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Autore: simocarre83    13/03/2017    2 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PERSONE DIVERSE

Simone si svegliò sul letto a castello, quello che era stato il suo per i primi sedici anni della sua vita. Era stranamente riposato. Guardò il cellulare solo per scoprire che dalla sera del 25 Aprile, si era risvegliato al mattino del 1 Maggio. Almeno, questo era quello che pensava, perché di quei sei giorni proprio non ricordava nulla.
E purtroppo, al risveglio, quasi contemporaneo degli altri due, ebbe conferma proprio di quello. Anche Michele e Giuseppe, infatti, non ricordavano nulla.
“Si ma non ho neanche fame o sete! Come e possibile?!” chiese Giuseppe.
“E possibile che le nostre famiglie non ci abbiano cercato in questi giorni? Sul mio cellulare non risulta nessuna chiamata” chiese Michele.
E, effettivamente, i loro cellulari non segnalavano alcuna chiamata senza risposta o messaggio ricevuto.
Subito dopo si ricordarono che quello era il giorno della loro partenza, anzi che mancavano solo novanta minuti alla loro partenza.
Tralasciarono i dubbi per il viaggio aereo e corsero immediatamente a Pisticci a prenderlo.
Simone e Giuseppe salutarono Michele.
“Cerca di capirci qualcosa!” chiesero.
“Vedrò quello che posso fare. ma tutti e tre ci ricordiamo delle quattro chiavi e del sibilo, giusto?”
“Si! Ma poi più niente!” confermò Simone.
“Beh! è già qualcosa! Fate buon viaggio! Salutate mogli e ragazzi!”
“Grazie! Anche tu saluta Roberto e Francesca!” rispose Giuseppe.
Si salutarono e furono imbarcati.
Mentre erano sull’aereo, Simone e Giuseppe ebbero modo di fare un attimo il punto della situazione.
“Comunque è tutto troppo strano. Ti ricordi quando ho chiamato a casa? Che Anna mi ha salutato come se niente fosse. E le ho chiesto da quanto tempo non ci siamo sentiti e lei mi ha risposto che l’avevo chiamata ieri sera? Io non mi ricordo di averlo fatto”
“Neanche io ricordo niente. Eppure ho telefonato a mio cognato e mi ha detto che l’ultima parte dei pagamenti è giunta a destinazione e che non si aspettava che fossi riuscito a convincerli così presto. Ma io non mi ricordo nulla. Anche con Maria e Giuseppe, mi hanno detto che li ho sentiti ieri sera e che ci siamo dati appuntamento a oggi. Ma ho perso completamente la memoria di quello che è successo in questa settimana!” confermò Simone.
Avevano infatti saputo che la stessa cosa era accaduta a Michele. Anche lui, a detta dei suoi figli li aveva contattati diverse volte in quei sei giorni, ma non si ricordava nulla.
“Di certo c’è che stiamo bene! È come se avessimo riposato per una settimana, di relax completo! Erano anni che non mi sentivo così. Boh!” concluse Giuseppe.
“Chissà che fine hanno fatto le chiavi. E che cos’era quel sibilo? Temo che non lo sapremo mai!”
“E tutte le altre domande che ci siamo fatti giovedì? Nessuna risposta: perché la casa era pulita? A cosa servivano veramente quelle chiavi? Cosa è successo in questi sei giorni?”
“Tutte domande della quali non conosciamo la risposta. Solo di una cosa sono sicuro: Francesco e Emanuele non ci avrebbero fatto nulla di male, per quanto tutto quello che è accaduto sia strano e abbia qualcosa di inquietante. Se non ci ricordiamo queste cose allora significa che è semplicemente meglio non ricordarcele. Significa che in qualche momento della nostra vacanza è successo qualcosa che ce le ha fatte dimenticare!” concluse Simone.
Arrivarono poco dopo a Bergamo. Successivamente a casa, verso le tre del pomeriggio, dove salutarono le loro famiglie.
Tutto sembrò procedere tranquillamente fino all’ora di andare a letto.
Era quasi mezzanotte. Simone era sul divano e scoppiò, quasi istantaneamente, un fortissimo mal di testa. Forte come si ricordava di averlo avuto solo il giovedì precedente, quando stavano per svenire a seguito del fortissimo sibilo che avevano sentito.
Riuscì ad arrivare in camera da letto e avvisare Maria. Che immediatamente pensò al peggio. Chiamando un’ambulanza.
L’ambulanza arrivò cinque minuti dopo. Simone venne prelevato dal suo letto e caricato sulla vettura.
Il mal di testa passò e perse i sensi. Esattamente come era successo la settimana prima.
Si risvegliò in un letto del pronto soccorso. La prima persona che vide fu un medico con la sua cartella in mano.
“Buongiorno! Come si sente?” chiese.
“Bene, a parte sentirmi come se mi fosse passato sopra un treno!” rispose Simone.
“Beh! Con tutto quello che ha passato è quantomeno logico. Comunque, stando alle analisi del sangue, tac, risonanza magnetica e tutto quello che siamo riusciti a farci venire in mente di fare, direi che ha ragione. Lei sta veramente bene!”
“Scusi cosa avrei passato?” chiese ancora.
“Come non si ricorda nulla?!” chiese il medico.
“Cosa dovrei ricordare?” domandò ancora.
Il medico, perplesso, guardò sua moglie. Poi guardò la persona dall’altro lato della stanza. Poi tornò ancora da Simone.
“Allora guardi! Rimanga qui fino a quando non si è ripreso, poi se ne può pure andare!” concluse, completamente sorpreso da quella situazione e inconsapevole di cosa fare.
Solo a quel punto Simone si chiese chi fosse la persona dall’altro lato della stanza. E, sul letto al suo fianco vide Giuseppe che lo guardava.
“Mi sono ritrovato anche io nella stessa tua situazione, e hanno fatto anche a me le stesse osservazioni. Scusi, dottore, può lasciarci un attimo? Devo informarlo!” disse.
“Beh! Se preferite essere voi a farlo, io non ho alcun problema!” e se ne andò.
Chiusa la porta, Simone si accorse che erano in quattro in quella camera. C’era anche Anna, oltre che Maria. E man mano prendeva coscienza della situazione si rese conto di avere addosso solo la vestaglia fornita dall’ospedale.
“Riesci ad alzarti!?” chiese Giuseppe.
“Penso di si!” rispose Simone, che lentamente si stava riprendendo. Mise una gamba giù dal letto e con l’aiuto di Maria anche l’altra, alzandosi in piedi. Le gambe erano un po’ deboli, ma tutto sommato poteva andare. Dopo pochi secondi era ben dritto sui suoi piedi.
“Vai in bagno e levati la vestaglia, per favore Maria, accompagnalo, che non sarà un bello spettacolo da sopportare” disse Giuseppe.
Simone si preoccupò. E si recò verso il bagno. Entrato, con sua moglie, si levò la vestaglia, lentamente, davanti allo specchio. Aveva effettivamente paura di quello che sarebbe potuto succedere. E non poteva neanche lontanamente immaginare quello che vide: tutto il suo corpo era una serie indefinita di cicatrici di ferite dovute a dei bastoni, alle sigarette spente su di essa, o a quelle che, a giudicare dalle ferite, sembravano lamette da barba con cui gli avevano procurato dei tagli.
Tutte le ferite erano evidentemente rimarginate, ma doveva averne passate troppe in quell’ultima settimana.
Immediatamente richiuse la vestaglia, e, anche se debolmente, ritornò verso il suo letto, stendendosi sopra.
“Strano eh?!” gli chiese Giuseppe.
Simone lo guardò. confuso. Perché lui era così sereno?
Glielo chiese.
“Beh! prima di tutto, fammi dire che sono conciato anche io così. E che abbiamo ricevuto mezz’ora fa, appena mi ero svegliato e tu ancora non avevi riacquistato i sensi, una telefonata di Roberto che ha detto che anche Michele ha accusato gli stessi sintomi, fortissimo mal di testa, perdita dei sensi e risveglio in ospedale, e che anche dalle sue analisi risulta tutto perfettamente in ordine! L’unica differenza è che lui non è conciato così male come noi!” concluse Giuseppe.
“Si ma questo non migliora le cose?!” disse Simone. A quel punto Giuseppe si adombrò.
“Si che le migliora, non metto in dubbio che potrei essere stato addirittura io a chiedere a quel qualcuno di cancellarmi la memoria di quello che è successo in questi ultimi giorni, visto quello che evidentemente ci è successo” rispose un Giuseppe adesso molto serio.
Simone ci pensò un po’ su.
“Hai ragione! però non mi va di perdere i sensi tutte le sere e di risvegliarmi il giorno dopo in ospedale. Quindi deve esserci qualcosa che non va”
“Penso proprio che lo scopriremo presto” rispose Giuseppe.
“Ma che ore sono?” chiese Simone a Maria.
“Le sette del mattino. Meglio che vado a chiamare Giuseppe e lo rassicuro. È stato qui fino alle due, poi l’ho riaccompagnato a casa. Era inutile che stesse qui ancora” disse Maria, uscendo dalla porta della stanza. Seguita da Anna che sarebbe andata a chiamare Simone.
“Mi ricordo tutto quello che mi hanno confermato mia moglie, mio figlio e Roberto. Ma non ricordo nulla di quello che è successo per cui sono finito conciato così” disse Simone.
“Forse è una memoria a ritorno programmato. Adesso ci ricordiamo di essere stati dal notaio a Matera, di aver firmato tutti i documenti per la suddivisione del conto in banca e per il passaggio di proprietà della società. Ma lo stesso discorso vale per me”
“Ah! Allora credo che la stessa cosa valga per Michele. E che, quindi, queste non saranno le ultime perdite di sensi che ci capiteranno!” concluse Simone.
Appena rientrarono le mogli raccontarono loro tutto.
E comunque, per molto tempo quella fu l’ultima volta che gli capitò quella cosa.
Passarono due mesi e mezzo, e ormai tutti erano d’accordo con quello che avevano deciso pochi minuti prima di usare le chiavi, Simone, Giuseppe e Michele. Avrebbero passato le vacanze a Policoro.
A quanto pare, acquistarono lentamente anche tutta la memoria che potevano. Simone ritornò un altro paio di volte a Matera per gestire un po’ più da vicino le situazioni più calde della loro nuova azienda, che comunque non andava male, anzi, per certe cose risultava anche più all’avanguardia della loro. Questo gli permise di farsi conoscere anche dai nuovi dipendenti come una persona che merita il rispetto e la stima. Ne approfittò per vedersi qualche altra volta con Michele e per parlare di quello che gli era successo.
Ma praticamente le cose non cambiarono sostanzialmente.
Fino alle vacanze. Giovedì 1 Agosto 2024, due macchine di nostra conoscenza, partirono da San Donato, alla volta di Policoro. In una c’era Simone, con Maria e Giuseppe, nell’altra Giuseppe, con Anna e Simone. Erano le tre del mattino, ed infatti i due giovani si addormentarono partiti da pochi minuti. Il viaggio fu tranquillo, tanto che, verso mezzogiorno, Simone e Giuseppe parcheggiarono ciascuno nella propria via. Il pomeriggio sarebbe arrivato da Matera anche Michele, con Roberto e Francesca.
La prima cosa che fecero fu andare a dormire. Poi, con la dovuta calma, sarebbero anche andati al mare.
Questa, almeno fu l’impressione di Simone. Almeno ciò non era vero per suo figlio. Giuseppe era molto emozionato. Fin dal giorno prima, infatti, non riusciva a capacitarsi di quello che, finalmente, era riuscito a raggiungere: Policoro.
Giuseppe era a dir poco euforico. Sapeva che quella era la città dove tutto aveva avuto inizio. Rivedere quelle vie, quelle case, quelle strade, quegli alberi, lo riempiva di gioia. In effetti si trattava di un “rivedere” per la prima volta. Ci era andato un sacco di volte, grazie alle foto del satellite, in quei posti. Cercando informazioni in internet, aveva conosciuto moltissimo di quei posti. E, paradossalmente, allora, la sua opinione di quella città cambiò. 31°C di media giornaliera ad Agosto, saperli era una cosa, ma sentirseli addosso era tutt’altro. Tante volte sua mamma gli aveva parlato di quel profumo caldo per strada, di pino per tutto il giorno, di gelsomino la sera, verso il tramonto, di salsedine la notte. Tante volte sua mamma gli aveva raccontato del cielo celeste, ma così celeste, che non l’aveva visto da nessun’altra parte in Italia. Tante volte sua mamma gli aveva parlato di quelle finestre che davano sulla via dietro casa. E tante volte gli aveva parlato di quell’estate del 2000. Sua mamma. Suo papà mai. E sua mamma sempre quando non c’era suo papà. In effetti quello era quasi un argomento tabù, e gliene dispiaceva. Perché avrebbe voluto chiedere tante altre cose a suo padre di quello che gli era accaduto, di come si era sentito, dei sentimenti che aveva provato. Ma fino a quel momento, non era stato possibile. Qualcosa, negli ultimi due mesi, si era mosso, ma sempre molto delicatamente. Adesso, invece, quel paese aveva l’opportunità di viverlo. E quella era, definitivamente ed incontestabilmente, tutta un’altra cosa.
Ma finalmente erano arrivati. Verso le sei di sera, Michele Roberto e Francesca bussarono alla loro porta. E tutti insieme andarono a cena fuori. Era incominciata la più bella vacanza della loro vita.
Giunti al mare, il giorno dopo, verso le undici Simone guardò il suo vecchio amico e gli fece cenno di avvicinarsi.
“Che c’è?” chiese Giuseppe.
“La sabbia e il mare è come me lo ricordavo?” chiese Simone.
Giuseppe con un sorriso gli accennò di sì. I ragazzi intanto si erano spogliati, come tutti e stavano per avvicinarsi al mare.
“Giuseppe?! vediamo chi arriva primo in acqua?” chiese Simone a suo figlio.
“Pronti? Via!” disse quest’ultimo senza neanche aspettare la preparazione di suo padre, che si doveva ancora togliere la maglietta. Roberto cercò di fermarlo. Quasi urlando. Ma non ci riuscì.
In quel periodo, potevano aver trovato posto solo ad una ventina di metri dall’acqua. E quei venti metri di sabbia arroventata Giuseppe li sentì tutti.
Poi c’era la ghiaietta. Il ciottolino appuntito e tagliente che lo fece urlare ancora di più. Poi l’acqua fredda, ben più fredda della sabbia e dell’aria.
Infine lo scalone, che scendeva di una buona trentina di centimetri poco dopo l’ingresso in acqua. Facendolo sprofondare. Rovinosamente. Nell’acqua fredda.
Tutti ridevano come dei matti, non solo i suoi conoscenti, ma tutta la spiaggia, mentre Giuseppe, più morto che vivo, uscì, tutto acciaccato e imbarazzato, dall’acqua.
Simone, Michele e Giuseppe si avvicinarono lentamente al bagnasciuga. Poi si levarono le infradito e lentamente entrarono in acqua. Almeno, provarono lentamente ad entrare in acqua. Perché Giuseppe, completamente ripresosi dalla botta di prima li spruzzò quasi subito e tutti e tre si gettarono al suo inseguimento per “affogarlo”.
Simone e Roberto si gettarono all’inseguimento dei loro genitori per fermarli e le tre signore, Maria, Anna e Francesca, felici di poter stare di nuovo insieme dopo sette mesi, si misero a chiacchierare amabilmente sotto l’ombrellone.
Stettero tutta la mattinata al mare, fino a verso le due. La sera andarono a Pisticci per fare un giro e vedere i suoi paesaggi mozzafiato.
Il giorno dopo, ancora mare per tutto il giorno. Si stavano divertendo come matti.
Policoro aveva sempre avuto quella capacità: far crescere i bambini, far diventare bambini gli adulti, far divertire tutti.
Purtroppo era anche riuscito a far soffrire quelle persone. Anche se per il momento sembrava che riuscissero a mascherare bene il dolore e la sofferenza. Ma sarebbe durato poco. Pochissimo. Fino a quel rientro a casa, la sera del 3 Agosto.
Rientrarono a Policoro verso le 19. Avevano lasciato Maria, Anna e Francesca al supermercato a fare la spesa. Con una macchina. Il supermercato era a circa duecento metri da casa di Simone, quindi Giuseppe, Roberto e Simone decisero di farsela a piedi, e i loro genitori ne approfittarono per fargli comprare il pane, commissione che richiedeva una decina di minuti di viaggio in più.
I tre uomini, invece, tornarono con la seconda macchina, a casa. Uscirono dalla macchina, e stesero i teli del mare. Poi rientrarono immediatamente in casa, ad apparecchiare, e mettere su il necessario per iniziare a preparare da mangiare, in quanto tutti in balia dei morsi della fame, dovuti all’intensissima giornata di mare.
Simone stava accendendo la cucina, quando sentì un leggero mal di testa. Collegò tutto immediatamente. Fece in tempo a spegnere la cucina, a voltarsi verso i suoi due amici e a vedere che anche a loro stava, contemporaneamente, accadendo la stessa e identica cosa. Fece appena in tempo, dico, perché dieci secondi dopo erano tutti e tre in preda al peggior mal di testa della loro vita.
I tre ragazzi arrivarono solo poche decine di secondi dopo che era incominciato. I loro genitori erano a terra a contorcersi dal dolore. Si lamentavano, come se stessero soffrendo le pene dell’inferno.
Chiamarono immediatamente Maria, che arrivò pochi minuti dopo, assieme alle altre tre. Ma Simone, Giuseppe e Michele avevano già perso i sensi.
I ragazzi li avevano messi sul letto. Chiamarono immediatamente la guardia medica, che pochi minuti dopo era lì. La guardia medica stabilì che non avevano nulla di particolare, e che probabilmente si trattava di un colpo di calore, legato alla giornata intera passata al mare. Loro accettarono la diagnosi e lo accompagnarono alla porta. Gli interessava sapere che non avevano subito danni cerebrali, e la tac portatile aveva eliminato ogni dubbio. E poi, loro, una diagnosi già l’avevano. Si trattava di aspettare.
Passarono circa tre ore, poi a tutti e tre crebbe la febbre. Arrivando a toccare i 39°C. Poi lentamente si calmò.
Erano le tre del mattino. Maria, Anna e Francesca continuavano a cambiare fazzoletti bagnati con acqua fredda sulla fronte di Simone, Giuseppe e Michele. I tre ragazzi erano in cucina, cercando di parlare per non permettere al sonno di vincerli. Verso le quattro, però, ogni resistenza fu inutile.
Passarono ancora 10 ore. Era circa l’una quando la febbre era completamente scomparsa. Ancora un’oretta e smisero di sudare. Lentamente stavano risvegliandosi. Alle due e mezza, Maria, vide finalmente suo marito con gli occhi aperti. Stanchi, stravolti, ma aperti. Nel giro di un quarto d’ora, anche gli altri ripresero i sensi.
Simone e Giuseppe, allora, inspiegabilmente per tutti gli altri, ringraziarono Michele.
Nel giro di un’altra mezz’ora, Simone, Michele e Giuseppe erano in piedi, assolutamente svegli e completamente attivi. E, purtroppo, definitivamente coscienti di quello che era accaduto in quella settimana che fino a poche ore prima era rimasta nascosta alla memoria dei tre.
Erano seduti a tavola che stavano mangiando e si guardavano preoccupati. Simone osservava Giuseppe e Michele, e gli altri due facevano la stessa cosa. Gli altri sei osservavano i tre e capivano sempre di più quello che stava succedendo.
“C’è qualcosa che dovremmo sapere?!” chiese Maria, interrompendo quel silenzio e quella calma, che all’ora di pranzo, quando erano stati tutti insieme, non aveva mai caratterizzato quell’ambiente.
Simone, Giuseppe e Michele continuavano a guardarsi, come per cercare di capire quali fossero i sentimenti degli altri due e se potevano sentirsela di raccontare quelle cose che sapevano essere successe. Solo ad un cenno affermativo di tutti e tre, però, Simone incominciò. Raccontando loro tutta la storia.

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NdA: Buongiorno a tutti. Come potete notare negli ultimi due capitoli le cose hanno preso una piega differente... molto differente. preparatevi perché il meglio deve ancora venire! grazie sempre e comunuque per leggerla, seguirla e anche recensirla!
  
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