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Autore: Antonella84    12/03/2017    16 recensioni
"FANFICTION SCRITTA PER IL CONTEST "IMMAGINANDO …" INDETTO DAL GRUPPO SU
FACEBOOK "TAKAHASHI FANFICTION ITALIA".
Può un semplice sfiorarsi le mani, rimettere a posto le cose?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ranma Saotome
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Touch
 
 
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There's no accounting for love or why one look, one casual touch...
one breath of perfumed air...
can ignite feelings so strong it's almost painful.
 
 
Non c'è spiegazione per l'amore,
non sappiamo perché uno sguardo,
un casuale sfiorarsi,
un soffio d'aria profumata,
inneschino emozioni così forti da risultare dolorose.
 

Lei non aveva tempo né voglia di pensare all’amore.
L’amore era quella cosa che ti faceva rincitrullire, ti lasciava scambiare il nero col bianco, ti rendeva talmente cieco da non capire nulla.
No, l’amore non faceva proprio al caso suo.
Le arti marziali.
A quelle doveva pensare.
Disciplina, arricchimento mentale e fisico, ecco cosa era veramente importante per lei.
Anche se era un’adolescente, anche se un fidanzato gliel’avevano appioppato, anche se le sue amiche, possedevano una strana luce negli occhi, mentre lei no.
Per Akane Tendo contava solo la sua palestra.
Non le servivano né passeggiate romantiche, né frasi dolci al chiaro di luna.
Non le serviva un ragazzo.
 Lei che, gli uomini, li aveva sempre odiati tutti!
Akane era forte anche da sola.
Sapeva badare a se stessa e sapeva che un giorno, avrebbe portato avanti il buon nome della sua famiglia, anche senza un compagno.
Non aveva bisogno dell’amore, non le servivano le sciocchezze, dietro le quali, sospiravano le sue amiche.
Lei stava bene così.
Stava bene senza di Lui.
Ogni sera prima di addormentarsi Akane ripassava come un mantra, queste sue nuove convinzioni.
Ogni sera, da quella del mancato matrimonio.
Ogni sera, da quando Ranma, aveva deciso di scappare via.
Lui se ne era andato il mattino seguente, lasciando un misero biglietto di scuse, indirizzato a tutta la famiglia.
Niente che la riguardasse personalmente, niente che la facesse sentire speciale, rispetto agli altri.
Forse perché, lei, di speciale per lui, non aveva nulla.
Non era particolarmente carina né forte, non sapeva cucinare e non era femminile.
Era solo l’ennesima fidanzata che gli era stata imposta da suo padre.
Come avrebbe potuto solo pensarlo  Ranma, che lei potesse essere diversa.
La prova lampante lui l’aveva avuta.
Akane aveva cercato di portarlo all’altare con l’inganno.
Esattamente come le altre, esattamente uguale a loro.
Eppure, ai suoi occhi, Ranma, era davvero unico.
L’unico uomo che l’aveva battuta, l’unico che aveva osato vederla nuda, l’unico che la prendeva in giro, l’unico che riusciva a far vacillare le sue certezze, l’unico che le aveva fatto, involontariamente, cambiare idea sull’amore.
L’unico per il quale batteva il suo cuore.
E adesso, per quest’unico uomo, lei piangeva.
Quante volte si era ripromessa di non farlo più?
 Tante.
Anche il più piccolo ricordo legato a lui, provocava una fitta al cuore, un dolore mai sentito, un senso di abbandono e tristezza, mai provata.
Ecco, Ranma era unico anche in questo.
Il sonno tardava ad arrivare.
Gli occhi le bruciavano e la gola le faceva male nel tentativo di trattenere i singhiozzi.
Oramai anche lei aveva capito, che il suo mantra, con Ranma, aveva fallito miseramente.
La rabbia aveva lasciato posto alla mancanza, e si sa, quando qualcuno ti manca, si fanno le cose più disparate.
Quella notte, Akane aveva deciso di smetterla di piangere, accampare scuse e di restare ferma a soffrire.
Aveva deciso di agire, di seguire ciò che il suo agitato cuore, le urlava già da qualche tempo.
Voleva cercare Ranma, trovarlo e … Picchiarlo!
E dopo averlo massacrato di botte, gli avrebbe detto la verità.
Gli avrebbe urlato contro, tutta la sofferenza che le aveva causato andandosene, scappando via come un ladro, fuggendo via da lei.
Lasciandola sola a combattere contro i sensi di colpa e contro i rimorsi.
Aveva aspettato tre mesi per ricevere notizie, ma a parte qualche telefonata, senza chiedere di lei, del ragazzo col codino non si avevano tracce.
Decise che era giunto il tempo di indagare.
Chiudendo lentamente la porta di camera sua alle sue spalle, trovò il coraggio di entrare, in quell’unica stanza della casa, che lei evitava come la peste: la stanza di Ranma.
Il Signor Saotome era andato a vivere con la zia Nodoka da circa un mese, ad un isolato dalla palestra, e da allora quella stanza non venne mai più aperta.
Suo padre si ostinò a lasciare ancora lì, gli affetti personali di Ranma, nella speranza che il “figlio degenere” facesse presto ritorno.
Akane entrò nella camera ad occhi chiusi e col cuore in gola, come se privarsi della vista, potesse infonderle coraggio.
Non se ne seppe spiegare il motivo, ma provava un’agitazione troppo grande per una che stava facendo solo un po’ di spionaggio, in casa sua per giunta.
Ancora ad occhi chiusi, chiuse la porta dietro di sé.
La prima cosa che notò, fu un forte odore di muschio, qualcosa che si avvicinava alla terra bagnata.
Non era sgradevole, ma neanche il profumo più buono del mondo.
Quando trovò la forza di aprire gli occhi, il buio la avvolse.
Tentoni, cercando di abituare la vista a quell’oscurità, cominciò a fare un passo dopo l’altro, con le braccia protese in avanti.
Ad un tratto sentì un sospiro.
Tappandosi la bocca con entrambe le mani per non urlare, Akane si avvicinò sempre più al futon che un tempo era di Ranma, e rimase ad ascoltare con maggiore attenzione.
Non c’erano più dubbi!
Qualcuno era steso su quel letto e se la russava della grossa!
Quando gli occhi si abituarono al buio, Akane scorse perfettamente una figura sdraiata sul futon.
Un ladro era entrato in casa ed ora riposava nel letto di Ranma, questo era imperdonabile!
Stava per lanciare un urlo disumano, quando con uno scatto felino l’ombra si mosse ed in pochi secondi lei si ritrovò con la schiena stesa a terra ed una mano sulla bocca.
“Sta zitta ti prego!”.
Quattro parole.
Quella frase arrivò dopo tre mesi di silenzio e lacrime.
Ancora sotto shock, Akane non si rese subito conto che la mano che le tappava la bocca, si fosse spostata per accendere una candela.
Accarezzato dalla tenue luce di una fiammella, davanti ai suoi occhi c’era Lui.
Il viso leggermente più sciupato, gli occhi stanchi, ma di quel blu che soltanto Ranma possedeva.
“Tu … Tu sei …”.
Le parole facevano fatica ad uscirle dalla bocca.
L’incredulità fece spalancare i suoi occhi, Akane non credeva cosa, o meglio, chi stesse fissando.
“Si Akane … Beccato in pieno!”.
Le rispose il moro in evidente imbarazzo.
Restarono per interminabili secondi a fissarsi.
Le lacrime premevano sulle ciglia della ragazza, per trovare sfogo, ed era una vera lotta riuscire a trattenerle.
Di fronte a lei, un ragazzo malconcio giocava nervosamente con le sue dita.
“Bhe … Ecco … C- Come stai?”. Chiese Ranma, in evidente difficoltà.
Akane fece un lungo respiro profondo.
Contò mentalmente fino a dieci, per evitare di spedire il giovane sulla luna.
“Hai anche la faccia tosta di chiedermelo? Sparisci per tre mesi senza neanche salutare …”.
Ranma la interruppe:
“Io ho salutato ed ho lasciato anche un biglietto …”.
“Non a me!”. Urlò Akane in uno scatto di rabbia.
Altri attimi di silenzio.
Poi di colpo, una frase.
“Credevo di fare la cosa giusta.”.
La ragazza sgranò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie.
Scappare via da lei, per Ranma, era la cosa giusta da fare.
Ecco, stava succedendo di nuovo.
Le lacrime le riempirono gli occhi, ed una sfuggendo al suo controllo, scivolò via solcandole la guancia.
Inutile fu asciugarla velocemente col palmo della mano, quel piccolo dettaglio, non sfuggì allo sguardo attento del ragazzo col codino.
“Forse è meglio che vada a dormire … Farò finta di non averti visto. Addio Ranma.”.
Non fece in tempo a voltargli le spalle che una presa ben salda sul suo polso, la bloccò all’istante.
“Non mi chiedi perché sono tornato?”.
Affermò il giovane, quasi in un sussurro.
Akane non rispose.
Il solo contatto con la sua pelle, le aveva tolto il respiro.
Una sensazione di calore l’avvolse, ed il cuore cominciò a martellarle forte nel petto.
E faceva male.
 Non era solo disagio quello che stava provando, era proprio un dolore fisico in tutto il corpo, un male che avrebbe potuto farla urlare.
“Vieni, facciamo due passi …”.
Ranma la portò fuori in giardino e da lì raggiunsero le strade di Nerima.
“ A- Allora … Che cosa hai fatto in queste settimane?”.
Domandò Ranma, cercando di intavolare una conversazione.
Nella mente della ragazza passarono i vari ricordi di quei giorni sempre uguali, delle mille lacrime versate, dei momenti d’imbarazzo vissuti a causa di tutti quelli che le chiedevano cosa fosse accaduto, ma soprattutto dove fosse il suo fidanzato.
Ricordò la preoccupazione, la rabbia, la delusione provata, al solo sentir pronunciare quel nome.
“Niente.”. Rispose senza guardare il giovane in viso.
Ranma capì subito che riuscire a parlare con Akane non sarebbe stata di certo una passeggiata.
Si era perfino preparato vari discorsi, monologhi nella foresta, dove Akane era sostituita da un pezzo di legno, un albero, una tazza, una teiera di acqua calda.
Ed anche in quegli assurdi casi, lui aveva avuto difficoltà a terminare un discorso di senso.
Figuriamoci ora che aveva di fronte l’Akane cocciuta e orgogliosa di sempre.
Sapeva di avere davvero poche speranze, ma doveva tentare.
 Voleva tentare.
“Potresti essere un po’ meno gelida e rilassarti? Sai che a parlare con te, si finisce sempre per litigare!”.
Affermò il ragazzo col codino, scegliendo un approccio non proprio pacifico.
“Allora non parlarmi. Sei stato così bravo a non farlo quando hai deciso di scappare, che non dovrebbe essere difficile per te,no?”.
Rispose Akane con tono sagace.
Ranma incassò il colpo.
Non sapeva davvero come abbattere il muro che si era creato tra loro due.
Ogni cosa che avesse in mente di fare per il bene di Akane, automaticamente si rivelava una pessima idea dall’opposto sviluppo.
Arrivarono al parco senza nemmeno accorgersene.
Akane scelse una panchina a caso, e si sedette senza dire una parola.
Il ragazzo la seguì e le si mise accanto.
Lei fissava la punta delle sue scarpe.
Lui con la coda dell’occhio guardava lei.
Un lungo respiro e le parole vennero fuori di colpo.
“Mi dispiace.”.
Gli occhi della ragazza si spostarono finalmente sul suo interlocutore.
Un lieve rossore s’impadronì del viso dell’artista marziale.
Aveva chiesto mille volte scusa ad Akane ma ogni volta era estremamente difficile.
Non solo, a causa dell’orgoglio, ma soprattutto per lo sguardo col quale la sua fidanzata lo guardava dopo quelle parole.
Due occhi tristi, poco convinti della veridicità di quelle parole, due occhi delusi ma che tornavano speranzosi e vivi, quando decidevano di credergli.
Quella vivacità e quella luce, negli occhi della ragazza, in quel momento non c’erano.
La sensazione di aver superato il limite, prese spazio nell’animo di Ranma.
Ed insieme ad essa, la paura di aver perso Akane, per sempre.
Una paura che si era ripromesso di non provare più dal giorno in cui, era stata lei ad andarsene, e per sempre quasi.
Quest’ultimo pensiero lo fece riflettere.
Possibile che Akane, avesse provato quello stesso senso di abbandono, che aveva assaporato lui sul Monte Hooh?
“ Non hai altro da dirmi?”.
La voce della sua fidanzata ruppe il silenzio.
“In realtà vorrei dirti tante cose Akane … Però …”.
Una risatina derisoria lo interruppe.
“Però come al solito, sei troppo stupido e orgoglioso per parlare!”.
Rispose la ragazza incrociando le braccia sul petto.
“Ehi! Stupido a chi? Maschiaccio mancato che non sei altro!”.
Ecco, stavano nuovamente litigando.
“Bhe, così uno di noi due, un po’ uomo, almeno lo è!”.
“Vuoi per caso insinuare che io non sia abbastanza uomo, Akane?”
“Questo l’hai detto tu. Io avrei tolto anche quell’ abbastanza!”.
Un urlo di esasperazione uscì dalla bocca di Ranma.
“Ma chi diavolo me l’ha fatto fare di venire a parlarti! Sapevo che sarebbe finita così!”.
Gli occhi della ragazza presero fuoco.
“E allora perché diavolo sei tornato! Potevi lasciarmi in pace e andare da una delle tue tante
fidanzate carine, anziché introdurti in casa mia come un ladro, svegliarmi, farmi prendere un mezzo infarto e trascinarmi qui, nel cuore della notte, con delle scuse campate all’aria e degli insulti che ho sentito mille volte!”.
Gli urlò contro Akane, senza essersi accorta di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
“Perché mi mancavi razza di stupida!”.
Stavolta gli occhi di Akane si spalancarono per lo stupore. 
Ranma sapeva che doveva approfittare di quel momento, nonostante le gambe gli tremassero e le orecchie sembrassero due torce.
“Mi mancava tutto questo. Si, hai capito bene. Anche le tue urla ed i tuoi insulti.
Akane, se sono scappato via, è perché dopo quello che è successo al matrimonio, ho avuto paura.
Non avevo il coraggio di guardarti in faccia.
Temevo che tu … Potessi odiarmi.”.
Si fissarono negli occhi per alcuni secondi.
Ranma notò una strana luce al loro interno. Quella luce di cui brillavano, quando Lei decideva di perdonarlo.
Akane, in quelli di lui, vide invece sincerità e pentimento.
Sapeva che Ranma non le stava mentendo.
E senza accorgersene, fece un piccolo sorriso.
Quella reazione fece accelerare il cuore del codinato che azzardò una domanda:
“Quindi … P- Posso tornare a casa?”.
Akane rispose:
“Tuo padre si è trasferito ad un isolato dalla palestra con tua madre… ".
Ranma si fece ulteriormente coraggio e disse:
“I- Io mi riferivo a c-casa nostra …”.
Akane scattò in piedi lasciando il giovane imbambolato.
“Io non ho problemi. Le tue cose sono ancora lì. Se proprio ci tieni … Puoi tornare.”.
Disse quelle parole quasi con non-chalance, ma il cuore le batteva fortissimo.
“ Oh grazie mille signorina Tendo … Trattenga l’entusiasmo!”.
Affermò Ranma raggiungendola di colpo.
I due iniziarono a camminare sulla strada di ritorno verso la palestra.
“Povera me! Ed io che credevo di non averti più fra i piedi!”.
Esclamò Akane sorridendo.
“Non sei per niente carina!”. Fu la pronta risposta del giovane Saotome.
La ragazza si girò a fissarlo in viso.
Una smorfia eccessivamente corrucciata, le fece scappare una risata.
“E adesso che c’è?”.
Chiese Ranma in malo modo.
Senza dir niente, Akane, sfiorò la mano del suo fidanzato, quasi in modo impercettibile, suscitando il rossore sul viso di lui.
“Stavo scherzando. Su, andiamo a casa.”.
 
Lei non aveva tempo né voglia di pensare all’amore.
Non le servivano né passeggiate romantiche, né frasi dolci al chiaro di luna.
Akane era forte anche da sola.
Ma c’era una cosa, o meglio qualcuno, assai più importante del suo solito mantra.
Qualcuno che quelle convinzioni gliele distruggeva ogni giorno.
Qualcuno che le faceva desiderare di essere romantica e sciocca come le sue amiche.
Qualcuno che in quel momento le sfiorava, in modo impacciato, la mano.
Qualcuno chiamato Ranma Saotome.
  
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