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Autore: gattina04    12/03/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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8. Amare verità
 
POV Emma
Guardai il baratro davanti a me cercando di capire come diavolo saremo arrivati dall’altra parte. Non avevamo tempo da perdere, ogni secondo era fatale, ma per risolvere quel dilemma ci sarebbero voluti più di cinque minuti.
Se avessi avuto ancora la magia non ci sarebbe stato nessun problema. Tuttavia ne ero ancora sprovvista e probabilmente lo sarei stata fino al mio ritorno a Storybrooke. Evidentemente quel mondo e la mia magia non andavano molto d’accordo.
Tentati di focalizzarla per un’ultima volta sulla mia mano, ma non accadde proprio niente, come mi ero immaginata. L’opzione magia era ufficialmente scartata. Quali altre alternative ci restavano?
«Emma non potresti usare…». Robin era arrivato alla mia stessa conclusione: solo qualcosa di sovrannaturale ci avrebbe fatto superare quel baratro.
«Non ce l’ho», lo interruppi prima che finisse. «Non ho più la mia magia da quando sono qui». La sua espressione si incupì, così come quella degli altri.
«Forse potremo scendere e poi risalire», suggerì Milah.
«Sarà alto centinaia di metri», rispose Charlie, «te lo dico per esperienza. Potrebbe anche non finire più per quello che ne sappiamo».
«Non possiamo continuare a restare qua», mormorò Robin andando avanti ed indietro. «Il vento si è placato, ma ho come l’impressione che potrebbe riprendere in ogni momento».
«L’unica soluzione è proseguire da un lato», conclusi, «e vedere se in un punto la voragine diminuisce. Basta che i due lembi di terra si avvicinino quel tanto da farci passare o che ci sia un ponte o qualcosa del genere».
«Già credo che sia la soluzione migliore», convenne Milah. Anche gli altri annuirono e senza più esitare ci rimettemmo tutti in marcia. Decidemmo di allontanarci il più possibile dall’orlo del precipizio, pur mantenendo una visione ottimale. Avevamo il cinquanta per cento di probabilità di scegliere il lato giusto e di arrivare così alla nostra possibilità di attraversare e il cinquanta per cento di sbagliare. Era solo una questione di fortuna.
Scegliemmo di dirigerci verso destra, verso la zona in cui dall’altra parte scorgevamo quella specie di foresta. Camminammo silenziosamente, nessuno aveva più voglia di parlare dopo ciò che era appena successo. Io d’altro canto ero sfinita: avevo impiegato tutte le mie energie nel salvare Charlie e, sebbene non mi lamentassi, presto avrei avuto bisogno di una pausa. Tentavo di fare la dura, ma fermarmi un attimo a riprendere l’energie sprecate sarebbe stato davvero meraviglioso.
All’improvviso, mentre cercavo di farmi forza mentalmente per evitare di ritardare gli altri, una mano strinse forte la mia. Alzai la testa e mi trovai Charlie intento a studiarmi con aria preoccupata. I suoi occhi erano così neri e così intensi che mi ritrovai involontariamente ad annaspare alla ricerca d’aria. Il mio cuore accelerò e mi odiai per il fatto che il mio corpo avesse reagito così. D’altronde non era una cosa che avrei potuto controllare.
Sciolsi la mia mano dalla sua e distolsi lo sguardo senza dire una parola. Anche se non potevo controllare le reazioni del mio corpo, potevo mettere un limite ai suoi gesti e a quello che era o non era consentito fare. Tenersi per mano, come una coppietta in amore, non rientrava assolutamente tra i gesti permessi.
Tuttavia Charlie non si arrese e non appena le mie dita ebbero lasciato le sue, lui ne approfittò per riprenderle, lanciandomi uno sguardo deciso e risoluto.
«No», protestai, sciogliendo nuovamente la presa.
«Smettila di fare la cocciuta». La sua mano strinse di nuovo la mia, in una presa decisamente più forte e dalla quale non potevo liberarmi.
«So che sei sfinita», aggiunse in un tono di voce che potevo sentire soltanto io. «Lascia che sia io a trainarti per un po’. In fondo è per me che hai sprecato tutte le tue forze».
«Non posso tenerti per mano», sussurrai. Non c’era bisogno che gli spiegassi il motivo.
«Lo so, ma fammelo fare per stavolta. Non è niente in fondo, è solo un gesto come un altro». Non protestai, anche perché sapevo che non si sarebbe arreso. Tuttavia non ero d’accordo con ciò che aveva detto: non era solo un gesto come un altro; tra me e Killian non lo era mai stato. Era sempre stato un modo per sentirlo vicino, per infonderci coraggio a vicenda, per ricordarci che non eravamo più soli, ma che finalmente eravamo insieme. Ed era molto di più: per Killian, che aveva una sola mano, concedermi la possibilità di stringerla era come concedermi tutto sé stesso. Senza la sua mano a disposizione, avvinghiata alle mie dita, non gli restava che un uncino con il quale affrontare il mondo circostante. Ci sono un’infinità di gesti che una persona può compiere, anche senza accorgersene, con una sola mano e lui se ne privava solo per stringere forte la mia. Era un gesto semplice, ma significava tutto per noi. Tenere Charlie per mano era sbagliato, l’avevo capito la prima volta che l’aveva fatto e lo capivo meglio ora che mi ero costretta a pensare a Killian. Era sbagliato però non riuscivo ad oppormi; ero davvero molto stanca ed essere in qualche modo tirata avanti era un vero sollievo.
Camminammo ancora un po’ prima che Robin si fermasse di colpo davanti a noi. «Lo vedete anche voi?», sussurrò allibito. Di fronte a noi, ad un centinaio di metri, si trovava un ponte pericolante che collegava i due lati del dirupo. Sembrava troppo bello per essere vero.
«Sì», sussurrai senza accorgermene.
«Non sembra molto stabile», commentò Charlie.
«Potrebbe essere un’altra trappola», aggiunse Milah. «Sarebbe troppo facile».
«Già, ma non credo che ci restino molte alternative, se vogliamo passare dall’altra parte». Sfortunatamente non avevamo opzioni: o rischiavamo la vita passando da quel ponte o probabilmente avremo rischiato di non passare.
«Purtroppo Emma ha ragione, dobbiamo tentare». Senza aspettare ulteriormente, Robin incominciò ad avvicinarsi verso di esso; questa volta facemmo più attenzione e proseguimmo lentamente, aspettandoci una trappola da un momento all’altro. Il vento poteva ricominciare, così come poteva farsi vivo quando eravamo nel bel mezzo del burrone.
Per fortuna riuscimmo ad arrivare ad un lato del ponte senza che accadesse nulla di improvviso e imprevisto. Purtroppo a vederlo da vicino sembrava ancora più instabile di come ci era sembrato: poteva reggerci o sfasciarsi benissimo sotto il nostro peso.
«Provo io», si offrì Milah.
«No, forse non è una buona idea». Robin sembrava titubante e sicuramente ne aveva tutti i motivi.
«No, dobbiamo provare», ribatté lei zittendolo. «Andremo uno alla volta, non salite finché non sarò arrivata dall’altra parte». Senza aspettare oltre mosse un primo passo su quelle assi di legno che sotto il suo peso iniziarono a cigolare. Dopo un primo passo ne mosse un secondo: fortunatamente oltre ai cigolii il ponte sembrava non dare altri segni di cedimento.
Milah cominciò lentamente ad attraversare e ben presto si trovo a metà del ponte e dopo un tempo infinitamente lungo arrivò dall’altra parte. Avevo trattenuto il fiato per tutto il suo percorso e sospirai rumorosamente quando atterrò sana e salva sulla terra ferma.
«Vado io», suggerì Robin. Anche sotto il suo peso il ponte cigolò ma sembro resistere bene. Forse avevamo sottovalutato le potenzialità di quel passaggio.
Robin era quasi a metà quando percepii una sorta di sibilo alle nostre spalle. Mi voltai ma non scorsi niente; ciò nonostante quel rumore, all’inizio appena percettibile, sembrava lentamente aumentare. Quando capii di cosa si trattasse mi si accapponò la pelle.
«Vai, vai, vai!». Spinsi Charlie sul ponte anche se Robin non era ancora arrivato; tuttavia ne ero certa: il vento stava per ricominciare e, se non ci davamo una mossa, non avremo più avuto la possibilità di attraversare.
«Corri Charlie! Maledizione corri». Non protestò oltre e iniziò a correre lungo il ponte mentre io lo seguivo a ruota. Purtroppo i nostri passi affrettati fecero oscillare pericolosamente quella già pericolante passerella, compromettendo ulteriormente la nostra stabilità. Tuttavia dopo un secondo, una potente raffica di vento sferzò l’aria proprio come avevo previsto. Lo stesso tornado che ci aveva investito poco prima si abbatté su di noi facendo tremare i vari ormeggi.
Mi voltai un secondo giusto per vedere il ponte alle mie spalle crollare inesorabilmente, rimanendo così attaccato solo dal lato verso il quale ci stavamo dirigendo.
«Corr!i». Spinsi Charlie per indurlo ad affrettarsi ancora di più. Avevamo già superato tre quarti del percorso, ma non saremmo mai arrivati in tempo dall’altra parte. Infatti quando sentii le assi di legno cedere sotto i miei piedi non potei fare altro che reggermi al tirante di corda che rimaneva fissato alla rupe sopra di noi. Sbattei contro la parete rocciosa e chiusi istintivamente gli occhi sentendomi penzolare nel vuoto.
«Resisti Emma», la voce di Charlie era molto vicina a me. Riuscii a riaprire gli occhi e a scorgerlo al mio fianco un metro più su rispetto a dove mi trovavo io.
«Grazie a Dio state bene». La voce di Robin arrivò da sopra le nostre teste. «Resistete che vi tiriamo su».
«Prima pensa a Emma», ordinò Charlie. «È stanca e non resisterà a lungo». In una situazione normale mi sarei offesa per quella considerazione: mi stava forse dando della debole? Ma in quel momento era la pura verità; per quel giorno avevo sprecato fin troppe forze. Ero davvero al limite.
Sentii che la corda a cui ero aggrappata veniva lentamente tirata su e ben presto mi ritrovai di nuovo con i piedi per terra. Milah e Robin mi fecero risalire completamente e poi andarono ad occuparsi di Charlie, mentre io cercavo di regolarizzare il mio respiro e il battito del mio cuore.
«Direi che per oggi sono stato un po’ troppe volte sospeso nel vuoto», scherzò Charlie quando anche lui fu in salvo.
Sorrisi e mi rialzai in piedi, osservando il dirupo di fronte a noi. «Adesso non abbiamo più un ponte, sarà un problema quando dovremo tornare indietro».
«Beh inutile preoccuparcene adesso», sospirò Milah. «Ci penseremo quando sarà il momento».
«Credo che dovremo fermarci a riposare», disse Charlie, ed il suo non era un semplice suggerimento. «Farà bene a tutti».
«Sì», convenne Milah. «Solo allontaniamoci da questo posto. Non lo voglio più vedere per un po’».
 
Poco tempo dopo ci accampammo in un luogo abbastanza appartato e in apparenza anche abbastanza sicuro. Decidemmo di fare dei turni di guardia, in modo tale da riuscire a riposare un po’ tutti. A me fu concesso l’ultimo in modo che potessi riposare al meglio; in realtà fu Charlie a pretenderlo per me senza che nessun altro potesse protestare, nemmeno io stessa.
Nonostante fossi sfinita non riuscii ad addormentarmi subito: ancora una volta mi mancava Killian accanto e risentivo tremendamente della distanza che ci separava. Tuttavia anche quando mi fui addormentata, il mio sonno fu agitato e per niente riposante. Sognai Killian e l’impossibilità di raggiungerlo e alla fine mi svegliai di soprassalto.
Anche se con molta probabilità avevo dormito poco, non volevo più riaddormentarmi per il momento, soprattutto se avevo incubi che facevano aumentare la mia paura di non vederlo mai più. Preferivo restare sveglia piuttosto che fare sogni del genere.
Mi alzai lentamente e notai Charlie seduto con lo sguardo rivolto verso quello strano cielo. Doveva essere il suo turno di guardia e potevo approfittarne per sostituirlo o per fargli compagnia.
«Ehi». Mi sedetti accanto a lui, mettendomi nella sua stessa posizione. «Che cosa guardi?».
«Ehi. Ciao». Abbassò lo sguardo e puntò i suoi occhi neri come la pece dritti nei miei. «Sto solo guardando lassù cercando di immaginare come se la stanno passando nell’Oltretomba. Visto da quaggiù non sembra più tanto male, non credi? Comunque tu non dovresti riposare?».
«Non ci riesco. Ho dormito poco e male, ma so che non riuscirei comunque a riaddormentarmi». Chiudere gli occhi significava soffermarsi a pensare a quanto Killian fosse lontano e non volevo concentrarmi sulla voragine che avevo nel petto al solo pensiero.
«Ti manca lui». Non era una domanda, ma io risposi comunque.
«Sì mi manca». Non c’era altro da aggiungere.
«Parlami di lui», suggerì dopo qualche secondo. Mi studiò attentamente da sotto le folte ciglia nere con uno sguardo da togliere il fiato. «Sempre se te la senti».
Normalmente avrei risposto di no, che non volevo; ma in quel momento parlargli di Killian mi sembrò una sorta di liberazione. In quel modo Charlie poteva capire che non aveva la minima possibilità con me ed anch’io potevo sentire il mio pirata più vicino senza che facesse eccessivamente male. «Sì posso farlo».
Presi un profondo respiro cercando di raccogliere l’idee. «Killian è un pirata, forse lo conosci con il nome di Hook. Suona strano, ma sono la fidanzata di Capitan Uncino».
«Vuoi dire che ha davvero un uncino al posto della mano?».
«Sì ce l’ha, ma non è un problema né per me, né per lui. Vedi per quanto possa considerarsi un pirata, questo termine è del tutto sbagliato per descriverlo. Lui è un uomo di onore, con me lo è sempre stato; non si è mai arreso e questo è stato fondamentale: non gli ho reso la vita facile. Prima di incontrarlo ero chiusa dentro la mia armatura, lui è riuscito a farsi strada attraverso la mia corazza. È difficile da spiegare… lui mi ha visto subito per ciò che ero realmente. Non dovevo essere la Salvatrice con lui, ma soltanto Emma Swan con tutti i suoi problemi e i suoi muri».
«Insomma lo ami», concluse.
«Già lo amo e tanto. Non avrei mai pensato di provare un sentimento così profondo per qualcuno. Ero stata innamorata in passato, ma nessuno era Vero Amore; non so se riesci a capire… è una cosa nuova anche per me».
«Capisco», rispose soltanto. Alzò lo sguardo verso quell’assurdo cielo, ma più che osservare l’orizzonte sembrava perso nei suoi pensieri. Rimasi in silenzio anch’io e mi distesi sui gomiti, perdendomi nelle strane forme che si disegnavano sopra nelle nostre teste.
«Stavo per sposarmi», disse all’improvviso, facendomi voltare la testa verso di lui. Aveva ancora lo sguardo rivolto verso l’alto, ma la sua espressione si era di colpo rattristata. «Quando ero vivo intendo».
«E poi cosa è successo?», domandai incerta. Finora lui era stato molto vago sul suo passato, come se preferisse non parlarne. Ero titubante ad insistere, ma d’altronde lui aveva appena detto quella frase come per incoraggiarmi a domandare.
«Lei è morta». Mi pentii immediatamente della mia curiosità; dovevo saperlo che se non voleva parlare del suo passato, probabilmente non era una storia felice. Chi poteva capirlo meglio di me che ero stata sola e abbandonata per buona parte della mia vita? Perciò rimasi in silenzio, lasciando a lui la decisione di continuare o meno.
«Si chiamava Hanna», disse dopo un po’. «Dovevamo sposarci la settimana dopo, eravamo felici. Eravamo andati in città per alcune faccende, non ricordo neanche quali. Poi all’improvviso siamo stati coinvolti in un inseguimento, una sorta di brigantaggio. Non so come ma all’improvviso un uomo le ha puntato il coltello al collo e… È morta tra le mie braccia».
«Mio Dio, è terribile; mi dispiace tanto». Non potevo pensare a come potesse essersi sentito.
«È quello che di solito mi dicono tutti. Da te mi aspettavo qualcosa di meglio». Aveva usato ancora quel tono giocoso; tuttavia avevo capito da tempo che quell’aria sfacciata, impertinente e scherzosa era solo una maschera. Dietro c’era molto altro.
«Non dimenticherò mai il suo volto», continuò rabbrividendo. «Hanna che emana il suo ultimo respiro… E c’è un’altra cosa che non dimenticherò mai: il volto del suo assassino. Aveva un’enorme cicatrice che gli sfregiava il viso da parte a parte, era inconfondibile».
Fece un profondo respiro e poi riprese senza che io aggiungessi altro. «Dopo la sua morte c’era solo una cosa a cui pensassi: la vendetta. Volevo solo trovarlo e fargliela pagare. Ho passato i due anni successivi cercandolo in tutta la Foresta Incantata, ma sembrava sparito nel nulla. Poi finalmente riuscii a trovarlo; scoprii che si era rifugiato a vivere in un villaggio, probabilmente abbandonando la malavita, ma non mi importava: doveva solo pagare per ciò che aveva fatto. Trovai la sua casa e studiai le sue abitudini per qualche giorno. Sembrava vivere da solo e perciò una sera dopo che fu andato a dormire appiccai il fuoco alla sua casa. Restai seduto per ore su una collina in lontananza a vedere la sua fattoria bruciare e i soccorsi arrivare troppo tardi.
La mattina dopo passai di là per informarmi sulla versione che circolava nel villaggio. E fu così che feci un’amara scoperta: avevo ucciso il mio assassino, era bruciato vivo, ma nella sua soffitta viveva una ragazza. Il fuoco non era arrivato a lei tuttavia era morta soffocata dal fumo. Scoprii che era sua figlia e che probabilmente lui era stato costretto a rubare per riuscire a mantenerla, forse era stato anche divorato dai sensi di colpa per aver ucciso Hanna, chi può saperlo?».
«Mio Dio..». Adesso cominciavo a capire quale fosse la sua questione in sospeso. Gli posai una mano sulla spalla e cercai le parole adatte. «Charlie anch’io ho ucciso una persona…».
«Aspetta, la storia non è finita», mi fermò. «Andai a vedere il corpo di quella ragazza che era esposto nella chiesa del paese. Ecco un’altra cosa che non dimenticherò mai: il suo volto, era ancora perfetto. Dopo quell’evento ero talmente sconvolto che mi ritirai a fare il taglialegna nel bel mezzo del bosco, facendo una vita solitaria, finché un giorno una freccia dei cavalieri della Regina mi colpì. Morì lentamente dissanguato, ma fu una liberazione. Così mi ritrovai nell’Oltretomba con mille questioni in sospeso; fu un sollievo sapere che Hanna non era là ma in un posto migliore e fu una sorpresa incontrare nel locale della strega cieca proprio la mia vittima innocente. Ero rimasto a bocca aperta a fissarla, non credendo ai miei occhi, e lei semplicemente mi si avvicinò e mi disse. “Tu sei nuovo di qui, giusto? Piacere di conoscerti sono Elisabeth ma tutti mi chiamano Lizzy”».
«Lizzy!». Dovetti sforzarmi per non urlare e non svegliare Robin e Milah. «Quella Lizzy?». Annuì portandosi una mano a coprirsi la faccia. «E lei lo sa che tu sei…?».
«Il suo assassino? No». Sospirò e dopo qualche secondo riprese. «Lo sai qual è la sua questione in sospeso? Quella di non essere riuscita a ribellarsi ad un padre prepotente e protettivo e di non aver vissuto, letteralmente di non aver vissuto. Non capisco neanche come sia potuta rimanere nell’Oltretomba così a lungo; forse solo per darmi l’opportunità di ripagare ai miei errori».
«Come siete finiti entrambi quaggiù?», domandai cercando di incamerare tutte quelle informazioni.
«Beh quando l’ho vista, ho subito deciso di cercare di rimediare. Volevo farla andare in un posto migliore, forse dopo mi sarei sentito meglio con me stesso. C’ero quasi riuscito: in Lizzy era nata la speranza di poter trovare, anche dopo la morte, la possibilità di “vivere”. La speranza non era ben vista da Ade: un giorno eravamo sul molo e lui semplicemente arrivò e la gettò in acqua. Stupidamente mi avventai su di lui per affrontarlo col solo risultato di far cadere in acqua anche me. Prima mi hai chiesto che cosa mi spinge a resistere: è Lizzy. Non posso arrendermi, non fino a quando non saprò che lei starà bene. Io merito di stare qua sotto, ma lei no. Lotterò con tutte le mie forze per salvarla e non posso permettere che la mia anima si perda prima di esserci riuscito».
Era nobile da parte sua. Capivo ciò che provava e probabilmente si colpevolizzava eccessivamente; come al solito il nocciolo della questione era riuscire a perdonare sé stesso e lui non ci sarebbe riuscito se non avesse salvato Lizzy.
«Non avevo mai raccontato a nessuno la versione completa di questa storia», mi confesso dopo qualche minuto di silenzio.
«Grazie per averla condivisa con me». Appoggiai la mano sulla sua e gli rivolsi un sorriso.
«Non c’è di che. Adesso dovrai raccontarmi qualcosa di altrettanto scottante per pareggiare». Ed ecco che in un secondo era tornato ad essere il solito bel ragazzo scherzoso.
«Forse», risposi. «Ma adesso direi di svegliare gli altri e di rimetterci in viaggio». Il momento delle confessioni era finito ed era giunta l’ora di riprendere l’avventura.
 
POV Killian
«Parla ragazzino». Avevamo appena messo a letto la baby Emma e ci eravamo tutti accomodati nella piccola cucina del loft. Sapevo che le notizie di Henry non erano buone, bastava vedere la sua espressione per capirlo. Eppure, pur sapendo che mi avrebbero solo fatto male, non volevo altro che ascoltarle; perché in fondo era pur sempre qualcosa, un passo in avanti in quell’intricato mistero.
«Abbiamo trovato un libro», sospirò Henry, «un libro che parla degli effetti del ringiovanimento. In realtà c’è un capitolo che parla degli effetti a lungo termine nel caso avvenga un cambiamento marcato».
«Proprio come è avvenuto con Emma», aggiunse Regina.
«E cosa dice?», domandò Mary Margaret con voce tremante.
«Forse è meglio se ve lo leggiamo», intervenne August tirando fuori dalla sacca di Henry un grosso libro. L’aprì in un punto in cui evidentemente avevano lasciato un segno e trasse un profondo respiro prima di cominciare a leggere.
«Ci sono casi in cui il cambiamento di età diventa troppo marcato; le cause possono essere molteplici e che sia esso voluto o indesiderato le conseguenze restano univoche. Per quanto il corpo subisca il ringiovanimento non avviene lo stesso per l’anima, cioè lo spirito della persona vissuta fino a quel momento. L’anima viene distaccata dal corpo: non sono più entità inscindibili ma ad ognuna di essa è riservato un diverso destino. Il corpo è destinato a invecchiare nuovamente. L’anima viene immancabilmente persa e sostituita: non si trova più in quel corpo ma resta confinata in una specie di limbo. Non essendoci molti casi di questo tipo, non è certo ciò che avvenga, considerando anche il fatto che ogni caso ha caratteristiche uniche ed irripetibili. Tuttavia più il corpo ricomincia a crescere, più è difficile ricollegare anima e corpo».
August smise di leggere e alzò lo sguardo verso di noi.
«Che cosa significa di preciso?», domandò David.
«Quello che già sapevamo», sospirai, «la piccola Emma non diventerà mai l’Emma che conosciamo noi. Farla crescere non basterà».
«Non è solo questo», intervenne Regina. «L’anima di Emma non è più nel suo corpo e ogni secondo che passa diventa più difficile riportarla indietro. Non so se il libro abbia ragione ed adesso lei si trovi in una specie di limbo, ma a questo punto la tempistica diventa fondamentale».
«Per quanto, io sia ringiovanito come Emma», continuò August, «il mio caso non può essere comparabile al suo, per questo non ne sapevo niente. Ho parlato con la fata Turchina prima di venire qua e lei mi ha spiegato che nel mio caso era lei a gestire tutto, ed in fondo io sono sempre stato solo un pezzo di legno che è diventato umano».
«Quindi in fin dei conti non sappiamo se il libro ha ragione o meno», esordì Mary Margaret.
«Nel dubbio non possiamo far altro che prendere per vere le sue parole», ribadii. Dovevamo pensare all’ipotesi peggiore visto che non avevamo altro che supposizioni e non potevamo lasciare niente al caso.
«C’è un’altra cosa», intervenne Henry. La sua espressione si fece ancora più cupa e ciò non era sicuramente un buon segno. «Quando il nonno ha provato a ritrasformare la mamma, l’ha fatta crescere anche se di poco».
Assimilai le sue parole e arrivai alla conclusione da solo. «Più Emma cresce, più la sua anima viene persa».
«Dovunque essa si trovi, più tempo passa là più sarà difficile riportarla indietro», continuò August.
«Quindi in conclusione non abbiamo nessuna idea su come salvarla, se essa si trovi davvero bloccata da  qualche parte e, oltre a questo, più il tempo passa più sarà difficile farla tornare come prima». Mi alzai e appoggiai la fronte sulla mano. «Merda!». Se prima non avevamo niente adesso mi sembrava di avere ancora meno. Di sicuro quello che stava diminuendo era il tempo a nostra disposizione.
Iniziai a camminare avanti ed indietro cercando di pensare a qualcosa di utile. Tuttavia la mia mente riusciva solo a concentrarsi su cose superflue e sull’enorme voragine che inevitabilmente mi ritrovavo nel petto.
«Secondo quel libro Emma si trova intrappolata da qualche parte?», domandò di nuovo David. «Se sapessimo dov’è potremmo raggiungerla?».
«Forse», rispose Belle, «tuttavia non sappiamo se intenda un luogo fisico raggiungibile o qualcosa di più spirituale, tipo una sorta di limbo nella mente della bambina. Potrebbe essere un luogo come quello dove vanno le persone vittime dell’incantesimo del sonno. In quel caso non ci sarebbe possibilità di raggiungerla».
«Ma se non fosse così, se fosse in un altro luogo…», mormorai. Sarei potuto andare da lei.
«È per questo che abbiamo richiamato il nonno», intervenne Henry. «Dovrebbe portare il mappamondo, se è in qualche mondo reale scopriremo dove e andremo da lei». Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta; Tremotino era arrivato proprio mentre stavamo parlando di lui. Come si dice: parli del diavolo e spunta le corna.
Visto che ero già in piedi andai ad aprire, lasciando che il Coccodrillo si unisse alla nostra combriccola. Come aveva detto Henry, aveva portato con sé il mappamondo magico e per una volta sembrava pronto ad aiutarci.
«Devo avvertirvi», disse prima di iniziare, «per quanto potente possa essere questo mappamondo non riesce ad individuare tutti i mondi, soprattutto se frutto di un desiderio o di uno stato mentale. È probabile che non compaia nulla. Detto questo chi vuole avere l’onore?».
«Io», dissero contemporaneamente David e Mary Margaret.
«No», protestò Henry, «sarò io a farlo». Il suo sguardo era talmente deciso che nessuno osò replicare. Avvicinò la mano a quello strano oggetto e si punse il dito con l’ago. Il sangue affluì al centro del mappamondo, disegnando degli strani ghirigori e cercando in qualche modo di prendere forma. Smisi di respirare nell’attesa che l’immagine si stabilizzasse, ma purtroppo, così come era apparso, il colore si dissolse senza che fosse comparso niente di identificabile.
«Come immaginavo», proferì il Coccodrillo.
«Significa che Emma non si trova in nessun posto tangibile?», domandò Mary Margaret.
«Non è detto».
«In che senso?», sbottai. «Per una volta potresti parlare chiaro e non in maniera criptica?».
«Conosco un altro modo che potrebbe metterci in contatto con l’anima di Emma».
«E allora cosa diavolo stiamo aspettando?». Lo guardai esasperato, non capendo perché stesse perdendo tempo quando in realtà non ne avevamo.
«Non so se avrai tutto questo entusiasmo dopo che ti avrò detto di cosa si tratta».
«Parla», ringhiò David, esasperato quanto me.
«Se consideriamo il fatto che vogliamo entrare in contatto con la sua anima, dobbiamo innanzitutto pensare che c’è solo una persona che può farlo».
«E chi diavolo sarebbe?». Gli avrei ben presto tirato un pugno se avesse continuato così.
«Tu». In un attimo mi ritrovai gli occhi di tutti puntati addosso.
«Perché lui?», domandò David infastidito.
«Già, perché io?».
«Perché voi due siete innamorati», rispose Regina al posto di Gold. «Se c’è qualcuno che può avere un contatto con la sua anima quello sei tu».
«Esatto», confermò Tremotino, «senza considerare tutta la potenza del Vero Amore».
«E cosa dovrei fare?». Ero disposto a tutto, non mi sarei certo tirato indietro. Se potevo contattare Emma avrei fatto qualsiasi cosa.
«Qua viene la parte difficile», proseguì Gold. «In teoria tu non devi fare niente di particolare, io però posso realizzare un incantesimo per separare momentaneamente la tua anima dal corpo. Durerà solo pochi secondi, ma ti saranno sufficienti per vederla e capire qualcosa di più».
«Bene. Ci sto!», esultai. «Cosa stiamo aspettando?».
Il Coccodrillo mi lanciò uno sguardo serio prima di continuare. «Per separare la tua anima dal corpo è necessario che tu muoia». La mia bocca si spalancò sentendo le sue parole, mentre gli altri esordirono in cori di disapprovazione. Beh morire era una parola forte; sarei morto per salvare Emma, l’avevo già fatto, ma farlo solo per contattarla era decisamente autolesionista e stupido.
«In realtà si tratta solo di pochi secondi», aggiunse poi, «posso fermare il tuo cuore per il tempo necessario a contattarla e poi posso farlo ripartire». Maledetto! Probabilmente si era divertito a farmi prendere un colpo! Se si trattava di una morte momentanea potevamo discuterne, anche se affidare il mio cuore nelle mani del coccodrillo non mi piaceva affatto.
«Fammi capire», intervenne Regina, «tu puoi fermare il cuore di Hook in modo che la sua anima si separi dal corpo e che raggiunga Emma giusto per vederla qualche secondo? E poi come facciamo ad essere sicuri che riuscirà a raggiungerla?».
«C’è l’incantesimo per questo», rispose. «Il problema principale è che fermare e far ripartire un cuore non è una cosa facile; potrei lasciar passare troppo tempo e non riuscire a risvegliarlo o potrei d’altra parte far passare poco tempo mandando tutto all’aria».
«È troppo rischioso», intervenne Mary Margaret. «Hook non lo farà».
La ringraziai con lo sguardo per quelle parole accalorate, ma avevo davvero una scelta? Se non collaboravo che altra via ci restava? Tuttavia non mi fidavo di Gold e ancor meno del suo piano. Lasciarlo giocherellare con la mia vita non era certo nella lista di cose che avevo intenzione di fare.
Tuttavia non dovevamo perdere tempo e riuscire a contattare la vera Emma, visto che avevamo stabilito che era finita da qualche parte chissà dove, che fosse un luogo fisico o mentale, era la nostra priorità.
«Hook non devi farlo», concordò Henry. «È troppo pericoloso».
«Che altre opzioni abbiamo?», ribattei esasperato.
«Riflettici un attimo, prenditi un momento», mi propose Belle. Beh non avevo molto da riflettere, tuttavia annuii e senza dire una parola salii in quella che era stata la vecchia camera di Emma. Da lì potevo ancora sentirli confabulare, chi con o chi contro quell’assurdo piano, ma almeno avevo la giusta privacy che mi serviva.
Ero disposto a tutto, l’avevo appena detto, tuttavia la possibilità di morire era una remora sufficiente. Se avessimo fallito cosa avrebbe fatto Emma? Se gli altri fossero riusciti a salvarla come avrebbe potuto sopportare di nuovo la mia perdita? Ci eravamo già passati: la mia morte era stata troppo dolorosa sia per me che per lei. Un conto era morire per un salvataggio concreto, un altro invece era farlo per riuscire soltanto a vederla per pochi secondi. Mi mancava, vederla sarebbe stato meraviglioso e soprattutto avrebbe potuto darci informazioni importanti, ma il rischio era elevato.
Dire sì alla proposta del coccodrillo, significava fidarmi di lui ed io purtroppo non mi fidavo per niente. Era troppo infido, troppo doppiogiochista, troppo manipolatore; ci aveva tradito troppe volte per meritare la nostra fiducia.
Mi sedetti sul letto portandomi la mano sulla faccia e subito percepii qualcosa di duro sotto di me. Mi rialzai quel tanto che bastava per poter scorgere la borsa di Emma, esattamente dove mi ero appena seduto. Doveva essere rimasta là dalla sera della festa, come se fosse stata dimenticata da tutto e da tutti. Emma di solito non portava molte borse, ma quella sera era stato diverso, lei era stata completamente diversa pur di compiacere sua madre.
Presi la borsa e me la portai sulle gambe, accarezzando con l’uncino il gancio che la chiudeva. Probabilmente dentro non ci sarebbe stato niente di che, eppure avevo davvero bisogno di vedere e toccare qualcosa che mi legasse a lei, che me la rendesse più vicina.
Con un sospiro l’aprii e infilai la mano dentro. La prima cosa che afferrai fu il suo parlofono. Era spento ma Emma mi aveva insegnato ad accenderlo; appena lo schermo si illuminò comparve sullo sfondo un immagine di me ed Henry sulla Jolly Roger. Non sapevo che Emma ce l’avesse scattata e non sapevo neanche come diavolo avesse fatto a metterla là dentro. Eppure ogni volta che Emma guardava il cellulare evidentemente doveva vedere quella foto: era una cosa dolce che mi faceva sentire ancora di più la sua mancanza.
Chiusi gli occhi sentendo la voragine nel mio petto aumentare. Con l’incantesimo di Gold avevo la possibilità di vederla e forse di parlarle: cosa diavolo stavo aspettando? Mi mancava da morire ogni minima parte di lei. La sua voce, la sua risata, il suo sorriso: tutto.
Senza neanche rendermene conto tirai fuori il mio parlofono e pigiai il tasto di Emma. Il suo telefono, che avevo appoggiato accanto a me sul letto, iniziò a vibrare fino a quando non entrò la segreteria.
«Risponde la segreteria telefonica di Emma Swan; al momento non sono raggiungibile, vi prego di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico». Chiusi gli occhi sentendo la sua voce forte e squillante. In un attimo mi fu tutto chiaro: se avevo anche solo una piccolissima possibilità di vederla dovevo sfruttarla, anche se la probabilità di fallimento era maggiore di quella di successo.
Non avevo mai pensato di non accettare il piano di Gold, tuttavia sentire la voce di Emma mi era stato utile per ricordarmi ciò che effettivamente stavo perdendo.
Rimisi il telefono di Emma nella borsa e stavo per chiuderla quando la mia mano sfiorò qualcosa di famigliare. Afferrai quella che sembrava una catena sparsa all’interno della sua borsa e tirai fuori l’oggetto misterioso.
Il mio respirò si fermò quando il mio cervello realizzò ciò che avevo davanti agli occhi: l’anello di Liam. Non mi ero aspettato di trovarlo là dentro, pensavo che fosse con Emma, come un collegamento inscindibile tra me e lei. Invece eccolo là a separarci definitivamente.
In effetti ora che ci pensavo bene Emma non lo indossava la sera del suo compleanno. Non se ne separava mai da quando glielo avevo dato, eppure quella sera non l’aveva messo, lasciandolo segregato nella borsa.
Cercai di respirare con calma, cercando di razionalizzare la mia reazione. Non era niente di che, era solo un anello; eppure lei doveva averlo. Era il nostro tacito patto di sopravvivenza, era ciò che mi teneva vicino a lei anche quando eravamo lontani. Adesso lei era chissà dove e non aveva neanche quel semplice anello a ricordarle di me. Era una parte di me e lei doveva tenermi con sé. Sapevo che la mia reazione era esagerata ma non potevo farci niente.
In un attimo la mia decisione di mettere a repentaglio la mia vita pur di incontrarla, anche se per pochi secondi, si fece ancora più salda. Se avesse funzionato avrei potuto provare a portare l’anello con me. Sarebbe tornato alla sua legittima proprietaria, prima ancora di riaverla tra le braccia.
Senza più aspettare, infilai l’anello in tasca, chiusi la borsa e mi diressi verso le scale, tornando dagli altri. Si zittirono di colpo vedendomi arrivare, aspettando tutti il mio responso.
«D’accordo, ci sto. Facciamolo». 


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti quanti! Ed ecco a voi l’ottavo capitolo!
Devo dire che questo capitolo è davvero bello denso e ricco di novità, sia da una parte che dall’altra. Prima di tutto Emma e gli altri sono riusciti ad attraversare il ponte e abbiamo scoperto la vera storia di Charlie. Dall’altra Killian è costretto a mettere a repentaglio la sua vita per riuscire a dare una svolta alla situazione.
Grazie come sempre a tutti!
Un bacione
Sara

 
  
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