Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: MadAka    11/03/2017    0 recensioni
«Bisogna avere pazienza quando si svolge un'indagine. Se l'assassino vuole comunicare con me troverà il modo di farlo ancora una volta» disse, lanciando un’ultima occhiata sicura alla ragazza, «Ma non temere, continuerò comunque a indagare su questa faccenda, non mi farei mai scappare un caso invitante quanto questo.»
Si avviò verso la sua stanza, senza aggiungere altro. Emily lo guardò, mille pensieri a riempirle la testa. Alla fine uno fra tutti prese il sopravvento, facendola sentire più preoccupata che mai.
«E se fosse Moriarty?»
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Emily Prince si è sempre sentita diversa. Un ombrello giallo sotto la pioggia di Londra, un puntino rosso nel cuore della notte, una mente affollata, sicura e colorata, e una visione unica del mondo intorno a sé.
La sua ambizione più grande la guiderà lontano dalla sua città, fino al più noto numero civico di Baker Street. Tuttavia, contro ogni previsione, la farà anche sprofondare in qualcosa da cui, sola, la ragazza non potrà uscire.
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La storia è ambientata dopo la fine della terza stagione.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Nel soggiorno del 221B di Baker Street era calato il silenzio. Emily era impietrita, sconvolta dalla rivelazione che John le aveva fatto così, a bruciapelo. Si era lambiccata il cervello per tre ore, aveva sopportato uno Sherlock annoiato alle prese con una pallina da tennis e una pistola - una pistola! - e poi, proprio quando si sentiva vicina a ottenere un primo e meritato successo in un campo che l'affascinava sempre di più, il migliore amico del suo coinquilino rovinava tutto.

John, dal canto suo, non era in grado di capire cosa avesse bloccato così la ragazza, né tantomeno perché Sherlock lo stava guardando a quel modo. Aveva detto qualcosa di sbagliato, quella era la sua unica certezza.

«Ben fatto, John» si complimentò sarcastico Sherlock.

«Cos... Ho detto qualcosa che non dovevo dire, vero?»

Gli sguardi di entrambi gli uomini si posarono su Emily e lì rimasero, in attesa di una sua reazione. Lei si riprese dopo diversi, lunghi, secondi di silenzio.

«La domestica» esclamò. «Ovvio! Ecco com'è stato possibile che la lettera venisse recapitata. È talmente banale che è paradossale che Scotland Yard non ci sia arrivata» disse, tutto d'un fiato.

«Ah, allora convieni con me che Scotland Yard si trova in difficoltà su cose da nulla» cercò improvvisamente manforte Sherlock.

John continuava a guardarli senza capire bene cosa fosse accaduto. Dopo il suo lungo silenzio Emily si era ridestata e pareva essere più energica e coinvolta che mai. Oltretutto lo stava completamente ignorando, cosa che gli risultò improvvisamente strana, sebbene gli diede modo di convincersi del fatto che, forse, non aveva fatto uno sbaglio tanto grande.

«Posso… posso sapere cosa succede?» domandò infine, avvicinandosi ai due inquilini del 221B.

«Stavo lavorando a quel caso» rispose Emily, alzando serenamente lo sguardo sul medico. «Quello del Vice Primo Ministro» aggiunse poi.

«Come, scusa? Perché ci stai lavorando tu? Vuoi dire che in realtà non è stato risolto?»

«No, no, niente del genere. È stato risolto, è stato Sherlock.»

Il detective si esibì in un’espressione piuttosto esaustiva, come a ricordare a John che molto spesso c’era lui dietro a certi articoli di giornale.

«Io stavo semplicemente cercando di risolverlo da sola, giusto per la soddisfazione di poter dire di essere riuscita a risolvere un caso» proseguì la ragazza, sempre in direzione del medico. «Solo che, adesso, serve a poco.»

John si sentì a disagio a quelle parole. Era vero che non aveva smascherato il colpevole di proposito, così come non poteva sapere che Emily stesse lavorando a quel caso – anche se solo per il piacere di farlo – eppure non poté fare a meno di sentirsi in colpa, come se avesse sottratto la ragazza a qualcosa che la faceva stare bene.

Tuttavia, come spesso capitava, Emily era tranquilla, senza la minima traccia di irritazione in volto per quello che era appena accaduto. Era ancora seduta alla scrivania, le carte sparpagliate sul piano, i capelli rossi spettinati, malamente raccolti sopra la testa. Alle sue spalle Sherlock era in piedi, una specie di elegante protettore dietro di lei.

«Mi dispiace molto» si scusò infine John, realmente dispiaciuto.

La ragazza, di tutta risposta, gli regalò uno dei suoi sorrisi più dolci. «Ti perdono. Ma solo perché non potevi saperlo.» Gli puntò contro la matita e assunse un’espressione fintamente minacciosa. «La prossima volta, però, gliel’ha farò pagare cara dottor Watson.»

John le sorrise. Quella ragazza gli piaceva davvero molto, più la conosceva, più si convinceva di ciò.

Emily riprese a guardare i suoi appunti, rivolgendosi a Sherlock: «Come posso avere conferma del fatto che la colpevole sia stata la domestica? A parte per il fatto che ha aggiunto la lettera alla posta ordinaria ricevuta dal Vice Primo Ministro e questo spiega come sia riuscita a evitare la sorveglianza con tanta semplicità.»

Il detective cercò alcune informazioni sul plico di carte puntate fra loro e, trovato ciò che cercava, lo indicò alla giovane. Anche John si mise in ascolto, interessato.

«Questo» disse il detective. «Ammonium oleate. Lo hai cercato su internet?»

Emily frugò fra i suoi appunti, trovando ciò che cercava. «Vagamente» rispose, incerta.

«Beh, è uno degli elementi che sta alla base della stragrande maggioranza di prodotti per lucidare l’argenteria. È risaputo che il Vice Primo Ministro ha la bizzarra fissazione per i fermacarte in argento, ne ha una collezione intera.»

Indicò con l’indice sulla lettera, seguendo una scia invisibile. «Tracce di quella sostanza sono state trovate qui, lievi. Si riescono a intravedere a luce radente.»

«Un fermacarte pulito male» mormorò la ragazza sovrappensiero. «Deve aver lasciato tracce di quella sostanza sul primo foglio di un gruppo di carte, forse una risma, e quando la domestica lo ha preso non se n’è accorta e ha comunque usato quel foglio.»

«Molto bene» si complimentò Sherlock, davanti a un colpito John.

«E ora questo» proseguì, indicando un’altra cosa sul plico delle analisi.

«Amido di mais» lesse Emily. «Nella colla?» tentò.

«No. Il collante è di natura sintetica. L’amido di mais è stato trovato sparso solo in alcuni punti, quindi proveniva da un’altra fonte.»

La ragazza ci pensò, a lungo. Tuttavia non le venne in mente nulla di attendibile.

«Non saprei» si arrese infine.

«L’amido di mais è usato come polvere lubrificante nei guanti in lattice» le rivelò Sherlock. «Ne sono stati trovati pochi residui, in corrispondenza di alcuni punti di colla al di sotto dei ritagli di giornale. Considerando, però, che la colla è industriale non può essere amido presente nel legante, perciò viene da qualcos'altro, i guanti ad esempio.»

«Guanti che deve aver usato per evitare di lasciare impronte sul foglio» concluse la ragazza.

«Esatto. Peccato per lei che invece delle impronte abbia lasciato molti altri elementi per permettere di essere individuata. Alcune lettere, ad esempio, sono tratte da giornali costosi come dimostra la qualità della carta e della stampa, il che vale a dire che deve aver preso qualche pagina utile alla sua lettera direttamente dai giornali di cui il Vice Primo Ministro aveva deciso di sbarazzarsi.»

«Sorprendente, Sherlock» si complimentò Emily.

«Hai capito anche tu le cose più importanti. Se John non avesse sbandierato tutto ci saresti riuscita da sola. Te lo avevo detto che non era difficile» tagliò corto l'uomo, dirigendosi verso la cucina.

La ragazza lo guardò incuriosita, non capendo se aveva appena ricevuto – nuovamente nel giro di poche ore – un complimento da parte del detective. Decise da sola di sì, che le parole pronunciate da Sherlock in quell'ordine e con quel tono disinvolto, quasi annoiato, valevano come complimento.

Raccolse le carte che aveva sparpagliato in giro, ammonticchiandole in una piccola pila e lasciandole in vista affinché si ricordasse di conservarle. Infine si rivolse a John, che la stava guardando con un confortante sorriso paterno; gli sorrise di rimando, afferrando la calibro 22. «A proposito, John, temo tu abbia dimenticato questa, non so quando. Io e Sherlock abbiamo già avuto modo di appurare che funziona perfettamente, sebbene ora sia scarica.»

Lo disse tranquillamente, leggermente divertita a ripensare alla scena di poco prima, quando lei e Sherlock si erano contesi una pistola carica come due bambini si contendono una macchinina.

John afferrò la semiautomatica e la sfiorò delicatamente, guardando Emily con lo sguardo preoccupato di chi aveva capito tutto.

«Dimmi che non è successo niente» supplicò, nonostante fosse consapevole del fatto che fosse avvenuto il contrario.

Sherlock si affacciò dalla cucina, un paio di biscotti in una mano e uno rosicchiato nell'altra. I due amici si guardarono e il detective sollevò un indice per indicare un punto sulla parete accanto alla finestra. «Abbiamo inaugurato un altro muro» sintetizzò.

John rimase spiazzato da quella nuova rivelazione. Osservò il punto incriminato, dopodiché si concentrò su Emily. Gli parve sorprendentemente tranquilla, come se fosse abituata a spari, pistole e pareti. Continuò a guardarla senza che nessuno dei due dicesse nulla mentre Sherlock, in cucina, cominciava a lavorare con la sua attrezzatura scientifica. John si sentì confuso alle prese con tutto quell'insieme di elementi acquisiti dal suo ultimo arrivo nella casa. Sempre osservando Emily, che ancora rispondeva rilassata al suo sguardo, si pose una sola domanda: era il 221B di Baker Street a rendere inconsuete le persone o tutti loro si erano ritrovati in quel soggiorno proprio per il loro essere inconsueti?

 

*

 

Finire l'ultima lezione settimanale prima dello stop per le vacanze natalizie era sempre piaciuto particolarmente a Emily, ma non questa volta. Di solito, infatti, significava abbandonare le lezioni per concedersi un po' di sano ozio nella propria casa di Newport, senza bisogno di raggiungere ogni mattina la capitale Cardiff. Ora, invece, per la prima – e ultima, dato che si parlava del master – volta la sospensione delle lezioni stava lasciando dentro la ragazza un senso dolceamaro, legato non tanto al fatto di dover interrompere gli studi nel settore – dopotutto quando si scrive una tesi non si può mai parlare di interruzione – quanto più che altro all'idea di lasciare Londra, Baker Street, Sherlock Holmes e John Watson, sebbene per pochi giorni.

Il mattino seguente, infatti, sarebbe partita per tornare a Newport e trascorrere le vacanze natalizie insieme alla propria famiglia, lasciando Sherlock nella sua casa.

Aveva passato buona parte di quell’ultima mattina di lezione pensando a come trascorrere il tempo una volta rientrata a casa, stabilendo che avrebbe comunque proseguito con il proprio lavoro, magari cominciando a dare un senso compiuto a quell’ammasso di appunti di ogni genere preso nei primi tre mesi di convivenza con Sherlock.

Si avviò verso la caffetteria per concedersi anche un ultimo caffè prima delle vacanza – trovava incredibilmente buono quello del bar del campus – continuando a rimuginare sul da farsi.

Si trattava solo di due settimane, lo sapeva perfettamente, eppure non riusciva a fare a meno di dispiacersi della cosa. Adorava il 221B di Baker Street, adorava il suo caos, il disordine; adorava le persone che vi entravano e seguire Sherlock in giro per la città alla ricerca di qualcosa invisibile a tutti tranne a lui. Sapeva che tutto ciò le sarebbe mancato, ma si ricordò anche che si trattava pur sempre di poco tempo e che, tutto sommato, la sua famiglia le mancava.

Superò l’ingresso del caffè sempre pensando a tutto ciò, cercando di riordinare l’accozzaglia di sentimenti che le si accavallavano dentro. Arrivata al bancone si fermò, si sistemò un momento i capelli e prima che potesse guardare negli occhi uno del personale per poter ordinare, qualcuno la raggiunse. Istintivamente si voltò, trovandosi davanti il ragazzo che aveva incontrato in quella stessa caffetteria tempo prima, quando lei si era convinta che lui volesse fare conversazione mentre, invece, voleva semplicemente sedersi al suo posto. Da quel loro primo incontro Emily lo aveva intravisto con frequenza sempre maggiore nel locale e sempre da solo. Prendeva posto dopo che lei arrivava e non lo vedeva mai andare via prima. Le capitava di tanto in tanto di soffermarsi a guardarlo, al punto che era riuscita a registrare quasi perfettamente i suoi lineamenti sfuggenti, e la sfumatura di bruno dei suoi occhi, trovandolo ogni giorno sempre più carino.

Rimase spiazzata quando lui, in quel preciso momento, le sorrise, tendendole uno dei bicchieri di carta in cui venivano abitualmente servite le bevande in quel posto. Leggermente titubante – più per la sorpresa che per la diffidenza – la ragazza afferrò il bicchiere, sentendo il calore propagarsi fino alle sua mani. Dopodiché sollevò lo sguardo sul ragazzo e rispose al suo sorriso.

 

*

 

L’avvicinarsi del natale era da sempre un motivo di stress aggiuntivo per Sherlock. Era riuscito a declinare l’invito a trascorrere le festività con i propri genitori, tuttavia gli era stato impossibile impedire a Mrs. Hudson di mettere in ghingheri perfino il suo appartamento con ghirlande, lucine varie e fiocchi di neve.

Rannicchiato sulla sua poltrona, il detective teneva gli occhi fissi sulla porta di casa, in attesa del rientro di Emily. La ragazza era in ritardo rispetto al solito e lui si ritrovò a sperare che rientrasse in fretta giusto per avere qualcuno da analizzare, movimentando un po’ il proprio cervello. Erano giorni che non gli passava fra le mani un caso eccitante e la cosa cominciava a renderlo irascibile. Il caso Horvat era stato accantonato poiché non era accaduto nient’altro di riconducibile a esso e sebbene Lestrade gli avesse sottoposto un paio di volte qualcosa di succulento, appena trovato l’elemento discordante Sherlock aveva sempre risolto la questione con eccessiva semplicità. Perché doveva essere così difficile, ogni volta, riuscire a trovare qualcosa che non fosse scontato, prevedibile e banale? Cos’era successo ai criminali realmente interessanti?

Si mise a sedere sulla poltrona con un gesto fluido, tirando a sé la vestaglia e fasciandosi meglio il corpo, gli occhi sempre puntati verso l’ingresso. D'improvviso sentì la porta aprirsi. Vide nitidamente nella mente Emily varcare la soglia, avvicinarsi alla porta di Mrs. Hudson e salutare la padrona di casa: «Salve Mrs. Hudson» e avviarsi, infine, lungo le scale. Sherlock controllò l'ora, scorse mentalmente gli orari della metropolitana e formulò già una prima idea. Non appena Emily arrivò nel soggiorno salutò l'uomo, sorridendo e si sfilò il cappotto. Lui rispose monosillabico a quel saluto, continuando a scandagliare attentamente la sua coinquilina in cerca di elementi in grado di conformare i suoi sospetti. Prima ancora che lei potesse raggiungere le scale per salire in camera sua ne trovò diversi, ma non fu abbastanza rapido per individuare la prova definitiva. Emily, infatti, con la naturalezza di chi sa come muoversi, salì lungo le scale diretta alla sua stanza, sparendo alla vista di Sherlock.

Nel tempo che impiegò per tornare nel soggiorno l’uomo ebbe modo di far lavorare ulteriormente il proprio cervello, giungendo a una conclusione. Non poteva certo dire che fosse stata un'indagine avvincente, ma era arrivato a un tale livello di noia che qualsiasi cosa gli sarebbe andata bene, pur di tenere in moto la mente.

Appena Emily scese le scale e rientrò nel soggiorno Sherlock la raggiunse e le afferrò il polso destro, sollevandole la mano. Analizzò rapidamente le sue dita, infine guardò la ragazza con l'espressione di chi aveva già capito tutto.

«Come si chiama?» le chiese.

Lei guardò la propria mano, sollevando le sopracciglia. Era piuttosto certa di aver capito dove l'uomo volesse arrivare, ma dato che non ne era così convinta preferì evitare di esporre spontaneamente tutto quanto.

«Mano?» disse con tono incerto e poco convito, in risposta alla domanda di poco prima.

Sherlock alzò gli occhi al cielo, nella perfetta imitazione di un se stesso esasperato dalla stupidità umana – espressione che divertiva sempre molto Emily.

«Lui come si chiama. Non fare la finta tonta, per favore.»

Le lasciò andare il polso, erigendosi poi in tutta la sua statura, le braccia dietro alla schiena.

«Da cosa lo avresti capito?» chiese Emily, realmente incuriosita. Sherlock aveva indovinato – cosa scontata, dopotutto – tuttavia, come ogni altra volta, il come interessava terribilmente alla ragazza.

«Ti sei mai resa conto di avere un leggero tic nervoso quando ti senti in imbarazzo?» le chiese.

Con grande sorpresa della ragazza, la risposta era no.

«Tendi a tormentare con le unghie quello che hai fra le mani, indipendentemente da ciò che sia. Sotto le unghie della tua mano destra ci sono minuscoli residui di carta, il che mi lascia intendere che te la sei presa, appunto, con della carta. Non un foglio normale, ma con qualcosa che devi per forza esserti trascinata da sinistra verso destra. Sapevi che, se insisti sul punto di giunzione nei bicchieri di carta, questi si strappano? Direi di sì, perché è proprio quello che hai fatto prima. È da uno di quei bicchieri che vengono i pochi residui di carta che hai sotto le unghie.»

Si voltò, cominciando a passeggiare lungo la stanza. «Il punto è: perché hai tormentato un povero bicchiere di carta? Perché di fronte a te c'era qualcuno che era in grado di metterti in imbarazzo. Considerando, però, che sei una ragazza sicura delle proprie capacità e che si trova a proprio agio anche con gli uomini, la sola cosa che può averti creato imbarazzo in questa circostanza può essere un ragazzo che ti piace, nient'altro.»

Concluse voltandosi vittorioso in direzione di Emily, la quale, non volendo dargliela vinta tanto facilmente, incrociò le braccia e lo guardò con sufficienza. «E se avessi tormentato quel bicchiere per rabbia verso il mio docente di psicologia?» chiese, con una tale sicurezza da lasciar intendere che quella fosse la verità.

Sherlock rispose al suo sguardo alla stessa maniera, consapevole della sua farsa. «Hai anche un leggero rossore alle gote, che non può essere dovuto al fatto che sei rientrata di fretta. Sei arrivata qui otto minuti dopo l'arrivo della metro in stazione, il che significa che hai percorso il tragitto con molta calma, forse addirittura sovrappensiero.»

«Forse ho corso per prendere la metropolitana dall'università.»

Sherlock sollevò un sopracciglio, guardandola come si guarda un bugiardo quando si conosce la risposta. «Quando passa puntualmente ogni tre minuti? Per favore, non lo avresti mai fatto.»

Emily lasciò cadere il silenzio, colpita ed eccitata di fronte all'ennesima dimostrazione del genio che era l'uomo che aveva deciso di studiare.

«Ti stai annoiando, vero?» domandò poi, consapevole che lui aveva appena dato prova di sé proprio perché non lo faceva più da un po' e non perché fosse realmente interessato a sapere chi avesse offerto un caffè a lei e, soprattutto, se a lei quel chi piacesse o meno.

«Terribilmente» sbuffò in risposta il detective.

«Beh, ti tocca avere un po' di pazienza. Vedrai che ci sarà un bel omicidio di natale su cui potrai indagare, non disperare» cercò di consolarlo lei, in un modo abbastanza grottesco.

Sherlock la guardò con un sopracciglio inarcato, un leggero sorriso a solcargli il volto.

«Non cercare di deviare l'argomento, so di aver indovinato. Allora, chi ti ha offerto da bere?» la incalzò.

Emily si arrese. Sapeva che a Sherlock non importava niente del suo incontro in caffetteria, nonostante tutto, però, si ritrovò a sperare che in realtà lui continuasse a chiederglielo perché almeno un po' gli interessava.

«Richard» sospirò infine. «Si chiama Richard.»

Si scoprì a sorridere al pensiero del ragazzo, del caffè bevuto insieme e della loro conversazione, al punto da non accorgersi del fatto che Sherlock era diventato improvvisamente serio al solo sentire quel nome. Non avrebbe potuto sospettarne l’esatto motivo, non in quel momento, perciò quando lo guardò e lo trovò lì, pensieroso, si disse che la cosa, come aveva creduto, non gli interessava affatto.

«Comunque,» disse, cambiando argomento, «c'era questa sotto la porta. È indirizzata a te, sospetto siano auguri di natale. Da un’ammiratrice, probabilmente» concluse, sorniona.

Allungò a Sherlock una piccola busta in carta marrone, chiusa con un sigillo in ceralacca rossa. Non vi era scritto alcun indirizzo, se non il nome del detective con precisa calligrafia e inchiostro blu.

L’uomo afferrò la piccola busta che Emily gli stava tendendo, accigliandosi ulteriormente. Appena l’ebbe fra le mani la osservò attentamente in ogni sua angolazione, facendosi aiutare dalla luce affinché ogni possibile segreto racchiuso sulla carta potesse affiorare.

La ragazza si accorse dell’improvviso cambiamento di Sherlock. Da annoiato che era si era fatto improvvisamente taciturno, concentrato, addirittura cupo.

«Qualcosa non va?» gli chiese infine, improvvisamente preoccupata.

Lui si voltò a guardarla. Teneva ancora la busta in carta fra entrambe le mani, come se fosse vitale. Lei portò istintivamente gli occhi su di essa, costringendo il suo cervello a lavorare. Doveva esserci qualcosa in essa, anche solo un collegamento, qualcosa di infinitesimale ma ugualmente in grado di far scattare la mente del detective al punto di fargli recepire un messaggio impossibile da comprendere per chiunque altro. Emily continuò a fissare con insistenza quella busta, sentendo sempre lo sguardo vigile e serio di Sherlock su di sé.

Come se avesse letto nella mente della ragazza, all’improvviso l’uomo strinse con forza maggiore la busta marrone e lo fece nel momento esatto in cui lei capì quando Sherlock Holmes e John Watson avevano già incrociato qualcosa di simile.

 

 

 

 

 

  
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