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Autore: jess803    12/03/2017    0 recensioni
In un mondo post-apocalittico, segnato profondamente dagli esiti di una distruttiva guerra nucleare, in cui le risorse idriche e i generi alimentari scarseggiano, si muove una donna, Hadiya De Wit, spia al servizio della Confederazione, ossessionata dai demoni del passato e legata da una catena invisibile ad un amore misteriosamente scomparso.
Ambientata nel torrido deserto nord africano, è una storia di spie, amicizie tradite, intrighi politici, ma soprattutto di un amore destinato, forse, a non finire mai.
"Erano come due anime in bilico sull’orlo dello stesso precipizio, che lottavano contro la stessa forza invisibile che cercava in tutti i modi di farle andare giù, che avrebbero potuto restare in equilibrio solo se fossero rimaste immobili a sostenersi a vicenda… due anime a cui sarebbe bastato solo il soffio di un alito di vento per precipitare sul fondo del baratro e restarci per sempre."
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Mancava poco più di una settimana al Natale, le sei settimane di addestramento erano ormai concluse e le tanto temute prove finali, che avrebbero decretato chi sarebbe entrato a far parte della nuova squadra di ricognizione e chi, invece, sarebbe ritornato a casa a mani vuote, erano infine arrivate. La prova pratica non spaventava Sofyane; così come era stata descritta da Dahl, consisteva in un semplice circuito di prove fisiche -corsa, sollevamento pesi, apnea e arrampicata su parete artificiale- da terminare ciascuna nel periodo di tempo stabilito, possibilmente senza stramazzare a terra alla fine. Non sembrava proprio uno scherzo, certo, ma era sicura di riuscire a superarla senza troppi problemi, dato il suo addestramento. Ciò che la metteva davvero in agitazione, invece, era la prima prova, quella tecnica: quella mattina infatti, sarebbero partiti alla volta di una ridente cittadina rurale di circa duemila abitanti, nel nord della Confederazione, dove i cadetti avrebbero davvero messo in pratica tutto ciò che avevano imparato durante i loro studi prima, e il corso di addestramento poi. Avrebbero dovuto ispezionare la cittadina, studiandone tutte le risorse e le fonti di energia, la centrale elettrica che la riforniva, il sistema idrico e di riscaldamento, il sistema di irrigazione dei campi e quello dei trasporti, dopodiché avrebbero dovuto scrivere un rapporto articolato sui punti forti e soprattutto quelli deboli del piano energetico, aggiungendo una serie di considerazioni personali su come avrebbero risolto o ridotto al minimo gli sprechi, nel tentativo di rendere il paesino più funzionale e auto-sufficiente. Una parte facoltativa della prova, invece, richiedeva una generalizzazione del modello energetico ideato per il caso specifico in modo da renderlo applicabile anche a realtà più grandi, come città industriali o rurali di medie dimensioni. Era davvero un compito arduo, non solo perché il progetto doveva avere ordine e coerenza, ma anche perché avevano solo sei ore a disposizione per scandagliare il sistema di approvvigionamento della cittadina in ogni sua piccola parte, inclusa la visita alla centrale idroelettrica. La giornata, un gelido sabato mattina, cominciò presto; le quindici matricole furono lasciate alle porte del paesino di primo mattino e lasciati liberi di muoversi all’interno di esso come meglio avrebbero ritenuto fino alle tredici, orario in cui era stata fissata la visita alla centrale elettrica che, per ovvi motivi di sicurezza, avrebbero fatto tutti insieme accompagnati dal direttore generale della struttura. Ben avvolti nei loro piumini, pronti a sfidare il freddo e il vento, i cadetti si avviarono a piedi lungo la via principale della città, separando poi le loro strade a poco a poco.
Il tempo passò in fretta. Sofyane ispezionò con cura il sistema idrico, la rete elettrica, l’illuminazione stradale e quella degli edifici pubblici, il sistema di trasporti pubblici. Prese fitti appunti sul suo block notes rivestito di pelle, segnando i punti critici in rosso e quelli di forza in nero. Perse la cognizione del tempo girovagando tra le viuzze del centro storico. Il paese, al contrario di quanto avesse pensato al mattino, era tutt’altro che desolato: all’avvicinarsi dell’ora di pranzo si era riempito di vita, di bambini che giocavano con la neve per strada, di adulti che si affrettavano a comprare gli ultimi regalini ai mercatini natalizi, di golosi che facevano la fila davanti al banco delle caldarroste e di anziani signori che commentavano le notizie del giorno nella piazzetta centrale. Restò lì ad osservare quella gente semplice e a stupirsi di come fosse in grado di cogliere il meglio della vita, di circondarsi di affetti e di piccole gioie, gente che sembrava chiusa in una palla di vetro, lontana da ogni pericolo, da ogni preoccupazione. Si chiedeva se sarebbe mai riuscita a vivere anche lei così un giorno, se sarebbe mai riuscita ad essere una persona normale.
Quando guardò finalmente l’orologio cominciò a maledirsi a voce alta. Era davvero tardi e per quanto ne sapesse, non c’erano autobus che fermassero nella zona della centrale elettrica, che si trovava molto fuori mano. Cominciò a correre a più non posso, arrivando davanti ai cancelli della centrale alle 13.01, affannata e con il cuore a mille, appena un attimo prima che i compagni, arrivati lì già da un pezzo, varcassero la soglia del candido edifico bianco. La struttura risaliva alla prima metà del novecento, era la centrale idroelettrica più antica al mondo ancora in funzione, e sorgeva su una piattaforma di metallo in mezzo al fiume, collegata al canale di derivazione attraverso delle eleganti arcate di pietra. Le turbine, messe vorticosamente in movimento dall’acqua fluente, facevano un rumore assordante e rendevano l’atmosfera, in quel piccolo scorcio di fiume immerso tra le montagne innevate, ancora più surreale.
<< Scusatemi! Scusatemi!>> urlò senza più un briciolo di fiato in gola agitando le mani nella direzione dei colleghi << ad un certo punto penso di aver smesso di guardare l’orologio>>. Mark la accolse con un sorriso, dandole una pacca sulla spalla, mentre gli altri si affrettarono a dirle di non preoccuparsi, ché in fondo non erano ancora partiti. Tutti si aspettavano che Lee l’avrebbe redarguita, che le avrebbe detto, col suo tono arrogante e supponente, quanto fosse stata folle e irresponsabile a presentarsi alla centrale a quell’ora, che se fosse arrivata anche un solo minuto più tardi avrebbe perso l’occasione di fare il giro di perlustrazione e quindi mandato a farsi benedire la prova, giocandosi l’ingresso alla squadra di ricognizione. E invece no: le lanciò soltanto un’occhiatina distratta e poi diede il via libera al direttore generale per far entrare le matricole.
Sofyane, invece, quell’indifferenza se la aspettava: dopo la chiacchierata che avevano fatto nelle cucine davanti alla cioccolata calda, una settimana prima, l’uomo non le aveva più rivolto la parola, né aveva mai incrociato il suo sguardo, neanche per sbaglio. Sembrava che si fosse semplicemente dimenticato della sua esistenza. Poco male, pensò lì per lì: meno strigliate, meno stress, migliori risultati sul lavoro.
Il tour della centrale elettrica fu molto interessante e durò relativamente poco: il direttore mostrò loro il sistema di derivazione dell’acqua fluente, proveniente direttamente dalle montagne, quello della turbine che giravano senza sosta e l’alternatore ad esse collegato, che riusciva a generare al massimo delle sue possibilità una potenza di 500 kWp e infine il trasformatore, che portava l’energia in città attraverso i tralicci e la rete elettrica. Alle 15.30 erano tutti già fuori, pronti per partire alla volta della sede centrale del dipartimento per cominciare la parte più complessa della prova. Il pranzo era stato rimandato ad ora da destinarsi.
Sofyane rientrò per la prima volta nella stanzetta in cui mesi prima aveva sostenuto il test d’ingresso con Mark, dove per la prima volta aveva incontrato Dahl e i due subordinati, dove aveva ricevuto la prima ramanzina di Shaw per aver raccolto uno dei fogli caduti a terra. Non era cambiato solo il clima da allora, diventato decisamente più rigido e inclemente, ma anche la sua opinione di se stessa: quel muro di certezze e di superbia dietro cui si nascondeva si era sgretolato, lasciando intravedere il suo lato più insicuro, più umano. Non era la stessa persona che era partita dalla base qualche mese prima, era diventata più consapevole dei propri limiti e delle proprie debolezze, del fatto che non tutto al mondo le dovesse essere concesso, che c’erano cose che si doveva guadagnare col sudore della fronte.
Quattro ore e molti fogli imbrattati dopo, Sofyane era fuori dalla angusta saletta. Era tutto sommato soddisfatta della sua prova; aveva elencato con ordine tutte le lacune notate durante la sua prolifica esplorazione mattutina e aveva giustificato e spiegato nel dettaglio tutte le misure che avrebbe messo in atto per ridurre gli sprechi: riparazione di tubi in perdita, utilizzo di materiali termoisolanti per la costruzione di scuole e uffici, illuminazione stradale intelligente, capillarizzazione della raccolta differenziata dei rifiuti, implementazione dei mezzi di trasporto pubblici a scapito di quelli privati, installazione di nuovi e più potenti pannelli solari e tanti altri. La parte facoltativa avrebbe potuto essere più precisa e meno campata in aria, ma tutto sommato, considerando il tempo limitato che le era stato concesso, era soddisfatta anche di quella. Attese che consegnassero anche i suoi compagni di sventure e poi si diresse insieme ad essi in mensa, affamata al punto da poter mangiare anche i tavoli e le sedie, se fossero stati commestibili. A tavola i ragazzi si confrontarono svogliatamente sul compito appena svolto, erano troppo stanchi per mettersi a pensare a cosa avrebbero potuto fare diversamente e ancora troppo lontani dalla meta per poter fare pronostici, quindi decisero di finire le proprie meritate birre e poi di concedersi un sonno ristoratore in attesa della altrettanto estenuante prova pratica, che si sarebbe tenuta due giorni dopo.
<< Hai sentito della novità Sof?>> chiese Mark, facendo un sorso della chiara insipida dal suo bicchiere, << pare che per la notte della vigilia di Natale l’ultimo piano della Tower of Lights sarà aperto ai visitatori>>.
La ragazza si voltò di scatto verso l’amico con gli occhi pieni di gioia, << cosa? Dici sul serio?>>.
<< Sì, l’ho sentito dire anche io>> si intromise greve Natasha << ma i posti disponibili erano davvero pochi, i biglietti sono andati a ruba dopo appena un’ora dall’apertura dei botteghini. Mi dispiace Sofy, mi sa che anche stavolta non riuscirai a goderti il panorama da lassù>>.
Il viso della ragazza si oscurò di nuovo. << Per un attimo mi ero illusa>> disse sospirando, poi aggiunse con ottimismo forzato << beh, poco male, vorrà dire che avrò più tempo per stare con la mia famiglia; e poi sono giovane, ho ancora tutta la vita davanti per salire lassù, no?>>.
Prima che i ragazzi potessero alzarsi per raggiungere le proprie stanze, furono trattenuti dal direttore Dahl, che si fermò al centro della stanza per fare un annuncio a sorpresa: oltre alla prova a circuito già prevista, ci sarebbe stata un’ulteriore prova fisica da sostenere. L’uomo non fornì altre spiegazioni, dato che l’intenzione del dipartimento era quella di saggiare le capacità delle matricole davanti a imprevisti e situazioni inaspettate, ma aggiunse che la prova era stata pensata dal vice-ministro dell’interno in persona, Djogo Martines e che quindi era importante prepararsi al meglio per affrontarla. Un chiacchiericcio indistinto si sollevò dal tavolo appena l’uomo uscì dalla stanza: chissà di cosa si tratta, chissà cosa ci faranno fare stavolta, hanno davvero voglia di torturarci, addirittura pensata dal vice ministro in persona. Conoscendo la sinistra fama che si era guadagnato Martines tra le alte sfere del governo, e dell’Agenzia, Sofyane si aspettava qualcosa di particolarmente cruento. In fondo, anche se il loro lavoro era decisamente diverso da quello delle forze dell’ordine, il dipartimento di Ricognizione e Bonifica era pur sempre una estensione dell’esercito. Si perse tra i suoi pensieri e le sue teorie, ignorando completamente i suoi colleghi, che continuavano ad agitarsi senza trovare pace e a parlarsi l’uno sull’altro senza alcuna soluzione di continuità. Non si acquietarono neanche quando Shaw e Lee si avvicinarono al loro tavolo.
<< Il capo ci ha appena detto in cosa consisterà la prova a sorpresa>> sghignazzò il biondo con un malefico sorriso stampato in faccia, << vi consiglio di cominciare a prepararvi psicologicamente, sarà un vero massacro!>>.
<< Cavolo, dateci almeno un indizio! Non potete lasciarci brancolare nel buio!>> pregò Bianchi seduto in fondo al tavolo, appoggiato poi da Mark e Freeman.
<< Anticiparvi di cosa si tratta e poi perdermi tutto il divertimento? Giammai!>> replicò assottigliando lo sguardo Leeroy, in segno di sfida. Volarono sbuffi, lamenti e anche qualche insulto, era tornato di nuovo il caos.
<< Tu>>, tuonò ad un certo punto Lee rivolgendosi a Sofyane, facendo placare nuovamente tutta la brigata. La ragazza però non lo sentì, così come non aveva sentito una sola parola di quello che era stato detto dopo l’annuncio di Dahl. Stava riflettendo sulla faccenda di Martines, l’obiettivo ultimo della sua missione, giocherellando con i fili della felpa azzurra.
Mark la risvegliò con una gomitata. Sofyane scosse il capo e rivolse uno sguardo interrogativo a Mark, che, con un rapido movimento di sopraciglia, le indicò Lee, che la fissava a braccia incrociate a poca distanza.
<< Si, signore! Mi dica>> fece Sofyane a voce alta, cercando di nascondere l’imbarazzo per aver incrociato per la prima volta da giorni i suoi occhi scuri.
<< E’ tornata tra noi, a quanto pare, ottimo! Ora ascolti bene quello che ho da dirle Bertrand, ché non ho intenzione di ripetermi: cerchi di non inscenare uno dei suoi soliti, ridicoli spettacolini durante la prova a sorpresa. So che è una inclinazione naturale per lei e che non riesce proprio a farne a meno, ma dopodomani è l’ultimo giorno di lavoro dopo sei settimane a dir poco estenuanti, quindi tenti, almeno tenti una volta nella sua vita, di non essere una palla al piede per tutti quanti noi e lasci che le cose vadano come devono andare. Si faccia una camomilla, se è il caso>> disse quello enigmatico. Poi, senza nemmeno aspettare che la donna replicasse, girò le spalle e si diresse verso l’uscita.
Sofyane rimase a bocca spalancata, immobile, ancora con i fili della felpa intrecciati tra le dita, osservata come un animale da zoo da tutti i commensali, tra risatine soffocate e commenti divertiti.
Sentì le gote ardere di rabbia, lo stomaco contorcersi in una rumorosa stretta, le mani tremare senza sosta e il respiro farsi pesante.
Ridicoli spettacolini. Palla al piede. Camomilla. Aveva usato proprio quelle parole, pronunciandole ad alta voce davanti a tutti i suoi compagni e superiori, usando un tono violentemente sarcastico e derisorio, con la precisa intenzione di ferirla, di umiliarla, di farla sentire piccola e stupida. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime; le ricacciò indietro con tutta la forza di cui disponeva: non gli avrebbe dato anche la soddisfazione di averla fatta piangere, nessuno l’aveva mai avuta e lui di sicuro non sarebbe stato il primo. Si alzò compostamente dal tavolo stringendo i pugni, salutò i suoi colleghi con un cenno del capo e si diresse verso la sua stanza. Aveva il cuore avvelenato. “Stupida! Stupida! Stupida!” continuava a ripetersi senza sosta, respirando profondamente. Cosa aveva pensato che significasse quello che era successo la settimana prima in quella cucina? Cosa aveva pensato li avesse uniti quel giorno nelle fogne, sotto metri e metri di macerie? Cosa credeva sarebbe successo, una volta che avessero avuto un momento per parlare? Ora lo sapeva: nulla, assolutamente nulla. Era chiaro come il sole che l‘uomo, in tutto quel tempo, l’avesse appena tollerata, sopportata, giusto perché era un suo superiore e non avrebbe potuto fare altrimenti. Ora che l’addestramento stava arrivando ad una fine, il superiore aveva dato voce senza remore ed insincerità a tutti i suoi sentimenti, a tutto quello che provava e pensava di lei. E per renderlo chiaro alla diretta interessata l’aveva prima ignorata per giorni, poi umiliata nel modo più terribile che si potesse immaginare. Lo detestava, lo detestava con tutte le sue forze. Se l’avesse avuto tra le mani lo avrebbe ucciso, di sicuro. Se fino ad allora Sofyane Bertrand aveva ingoiato più di qualche rospo, se era riuscita a far assopire per un po’ il suo lato cinico e calcolatore, se aveva pensato di provare qualcosa per quell’uomo così freddo e distante e si era convinta che forse non c’era niente di male a scoprirsi fragili, adesso Hadiya De Wit stava tornando più spietata di prima per rimettere a posto le cose, per riprendersi tutto ciò che le era stato tolto, per avere la propria rivincita, in un modo o nell’altro.

Due giorni dopo, la prova di resistenza fisica si svolse come da programma: una corsa lungo un percorso accidentato di cinque chilometri, una sessione di sollevamento pesi in palestra, una arrampicata sulla parete finta e una prova di apnea nel vicino laghetto artificiale. Sofyane superò la prova senza grossi problemi, così come, chi più agevolmente, chi meno, anche il resto della combriccola. Il momento tanto atteso, e allo stesso tempo temuto, arrivò nel pomeriggio, quando Dahl convocò le matricole in palestra, facendole disporre ai lati di un enorme tatami blu disteso al centro della sala. Su di esso campeggiavano trionfali due bokken da addestramento. L’uomo prese in mano il megafono a cui Shaw era tanto affezionato, bevve un sorso d’acqua, si schiarì la voce e disse: << Per farla breve, questa prova a sorpresa servirà a scegliere i membri della squadra operativa ed, eventualmente, il futuro capo squadra>>.
Le reclute si guardarono negli occhi perplesse, poi cominciarono a fare commenti sotto voce, creando di nuovo quel fastidioso brusio udito anche qualche sera prima in mensa.
L’uomo fece cenno con le mani ai cadetti di restare in silenzio, poi riprese: << Data la gravosità della prova, in questi due giorni ho contrattato in prima persona con il vice ministro affinché potesse farvi qualche sconto e alla fine, dopo un lungo botta e risposta, sono riuscito nel mio intento. Il test è diventato, dunque, assolutamente facoltativo; chiunque abbia già deciso di voler fare lavoro d’ufficio e attività di ricerca o chi, semplicemente, non se la sente di affrontarla, può tranquillamente tirarsi indietro e godersi le proprie meritate vacanze aspettando fino a metà gennaio il risultato del test canonico. Chi, invece, volesse far parte di coloro che condurranno i giochi sul campo o volesse diventare capo squadra, può tentare la sorte oggi. Vi dico sin da subito che durante questa prova non saranno fatti sconti; età, sesso, estrazione sociale, nulla avrà più significato una volta che sarete saliti su questo tatami. Detto questo, arriviamo al punto. Dovrete disputare, a turno, dei semplici combattimenti corpo a corpo contro il nostro esperto, il qui presente signor Lee Tae Jun. Inutile dirvi che l’obiettivo sarà metterlo KO, ma dato che dubitiamo che qualcuno di voi possa riuscirci, ci accontenteremo solo di vedere un match equilibrato, o meglio, non troppo squilibrato. Sono ammessi tutti gli stili di combattimento, da quelli orientali allo street fighting, potrete anche ballare la capoeria se lo riterrete necessario o mirare sotto la cintola, l’importante è che non usiate armi, né tirapugni, né coltellini, nulla che non sia il bokken che vedete sul tappeto. Mi sembra scontato dire che non potete uccidere il vostro avversario; per il resto, tutto è consentito. L’incontro verrà dichiarato terminato quando uno dei due contendenti resterà al tappeto per più di dieci secondi o se decidesse di ritirarsi. Adesso, chiunque voglia cimentarsi in questa ardua impresa può disporsi in fila davanti al banchetto del signor Shaw, che vi farà firmare un consenso informato in cui, in pratica, scarichiamo su di voi ogni responsabilità se doveste finire in ospedale. Buona giornata e buon Natale a tutti!>>.
L’uomo spense il megafono e si andò a sedere, agitato, su una delle sedie disposte intorno al tappeto gigante, aspettando che il funzionario biondo finisse di sbrigare le ultime pratiche, per poi dare il via a quella barbarie. Se i suoi rapporti col vice ministro fossero stati meno tesi avrebbe sicuramente fatto un esposto direttamente al ministro dell’interno per impedire una simile efferatezza, ma dato che la sua situazione era già complessa, aveva ritenuto saggio non peggiorare ulteriormente le cose e restare in silenzio. Entro i limiti, si intende.
I cadetti si guardarono negli occhi spaventati per almeno cinque minuti; nessuno aveva il coraggio di esprimersi per primo, né in un senso, né nell’altro. Ci pensò Mark, come quasi sempre succedeva, a rompere il ghiaccio e a dire con grande entusiasmo: << Signori, è stato un vero piacere conoscervi! Io vado a fare le valigie e me ne torno a casa dalla mia famiglia. Sento già l’odore delle delizie che avrà preparato mia nonna per il cenone della Vigilia>>.
Tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata, poi, poco a poco, dieci di loro, compresi Natasha e Bianchi, si accodarono al ragazzo, decidendo che per loro era sufficiente una tranquilla vita dietro ad una scrivania; si sedettero sulle sedie disposte alle spalle di Dahl. Sofyane rimase immobile, a metà strada tra i compagni meno avventati che si erano già seduti e il banchettino di Shaw, dove altri tre omaccioni, insieme a Freeman il geologo, desideroso di lavorare sul campo, si erano già messi in fila per firmare il consenso. La ragazza guardò velocemente nelle due direzioni: da una parte c’erano Mark e Natasha che le facevano segno di andarsi ad accomodare accanto a loro; dall’altra c’era Lee, che la stava guardando in cagnesco con gli occhi stretti e la fronte corrugata.
Capì che l’ultimo briciolo di buon senso di Sofyane l’aveva definitivamente abbandonata, quando, dopo essere arrivata al cospetto di Shaw, fece una H sulla linea in fondo al foglio. Cancellò la lettera, poi scrisse in calce: Sofyane Bertrand.

Lee non impiegò molto tempo a mettere al tappeto i primi quattro contendenti; solo il secondo, tale Rukinic, gli aveva creato qualche problema in più, ma nulla che non fosse riuscito a risolvere agevolmente con un minimo di sforzo. I presenti rimasero profondamente stupiti dall’abilità dell’uomo, che, nonostante fosse stato lui stesso nelle precedenti settimane ad insegnare e a raffinare le tecniche di kung fu e street fighting alle reclute, non aveva mai mostrato il suo pieno potenziale; del resto, non ce ne era mai stato alcun bisogno essendo tutti i cadetti poco più che dei principianti. Quasi tutti.
La ragazza aveva indossato di nuovo la tuta sportiva con cui Lee l’aveva beccata la settimana prima a tirare pugni al sacco in palestra; aveva immerso le mani nel gesso bianco e avvolto le dita nelle solite fascette di protezione. Fece qualche leggero esercizio di stretching e respirazione, poi attese in silenzio la fine dell’incontro precedente. Era consapevole che non avrebbe giocato al massimo delle sue possibilità: non solo la mattina aveva sostenuto la prova a tempo, che, per quanto relativamente semplice, l’aveva comunque affaticata, ma soprattutto erano mesi che non faceva l’allenamento speciale alla base, perdendo tono muscolare e prontezza nei riflessi.

Quando arrivò il suo turno, Sofyane rivolse un ultimo sguardo ai suoi compagni di avventura per cercare conforto e sostegno; li trovò tutti lì, sorridenti e con le dita incrociate a fare il tifo per lei. Quella vista le diede una grande carica. Salì sul tatami, fece un inchino al suo avversario, che si inchinò a sua volta, e poi si dispose in posizione di difesa. I due rimasero a girarsi intorno e a studiarsi con attenzione per un paio di minuti, poi la ragazza fece la sua prima mossa. Si avvicinò e sferrò un pugno, facilmente scansato dall’avversario. L’uomo a suo volta cominciò a colpire senza troppa foga la ragazza, mirando sempre al volto; questa inizialmente schivò i colpi, poi ne prese qualcuno dritto in piena faccia. Così, sentendosi in vantaggio, Lee cominciò a colpire basso, usando la tradizionale tecnica di Kung Fu del Nord, sferrando calci e pugni con movimenti fluidi ma potenti. Dopo dieci minuti dall’inizio dell’incontro sembrava già chiaro chi avrebbe avuto la meglio. Lee decise di chiudere in fretta la questione, immobilizzò l’avversaria arrivandole alle spalle e la trascinò con se a terra, aspettando che il giudice di gara facesse partire il conto alla rovescia. I due si trovavano faccia a faccia stesi sul pavimento: il funzionario la teneva stretta per le braccia, bloccandole con forza le gambe, mentre la matricola restava immobile e sofferente nella sua morsa. Quando il countdown arrivò a sette, Lee vide gli occhi dell’avversaria assottigliarsi e un sorriso sornione comparirle sulle labbra. Tutto ad un tratto, senza che l’uomo riuscisse neanche a rendersene conto, la donna riuscì a divincolarsi scaraventandolo con forza sul tatami. La situazione si era ribaltata: era Lee, ora, a guardarla dal basso in alto, col fondoschiena a terra. La ragazza lo provocò assumendo un’espressione divertita, alzò il sopracciglio e l’angolo della bocca destro, poi gli si lanciò addosso e inflisse una serie di colpi ad alta velocità. Lee riuscì a schivarne la maggior parte, poi cominciò ad prenderne qualcuno in viso e sulle ginocchia. Si allontanò della ragazza, si sgranchì il collo inclinandolo a destra e a sinistra, poi si preparò ad un nuovo, deciso attacco: aveva capito che l’avversaria che aveva di fronte non era da sottovalutare. Quello che successe nei minuti successivi sarebbe stato difficile da raccontare anche per chi ne era stato diretto testimone: i due cominciarono un lungo ed appassionante scambio di colpi, fatto di pugni, calci e salti all’indietro, uno scambio in cui i due corpi sembravano muoversi in sincronia, uno in modo complementare all’altro, quasi come se si stessero esibendo in una elegante, ma sanguinosa danza orientale. La magia fu interrotta quando, dopo essersi ritrovata sul fondo del tatami di schiena, Sofyane prese con la mano destra il bokken alle sue spalle e si rimise in piedi con un poderoso salto in avanti. Fece lo stesso anche il suo avversario, così cominciarono un nuovo atto di quella strana coreografia, ora impegnati a scambiarsi dei fendenti e dei colpi poco cortesi nelle parti basse, con la spada. Sofyane prese con le mani le due estremità della katana di legno, riuscì a far passare attraverso il cerchio costituito dalle sue braccia e dall’arma quella dell’avversario, poi lo disarmò con un rapido movimento all’indietro. Dopo aver lasciato l’uomo inerme, prese ad assestare diversi colpi all’addome, poi agli arti inferiori. Colpiva con una furia cieca, lasciando che tutta la rabbia che aveva accumulato in quei due giorni, dopo essere stata pubblicamente umiliata, venisse fuori e si scagliasse senza pietà sul superiore. Quando pensava di essere finalmente riuscita a metterlo al tappeto, il funzionario la colpì alla caviglia dal basso, facendola cadere a terra e disarmandola a sua volta. L’incontro divenne ancora più cruento. Lee le diede una ginocchiata dritta nella parte bassa dell’addome, facendola piegare in due dal dolore, poi le diede una gomitata a due braccia sulla schiena, facendola precipitare rovinosamente. La rialzò da terra tirandola su per la stoffa della maglia, poi le diede un pugno in pieno volto che le fece sputare sangue. Ormai entrambi aveva il viso completamente devastato, ricoperto di lividi, sangue e ferite, ma nonostante ciò nessuno dei due accennava a fermarsi. Sofyane cercò di rispondere come poteva, ma il dolore era diventato troppo forte e l’uomo la mise di nuovo al tappeto. La recluta aspettò qualche secondo per riprendere fiato, poi si divincolò di nuovo dandogli una poderosa testata che per un attimo gli fece perdere i sensi. I due si rialzarono, si sistemarono alle due estremità del tappeto e cominciarono a guardarsi intensamente, reggendosi i fianchi con le mani e cercando di asciugarsi con i vestiti il sangue che sgorgava dagli orifizi.
<< Forza Sofyane!>> urlò dalla tribuna Mark, cercando di spronare l’amica a resistere ancora un po’.
<< E’ assolutamente alla sua altezza, Freeman! Può farcela cazzo, può farcela!>> disse poi entusiasta al geologo vicino di posto.
L’uomo lo guardò scuotendo il capo, poi gli prese il viso con la mano destra e lo costrinse a guardare meglio. << Guardali bene, Mark. Sofyane è distrutta, ha il fiatone e non riesce nemmeno a reggersi in piedi, Lee invece è sicuramente messo male, ma ha molte più energie e forze da spendere. La nostra amica potrà anche cercare di resistere con tutte le sue forze, ma, mi dispiace dirlo, a breve sarà costretta a capitolare>>.
Mark rimase profondamente deluso dal resoconto che gli aveva fatto il collega; sperava sinceramente che l’amica riuscisse a prendersi la meritata rivincita sul superbo e orgoglio funzionario, ma, purtroppo, osservando meglio i due contendenti, non poté fare a meno di dare ragione al geologo: la ragazza non avrebbe resistito ancora a lungo.
Sofyane si preparò a sferrare un nuovo attacco: cercò di immobilizzare l’avversario prendendolo da sotto le ascelle, ma l’altro lesse in anticipo le sue intenzioni e riuscì a evitare il colpo bloccandole a sua volta le braccia. Si ritrovarono, alla fine, entrambi piegati in avanti con la testa dell’uno poggiata nell’incavo del collo dell’altro a guardare in basso, con le braccia a tenere ferme le spalle, spingendo con tutte le loro forze per far cadere all’indietro l’avversario.
<< Che diavolo stai facendo?>> chiese con un filo di voce Lee.
<< Cerco di batterti. E’ questo lo scopo della prova, no?>> disse la donna stringendo i denti per non cedere sotto la spinta dell’altro. Erano le prime parole che si scambiavano da quando avevano parlato quella notte in cucina, esclusa la strigliata fatta in mensa qualche giorno prima, in cui però, fondamentalmente, aveva parlato solo Lee.
<< Arrenditi Bertrand, sai benissimo anche tu che dovrai capitolare. Ti stai solo facendo del male così>>.
La ragazza non rispose, ma prese a spingere con maggiore forza, sentendo un dolore lancinante al torace che non la faceva respirare. Probabilmente aveva qualche costa rotta.
<< Ti avevo chiesto di non fare sceneggiate, ti avevo chiesto di agire con maturità e giudizio una volta tanto. Smettila di fare la ragazzina e arrenditi, devi andare in ospedale prima che finisca per romperti qualcosa>> disse quello di nuovo con tono sprezzante.
A quel punto Sofyane non ci vide più. Usò tutta la forza che le era rimasta in corpo per sollevare il suo avversario e farlo planare dietro di lei a schiena a terra, poi si girò rapida e gli bloccò le braccia e le gambe con il peso del suo corpo. Ora erano di nuovo faccia a faccia.
<< Preferisco morire ora piuttosto che arrendermi>> gli sussurrò la ragazza con gli occhi carichi di rabbia. Il giudice di gara fece partire il conto alla rovescia. Le matricole sugli spalti si sporsero sui bordi delle sedie per seguire meglio il match; la tensione era veramente alle stelle, l’esito dell’incontro era quanto mai incerto.
Quando il giudice arrivò a meno quattro, Lee fece un respiro profondo, la guardò intensamente negli occhi, poi le disse sottovoce: << Non mi lasci altra scelta>>. Si liberò dalla morsa della donna, rotolò su di lei fino a che si ritrovarono nella posizione opposta alla precedente, poi le diede un pugno nello stomaco. Sentì che la ragazza continuava a dimenarsi, così gliene diede un altro, e poi un altro ancora, fino a che non sentì la pressione sotto il suo corpo allentarsi, fino a scomparire. Sofyane aveva perso conoscenza.
L’uomo raccolse le ultime forze per alzarsi in piedi, facendo pressione sull’ematoma che gli si era formato sull’addome, aspettò che il giudice di gara contasse fino a dieci, poi si accasciò anche lui, distrutto, accanto all’avversaria priva di sensi. Il match era finito. Lee Tae Jun aveva vinto.
   
 
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