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Autore: Urban BlackWolf    12/03/2017    0 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Tensioni

 



Per l'ennesima volta richiuse la custodia rettangolare e per l'ennesima volta la riaprì. Seduta sul suo letto con ancora la vestaglia indosso, vogliosa di una doccia che non riusciva ad affrontare, desiderosa di una colazione che il suo stomaco le intimava di andare a fare, persa in mille pensieri, sensazioni ed emozioni, Michiru continuava a guardare quell'oggetto senza avere il coraggio di arrendersi all'evidenza di volerlo stringere tra le mani. Un'attrazione fortissima, che ne modificava il respiro, rendendolo più ansioso, più impaziente nel rincorrere il successivo.

Alexios era stato chiaro anche non parlando. Aveva fatto spostare la mentoniera, così che le corde avessero potuto essere guidate dalla mano destra. Lo aveva fatto contraddicendo a tutte le regole del buon giudizio, perché a dispetto di altri strumenti come la chitarra, il violino nasceva tale e poteva essere suonato solo con quell'impostazione; sinistra sul capotasto e destra sull'archetto. Nessun professionista avrebbe mai osato fare altrimenti, destrorso o mancino che fosse.

Richiudendo la custodia la donna scosse la testa. Aveva già provato quella soluzione. Tanto, tantissimo tempo addietro. La sua carriera era stata spezzata, lo aveva capito benissimo ancor prima che il tutore le venisse tolto rivelando un dito ormai menomato nella forza, ed anche se avesse avuto la pazienza di ricominciare tutto da capo, nessuno avrebbe mai accettato in un'orchestra una musicista con un'impostazione a specchio. La madre era stata categorica; una Kaiou non si sarebbe mai resa ridicola sul palcoscenico. Una mannaia ferale che allora si era abbattuta sulla consapevolezza che ormai aveva della fine, non lasciando scampo ai suoi sogni adolescenziali.

In quel disgraziato frangente il talento che possedeva non l'aveva aiutata e la testardaggine insita nel suo carattere non era bastata a sorreggerla. Michiru Kaiou aveva dovuto arrendersi alla sua nuova condizione.

Riapri' lentamente la custodia. E' tutto solo da quando mia sorella non c'è più. Le mie figlie non si sono mai interessate di musica ed io non saprei neanche come impugnarlo. Accettalo, ti prego. Non c'è bisogno che venga suonato, vorrei solo che avesse un po' di compagnia. Che qualcuno si prendesse cura di lui. Le parole di Alexios le riecheggiarono nella testa. E' tutto solo... Tutto solo... E le sue mani afferrarono quell'oggetto tanto prezioso.

“E così saresti tutto solo, eh? - Disse rigirandoselo tra le dita. - Lo sono stata per molto tempo anch'io, prima che un angelo biondo entrasse a far parte della mia vita. Purtroppo non credo che saprei essere una buona amica. Non posso suonarti... Non più.”

Davvero suonavi il violino da ragazza? Mi sarebbe tanto piaciuto ascoltare la voce della tua anima riflessa nelle note. Le aveva detto un giorno la sua Ruka mentre Michiru era stata beccata a leggere di soppiatto un articolo su sua madre riportato in una rivista specializzata. Ed in quel ricordo trovò coraggio.

Chiudendo gli occhi concesse una pausa alla sua reticenza. I polpastrelli della sinistra iniziarono a percorrere la tavola armonica gustandosi la densità della lacca. Abbassando leggermente la testa sorrise riconoscendo una delle punte, poi virando decisamente verso la effe, fermò il tocco al ponte. Avvertendo un fremito aprì le palpebre lasciando che la mano destra agisse di volere proprio e sotto un'anarchia prettamente carnale, Michiru abbandonò le convenzioni inculcatele da giovane, liberando finalmente l'ancestrale bisogno di lasciarsi possedere dalla musica che dall'incidente ardeva in lei senza più sfogo. Non riuscendo a staccare gli occhi dal riccio, lasciò che le dita della mano destra percorressero gentili la tastiera fino a giungere sul capotasto. La sinistra corse all'archetto ancora dormiente dentro la custodia afferrandolo, ed alzandosi lentamente dal letto richiuse nuovamente gli occhi rendendosi conto di stare tremando.

Non poteva esserci un'impostazione corretta, perché semplicemente non esisteva. Postura, posizione delle braccia, dei gomiti, della testa, angolazione delle dita sulle corde, nulla. Tutto improvvisato. Tutto assolutamente ed autenticamente puro istinto. Come un cieco si affidò alle sensazioni tattili e come una nuova Helen in Anna dei miracoli, Michiru si concesse di scoprire il liquido vitale dell'acqua. Nella stanza vibrò una nota, poi una seconda e poi una terza, timide, quasi impaurite, come cerbiatti all'ombra del margine ultimo di un bosco.

Staccando il crine dalle corde riaprì gli occhi accorgendosi di stare piangendo. Dimenticando l'archetto nella mano sinistra mollemente abbandonata al suo fianco, la giovane donna avvertì chiaramente l'euforia invaderle le vene come liquido violento. Un sorriso sempre più marcato le illuminò il viso, mentre la gioia tornava finalmente ad accompagnarle il galoppo del cuore.

 

 

Il fattorino porse a Khloe la ricevuta da firmare ed una volta riavutala le consegnò il mazzo di fiori tornandosene verso il furgone. Orchidee blu. Splendide. Neanche troppo pretenziose nonostante il gran numero. Delicate. Di classe. La donna strinse le labbra fissando nome e cognome riportati sul biglietto infilato all'interno del cellofan che proteggeva il mazzo. Michiru Kaiou. Erano di lei, ne era sicura. Rientrando verso la reception, Khloe ebbe più volte la tentazione di gettarli via. Ad ogni passo, ogni respiro, ogni battito, sentiva di stare combattendo una battaglia. La coscienza le intimava di fare la cosa giusta, ma l'amore le urlava tutto l’opposto.

Gettali. Non lo verrà a sapere nessuno, sentiva.

Non sono quel tipo di persona. Non ho bisogno di mezzucci del genere per riconquistarla, rispondeva.

Continuò a lacerarsi così, salendo lentamente le scale fino al secondo piano e poi lungo il corridoio, verso la stanza della straniera, rimanendo in stallo per istanti interminabili davanti a quella porta bianca, decidendo di bussare solo dopo un'infinità di tempo. Qualche secondo e le fu aperto.

“Buongiorno Kaiou. Ben svegliata e... auguri.” Disse rendendosi immediatamente conto di quanto Michiru fosse radiosa in quella giornata di fine inverno.

“Buongiorno a te. Grazie. “ Finalmente vestitasi, le sorrise attendendo di sapere cosa volesse ed una volta che il mazzo di orchidee si presentò ai suoi occhi, capì ancor prima che l'altra parlasse.

“Non sono da parte mia.” Affermò quasi con un pizzico di vanto.

Michiru lo prese osservandolo abbassando poi lo sguardo. “Grazie doppiamente Khloe. Ti dev'essere costata.”

Scrollando le spalle fece una smorfia incamminandosi verso il pianerottolo. “Tieniti libera questa sera. I miei vorrebbero festeggiare.”

“Ci sarò.” Disse richiudendo la porta per poggiare il mazzo di orchidee sul letto. Aprendo delicatamente parte del cellofan estrasse il biglietto leggendolo.

O amore mio...

 

 

Quella mattina Haruka aveva dolori dappertutto, ma si era lo stesso alzata prima piazzandosi on line per ordinare un mazzo di orchidee blu. Era il compleanno della sua dea e adesso che ne conosceva l'indirizzo, avrebbe potuto farle recapitare un pensierino. Uno dei suoi fiori preferiti, accompagnato da un biglietto: eterno come il mio amore e blu come i tuoi occhi. Frase questa già usata con successo l'anno precedente, dopo l'incidente che aveva coinvolto la compagna e che comprendeva uno dei significati di quello splendido fiore, ovvero l'amore eterno, unito al colore dei suoi petali, quasi identico alle iridi di Michiru.

Appena terminata l'operazione, si era però sentita scivolare addosso un'incredibile tristezza ed ora si ritrovava seduta su uno degli sgabelli della penisola, con il suo bel tutore calzato a pennello, le mani mollemente dimenticate sulle gambe, la fronte poggiata al piano del tavolo. Una posizione quasi “fetale”, che stava trasformando con fare di darwiniana memoria, il trotterellante puledro di fanteria della dottoressa Kaiou, in una specie di bruco rannicchiato su se stesso.

Giovanna uscì dal bagno docciata, vestita e gioviale come sempre, pronta ad un ennesimo viaggetto alla guida di quello spettacolo a quattro ruote che era la macchina di Michiru, ed alla vista di quell'immagine, rimpianse di aver lasciato il cellulare con la sua compromettente fotocamera nei pressi della bionda. Sentendosi un agente del Mossad, una cacciatrice mascherata alla Assassin's Creed, le si avvicinò piano, desiderando fin dentro le viscere di piazzarle un ceffone tra capo e collo talmente forte da farle rimpiangere di trattarla da peste a minuti alterni, ma non appena la destra si levò in alto tagliando l'aria, la bionda le intimò di fermarsi o le avrebbe staccato la testa.

“Se fossi in te non lo farei Giovanna.” Disse posando l'avambraccio destro sul tavolo per far leva.

.

Alzando il capo e parte della schiena, Haruka digrignò i denti alla miriade di spilli che le stavano violentando ogni fascia muscolare del suo adorato corpo.

“Ma cos'hai?! Gli occhi laterali come le mosche?” E l'idea di pacca epocale si trasformò in carezza gentile.

“Sappi Tenou che non mi fai alcuna paura.” Le sussurrò poi all'orecchio andando verso i fornelli chiedendole dove fosse finita la colazione che toccava a lei preparare quella mattina.

“A fanculo...”

“Mmmmm.... E dove sarebbe questo garrulo posto? Non nella tua cucina vedo.”

Haruka la guardò allibita. Fresca, riposata, piena d'energia. “Ma non ti fa male proprio niente?” Domandò mentre l'altra provvedeva da sola per emtrambe inserendo le cialde nella macchina del caffè prendendo poi le tovagliette.

“Cos'è che dovrebbe farmi male?”

“Tutto...” E nuovamente giù la testa.

“Sei tu che ieri hai nuotato, non io. Per quel poco che sono stata in acqua...”

Sorrise quasi intenerita. E si, voler bene ad Harula era, in un certo senso, facile, perché quando abbassava le difese, smetteva l'immagine di dura, finiva di tirarsela, ed azzerava i suoi punti figagine, appariva come la ragazzona dolcissima desiderosa di attenzioni qual'era. Il che accadeva assai di rado. Per il restante tempo era una disgraziata che aveva nel tono profondissimo della voce, granate a pioggia prive della spoletta dal nome Kaiou. E la cosa che dava più fastidio di tutto, era che sembrava provare immenso gusto a dar vita a quella tracotanza coatta, che poi tutto era tranne vera superbia, perché mai come in quei giorni, forse comparabili solo a quelli passati a Zurigo, Haruka si era scoperta tanto fragile senza Michiru, cosa questa che la riempiva di rabbia. E più si sentiva vulnerabile e più se la prendeva con colei che ora le stava accanto.

In tutto questo Giovanna si trovava proprio nel centro del mirino, assorbendo pallettonate provenienti da ogni lato. Cercando di accettare la cosa. Provando a capire la solitudine della bionda. Stava sforzandosi in tutti i modi di non lasciarsi impressionare dal carisma della sorella che sembrava montare ogni giorno di più, come a voler dire: sono Haruka Tenou e non ho bisogno di nessuno, Kaiou per prima ed Aulis inclusa, ma era sempre più difficile, soprattutto ora che aveva l'occasione di vederla all'interno del territorio nel quale si sentiva più forte e fiera; la scuderia Ducati. Persino la sera precedente, all'uscita dalla piscina, mentre Haruka si stava facendo consegnare dal custode gli orari per trovare la piscina vuota, l’attenzione di Giovanna era caduta su un cartellone posto proprio all'entrata, dove campeggiava la foto per l'anno 2016/17 di tutta la scuderia, piloti in testa. Neanche a dirlo apposta Tenou era in prima fila, accanto a personaggi che lei aveva avuto modo di vedere solo nei telegiornali sportivi. E non sarebbe bastato vederla annaspare in acqua, o insonnolita stravaccata sul divano, o mezza nuda all'uscita della doccia, o davanti agli scaffali di un supermercato lista alla mano, perché prima o poi Giovanna sarebbe crollata e le paure avute nell'autunno precedente, quando Michiru aveva iniziato a parlarle della bionda, sarebbero riaffiorate.

“Che marmellatina vuoi oggi?” Chiese prendendo il pane ed i coltelli.

“Fanculo anche a loro. Buttale nel secchio. Mi sono rotta le palle di questa assurda dieta!”

Bene, la situazione stava caracollando nel triviale e Giovanna capì immediatamente di avere solo due strade possibili; quella facile che portava il nome di “fregatene Aulis che campi cent'anni” e quella ben più ardua e masochista del “fai la cosa giusta che sei la più grande”. Anche questa volta scelse male.

“La dieta sul frigorifero dice l'esatto contrario. Hai la visita di controllo dal dottor Kurzh tra qualche giorno. Dai, fai un ultimo sforzo Ruka.”

Di tutta risposta la bionda si alzò dallo sgabello passandole accanto ed arpionando la dieta, l'appallottolò tra le dita della mano destra scaraventandola nella pattumiera. “Ecco cosa penso della dieta. Sono stata sufficientemente chiara?!”

Giovanna sospirò non abbassando lo sguardo. “Cristallina.”

“Perfetto!” Rispose l'altra ritenendo la questione chiusa dandole le spalle ed iniziando ad armeggiare con la macchina del caffè.

Cos'era facile? Voler bene ad Haruka? E no, Giovanna questa volta non era disposta a cedere.

“Adesso mi fai la santa cortesia di dirmi che cazzo ti gira storto questa mattina.” Sparò tutto d'un fiato preparando le difese.

L'altra si girò lentamente. Gli occhi carichi di brace verde. “Lo vuoi proprio sapere? Oggi è il suo compleanno!”

E no, Kaiou. Questa non me la dovevi fare,pensò Giovanna corrugando la fronte. Capitolo chiuso e per tutto il resto della giornata le due evitarono caldamente di parlarsi.

 

 

Ami era furibonda. Non si era mai permessa di scagliarsi contro il padre, ma quello che aveva saputo quella sera le aveva fatto saltare i nervi, ed ora chiusa nella stanza dei genitori con la sorella a fare da “pacere”, stava dando sfogo a tutta la frustrazione che la sua famiglia era stata in grado di regalarle.

Era quasi notte fonda ed ancora stavano discutendo. La giornata della specializzanda era trascorsa tranquillamente, senza troppi scossoni. Università, pranzo in sede, correzione di parte della tesi con il suo relatore, ritorno alla pensione in tempo per aiutare la madre in cucina, ed infine cena; importantissima, perché in realtà era una mini festa di compleanno per Michiru. Quattro chiacchiere e poi il ritiro dei genitori e di Khloe, i quali ritmi di sonno per mantenere un'elevata efficienza lavorativa, dovevano obbligatoriamente rispettare una tabella ferrea. Così lei e la straniera ne avevano approfittato per parlare un po' e qui il medico aveva saputo cosa il padre aveva fatto la mattina presto. Michiru era in estasi, era riuscita a produrre tre note, sporche, fragili e poco convinte, ma pur sempre tre fantastiche ed impensabili note. Anche se parecchio spaventata dalla novità, non aveva certo nascosto ad Ami di provare una felicità ed un entusiasmo che poche altre volte aveva avuto.

L'amica aveva ascoltato senza apparenti emozioni, sondando il terreno emotivo dell'altra e notando un eccessivo, quanto naturale sbilanciamento sentimentale. Parafrasando l'immagine di una bilancia in precario equilibrio, improvvisamente caricata da un surplus di peso su uno dei suoi piatti, cercò di frenare in tutti i modi l'entusiasmo di Kaiou, preoccupata dalla possibile rottura dell'asta. Non vi era riuscita, anzi, Michiru sembrava essersi galvanizzata e come se fosse stata drogata da quel trittico di note, aveva iniziato a fare discorsi pericolosi del tipo; ormai la guarigione è vicina. Posso tornare a casa.

Niente di più falso! Niente di più dannoso!

E adesso che la donna più grande era andata a dormire spinta da chissà quali pensieri, Ami era una furia.

“Non capisco proprio perché avrei dovuto chiederti il permesso, Ami. E' solo un regalo.” Alexios era stanco e la boria della figlia lo stava innervosendo. Era in giro dalla mattina e voleva solo coricarsi.

“Il violino della zia! Le hai regalato il violino della zia!”

“E allora?! Tu non lo hai mai voluto. Che cos'è questa, una scenata di gelosia?!” Disse Agapi sedendosi sul bordo del letto. Era raro vedere la figlia minore in quello stato.

“Non dire assurdità mamma! Cosa vuoi che me ne importi! Perché non capisci?! Il violino è stato modificato perché Michiru torni a suonare.”

“Non hai cercato di farla suonare anche tu proprio qualche giorno fa?” Intervenne Khloe che sinceramente se ne fregava di quello che pensava la sorella.

Era stato meraviglioso rivedere negli occhi di Kaiou l'energia gioiosa che aveva da adolescente.

“Certo, perché non sapevo che non potesse più farlo. Cosa che nessuno in famiglia si è mai preso la briga di dirmi! Credete sia talmente delicata da spezzarmi come un grissino ad ogni brutta notizia o la vostra è solo saccenza? No ditemi... Lo vorrei sapere!”

“Cosa c'entra questo adesso?”

“C'entra mamma, c'entra eccome, perché se avessi saputo del suo problema alla mano e della vera causa che le ha interrotto la carriera..., primo, avrei evitato di passare per la deficiente della famiglia Mizuno e secondo, cosa che francamente mi interessa di più, dal punto di vista psicologico avrei agito in maniera del tutto diversa.”

Alexios sembrò rifletterci sopra. “Vuoi dire che facendole dono del violino di tua zia le ho causato danno?”

“Si.”

“No, aspetta un momento, ma l'hai vista?! Ha gli occhi che le brillano.” Disse Khloe a protezione del padre.

“Ma piantala anche tu! Non fai altro che girarle intorno, quando Michiru ha solo bisogno di essere lasciata in pace. Ma tu niente! Non lo capisci! Guarda Khloe, te lo dico di fronte a testimoni, lasciala stare!”

“Ami adesso basta. Porta rispetto a tua sorella.”

“Mamma faresti meglio a non intrometterti. - Ringhiò Ami alzando l'indice contro la donna. - Invece di fermare gli ormoni di tua figlia sembra che tu stia avvallando la cosa. Michiru ama la sua compagna e quello che le unisce è forse la cosa che tiene legato tutto l'impalcato di quello che resta della sua serenità interiore. Spezzando questo legame sarebbe la stessa Michiru ad essere spezzata.”

“Se veramente questo legame è tanto forte che paura hai Ami? Che danno mai potrei fare.” Chiese la sorella sorridendo beffarda. Quel discorso la stava ferendo.

“Non ho certo paura che ombre del passato rovinino un'unione che, ribadisco, è più che solida Khloe, ma ora Kaiou è fragile e le sue reazioni sentimentali potrebbero essere distorte.... Ti ripeto di starle alla larga. Se veramente ti è mai importato qualcosa di lei, ritirati.”

L'altra scattò in avanti con aria di sfida. Gli occhi neri carichi di collera. “Come ti permetti ragazzina...”

“Basta voi due!” Agapi inserì la sua notevole massa corporea tra le due.

“Ascolta Ami. - Alexios rimasto leggermente in disparte, alzò sulla figlia due occhi dolenti. - Spiegami come poso averle fatto del male.”

Il medico sembrò calmarsi di colpo. Non avrebbe voluto urlare. “Vedi papà, nel sentirsi nuovamente sicura di poter riavere il controllo su una cosa per lei importantissima come la musica, Michiru potrebbe pensare erroneamente di non aver più bisogno di aiuto e questo sarebbe un errore catastrofico per la sua psiche. Facciamo un esempio; sarebbe come se ora avesse la pelle esposta e vulnerabile dopo una brutta scottatura, ma non volesse coprirla con le bende, perché sicura di guarire solo con i raggi del sole. Cosa credi potrebbe accaderle?”

“Potrebbe contrarre un'infezione.” Terminò Agapi fissando a turno i due.

“Già. E sarebbe la fine.” Concluse Ami.

Alexios prese a sfregarsi la fronte mortificato. “ Ti assicuro cara che le mie intenzioni erano altre. Credevo di farle piacere.”

Accovacciandosi davanti al padre Ami gli offrì un sorriso riappacificatore. “Non lo metto in dubbio e credo che sia stato uno dei regali più belli della sua vita. Stai tranquillo. Se sarà necessario vedrò di porre rimedio. Ma vi prego, da ora in avanti cercate di non interferire.”

 

 

Il giorno dopo, di buon mattino, Ami Mizuno decise d'iniziare a giocare pesante. Costretta per forza di cose ad accelerare per non perdere il terreno fin li faticosamente conquistato, doveva provare a capire in fretta il perché della nascita e dello sviluppo nel tempo degli incubi di Michiru. Tutto ruotava attorno alla figura di Viktor Kaiou e questo era evidente, ma il suo suicidio ed il pessimo rapporto con la madre non potevano aver causato in Michiru danni permanenti tanto gravi. Doveva esserci qualcos'altro. In più, qual'era stata la causa scatenante a trasformare offuscati e sporadici sogni, in veri e propri incubi, frutto di rimembranze di spaccati di vita quotidiana? Perché poi quella benedetta donna si ostinava a non voler prendere mai, per nessun motivo, farmaci che avrebbero potuto alleviarle l'insonnia e la violenza del sonno?

Ami bussò alla porta della camera della straniera e non trovandola si diresse verso la spiaggia continuando a riflettere. Cosa aveva nelle mani? Dov'era giunta fino a quel momento? Poteva riuscire a collegare fra loro le informazioni che aveva sul passato dell'amica? Per prima cosa la malattia del signor kaiou, assolutamente imprevedibile e non gestibile, che aveva costretto un'adolescente a crescere di colpo. Il carattere schivo di Michiru l'aveva spinta ad isolarsi ancora di più, sia con i compagni di scuola, sia con la madre, spesso assente. Il crollo del piedistallo sul quale una figlia adorante aveva posto il padre, aveva iniziato a minare le certezze della vita di una giovane donna e l'essere costretta a mentire al genitore, le aveva fatto nascere nel cuore il senso di colpa. L'unico punto fermo rimasto a quella sedicenne, era stata la musica, la felicità nel darle vita, la consapevolezza di non essere mai sola, la certezza di una carriera e del rispetto ad essa correlato, la mancanza di paure nei riguardi del futuro. Una volta venuta a mancare quella, il cedimento prima o poi sarebbe stato inevitabile.

Per assurdo la figura positiva che in quel periodo aveva aiutato Michiru era stata la sorella maggiore. L'amore di Khloe l'aveva sorretta, almeno fino a quando questo era stato libero di manifestarsi. Il trasferimento dei Kaiou in Giappone aveva strappato a Michiru anche quell'ultima sicurezza.

Dai Mizuno. Fatti coraggio e procedi per gradi. Pensò intravedendola scarabocchiare sul suo album all'interno degli ambienti delle piscine coperte.

“Sei prevedibile Kaiou.” Entrando si accorse di quanto fosse umido quel posto rispetto al tepore primaverile che si respirava all'aperto. “Perché non sei fuori a goderti il sole?”

“Dimmelo tu. Non sono prevedibile?” E scoppiarono a ridere entrambe.

Michiru era di ottimo umore, tutta un'altra persona rispetto alla donna di qualche giorno prima.

“Credo sia per un puro fatto artistico. Per la prospettiva forse?” Ipotizzò Ami avvicinandosi e nel vederla arrivare l'altra richiuse velocemente il blocco facendo girare i fogli attorno all'asse dell'aspirale.

“Non sbirciare. Non sono neanche a metà.” Disse facendo un finto broncio ammettendo poi che quel giorno la luce le stava dando fastidio agli occhi.

La specializzanda non si sorprese. Il mal di testa che l'aveva colpita un paio di giorni prima, l'aveva indotta a prescriverle un leggero analgesico che però poteva indurre ad occhi delicati come i suoi una temporanea ipersensibilità alla luce. La straniera aveva accettato la pariglia senza batter ciglio.

“Curioso... - Continuò Ami. - Ti opponi con tutta te stessa ai tranquillanti e non agli analgesici.”

Michiru captò il sarcasmo, ma non cadde nella trappola. Sentiva la vena artistica tornarle lentamente nella mano e non voleva perder tempo con “giochetti mentali”.

“Se vuoi chiedermi qualcosa... Chiedi. E' così che funziona. Tu fai le domande e io, se posso, rispondo.”

Invece era caduta nella trappola, solo che non se n'era accorta. Ami stava cercando di capire se colpire subito duro o aspettare ancora qualche giorno. “Stavo solo facendo una costatazione. Mi sembra chiaro che tra un medicinale che azzera i sensi ed uno che blocca il dolore, la differenza sia lampante per tutti.”

“Bene.” Tornò a fissare la parete bianca.

No, Kaiou non era ancora pronta.

“Come vanno i sogni?” Continuò lasciando l'altra in contropiede. Il medico sembrava non seguire un filo logico quando le poneva domande.

“E' una conversazione tra amiche o tra... medico e paziente?”

“Non credo che in questo frangente dovrebbero esserci differenze, ma se serve a non farti trincerare dietro la tua barriera difensiva, diciamo la prima.”

Michiru cercò di non far trasparire il suo disappunto, ma non vi riuscì.

Ami sorrise. Quella donna era come un pesce schiacciato sul fondo dell'oceano, che per suo stesso volere si rifiutava di salire verso acque più luminose e calde. Per anni si era esercitata nel tenere i suoi sentimenti chiusi a macerare nel proprio perbenismo, ma era arrivato il momento che per non morire soffocata, si decidesse a palesare il proprio io al mondo.

“Ti da fastidio che ti faccia sempre domande, lo so, ma è il mio compito, anzi, il compito che tu mi hai chiesto di svolgere.”

“Lo capisco. Scusa."

“Non chiedermi scusa. Va benissimo così. Se ti da fastidio, esternalo. Dimmelo. Opponiti. Cerca di non tenere mai dentro le emozioni che provi.”

“Lo faccio da tutta la vita Ami. Non mi è facile fare diversamente.”

“Così stai soffrendo. Anche per questo la tua mente sta dando libero sfogo alla frustrazione che prova con gli incubi. Allora, come va il sonno?”

“Meglio, ma continuo a sognare cose... non molto piacevoli. Solo che nel farlo, ora ho la consapevolezza che non sia la realtà e sono tornata ad avere il pieno controllo. Con un po’ di fatica riesco a svegliarmi quando voglio.”

Una notevole notizia. “Sono fotogrammi ricorrenti o sempre diversi?” Ami iniziò a muoversi verso l'uscita e Michiru la seguì.

“E' come se il mio sonno stesse tornando alla condizione di qualche mese fa. Almeno per quanto riguarda gli incubi.” Le immagini erano tornate ad essere confuse.

“Trovi un filo conduttore in cio' che sogni?” Chiese Ami e ad un diniego sembrò perdersi per qualche secondo resettando l'intero programma. Lo sapevo! Sta ricevendo troppe stimolazioni esterne. Pensò iniziando a percorrere il viottolo che portava ad una piccola zona alberata, dove la luce del sole veniva filtrata da grandi pini marittimi e qualche tronco abbattuto garantiva sedute bucoliche che permettevano di godersi in tutta tranquillità la visione del mare.

Una volta arrivate, Michiru si sedette solcando la fronte con una vistosa ruga. “Perché ho come l'impressione che non proceda come vorresti?”

“Di solito non si mette un paziente a conoscenza delle conclusioni che il suo terapista riesce a redigere, ma stiamo affrontando questa situazione con grandi margini di movimento. La strada che devi percorrere è ancora lunga, Michi. - Ne approfittò per sottolineare il fatto che avesse ancora bisogno di aiuto. - Lo scopo che mi sono prefissa è quello di abbattere le tue difese inconsce per riuscire a far riemergere, rimuovendole, quelle parti di subconscio che ti stanno bloccando. Nel farlo in genere sono proprio i sogni i primi a scomparire.”

“Anche quelli normali.”

“Si.”

Michiru abbassò la testa, mentre l'altra le consigliava comunque di non abbattersi. Il processo di guarigione era lento, ma la donna più grande non voleva proprio accettarlo.

“Posso chiederti se rivordi cos'hai sognato questa notte?”

“Mio padre. Tanto tempo fa, quando era ancora in salute. Ma al risveglio ho perso gran parte del sogno, perciò non saprei dirti cosa facesse, ma sicuramente cose piacevoli." Ammise sorridendo.

“Capisco.”

“Così ci metteremo una vita. Voglio..., devo tornare a casa.” Si lasciò scappare.

Ami raccolse e ne approfittò per scavare ancora. “Haruka?” Chiese e l'altra mosse impercettibilmente la testa dando poi voce a quel movimento.

“Ieri ho ricevuto da parte sua un bellissimo mazzo di orchidee. Ero felicissima. Mi sarei aspettata di sentirla, ma... Devo tornare. Haruka non ce la fa più. Io non ce la faccio più.”

Il medico continuò cercando di riallacciare il filo delle informazioni a sua disposizione sulla compagna di lei. “Mi hai detto che avete già affrontato una situazione di lontananza simile a questa. Perché ora dovrebbe essere diverso?”

“Per tante ragioni. Prima di tutto io sono fuggita, mentre Haruka no.” E lentamente Michiru raccontò ad Ami tutto; la leucemia, Zurigo, la separazione forzata, il suo lavoro a Roma, il trapianto, i giorni d'angoscia e quelli della speranza e pian piano nella mente dell'altra, il mosaico si componeva rendendo tutto molto più chiaro.

Diciamo che mi sto prendendo una pausa per... riposare un po'. Sono appena uscita da un periodo abbastanza stressante.” Ricordò Ami.

Ecco cos'era stata la causa scatenante di tutto! Uno stress prolungato nel tempo, una persona amata sofferente e lei con il peso delle responsabilità, l'incapacità di uno sfogo e la solitudine della lotta, com’era accaduto con Viktor. Quella donna ne aveva passate talmente tante che era un miracolo constatare ancora saldezza nella sua mente.

“Ma avete dovuto affrontare tutto da sole?” Domandò cercando di rimanere il più asettica possibile. Non ci stava riuscendo e forse, solo con la pratica, Ami Mizuno avrebbe un giorno esercitato quella delicata pratica medica senza lasciarsi coinvolgere.

“Si. Haruka non ha, per così dire, una famiglia ed io...”

“La signora Flora?”

Questa volta Michiru rise e lo fece quasi con isteria. “Non si è degnata neanche di conoscerla la mia Ruka. Figuriamoci di aiutarmi ad aiutarla. Lasciamo perdere. Per fortuna quella disgraziata situazione ci ha reso una sorpresa. “ E fu il momento di parlarle di Giovanna.

“Se non ci fosse stata lei, Haruka si sarebbe spenta ed io sarei impazzita dal dolore. In più per me si è rivelata un'amica tanto preziosa, quanto unica.”

“Dimmi Michiru, con questa donna riesci a manifestare i tuoi sentimenti?”

L'altra ci pensò e poi muovendo la mano destra fece il gesto del “così così.”

“Ammetto di essermi aggrappata a lei spesso e volentieri a Zurigo. Sono anche riuscita a confessarle il suicidio di mio padre e l’ho fatto con estrema naturalezza, ma la lontananza non ci facilita il compito della conoscenza. Sento comunque la necessità di chiamarla e di parlare con lei, cosa che con altri amici non ho. Credo che sia la persona più simile ad una sorella che abbia.”

“Sa cosa stai cercando di fare qui?”

La straniera si passò allora una mano fra i capelli ammettendo che sarebbe stato difficile tenerglielo nascosto visto che attualmente si trovava assieme ad Haruka. “Se non fossi stata costretta dalle circostanze, non so se glielo avrei detto... Provo pudore nel fare quello che sto facendo. Provo... vergogna Ami. - Un'ammissione che le stava costando sforzo. - Non so se per chiunque si sottoponga a sedute di psicanalisi i sentimenti siano gli stessi, ma per quanto mi riguarda è quello che provo. In più, visto mio padre...” Lasciò cadere la frase. Era ovvio che si era spesso chiesta se la malattia nervosa di Viktor potesse essere ereditaria.

Posandole una mano sulla spalla, la specializzanda affermò convinta di stare tranquilla. “La reticenza nell'ammettere di essere in cura da uno psicologo colpisce più o meno tutti e nel tuo caso è ancor più giustificata. Comunque posso dirti con assoluta certezza che la tua mente è perfettamente sana Michiru.”

Si alzò sorridendole. “A parte tutto, il fatto che tu stia istaurando con questa Giovanna un rapporto tanto famigliare è un fatto estremamente positivo, anche se nato da un episodio della tua vita che non ha fatto che alimentare il tuo disagio interiore. Per quanto riguarda tua madre, beh, ti consiglierei di provare a riallacciare i contatti, ma so che questo comporterebbe l'azzeramento di tutto il rancore che ora propri per lei. Perciò per adesso, cerchiamo di concentrarci sul fatto che ha sbagliato, per tante ragioni, soprattutto per fragilità.”

“Una fragilità più marcata di quella di sua figlia?” Chiese disgustata alzandosi anche lei.

“Assolutamente. Kaiou tu sei molto più forte di quanto non si pensi. Ora però mi andrebbe un buon gelato. Ti va di fare una scappata in centro per gustarci un bombardamento ipercalorico?” Chiese con semplicità. Ami riusciva a capire quando era ora di fermarsi. Le sue sedute non avevano mai un lasso di tempo predisposto, iniziavano e finivano così, cercando di non far mai provare particolare pesantezza nella sua interlocutrice.

Michiru la guardò iniziare a ripercorrere la strada delle piscine. “Ma dovremmo andarci con il tuo scooter?” Chiese sollevata che quel supplizio fosse terminato e ad un assenso chinò la testa sperando che quel trabiccolo non le mollasse al centro di una delle tante carreggiate della città ateniese.

 

 

Una partita pazzesca! Epica. Il Barcellona aveva compiuto l'impresa entrando di diritto nella leggenda del calcio mondiale. Haruka e Giovanna erano euforiche, gasatissime, satolle dopo un paio di kebab ed accaldate dopo il trangugiamento di una chiara a testa. Senza alcun ritegno. Senza alcun controllo. Senza Kaiou a vegliare sul porcaio che quel divano era diventato con il passare dei minuti.

Questa volta la colpa era stata di Haruka, ma Giovanna l'aveva fomentata alla grandissima. Erano uscite dalla piscina verso le diciannove, sempre in religioso silenzio, sempre con la bionda nervosissima, anche se stanca morta e sempre con la sorella incavolata marcia anche dopo una sobria lezione di nuoto. Lungo la strada per le colline, accusando una fame atavica e visto che c'era la Champions League da gustarsi, la prima aveva “gettato sul tavolo” l'idea di una pizza d'asporto ed una birra. Fermandosi ad un semaforo, l'altra aveva finalmente sciolto la lingua dichiarando che un kebab con tutto dentro, cipolle incluse, sarebbe stata una zozzata ancor più goduriosa.

“Se la devi fare sporca, la devi fare sporca fino in fondo Tenou.”

“Ma Michiru non dovrà mai venirlo a sapere... Intesi Giò?”

“Ovvio compagna di merende. Dimmi la strada.“ E dirigendosi verso il centro città avevano compiuto il delitto perfetto, aggiungendo ai panini anche qualche polpetta speziata di dubbia provenienza, tanto Haruka quella sera non avrebbe dovuto baciare nessuno e quel nessuno non sarebbe mai venuta a conoscenza di nulla.

Sempre in silenzio avevano fatto ritorno a casa cambiandosi e mettendosi in tuta, accendendo il caminetto, apparecchiandosi davanti al pre gara, per poi iniziare a mangiucchiare in sincrono al calcio d'inizio. A metà panino era iniziato ad essere chiaro che quel divano di pelle bianca non sarebbe mai più stato lo stesso e a fine birra, il trogolo aveva avuto il suo pieno compimento nella più totale lordura. Francamente se Michiru avesse potuto assistere ad un tale mascolino scempio, non avrebbe avuto remore nel buttarle fuori casa entrambe. Ma si sa; quando il gatto non c'è...

Ora, dopo la gara, le interviste e gli highlights, complice lo stomaco pieno, la soddisfazione che Haruka stava provando per la zozzata consapevolmente fatta ai danni della compagna e l'alcool a fermentare nei sensi di entrambe, gli animi in casa Kaiou-Tenou erano notevolmente più rilassati.

“Non posso crederci. Che remontada! Ma perché non tifo una squadra come questa invece che quei quattro brocchi.” Disse Giovanna piazzata a gambe incrociate sulla seduta.

“Cambia squadra.”

“Cambia donna.” Come a voler dire impossibile.

La bionda sorrise continuando a guardare lo schermo. “Quasi, quasi.”

Ma l'altra lascio' che la diatriba scherzosa cadesse, perché sul piano Kaiou era già rimasta scottata la mattina. Così tornarono a guardare lo speciale post gara, con Giovanna a sfottere il PSG perdente ed Haruka a darle appoggio.

Tutto fino a tarda sera, quando improvvisamente la bionda si fece seria iniziando a pensare e a … ricordare. Quanto a Mattias sarebbe piaciuta quella partita. Avrebbe fatto salti a destra e a manca, esponendo fieramente la sua maglietta con il numero dieci, tritandola forse anche per giorni, sull'enorme fortuna di aver potuto assistere ad un evento simile.

Fortuna. Haruka si premette un dito contro le labbra fino a sentire i denti. Fortuna. Si ripeté avvertendo la mascella tremarle lievemente.

“Meglio iniziare a dare una pulita. Credo che dei pezzi di montone mi siano sfuggiti e se non vogliamo che inizino a belare proprio quando Michiru tornerà, sarà meglio trovarli.” Disse Giovanna alzandosi per andare in cucina.

Haruka le serrò il polso sinistro bloccandola. "Giò aspetta.”

Una voce tanto vibrata che l'altra lasciò morire la buffa espressione che aveva messo su. “Che c'è?”

Sospirando la grande Tenou chiese scusa alla piccola Aulis. Scusa di averla incatenata a Bellinzona per giorni. Scusa di essere diventata un pungiball per i suoi nervi scossi. Scusa di non essere capace di manifestarle la gratitudine che sentiva per il suo supporto. E la scusa che a Giovanna colpì più di tutte; ovvero di non essere una sorella decente.

“Ruka, ma che ti prende...”

La bionda scansò lo sguardo puntandolo alle fiamme nel camino. “Ho visto le prime partite del girone eliminatorio con un mio amico, a Zurigo. Era tifosissimo del Barcellona e sistematicamente le guardavamo insieme. Ero convinta che sarebbero state le ultime della mia vita. Ero convinta che non avrei vissuto altri tre mesi. Lui non c'è più, mentre io sono ancora qui e se posso guardare una partita di calcio, o provare ad imparare a nuotare o guidare la mia moto o lavorare, lo devo solo a te Giovanna.” Tornò a fissarla mentre l'altra ingoiava a vuoto.

“Non credo di avertelo mai detto davvero, ma... grazie. Grazie per avermi salvato la vita.”

Imbarazzatissima Giovanna iniziò a guardare per aria.

“Oddio Ruka. Non ti ho mica donato un rene.”

“Solo questa sera ho notato la cicatrice che hai sulla gamba destra. E' quella del prelievo, vero?”

“Sss... si, ma è solo colpa mia e della mia sconsiderata fuga. Non mi sarebbe rimasto alcun segno se avessi fatto come mi era stato imposto. Non fare quella faccia, dai.”

“Ti fa male?” Strinse ancora di più e Giovanna dovette inginocchiarsi.

“Haruka..."

“Ti fa male..." Rispose alla sua stessa domanda con quella che era ormai pura constatazione, perchè la bionda aveva notato già da qualche giorno che a volte la sera, soprattutto se stanca, la sorella involontariamente prendeva a massaggiarsi la coscia.

“Ma perché adesso cacci fuori questa storia?”

“Perché sono una stupida zucca vuota.” Disse abbracciandola con una tale dolcezza da lasciarla senza fiato.

E si, voler bene ad Haruka era, in un certo senso, facile.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qui. Non potevo lasciare Michiru senza il suo strumento, proprio non potevo. Sarà dura. Si arrabbierà, farà fatica, si scoraggerà e riprenderà, ma ce la farà, ne sono sicura.

Ami sta tirando fuori una grinta ed una valenza professionale che promettono una carriera brillante.

Haruka mi sta perdendo la bussola e sta tornando la guascona zotica che era prima che la sua dea iniziasse a darle una raddrizzata. E non mi riferisco alle porcate trangugiate a cena con quell'altra “salutista”. Saltella dalla grandezza della sua professione, alla fragilità della sua attuale condizione di cucciolo abbandonato.

Giovanna, come dicono alcune di voi, Santa Subito. In verità dev'essere al contempo meraviglioso e terrificante avere una sorella minore come Haruka, ma è un tipo testardo e credo che prima o poi arriverà a farsi apprezzare.

Mattias... Indimenticabile grillo parlante.

A prestissimo.

 

 

   
 
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