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Autore: Rhona    12/03/2017    0 recensioni
Parigi, 1772.
I poveri sono stremati. Tutti ripongono le loro speranze nel Delfino, il futuro re, e nella sua nuova sposa, tanto amata dal popolo quanto odiata nella corte.
Poi ci sono loro...Pierre: uno scassinatore belloccio ma piuttosto stupido. Henri e Philippe: ladri di strada, gente dalle mani leggere e vellutate. Mathieu: l' orfano del mugnaio della Cité. Gilbert: un bracciante fuggito dal sud e approdato nella capitale. Jean: un vecchio mendicante che suona il violino sul sagrato di Notre Dame per quattro spiccioli di elemosina. Edouard e André: amici dal momento in cui sono nati in due case attigue, ma fin troppo diversi. Ognuno di loro fa parte di un gruppo, una banda, una strana combriccola di saltimbanchi che rubano e donano: la banda di Monsieur Dubois.
Scelte disumane, tragedie familiari, pregiudizi. Onore ai nobili, fasti di corte, lussuria. Amori impossibili o non corrisposti, un segreto tenuto nascosto per più di vent'anni... E la rivoluzione che, inesorabile, si avvicina.
«Ma chi credete di essere?!» chiese ridendo «Robin Hood, forse?!» Lui sorrise, le scostò i riccioli castani dall’orecchio e le sussurrò «Io sono Dubois.»
NOTE: ispirata in parte al classico ideale del “ladro-gentiluomo”.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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11. Un uomo della mia compagnia
 
 
17 marzo 1774

 
Marie Antoinette passeggiava con un’andatura lenta, svogliata, misurando passo per passo la strada percorsa. Strusciando le gambe a fatica e fissando il vuoto scese la scalinata dietro la reggia, affollata di nobili leccapiedi che toccarono terra con le ginocchia vedendola, mentre, distratta e disinteressata al discorso,  dava ad intendere alla principessa Sophia  tutt’altro.  «Non siete d’accordo, Vostra Altezza?»
«Ovviamente, concordo su tutti ciò che avete detto.» recitò magistralmente. Dietro di lei c’erano Mademoiselle Genet e Madeleine. La prima le mimò con le labbra “C’è di peggio, consolatevi”. Marie Antoinette trovava difficile figurarsi qualcosa di peggiore della principessa Sophia in vena di chiacchiere.
«Oh! E sapete quali sono le novità da Parigi? Notizie fresche fresche, arrivate stamattina, prima di pranzo!»
«Quali novità?» chiese distaccata.
«Hanno arrestato un uomo di Dubois. Un gruppo di suoi uomini era al ballo del Duca De La Rochelle fra i quali si dice ci fosse Dubois in persona, non so come ma sono riusciti a catturare un ragazzo che era rimasto indietro. Dicono sia un ragazzotto malfamato e con gli occhi indemoniati.»
Udì Madeleine trasalire. «Finalmente! Ma è proprio Dubois?»
«No, un certo Meunier.»
«Ho paura che allora vorrà vendicarsi... verrà giustiziato?»
«Ovviamente. Ho sentito che volevano usarlo come esca per catturare gli altri, ma poi s’è deciso di buttarlo in una cella angusta nella Bastiglia e giustiziarlo fra quattro giorni.»
«Mi domando perché non subito.» osservò con una freddezza che non le apparteneva. Doveva tuttavia ammettere che i malviventi di Parigi le facevano paura, soprattutto quelli come Dubois. Erano il segno del malcontento del popolo: e se il popolo era affamato, era arrabbiato. Se il popolo era arrabbiato era in vena di rivolte. E se la rivolta sfuggiva dalle mani, si tramutava in rivoluzione. Giustiziando chi voleva sovvertire l’ordine costituito (come Dubois), si giustiziava la rivoluzione. “Oddio Antoinette! Che cosa pensi? Rivoluzione! Sii realista, non vivi in uno dei romantici mondi raccontati nelle novelle, dove la regina si innamora del rivoluzionario! Povero ragazzo...” non esistevano ragazzi dagli occhi indemoniati, solo dall’espressione affamata. E lei doveva ammettere di non capire bene cosa quel ragazzo provasse davvero: non aveva mai visto un uomo affamato. Si sentì in colpa per la sua fame, prima ancora di rendersi conto di non essere lei la responsabile: né poteva essere definita una regina. Certo era la futura regina, ed essendo morta colei che la precedeva era la premiére dame di Francia, ma aveva l’influenza per ottenere abiti ricchi e pomposi, non per risolvere il problema della fame. Ma neppure la fame poteva del tutto giustificare l’atto di ribellione. E Dubois le faceva paura; si diceva che fosse l’uomo più bello che si potesse mai incontrare: tanto bello quanto malvagio. Circolavano voci di vecchie baronesse vedove illuse, di giovani promesse spose sedotte... fra queste giovani, a breve, poteva esserci Madeleine... povera ragazza, tormentata da un seduttore indesiderato. Più volte Antoinette si era interrogata su quali sensazioni fossero generate in una donna da un lussurioso sguardo maschile. Faticava ad ammetterlo, e lo faceva solo in momenti di raro eccitamento, ma agognava uno sguardo del genere da parte di suo marito: non che Louis fosse particolarmente attraente, ma essendo suo marito era l’unico a cui poteva concedersi. Il cappellano diceva che l’adulterio, anche solo pensato, era un peccato di cui pentirsi amaramente e da confessare immediatamente, senz’indugio, ché se il Giudizio suo fosse giunto prima del previsto, sarebbe di sicuro stata condannata all’eterna dannazione. Eppure conservava con particolare cura e attenzione il ricordo di un vago ed accennato sguardo a metà fra l’amore e la lussuria, sugli occhi azzurri e sul volto regolare e nordico di Hans Axel von Fersen. A volte fantasticava di rincontrarlo a un ballo e di parlare e danzare con lui fino all’alba, per concludere magari con un lieve bacio dato a fior di labbra: e nei suoi sogni più belli e privati, quelli che faceva prima di addormentarsi a metà fra conscio e inconscio, non c’era posto per Louis né tantomeno per il cappellano; quando fin troppe volte, dopo gli ormai rarissimi e goffi rapporti sessuali col marito, aveva immaginato Hans Axel che, completamente svestito e steso sul letto dietro di lei, la abbracciava addormentandosi, appena dopo avergli dato un bacio sul collo. A volte si vergognava di queste fantasie; ma quando cadeva nella disperazione si giustificava pensando alla sua rabbia quando non vedeva il marito per giorni interi; giorni che Louis preferiva passare nella bottega del fabbro come una volta. Ma lei aveva rimediato scrivendo a Gluck, il suo insegnante di musica a Vienna: era tutto deciso, avrebbe recitato per la corte l’Ifigenia in Aulide! La corte non avrebbe approvato, ma Antoinette aveva imparato ad ignorarli. Il re d’altra part...
«Altezza, mi state ascoltando?»
«Perdonatemi, ma la notizia mi ha reso pensierosa. Come dicevate?»
«Il ragazzo non è stato giustiziato subito perché si è voluto fare nella piazza antistante a Notre Dame: si dice che nei dintorni ci sia il covo di Dubois, nascosto dalla Senna. Bisogna montare il patibolo e far si che il popolo lo sappia: dobbiamo mostrare a tutti cosa succede se ci si oppone al re.»
«Sono d’accordo.» rispose glaciale: la fame del popolo andava appagata, ma chi osava levarsi contro il re, ordinato da Dio, meritava la morte, chiunque egli fosse e per qualunque ragione lo avesse fatto.
 
 
 
 
18 marzo 1774
 
«Non se ne parla! Non puoi entrare nella Bastiglia è un suicidio.» Edouard batté la mano sul tavolo così forte che André tremò.
«E allora vuoi lasciarlo morire?! Quel ragazzo è come un fratello! Morirei per lui!» gridò l’altro. André era terrorizzato, Edouard lo vedeva bene: gli occhi spalancati e arrossati, le mani tremanti, il respiro agitato. Non dormiva da giorni, era evidente. Aveva cominciato a farsi venire in mente idee disperate, aveva perso la sua peculiare tranquillità e freddezza nel pianificare. Entrare nella Bastiglia era una pazzia: ancora di più farlo mentre tutti erano agitati. Il freddo atto di infiltrarsi e sottrarre cose da un posto implica calma e accuratezza.
«Basta voi due.» li zittì Gilbert. «Non seguiremo chi urla di più: parlate piano.»
«Io cerco di essere ragionevole, ma Edouard preferisce far ammazzare Mathieu.»
Edouard esplose: «Non è questo che dico! Mi ascolti per niente?!»
«Edouard ha ragione: tentare di infiltrarsi in quell’inferno è impossibile.» asserì calmo Gilbert.
«Volete che Mathieu muoia?!»
«NO.» scandì Edouard.
«Corrompiamo le guardie.» implorò André, supplice, seduto sulla sedia di fronte ad Edouard, che era in piedi.
«Non ci riuscirai; le guardie della Bastiglia preferirebbero morire che farsi corrompere.»
«Allora suggeritemelo voi un modo! Ho chiesto a Gaumond, non vuole aiutarci.»
Edouard scosse la testa: «Che te ne fai di Gaumond? È un assassino, ed è buono per far fuori personaggi scomodi, non per condurre assalti.»
«Non parlo di un assalto ma di una fuga.»
«Nessuno dei due è comunque possibile se parli della Bastiglia!» Edouard tornò a gridare.
Gilbert parlò calmo. «Basta, voi due. Non è questa la via da percorrere.»
«Cosa suggerisci tu, eh?!». Edouard non aveva mai visto André in questo stato, neppure quando il vecchio Dubois era morto. Dovette ammettere di esserne spaventato: c’era qualcosa di strano in lui ultimamente, qualcosa che faceva sì che le loro conversazione negli ultimi periodi risultassero vuote, come se André fosse cambiato, cresciuto forse? Forse sì. Edouard, per la prima volta dopo ventiquattro anni, si trovava a dover impiegare argomenti futili con lui per parlare. La conversazione non fluiva più libera come un tempo, e quel che era peggio era che Edouard non si era reso conto di tutto ciò fino a cambiamento avvenuto.
L’altro, chiaro e calmo, espose la sua idea. «Facciamo entrare qualcuno che non desti sospetti.»
«Ad esempio?»
A quel punto Gilbert abbassò lo sguardo, ed Edouard sapeva perché. Ne avevano discusso prima, lui e Gilbert. Non che lui non fosse d’accordo, ma esporre una donna non era onorevole. Gilbert parlò infine, dicendo: «De Bayonne.»
«Madeleine?» chiese basito André.
«Lei non avrebbe problemi ad entrare.»
«Non posso chiederle questo.» scosse la testa, con gli occhi sbarrati.
«Ora chi è che non vuole salvare Mathieu?» sbottò Edouard.
André cercò di decifrate il volto di Gilbert. «Non c’entra Mathieu. Non so cosa trattenga quella donna dal denunciarmi e chiedendo una cosa simile firmerei la mia condanna a morte, se non la nostra. Madeleine m’ha visto in faccia.»
«Se non accettasse saprebbe del complotto e avrebbe i mezzi per sventarlo.» lo difese Henri.
«Ma non c’è altra soluzione. Checché tu ne dica è il modo più sicuro.»
«Non posso farlo.»
Edouard parlò con durezza: «Devi.»
«E se andasse male?»
«Non sarebbe peggio di quello che volevi fare tu.»
«E se lei venisse coinvolta?» chiese spaventato.
«È  un rischio da correre, André. Scegli: la sicurezza di una donna che ti disprezza o la vita di un uomo della tua compagnia
 
 
 
 
Dubois entrò a Versailles  scavalcando l’alta e preziosa recinzione di metallo. Senza il domino, con un semplice pastrano col cappuccio calato sul viso e con una maschera nella borsa. Salì su un albero. Non ne andava fiero ma sapeva che Madeleine passava di lì verso sera, a passeggiare, spesso da sola. Non sapeva cosa le avrebbe detto. Forse non avrebbe avuto il coraggio di dirglielo, forse non sarebbe passata di lì, o forse non sarebbe stata sola. Non era in vena di conversazioni: erano questi i momenti in cui sentiva la mancanza di un sostegno. Mathieu non riusciva a mandare notizie, non gli facevano inviare lettere. Aveva pensato di mandare Louise, chiedendo alla donna del bucato di farsi sostituire da lei; povero stolto, non aveva pensato che Mathieu non avrebbe avuto bisogno del bucato. Con lo sguardo buttato verso lo stradino vide passare una donna prosperosa, piuttosto vecchia, che parlava con un ufficiale di mezza età. Intorno ai trent’anni, forse qualcosa in meno. Guardando l’uniforme si rese conto che non era un semplice ufficiale ma era il capitano delle guardie di palazzo. Alain De Bayonne. Era un bell’uomo, lo riconobbe, gli parve perfino più bello di lui, se ben ricordava il suo riflesso negli specchi delle case nobiliari. Parlava con un sorriso dolce alla donna. Era troppo vecchia per essere la moglie, doveva essere la madre. «...ne ho parlato con il tenente, non ci saranno problemi.»
«Bene, sai quanto io e tuo padre ci teniamo. E a proposito: tua moglie?»
«Cosa volete sapere?» chiese l’altro con aria seccata.
«È  finalmente incinta? Tua suocera m’ha detto che non ha avuto il suo mestruo il mese scorso e che ha i seni più pieni.»
Lui reagì dimostrando disgusto: «Preferirei che non parlaste con me di certe condizioni femminili, madre.»
«Dopo quasi dieci anni di matrimonio non dovrebbe più imbarazzarti parlarne fra noi due. Allora lo è?»
André si fermò a pensare a quando si sarebbe sposato... lo avrebbe mai fatto? Probabilmente no, che donna poteva volerlo seguire in una vita tanto rocambolesca quanto pericolosa? Nessuna. Ora la vera domanda era se a lui dispiacesse o no. A volte aveva l’impressione di aver bisogno di una donna con cui condividere un letto, di addormentarsi sulla spalla di lei, altre invece credeva di star benissimo da solo. «Non lo so, madre. È  successo altre volte: il ciclo si interrompe, sembra ingrassare, avverte... dolori al seno e ha la nausea; ma non è mai nulla.»
«È sterile come una pietra, Alain. Dovrai chiedere l’annullamento se vuoi un erede.»
«Non parlate così di lei. Le voglio abbastanza bene da non abbandonarla.»
«Il matrimonio di un uomo nobile non è dettato dall’amore, sai bene che dobbiamo inchinarci ad altre priorità...» così parlando passarono oltre. André attese parecchio. Tanto da rivedere la donna con De Bayonne  che tornavano indietro. Quella donna doveva essere la madre di Madeleine, rifletté. Tirò su col naso, piano, senza farsi sentire... forse aveva il raffreddore, o forse era solo febbre da fieno. Sentì dei passi, stanchi. Madeleine sembrava triste. Passeggiava lentamente, aveva un fazzoletto bianco in mano, e gli occhi gli parvero arrossati. Respirava profondamente.  Aveva il trucco pesante lavato via dalle lacrime: André poté finalmente osservare davvero il suo viso, senza la spessa maschera di cipria che lo ricopriva. Sulla tempia destra, in un’area piuttosto vasta , che andava dalla fronte al lobo dell’orecchio e un po’ avanzava anche verso le guance, erano evidenti i segni malcurati del vaiolo, forse preso in tenera età. Aveva visto quei segni su molte persone, certo più fortunate di quelle persone che dal vaiolo erano state uccise, e non solo sfregiate.  La bocca, sporcata dai residui d’un rossetto non ancora lavato dalle lacrime, aveva la piega austera di sempre. Provò tenerezza vedendola. Non poteva metterle sulle spalle anche il suo peso. Ma non si sarebbe mai perdonato, se non avesse fatto di tutto per salvare Mathieu, d’altra parte. La nobildonna si sedette su una delle panchine di marmo che erano sparse per i giardini della reggia, pochi metri più in là del suo albero.
«Madeleine» la chiamò piano.
Lei non si sorprese. «Che volete Dubois? Andate via, non sono in vena. Non mi è stato possibile consultare gli archivi di corte...non ancora...» rispose con un filo di voce.
André si assicurò che fossero solo loro e saltò giù dall’albero. «Perdonate se vi ho spaventata.»
Lei sorrise amaramente fra sé, senza guardare André negli occhi. «Vi avevo già visto... ormai vi vedo ovunque...» esalò, ansimando, ed era evidente che aveva pianto e stava per continuare.
«State bene?» chiese lui, avvicinandosi circospetto.
«Non è un vostro problema.» rispose seccamente.
André si accucciò di fronte a lei, riuscì ad incrociare i suoi occhi prima che Madeleine li facesse di nuovo vagare  stanchi sugli alberi. Le prese il fazzoletto dalle mani. «Ridatemelo!» gli ordinò perentoria.
André le sorrise benevolo. «È tutto bagnato.» disse lui. «Ecco, prendete questo». E così continuando le porse un fazzolettino bianco che aveva nella tasca interna del pastrano.
Lei lo rifiutò, in un primo momento, poi –visto che André non accennava a spostarsi- lo prese e ci si asciugò gli occhi. «Grazie.» mormorò austera.
André si alzò di nuovo in piedi. «Dovere.»
«Perché siete qui?»
André le fece cenno di seguirlo, e –contro ogni sua aspettativa- lei lo fece.
«Se non foste la mia unica possibilità di salvezza, non mi sognerei neppure di chiedervelo...»
«Chiedere cosa?»
«Verrò subito al dunque: potete farmi entrare nella Bastiglia?»
L’altra non rispose: sbarrò gli occhi e –dopo un po’- disse: «Io... voi dovete essere pazzo.»
«Sapete che un mio uomo è stato portato là, vi prego, non abbandonatelo. Non ha neppure vent’anni, è solo un ragazzino...»
«Neppure io... ciononostante sembra che non importi a nessuno»
André fu sorpreso. Come poteva quella donna non avere vent’anni? «Quanti anni avete?»
«Diciannove... ne compirò venti fra tre mesi.»
L’altro annuì. «Perdonatemi... io credevo foste più grande.»
Lo fissò con quegli occhi tristi per un tempo che ad André parve interminabile. Lei affondò il viso pulito nelle candide mani: ora per la prima volta la vedeva.
«Mi dispiace di darvi tanti problemi...»
«Ciononostante mi venite a chiedere di rischiare la mia vita. Avete uno strano modo di dimostrare il vostro rammarico. Siete piuttosto incoerente.» disse, sorridendo più a sé stessa che ad André.
«Non ho il diritto di chiedervelo, ma dovevo tentate. Quel ragazzo è come un fratello per me. È una cosa troppo pericolosa, potreste essere accusata di tradimento... perdonatemi, fate conto che io non vi abbia detto nulla.»
Vide poi cambiare l’espressione della donna. Da melanconica si fece pensierosa, poi decisa e piena di rabbia. «Sapete cosa? Avete scelto il momento propizio. Se quella marmaglia di...» si fermò cercando le parole «tronfi aristocratici senza morale non rispetta me, io non rispetterò loro. Forse è il momento di reagire, no?»
André si fece serio. «Non vi chiederò cosa vi abbiano fatto, mi basta che la vostra determinazione duri fino a domani sera...»
«Per quello che mi hanno fatto potrebbe durare anche tutta la vita.» rispose, mettendolo a tacere. «E pensare che quando ho sentito che stavano per giustiziare un uomo dei vostri, stamattina, ho gioito pensando foste voi; sperando che almeno una parte del mio tormento fosse finita.»
André si sentì un po’ ferito. «Ed ora invece siete disposta ad aiutarmi?» chiese in tono ironico, dissimulando ciò che realmente provava.
«Voi siete l’Angelo della Morte che mi offre la possibilità di vendicarmi...»
«Riuscireste a farmi entrare domani?»
«Quando volete. Posso entrare ed uscire a mio piacimento.»
«Bene. Domani sera, all’imbrunire, fermatevi a Parigi, davanti alla bottega di Rose Bertin. Da lì in poi prenderò io in mano il gioco.»
 
 
20 marzo 1774
 
«Ohi! E allora?! Che è successo ieri?! Perché smontano il patibolo? E dai donna, racconta!»
«Parla piano, Robert! Ci fai arrestare tutti quanti.»
«Dimmelo!»
«E va bene... ma solo perché qui siete voi, gente del mercato, che vi conosco, eh. Allora: io facevo il lavoro mio, mi son presentata alla Bastiglia la sera, e quel momento che entro vedo anche una di quelle zoccolette di Versailles che entra con la sua bella carrozza; quella fa tutta la cretina, come se non sapesse che noialtri si muore di fame mentre loro si va in giro per salotti. Era una tutta strana, col viso pallido pallido, e un cappello che aveva così tanta stoffa per sette paia di braghe! Quella sembra che se la intende con Monsieur il conte di Jumilhac, il governatore della prigione. Dice tutta saltellante che voleva vedere il demonio di cui tutti parlavano, l’uomo di Dubois. Ché pure i giorni prima, da quando hanno catturato quel povero ragazzo, ci son frotte di nobili pomposi che vogliono vederlo. Poi non è che me ne importava tanto di saper di ‘sta donnetta, quindi mi son messa subito al lavoro. Ho preso i panni sporchi de’ quei poveracci nella Bastiglia, stavo a uscire dall’ultima cella e andar a casa, quando mi vedo due uomini, uno ben vestito ed uno tutto sporco che corrono per il corridoio. Poi quello vestito in un certo modo si allaccia una maschera svelto svelto. Allora io –che me l’immaginavo che era Dubois - zitta! Non ho fiatato, ché se non era per lui io mica campavo l’inverno scorso... E poi ho sentito l’allarme dei gendarmi, e poi una donna che urlava! Son uscita veloce veloce e mi vedo una scena che non ti dico: Dubois che ha preso in ostaggio quella donnetta tutta in tiro. Dovevate vederla: impaurita impaurita, tutta tesa. Ché finalmente in vita mia ho visto una nobile che supplica un poveraccio! Gli diceva “Per favore, per favore! Io non ho fatto nulla!”. Nel frattempo poi del ragazzo che avevano catturato...»
«Il figlio di Martin, il mugnaio. Quello che non si vede più da quando André di Rue du Champe l’ha preso con lui. Ché poi pure André non si vede più in giro!»
«Ma tu ancora non hai capito che Dubois è André, testa di rapa?!»
«Zitti! Tu tappati la bocca con un calzino, Vincent! Se lo prendono qui moriamo di fame prima di subito. Fatela finire.»
«Dicevo, che del povero figliolo di Martin Meunier non se ne sapeva più niente. Tant’è che pensavo lo avessero riacchiappato! Ma poi un po’di gendarmi hanno detto che il prigioniero era fuggito. E allora io mica son stupida, ho capito che lui era scappato! Quanto mi son sentita felice! Tutte le guardie che urlavano “Chiudete il ponte levatorio!”»
«Levatoio.»
«Sì, quello lì. E il ponte che non si chiudeva! E poi dicono che hanno già tagliato le funi. Quant’è furbo André, pure quand’era bambino ce l’aveva questa cosa di fare piani. Ehi, Maurice! Ti ricordi quando ti incantava sempre e tu gli facevi prendere le mele senza pagare? Allora lui si avvicina alla carrozza che è rimasta lì nel piazzale, sempre con la pistola sulla testa della donna, poi la spinge a terra, spara il colpo in aria e sale al posto del cocchiere. Poi fa andare i cavalli sempre più veloci, le guardie hanno cercato di sparagli, ma non penso che l’hanno preso. Passa sopra le guardie che gli sbarrano la strada e via! Alcuni soldati sono partiti per arrestarlo, ma poi hanno trovato solo la carrozza abbandonata senza cavalli. Poi la zoccoletta ha cominciato a piangere, il governatore l’ha riaccompagnata a casa. Sono usciti con un’altra carrozza appena io sono uscita a piedi.»
«È strano pensare che il nostro André ora è un benefattore...»
«Si vede che quel povero rigattiere di Dubois l’ha tirato su bene, anche se non era suo.»
«E sì. Povera Jeanne...»
«Smettila! Il mercato non è posto per parlare di certe cose. Ora zitti, c’è una guardia che vi sta fissando.»
 
 
 
 
Camminando con ampie e vaste falcate per le stanze di Versailles, sentiva solo il suono delle sue scarpe sul duro marmo del pavimento. Aveva sbagliato, e per ferire a sua volta chi un tempo l’aveva ferita si era macchiata di tradimento, buttando all’aria la fiducia di un’amica, forse l’unica persona sincera che aveva conosciuto in quasi vent’anni. Il rumore delle sue scarpe si faceva più forte ad ogni passo. Doveva uscire di lì. La camminata veloce si trasformò in corsa. L’opulenza le stava per dare il voltastomaco. Il chiasso aumentava ancora, e la sua corsa si faceva sempre più frenetica, urgente. Il suo incedere divenne disperato, cominciò a correre senza ritegno, pur di trovare subito una via d’uscita. Fingere di essere una vittima innocente quando in realtà era stata l’artefice del misfatto era insopportabile.
«Madeleine?» si era sentita chiamare poco prima: allora si era voltata, e gli occhi buoni di Marie Antoinette d’Autriche s’erano incontrati con i suoi. Si era inchinata nascondendo gli occhi rossi allora, ma la Delfina le aveva chiesto di alzarsi ed aveva cominciato a rassicurarla. «Cara Madeleine... sareste più tranquilla se poteste riposarvi un po’? Magari potreste evitare la corte per una settimana o due.»
«Non credo di averne bisogno.» aveva risposto con le labbra tremanti.
«Ma voi non state bene... so cosa vi è successo, ed essere stati così vicini alla morte è un’esperienza forte. Vi prego, io potrò cavarmela anche senza di voi per un paio di settimane, anche se saranno molto tristi se passate solo con la contessa di Noailles e con la principessa Maria Luisa.»
E Madeleine aveva pensato: “Lei non sa... e non dovrà mai sapere. Mai.”
«No, sono sicura di star bene. Non preoccupatevi. Domani mattina starò meglio. E poi, stare qui mi tiene occupata.» aveva risposto laconica, sfoderando un sorriso con tutta la falsità di cui si sentiva colpevole.
Dopo essersi congedata dalla Delfina aveva cominciato a sentire l’urgenza dell’aria, come se quelle ricche mura fossero potute crollare da un momento all’altro, uccidendola. Il caos dei suoi passi si faceva sempre più forte, e rimbombava nelle stanze alte. L’ampio vestito di muoveva con lei, l’ampia gonna sembrava tirarla in basso, pesante e superflua. Rallentò alla posta secondaria, disperata. Sentiva le lacrime spingere dietro i suoi occhi: aprì la porta e uscì. La luce tenue e calda dell’ultimo sole l’accecò per un istante appena. I raggi si insinuavano fra le piante e le aiuole nei giardini reali. Un vento freddo la investì facendola rabbrividire, spettinandola e tirandole la gonna. Continuò a procedere svelta fino a che non arrivò vicino all’ultimo viale, dove le piaceva passeggiare. Nessuno andava mai là, salvo forse Alain. Alain era un brav’uomo... eppure lei l’aveva tradito così crudelmente. E suo padre? Usato come un arnese. Ma lui se lo meritava, e per vendicare ciò che le aveva fatto, Madeleine sarebbe stata disposta all’inverosimile: cose che difficilmente si sarebbe potuto dire che una figlia avrebbe fatto. Ma la Delfina, povera piccola! Una bambina, che non aveva tratto dalle sue esperienze i dovuti insegnamenti, ma che le era affezionata come ad una sorella maggiore; a quattordici anni praticamente venduta alla Francia.
La virtù che Madeleine apprezzava più di tutte era la sincerità; una sincerità assoluta e totale. Eppure (o forse proprio per questa sua idea della sincerità) Madeleine si reputava così falsa! Indicibilmente falsa. Alle volte, pensando, arrivava alla conclusione che non c’era persona che poteva dire di conoscerla. Nessuno. Ognuno conosceva solo una parte di lei, e l’altra parte era lei stessa ad ometterla, per paura di essere giudicata o biasimata. La Delfina conosceva la sua parte forte, e riconosceva in lei il suo sostegno, un’amica che poteva comprenderla. Lei non vedeva la sua falsità interiore, e neppure il doppio gioco del quale si era resa colpevole. I suoi familiari non l’avevano mai capita.
Di tutte le persone che conosceva l’unica a comprenderla era stato Dubois. Aveva capito le sue omissioni, le sue bugie e da questo aveva estrapolato la sua essenza. La sua sostanza: ciò che Madeleine era davvero. E a fare ciò, non era stato un padre, né una madre, né un fratello o un’amica o chiunque avrebbe dovuto; era stato un delinquente, André Dubois. Era stata terrorizzata dalle sue attenzioni durante i mesi precedenti; solo poche settimane prima avrebbe dato oro puro per non rivederlo più, aveva gioito credendo che sarebbe morto, ... Ma non era lui la fonte del suo malessere; Dubois era cambiato, non era più tanto avventato come nei primi tempi e dopo quello che era successo il giorno precedente non era più tanto sicura di volerlo allontanare. La sua mano sulle spalle mentre fingeva di minacciarla, l’aveva riportata alla vita. La monotonia della sua vita era stata prepotentemente scossa da Dubois, che all’inizio la spaventava ma ora non più. Tuttavia persino lui, che aveva visto la sua essenza, conosceva solo una parte della sua storia e se lui avesse saputo la verità non l’avrebbe voluta più vedere. Dubois conosceva solo ciò che voleva conoscere, ciò che di lui voleva vedere. Aveva cercato di fargli intendere la verità, ma se prima non gli aveva rivelato tutto per paura, adesso non lo faceva per vigliaccheria.
 “Lui non sa...e non dovrà mai sapere. Mai.”




Spazio autrice:

Prima che vogliate fucilarmi devo dire solo che il ritardo nella pubblicazione, è dovuto ad un misunderstanding fra me e me stessa cioè, lo avevo finito mesi fa, ed ero convinta di averlo pubblicato, ma così non era...
Purtroppo non posso garantire che la pubblicazione sarà regolare... cercherò di impegnarmi...
  
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