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Autore: _Dafne Johnson_    11/03/2017    2 recensioni
Una storia nata in un giorno di routine come tanti altri, un avvenimento a cui normalmente non si presterebbe attenzione. Questa è la mia storia, la tua storia, la storia di chiunque in una mattina qualsiasi si è svegliato e si è reso conto di vedere il mondo in un modo diverso. Una storia nata per far aprire gli occhi.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stavo guardando fuori dal finestrino quando la voce registrata annunciò la fine della mia corsa, così mi affrettai a recuperare la mia valigia, a rimettermi la giacca e ad alzarmi, cosa che suscitò alcuni mormorii scocciati da parte della signora sessantenne accanto a me. Chiesi scusa con un cenno della testa e quella mi rispose con un cordiale "Ma figurati, tesoro!" che esprimeva tutta la sua ipocrisia. Facendo finta di non aver notato questo suo improvviso e alquanto falso cambiamento di umore, mi diressi verso la porta in vetro e mi immisi nella piccola folla che aspettava che il treno si fermasse, aggrappata alle sbarre di metallo che sapevano sempre di unticcio. Osservai i loro visi, per lo più stanchi o annoiati dalla routine quotidiana, depressi, seri o in qualsiasi caso senza lasciar trasparire la minima felicità, anche solo nello sguardo. Scesi dal treno, come facevo ogni giorno. La stazione era gremita di gente, e ogni parola si disperdeva in quella della persona vicina, come singole gocce in un fiume che scorreva impetuoso. Niente cambiava mai, in quel posto: gli stessi sguardi annoiati dalla routine quotidiana, gli stessi passi che si confondevano gli uni con gli altri e persino sempre le stesse persone. Ovviamente non era così, ma ogni giorno non si riesce ad evitare di generalizzare e a giudicare una persona da un primo sguardo, ed ecco perché in stazione se ne trovano diversi.

Potevo osservare gli impiegati, sempre spazientiti in attesa di qualcuno, con la loro fedele ventiquattrore e costantemente in giacca e cravatta. Apparentemente erano tutti uguali, a fissare lo smartphone spesso in piedi, al centro del passaggio. Potevo osservare gli studenti, solitamente ventenni, sempre con una valigia azzurra, tante idee per la testa e uno sguardo puntato a un futuro migliore. Potevo osservare i ragazzi con dei grandi tamburi a tracolla, occhiali a specchio e vestiti larghi, solitamente con i rasta... il sottogruppo più chiassoso, insomma. Questi sono solo alcune delle idee che la gente si crea senza neanche parlargli, senza neanche parlarci insieme o degnarli della minima attenzione: hai la tua vita e i tuoi affari a cui pensare, sei in stazione e ti guardi intorno, facendoti un'idea generalizzata di qualsiasi uomo o donna che si veste, parla, si atteggia in una certa maniera.

Si sa, ogni persona ha la sua storia. La sua vita, qualcosa da nascondere e qualcosa da raccontare. Qualcosa a cui non pensi quando sei immerso nella tua vita e in ciò che succede. Ma quella mattina per me non era così: dovevo andare al lavoro, sì, ma mi piaceva soffermarmi su ciò che mi circondava, assaporando la diversità che ci offre la vita. Quelle rare situazioni in cui si ritorna bambini e si presta al minimo dettaglio che ci circonda: non so cosa mi avesse preso in quella giornata, sentivo solamente il bisogno di distaccarmi dalla massa e dalla vita quotidiana, nonostante avessi anch'io una meta e una destinazione precisa che avrebbe portato il mio essere a confondersi con quelli di tutti gli altri, come automi in una fabbrica.

Mi voltai ad osservare una ragazza, che si distingueva dalle altre persone solo perché era ferma, probabilmente ad aspettare qualcuno. Era molto magra, la carnagione chiara metteva in risalto ancora di più il capitello dell'ulna, sotto una camicia azzurra, logora e un po' scollata, sotto la quale si vedevano le prime costole, di per sé molto sporgenti. Stringeva nervosa un'enorme valigia che sembrava molto pesante ma che reggeva con forza, tanto le nocche erano bianche. Ogni tanto la poggiava a terra, si metteva una mano nella tasca dei pantaloni, molto larghi e sfilacciati in alcuni punti e che le arrivavano fino a terra, tirava fuori un portachiavi d'argento e ci giochicchiava per calmarsi. I suoi occhi erano vivi e attenti, di un azzurro intenso: continuavano a posarsi da ogni parte ma sembrava non trovare chi o cosa cercava, mordicchiandosi le labbra sottili. Spesso, voltandosi, le ricadeva un ciuffo di capelli marroni sugli occhi, che lei spostava dietro l'orecchio con aria distratta. Poco dopo, però, un'altra ragazza le venne incontro: si vedeva da lontano che si stava dirigendo da lei, poiché teneva lo sguardo fisso su quella figura esile e magra. Era quasi l'opposto dell'altra riguardo all'aspetto: era piuttosto bassa e rotonda, abbronzata, con una nuvola di capelli biondi che rimbalzava ad ogni suo passo e che le donava un'aria sbarazzina. La raggiunse, la abbracciò per qualche secondo e si baciarono. Avrei dato qualsiasi cosa per immortalare la reazione passanti: prima, alcuni si erano fermati a guardare la scena di due amiche che si ritrovavano, inteneriti, poi distolsero lo sguardo imbarazzati, quasi infastiditi. Una madre, addirittura, strattonò il braccio della figlia che si era fermata a guardare la scena incuriosita. Incredibile quanta ipocrisia ci fosse: tutti erano sempre disposti ad accettare a braccia aperte, ma poi nei fatti era tutto diverso. Osservai la bambina allontanarsi: era l'unica che non sapendo di cosa si trattasse, non aveva mostrato ritrosia. Ma nessuno se n'era accorto, si erano limitati ad andarsene, dimenticando un evento fuori dall'ordinario dopo pochi minuti. Osservai le due ragazze ancora per qualche secondo, poi me ne andai verso l'uscita della stazione, a ricominciare come gli altri la propria vita.

Quelle ragazze avevano una storia, che si intrecciava con quella dell'altra e delle altre persone, come tutti, sulla scena della vita. Ognuno di noi aveva i propri progetti, ambizioni e sogni; nella propria recita ognuno aveva diversi protagonisti e antagonisti...ma le comparse? Perché in quella situazione, per gli altri, io ero solo una comparsa, un passante, colui che incontravano in una parte minuscola della loro esistenza per poi svanire nell'oblio della memoria, esattamente come era venuto.
   
 
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