte quelle rocce, così da imprigionarla, ne era certa. Perchè? Per Niklaus? Esther l'aveva rinchiusa lì per punirla per aver conosciuto suo fratello? Niklaus? Dov'era? Aveva fatto qualcosa anche a lui? Quando aveva letto nella sua mente non aveva trovato niente di allarmante, anzi Esther cercava un modo per togliere di mezzo lei solo per tenere il figlio che aveva scelto di tenere con sé, al sicuro. Ora che ci pensava però, in quella mente non vi era neanche niente del vampirismo...
"Sono il diavolo!"
Kol nel buio della radura, con le zanne da demone immortale macchiate del sangue della dama di corte che Brynhild si era portata con se, le tornò in mente. Quando le era salita la febbre? La sera stessa? Sì, era stata la sera stessa. Doveva avvisare Niklaus del pericolo. L'aveva fatto?
No.
La febbre alta le aveva fatto perdere i sensi per tutto il tempo, ma non era stato solo questo. Era come se qualcosa le avesse fatto dimenticare quell'urgenza. Esther le aveva fatto qualcosa? Un'incantesimo? Forse aveva sfruttato la sua debolezza che quella febbre e la lontananza dal sole, le aveva procurato. Fatto sta che non si sarebbe mai perdonata se quel mostro avesse fatto del male a suo fratello. Forse era per questo che lo sentiva così lontano, stava scappando?
Presto e senza farsi altre domande, ritirò la fiamma e nel buio totale, mise le mani su quelle rocce. Farle diventare foglie secche era uno scherzo da ragazzi, se solo avesse avuto la piena prestanza del suo potere. La febbre, la mancanza dei raggi solari e quel sudore freddo che continuava a bagnarle la fronte e rendere la sua camicia da notte zuppa, le permisero solo di trasformare l'un terzo di tutta quella ammasso. Quanti ne erano? Ricorse al metodo tradizionale. Tirò via le pietre a una a una. Era minuta e poteva scavarsi un varco anche tirando via poche pietre. Un dolore le fece ritirare la mano. Sentì un liquido caldo al centro del palmo, non riusciva a vederlo, ma sapeva che fosse sangue. Alcune pietre si erano rotte nell'impatto ed erano molto affilate, doveva fare più attenzione. Si pulì sulla camicia da notte e ricominciò, ma appena la ferita aperta incontrò il terriccio che ricopriva le pietre, bruciò da morire. Così tanto che Brynhild dovette trattenere le lacrime, ma non si fermò, anzi iniziò a scavare più velocemente. Si dovette arrampicare per arrivare più in profondità e al quasi cinquantesimo masso, riuscì a vedere il fuori. Si aspettava che la luce del sole entrasse nei massi per illuminare il suo operato, ma non fu così. Il sole non c'era, era notte fonda, ma non fu questo a sconvolgerla.
L'odore.
L'odore che le sue narici da licantropo avvertirono da prima che il suo corpo potesse uscire da quella sua prigione.
Sangue.
Sangue ovunque.

Si spostò veloce, prima che i denti affilati di quel cane demoniaco riuscissero ad afferrare le sue carni da vampiro. Saltò all’indietro andando a sbattere contro qualcuno, che come lui stava fronteggiando quella battaglia. Era un altro vampiro, che però non sé la stava cavando bene, anzi il suo corpo era già martoriato da vari morsi e il suo colorito era vagamente troppo chiaro, anche per un non morto. Lo guardò un’altra volta perché gli sembrava che non lo avesse mai visto prima. Erano oramai passati tre anni da quando aveva giurato la sua fedeltà a Marcel e conosceva tutti i suoi seguaci, forse… Non poteva pensarci ora. Era nel bel mezzo di una lotta all’ultimo sangue, contro un numero di licantropi che lui non aveva mai visto in vita sua.  Erano tanti, molti di più di quanto ce n'erano mai stati a New Orleans. Riuscì a sviare un altro attacco colpendo il lupo con un calcio che roteò via sul suolo fino a sbattere contro a uno dei tanti corpi giacenti a terra. Però ora che osservava meglio, Joel vide che non era un semplice corpo anonimo. Era la principessa licantropa. La sorella dell’ibrido venuto a New Orleans portandosi dietro tutti i suoi guai. Era ancora stesa lì a terra mentre generi soprannaturali si stavano scagliando l’uno contro l’altro. Un piede di qualcuno le calpestò un braccio e la corporatura esile di quella bambina si scosse tutta di un lato. Era un’estranea per lui, ma comunque non poteva vedere una scena del genere. Decise di intervenire, magari portarla in un posto dove non potesse ricevere altri martiri, poi una figura che conosceva bene comparve inginocchiato accanto a lei. Era Marcel. La prese tra le sue possenti braccia e il contrasto della loro pelle brillò in mezzo a quel caos di corpi, e poi scomparve, portandosela via con sé.
Si era distratto e il nemico non mancò ad approfittarne. Una delle fitte più dolorose che avesse mai provato in vita sua, si stava estendendo dal polpaccio sinistro. Dolore, strazio, bruciore e paura lo avvolsero simultaneamente. Joel si trovò a cadere in ginocchio come se non potesse fare altro. Quando il licantropo che gli stava mordendo la carne del polpaccio alzò la testa, sentì le carni lacerassi mentre l’urlo più forte che avesse mai lanciato uscì dalla sua bocca. Gli mancò il fiato mentre il sangue iniziò ad abbandonare il suo corpo. Doveva girarsi. Doveva combatterlo altrimenti avrebbe continuato a morderlo… a cosa sarebbe servito, oramai era già morto. Con le mani a terra attese il secondo morso che non arrivò. Riuscì a girarsi per mettersi a schiena a terra, per poter guardare per l’ultima volta quel cielo che non aveva neanche la cortesia di mostrarsi sereno nell’ultima volta che poteva osservarlo, allora chiuse gli occhi.
Qualcosa di caldo riempì la sua bocca. Quando arrivò alla gola riuscì a percepirne il sapore. Assomigliava a una cosa… la stessa cosa che permetteva la sua vita da vampiro. Sangue. Deglutì avaramente quel liquido così pesante e caldo e i suoi occhi si spalancarono. Il cielo era sereno. Ne prese un altro sorso. L’azzurro di quel cielo non era mai stato così vivo. Vivo. Era vivo. Si tirò su mentre i canini gli pulsavano ancora tra le gengive. Cosa era successo?
- Prendi! –
Qualcuno parlò e una sacca di sangue per metà vuota, gli comparve davanti.
- Lo so è poca, l’hai dovuta dividere con il tuo amico. – Klaus Mikealson gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla prima di alzarsi e andare via. L’ibrido lo aveva salvato, ma di che amico stava parlando. Joel si voltò per scoprire a chi si stesse riferendo, trovò lo stesso vampiro che stava combattendo accanto a lui e ceh vedeva per la seconda volta nella sua vita. Era stato morso anche lui?
- Se vuoi puoi prenderne altro. – porse la sacca al suo compagno di sventure, ma non suscitò tanto il suo interesse. Ora che però erano così vicini, Joel sfruttò l'occasione per guardarlo meglio. Occhi castani e capelli scuri, ma nonostante i suoi colori fossero relativamente molto comuni, quella faccia da cattivo ragazzo sarebbe stata difficile da dimenticare.
- Puoi fare di meglio. – il vampiro gli parlò e la sua voce risuonò in un accento straniero, probabilmente britannico, prima che gli saltasse addosso e affondasse le zanne nel suo collo.
 
Come potevano essere così tanti.
I licantropi erano ovunque e sbucavano da ogni dove, ma Elijah non ricordava che a New Orleans ne fossero così tanti. Doveva essere anche quella una pensata di Celeste. Forse aveva esteso l’incantesimo della prima luna anche ad altri licantropi e li aveva costretti a lottare promettendo loro una cura, cura che non avrebbero mai avuto, perché Elijah l’avrebbe uccisa, eccome se l’avrebbe fatto, in un modo o nell’altro. A proposito Celeste dov’era?
Le streghe erano tornate e più forti da quando il cuore di Bry aveva cessato di battere e ogni suo incantesimo era cessato di esistere. Quella era una città popolata da moltissime streghe, ma come per i licantropi, Elijah aveva avuto l'impressione che il numero in cui erano era decisamente troppo alto. Celeste aveva convinto in qualche modo altre streghe a unirsi a quelle di quella città, quella era l'unica spiegazione, ma perchè? Cosa mai avrebbero ottenuto in cambio? Oppure, vi poteva essere un'altra possibilità, che Celeste avesse assueffatto a lei tutte quelle streghe. Celeste era una strega potente, ma non credeva fino a quel punto. Fatto sta che erano in minoranza e le scorte di sangue erano finite. I vampiri stavano soccombendo malgrado la cura dei morsi di licantropo scorresse nelle vene di suo fratello, che non aveva fatto altro che correre da un ferito all’altro, ma mancava la fonte essenziale. Gli umani. Il sangue degli umani. I vampiri guariti non avevano la possibilità di sfamare la fame che la guarigione comportava, rendendoli completamente inutili. Per questo Celeste li aveva fatti sparire tutti?
Il piano di Marcel era quello di uccidere le streghe che avevano rubato il risveglio del raccolto, così da fare resuscitare Davina. Lui sapeva come convincerla e l’avrebbe spinta a combattere al loro fianco e finalmente i Mikealson avrebbero avuto almeno una strega dalla loro parte. Quindi Klaus avrebbe dovuto far finta di accettare lo scambio offrendo sua sorella alle streghe, per attirarle tutte insieme allo stesso posto e poi i suoi vampiri sarebbero sbucati da ogni angolo. Quattro streghe contro al suo esercito di vampiri diurni e notturni. Ucciderle sarebbe stato facilissimo. Il piano sarebbe andato a buon fine, se non ché le streghe avessero visto più lungo. Si erano alleate con i licantropi del Bayou.
Elijah scelse la strega più vicina. Muoversi attraverso la folla era stato molto facile e adesso si trovava a soli due passi dalla strega dai capelli rossi. Aveva gli occhi chiusi mentre la sua bocca si muoveva mugugnando lo stesso verso mugugnato anche dalle altre streghe. Si scagliò contro di lei deciso a farle chiudere quella bocca per sempre, ma dei ringhi bloccarono la sua intenzione. Girò il capo per guardare dietro di sé e li vide. Ben quattro licantropi erano situati a semicerchio e avevano tutta l’aria di non concedergli un altro passo verso chi gli aveva promesso la libertà da quella condizione disumana. Roteò il corpo simultaneamente all’attacco del primo lupo. Riuscì a colpirlo prima che lo facesse lui. Il secondo lupo arrivò molto più vicino di quanto avesse fatto il primo, ma con una gomitata allo stomaco riuscì a metterlo fuori gioco. Un terzo volò in un salto arcuato e ginnico in direzione della sua spalla sinistra, Elijah gli afferrò il muso con l’altra mano e la bestia pianse dal dolore esattamente con un cane, facendogli quasi pena. Lo lanciò il più lontano possibile. Un dolore gli invase una parte del ventre. Abbassò il viso e trovò il quarto licantropo. Gli stava mordendo la carne del fianco. Aveva la bocca ai lati del suo corpo, con i canini superiori affondati nella carne della schiena e quelli inferiori nella pancia. Elijah pensò subito alle allucinazioni che ne sarebbero scaturite e afferrò il suo manto per potersela togliere di dosso, ma la bestia non mollò, anzi strinse più forte. Elijah urlò di nuovo, mentre fiumi di sangue stavano sgorgando dai fori a cerchio sulla sua pelle. Sporcarono i denti dell’animale e il suo pelo chiaro, rendendolo quasi una bestia demoniaca. Elijah tirò via il lupo dal suo corpo, ma l’animale si portò con se un pezzo del suo fianco che sputò. La camicia bianca si inzuppò del suo sangue e cadendo in ginocchio tentò di fermare quell’emorragia esterna pressando con le mani. Il sangue fuoriuscì dalle fessure delle dita sporcandole e scorrendo a terra. Si stese cercando di prendere fiato e lasciare che la guarigione rallentata dal veleno del licantropo facesse smettere a quel sangue di zampillare dal suo corpo, ma un’immagine fu davanti ai suoi occhi e Elijah seppe che le allucinazioni erano già arrivate. Era Celeste. Non nel suo nuovo corpo, ma in quello che la natura le aveva dato. Lei si inginocchiò vicino e con le sue belle mani affusolate cercò di curare la sua ferita. La vide prendere delle bende bianche che si arrossavano del sangue che aveva ingerito da così tanti corpi, per così tanti anni, ripetendogli che tutto sarebbe andato bene. Elijah alzò una mano per accarezzare il suo viso, ma Genevieve si spostò per schivarla. Non lo stava curando, né tanto meno gli stava dicendo frasi rassicuranti. Appoggiò il collo lungo di una boccetta di vetro sullo squarcio lasciatogli dal licantropo. Fece scorrervi del sangue dentro e con la mano libera iniziò a strizzare la ferita, come se avesse fretta. Quando la boccetta si riempì, si alzò in piedi tappandola e porgendola a una delle streghe che le era accanto, mettendo al sicuro la refurtiva sottratta dal corpo del vampiro originale. Un baleno bianco lo prese e lo portò via con se, ma Elijah avvertì solo l'aria diventare più fredda e violenta. Fu solo dopo qualche minuto, e dopo l'aver ingerito del liquido caldo che lo vide. Klaus, suo fratello. Lo aveva allontanato da quelle streghe e dalle loro intenzioni, portandolo via dalla battaglia. Appoggiato con la schiena a un muro di un qualche palazzo e seduto sul marciapiede, Elijah osservò suo fratello studiarlo con gli occhi. Si stava accertando che stesse bene, mentre invece Klaus aveva tutta l'aria di chi avesse necessità di aiuto. Sulle mani, braccia, collo e addirittura sulle spalle, c'erano evidenti segni di morsi dei vampiri che avevano bevuto il suo sangue per salvarsi e la sua pelle nonostante fosse chiara per il prezzo della non vita, era diventata tanto bianca al punto che Elijah riusciva a vedere le vene blu pulsare il poco sangue che gli era rimasto in circolo. Se avesse avuto anche lui la capacità di farlo stare meglio con il suo sangue, lo avrebbe fatto.
- Cosa ti ha fatto? – gli chiese una volta certo della sua ripresa, ma Elijah non seppe rispondergli. L’allucinazione lo aveva portato via dalla realtà.
- Ragazzi?! – quella voce che li fece girare era un sibilo, ma sapevano che apparteneva alla loro sorella. La videro avvicinarsi zoppicante e con più lesioni al corpo di quante ne avesse Klaus ed Elijah messi insieme. Contemporaneamente furono da lei e sicura nelle loro braccia Rebekah si lasciò cadere. Erano morsi di licantropo quelli che aveva per tutto il corpo e stavolta Klaus si morse nell'unico posto rimasto libero, il palmo della mano.
- Sta per finire... il tempo sta per finire. – disse poi con le labbra colorate dal rosso del sangue ibrido di suo fratello.
   
 
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