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Autore: Makil_    13/03/2017    14 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):
 
Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa:
particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre.
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos. 
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile. 
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Se la Valle del Vespro era chiamata così, un motivo doveva pur esserci.
  Il tramonto di quella giornata fu il più bello degli ultimi anni, a detta di ogni cavaliere che Bart aveva incontrato lungo la strada. Il sole stava tingendo di porpora il cielo, bagnandolo di fiamme rossastre che si diradavano ad ovest e che ricadevano nell’Owerstock infiammandone le acque.
Ortys stesso gli aveva suggerito il luogo in cui andare per presentare la lettera di Dalton, una piccola capanna allestita proprio per l’occasione, utile a ricevere coloro che volevano iscriversi al torneo. Trovarla, però, fu l’impresa più ardua sostenuta da Bart durante tutto il viaggio da Sette Scuri. Gli era stato detto che doveva trovarsi vicino alla porta di ingresso, ma ciò non lo aiutò affatto, dal momento che d'ingressi a Roshby ce n’erano ben quattro. Aveva girato a lungo e in largo in cerca di ogni possibile informazione su quella capanna, tra le vie che tagliavano i percorsi attorno ai padiglioni, seguendo il perimetro degli accampamenti posti lungo le mura della città. Alla fine, per fortuna,  Bart riuscì a trovare la capanna, susseguita da una fila tanto lunga di persone da poter confondere anche un esperto. Come il resto dei partecipanti, Bart si mise in fila, la tracolla pendente dalla spalla che già iniziava a dargli fastidio e a bagnarli la camicia di seta di sudore.
Passò un po’ di tempo prima che la folla si dimezzasse, e nel frattempo era giunto anche patres Steffon, anch’egli indaffarato e sudato sulla fronte. Probabile che fosse stato mandato da Ortys per iscriverlo al torneo, mentre lui se ne stava al riparo all’interno del suo padiglione, sorseggiando fiaschi di vino e parlando più di quanto richiesto.                                                                                                                                                    
«Ser Bart». L’esperto lo salutò facendo volteggiare il braccio. Poi mise la mano sulla fronte e guardò verso l’altra direzione. «Una fila abbastanza lunga vedo. Da quanto tempo sei qui?»       
«Già da un po’, patres Steffon.» rispose Bartimore alzando lo sguardo al cielo. «La fila è lenta.»                                             
«Certi affari vanno fatti con calma, ser Bart, o si rischierebbe di sbagliarli». Il patres si asciugò qualche lacrima di sudore con il palmo della mano. Poi gettò uno sguardo in lontananza, verso la punta della fila. «Sempre che qualcuno non si sia addormentato con la penna in mano. Vado a dare un’occhiata, non vorrei fare la fila per nulla». Poi si allontanò con lo stesso silenzio che lo aveva annunciato prima di arrivare.                                                   
Bart si guardò intorno, cercando di non far notare quanto fosse già annoiato da quel caotico ammasso di persone che si accalcavano l’una sull’altra, maledicendosi a vicenda e spintonandosi di tanto in tanto.                                 
Poco dopo, patres Steffon tornò, il volto grigio solcato da un’espressione di dubbia incredulità.                      
«Ci toccherà aspettare, ser Bart». L’uomo gli rivolse un sorrisino innocente mentre avanzava verso l’altro apice della fila. «Se non si addormenterà l’amanuense, saremo noi i primi a farlo.»                                                                                                  
Passò un’altra ora, ma Bart continuò a restare fermo nel punto in cui lo aveva lasciato l’esperto. Gli facevano male i piedi e la gambe a forza di restare alzato, e la schiena gli doleva dal collo al fondoschiena. Avrebbe preferito avere quei dolori a seguito di una lunga cavalcata, che sarebbe stata anche più soddisfacente dell’attesa. Ma il pensiero che alla fine quella fila lo stava attendendo colui che lo avrebbe inserito nella lista dei partecipanti per permettergli di gareggiare, così come aveva promesso di fare a Dalton, e così come desiderava anche lui, gli infuse un po’ di tenacia. E questo bastò a rilassarlo tanto da allontanare il fastidio dei dolori. Se si vuole qualcosa, e se si vuole veramente a tutti i costi, dobbiamo essere pronti ad affrontare qualsiasi ostacolo.” si disse. “Qualsiasi.”             
Ma non seppe rispettare alla lettera questo suo pensiero, poco dopo.
La delicata brezza del tardo pomeriggio fece alzare dal terreno gli strati di polvere superficiali, che si schiantarono contro i corpi di tutti i cavalieri in fila. E con questa, portò con sé anche un giovane cavaliere a cavallo del suo destriero grigio. Il ragazzo trottò fino alla punta della fila, col petto all’infuori durante tutta la marcia. Il passo del suo cavallo era colmo di fierezza, saturo della stessa spavalderia che si poteva leggere nei lineamenti del suo padrone. Lineamenti ossuti, belli, che solcavano un viso lungo dagli zigomi alti. La folta chioma nera di capelli gli ricadeva sul collo, liscia e pulita come poche altre. Quel giovane non poteva certo passare inosservato, dal momento che l’armatura che indossava era così lucente e smaltata da riflettere i raggi di quegli spiragli di luce che erano ancora nell’aria. Il ragazzo si fermò proprio alla destra di Bart e, sempre sulla sella del suo cavallo, osservò tutti gli uomini in fila, sbuffando.        
«Ehi tu!» urlò ad un certo punto. Bart si girò in direzione della voce. «Parlo con te, ragazzino!».                 
Davanti a lui, anche il bambino che quel giovane stava chiamando si voltò, osservandolo con occhi sgranati e timidi, in parte coperti da un largo cappello di paglia con una lunga piuma.                                                                                                                                  
«Con me?» domandò il bambino con una vocina flebile. Il suo volto era asciutto, abbronzato fin troppo dal sole.                             
«E con chi sennò?» Il ragazzo dai capelli neri smontò dal suo cavallo grigio con un balzo. La lunga spada che teneva alla schiena vibrò quando i suoi piedi toccarono terra. «Fai spazio, bamboccio. Vorrei tanto sapere cosa ci fai qui, alla tua età. Dove hai lasciato la tua mamma? La tua presenza offende la validità di tutti noi cavalieri.»  
«Io sono lo scudiero di Derry». Il fanciullo tossì, coprendosi la bocca con la mano. «Voglio dire… del principe Derek… Derek Winemors.»                              
Quando sentì quel nome, il ragazzo dai capelli neri si fece più sfrontato. «Allora la tua presenza mi offende ancora di più, bambinetto dei miei stivali. Spostati! Questo era il mio posto prima che i tuoi piedi sporchi arrivassero. Va’ a bere il latte da un’altra parte.»                  
Il bambino strofinò le punte dei piedi per terra, guardandoli senza alzare lo sguardo. «Scusami… mio signore. Non volevo offenderti e non voglio offenderti. Però ti scongiuro… è tutto il pomeriggio che aspetto qui, mio signore. Mi fanno male le gambe e ho le vesciche ai piedi. Io non sapevo che questo era  il tuo posto.»      
«Tu non sapevi neppure di essere uno scudiero fino a poco fa. Togliti ho detto, o a fine giornata avrai le vesciche anche in faccia per tutti gli schiaffi che stai per ricevere. E spera di uscirne solo con quelle.»     
Il bambino fu scosso da un tremolio e le sue braccia corte ed esili andarono in cerca dei lembi dell’abito sgualcito che indossava. Probabilmente finse di non aver udito quella minaccia: non si spostò neppure di un passo.   
«Sei  proprio un fantoccio, eh? Ti ho detto di spostarti e stai continuando a fare come ti pare. Vuoi veramente vedermi arrabbiato? Sai che faccio quando mi arrabbio, eh?». A quel punto , il giovane dai capelli neri lo spinse all’indietro, facendolo ricadere sul terreno e sporcandolo di fango. Gli occhi del bambino diventarono umidi di lacrime, che, però, non uscirono mai fuori. «Adesso va’ dal tuo principino e digli che io ti ho sporcato di fango. Diglielo, fetente. Dovrai riferirgli chiaramente che Wictor Wyndwat ti ha fatto del male, e che presto gliene farà anche a lui. Oh, e poi vedremo chi riderà di più quando gli avrò ficcato anche la sua spada su per il…»      
«Miei signori!» lo fermò una voce possente proveniente dalle spalle di Bart. «Avanzate!»  
Il bambino raccolse la carta che gli era caduta, restando in assoluto silenzio e gattonando ai suoi piedi.  Insieme a quella afferrò anche un po’ di fango che gli rimase incrostato tra le mani. Si rimise in piedi con un balzo, strusciandosi le braccia sulla toga ormai completamente macchiata di terra.
Razza di spregiudicato. Ti ci vorrebbe una buona lezione.” pensò Bart. “Troppe persone buone a fare i cavalieri sono contadini, e troppe persone buone a fare contadini sono cavalieri.”                                                                  
«Dirò a Derek quello che mi hai fatto, mio signore.» minacciò il ragazzino mettendosi sulle punte. «E sarò io a ridere di più quando te le darà di santa ragione, proprio come l’ultima volta!»    
Wictor Wyndwat, il figlioletto di Roger Wyndwat, si fece paonazzo. Un solo rapido gesto, e la sua mano smorzò l’aria infrangendosi contro la guancia del povero bambino. Poi, prima che questi potesse rendersene conto, lo afferrò per le braccia anchilosate e lo strattonò quanto bastò per farlo cadere di nuovo ai suoi piedi. Il braccio del bambino si piegò come se stesse per spezzarsi. Wictor sguainò un pugnale dalla cintola, con una rapidità propria di poche persone e…           
«Fermo!». Bart si interpose tra i due e con entrambe le mani gli abbassò il braccio facendo forza sulla sua armatura d’acciaio. «Fermo!»
«Togliti di mezzo, sbruffone!» gli urlò contro. «Togliti o faccio del male anche a te!»                                                                   
Bart non si tolse: anzi, con una forza ancora più marcata tentò di spingergli in basso il braccio. Wictor lo strattonò un po’ , ma infine abbassò la lama.             
«Ottimo» disse allora. «Mi tolgo di mezzo». Si girò dall’altro lato e restò in silenzio. Bart pensò di essere riuscito a quietarlo, ma il giovane fece uno scatto e, molto velocemente, gli assestò un pugno allo stomaco, talmente forte da fargli risalire il pasto che aveva fatto a Werny. Bart non si fece abbattere. Anche lui, rispose con un pugno, dritto in pieno petto. Ma quel ragazzo, a differenza sua, aveva un’armatura. Bart si spostò indietro, poi gli assestò un altro pugno sul braccio mandandosi in frantumi le nocche della mano: questo bastò per far perdere la presa di Wictor sul suo pugnale, che Bart schiacciò non appena ebbe sotto ai piedi. Poteva sentire qualcuno urlare attorno a loro, ora la fila si era scomposta e si stava accalcando a cerchio per vedere chi tra i due avesse la meglio sull’altro. Urla, starnazzi e ancora urla. «Sbruffone!» gridò qualcuno. Forse era stato proprio Wictor ad urlarglielo. «Razza di imbecille!». Un manrovescio colpì in pieno volto Bart, che ebbe un momento di confusione. Un altro pugno, ancora in pieno, ma questa volta era stato lui a darlo a Wictor. E lo fece con tanta forza da sentire sotto la mano le ossa del cranio del ragazzo andare in frantumi. Wictor si spostò e vacillò un po’, poi si abbassò per terra in cerca del suo pugnale, probabilmente annebbiato dal colpo ricevuto. Bart colse il momento per lanciarsi sopra le sue spalle, e il suo peso lo fece crollare all’indietro. Quando fu sopra di lui, prese a dargli pugni sul petto, scatenando la sua ira su quell’insolente ragazzo che aveva osato colpire un bambino e chiamarlo sbruffone. Gli diede un altro colpo, questa volta dritto sul naso, da cui iniziò a colare sangue. Alzò il pugno per sbatterglielo sulla placca pettorale, ancora, quando lui venne scosso da un sussulto. Sentì uno strappo, e pensò il peggio per le ossa. Ma tutto ciò che vide di strappato fu la sua casacca, che era piombata sul terreno ed era stata sommersa da una valanga di calci. Wictor si sollevò con una forza inaspettata, e afferrò entrambi i polsi di Bart girandoglieli dietro la schiena. Gli diede un pugno sulle costole ed un calcio ammantato d’acciaio sulle ginocchia. Bart cadde per terra. Allora Wictor lo afferrò per la nuca, con la sua mano possente e callosa, e spinse fino a quando Bart non toccò con la faccia il terreno bagnato di sangue, piscio ed acqua.
«Mangiala!» urlò Wictor sputando saliva. «Mangiala ho detto, lurido figlio di una baldracca!»  
Gli spinse ancora di più il volto contro il terreno, costringendolo a chiudere gli occhi per non farsi male. In bocca, Bart poteva affermare di avere sangue e terra, ma non ne riusciva a riconoscere affatto il sapore. Tutto gli doleva come se il suo corpo fosse stato perforato da lame arroventate sul fuoco, come se ogni sua articolazione fosse stata colpita tre volte da un martello di piombo. La terra gli si infilò su per il naso e dentro la bocca. Per quanto stesse tentando di non mangiarla, dovette per forza dare quella soddisfazione umiliante a Wictor, o sarebbe morto soffocato. Tentò di liberarsi più volte dalla presa di quel ragazzo, ma lui era molto più forte di quanto pensasse. Ed era vestito d’acciaio. Nulla era in confronto, perciò, la sola ed un’unica protezione che avvolgeva Bart: una semplicissima camicia di seta che non sapeva neppure proteggere dall’aria gelida della notte.                                                                                                                                                     
Fu tirato su con una bestemmia, trascinato via per i piedi ormai totalmente privi di sensi. Quando il chiarore della luce serale gli si infranse sugli occhi, Bart rimase completamente accecato. Attorno a lui, il bambino dalla toga sgualcita stava ancora tremando di paura. Quello che più lo sorprese però, non fu certo la vista di Wictor allontanatosi dalla mischia, né la vista della folla sparpagliatasi lungo la strada, scioccata ed inebetita allo stesso momento. Di fronte a lui, patres Steffon reggeva una spada bianca, luccicante di luce propria. E la teneva alta, puntata contro Wictor, che lo squadrava dall’alto in basso, quasi terrorizzato. La sua tunica accademica era strappata all’altezza della vita, e il suo volto era solcato da una lunga ferita rossa accesa sul viso, proprio sotto l’occhio, che lacrimava di sangue come gli occhi di Wictor lacrimavano di paura. La spada che reggeva il patres doveva essere esattamente la spada che era appartenuta a Wictor fino a poco prima, dal momento che ora non svettava più dalla sua spalla. Forse perché inerme, o forse perché in lui era rimasto quel briciolo di buon senso che gli vietava di fare del male ad un esperto, Wictor stava alzando le mani al cielo, quasi come supplicando di finirla lì. Ma le sue suppliche silenziose non durarono a lungo. Con un balzo, Wictor si spinse in avanti e afferrò il polpaccio di patres Steffon, tirandolo verso di sé con l’intenzione di farlo cadere. Non ci riuscì, però. Steffon lo afferrò per la collottola dell’armatura, la sollevò leggermente e vi conficcò dentro la spada, accorgendosi di non farla passare oltre la cotta di maglia. La lama entrò dalla parte superiore dell’armatura e uscì dallo spazio che c’era tra placca del sottobraccio e l’acciaio del braccio stesso. Wictor rimase bloccato nei movimenti, dal momento che la spada non gli permetteva di muovere più il braccio destro. Patres Steffon lo guardò con aria di sfida: i suoi occhi erano glaciali, tanto che avrebbero potuto facilmente congelare perfino la roccia nuda. E Wictor ricambiò l’occhiataccia, forse anche più carica di odio e di rancore. Allora l’esperto si voltò senza proferire neppure una sola parola e lasciando Wictor in quello stato di assoluta difficoltà.                                                                                                                                                             
«Alzati, ser Bart.» gli disse andandogli incontro con una freddezza disarmante. Poi lo aiutò ad alzarsi poggiandogli una mano sotto l’ascella e tirandolo verso l’alto. «Alzati e fa’ silenzio.»                                                                                                                                                    
Fecero strada insieme quella sera, passando attraverso i padiglioni degli altri sfidanti con fare indaffarato e confuso. Bart si preoccupò di restare in silenzio, proprio come gli aveva ordinato il patres. Lo avrebbe fatto anche se nessuno glielo avesse ordinato, tanto gli doleva la mandibola e tanto era il dolore che lacera i suoi muscoli. Perfino respirare l’aria notturna, gelida come il tocco dell’armatura di Wictor sulla sua pelle, gli causava dolore. Ma la ferita che più gli faceva male era quella al petto, al cuore. Quell’insolente ragazzaccio lo aveva abbattuto di fronte a una folla di persone, ancora prima che i combattimenti iniziassero. Dove stava il suo onore in quell’atto di così meschina disumanità? Bart si era piazzato tra lui e un bambino di meno di sette anni, un povero innocente che non stava facendo altro che rispettare l’ordine impartitogli dal suo principe. Proprio come lui. Si era sentito così vicino a quel bambino più di quanto già non fosse coi piedi, molto più di quanto già non fosse col cuore. Ma Wictor Wyndwat lo aveva ferito all’orgoglio, la parte di un cavaliere che nessun punto di sutura, nessuna fasciatura, né alcuna medicazione, avrebbero mai saputo risanare.                                       
Patres Steffon non aveva parlato neppure per accennare un comando, ma Bart lo stava seguendo con un passo più veloce del normale. L’esperto s’intrufolò attraverso le stradine sterrate che s’insinuavano attorno ai padiglioni più grandi ed importanti. Le gambe di Bart tremavano involontariamente, e non riusciva neppure a pensare a cosa stesse succedendo. Tutto quel disordine repentino lo aveva annebbiato. Qualche cavaliere lì fuori lo stava osservando con aria curiosa. Non che Bart ne fosse stupito, dopotutto doveva essere combinato davvero male.
Patres Steffon si fermò ad un incrocio, punto in cui una strada si ramificava in tre diversi sentieri. Esitò per qualche secondo, poi tornò a camminare con passo più deciso di prima, seguendone il percorso centrale. Una curva, infine, li ricondusse nella piana su cui avevano allestito i loro padiglioni. Bart riconobbe il suo, ma non perché avesse visto la pelle della tenda, bensì perché si ricordò del salice sotto cui aveva lasciato Lenticchia. Fu lì che loro strade si divisero. Il patres non accennò neppure a guardarlo, ma dritto raggirò il salice e si fece strada verso il padiglione di Ortys, superando Bart con una marcia molto più nervosa di quella avuta fino a poco prima. Forse a quel gesto Bart avrebbe dovuto rispondere andandogli dietro. Cosa che non fece.                                                                                             
Bart avanzò, invece, di qualche passo, intento ad avvicinarsi sempre più al suo padiglione. Che cosa avrebbe detto Esmerelle del suo stato? Lo avrebbe deriso, quasi sicuramente. E lei non avrebbe mai saputo che Bart aveva affrontato un uomo tante volte più grosso e forte di lui. Lei non avrebbe mai saputo che Bart si era battuto contro un nemico, il figlio di una persona che Esmerelle odiava con tutta sé stessa. Lei non avrebbe mai saputo che Bart aveva combattuto Wictor Wyndwat, principe di Canto della Bufera, figlio di Roger Wyndwat, solo per preservare l’innocenza di un bambino molto più fragile di una foglia. Lei non avrebbe mai saputo che era stato a un passo dalla morte, schiacciato contro il suolo come un ragazzino incapace di difendersi. Dopotutto, molte cose di cui non sarebbe stata a conoscenza, forse, avrebbero facilitato la situazione. C’era molto di cui doversi vergognare e tantissimo di cui andare fiero; ma lei non avrebbe mai saputo niente. 
Bart continuò a camminare. Quando Lenticchia lo vide si limitò a nitrire, forse un po’ più forte di come avrebbe fatto di solito. Bart si guardò le mani che erano rosse e gonfie: non voleva neppure pensare a come fosse il suo volto. Sentì una voce nelle vicinanze, flebile, sottile, che si contrapponeva a uno strano rumore di percosse. Quella era senza dubbio la voce di Esmerelle.                        
Esmerelle” pensò di farfugliare Bart. Ma non ebbe neppure le forze per aprire bocca.            
«Lower Standrom, maledetto lui.» pronunciò lei. Poi un colpo.                                                                                                                 
Esmerelle, ascoltami”. Un altro pensiero, nulla che non fosse più vicino ad un lamento offuscato da rabbia e dolore che a delle parole.  
«Roger Wyndwat, maledetto lui». Un altro colpo, meno forte del primo.                                                                               
Ti prego”. Ancora un pensiero che non riusciva ad essere tirato fuori dalle sue labbra.    
«Emerard Carwock, maledetto lui». Un nome, un botto.  
Non appena Bart si fu avvicinato tanto da vederla, riuscì a capire solo in parte cosa stesse facendo. Esmerelle aveva un bastone acuminato in mano, molto più chiaro di quello che Bart le aveva sottratto sotto il castagno. Ogni volta che pronunciava un nome, percuoteva l’albero con una forza più o meno marcata, come se immaginasse che al centro di quel tronco ci fosse l’uomo che nominava.
Fece qualche passo in avanti, le gambe tremolanti per il freddo e per la tensione. Il suo volto era contuso, gonfio, pezzato di viola. Le sue labbra erano spaccate, sanguinolenti. E la sua faccia era completamente ricoperta di terra scura.              
«Oghello Y’ku Boqq, maledetto lui». Un tonfo, molto più forte del precedente.                                                                                        
Non dirlo, non farlo”. Un nome, un colpo, un passo.    
«Dephyso Maraphen, maledetto lui.». Il bastone colpì di nuovo il tronco scheggiandolo.                                                               
Non dirlo a nessuno. Non lo dirò a nessuno”. Bart fece due ultimi passi verso la ragazza, poi cadde sulle ginocchia.
«Kaw… Bartimore!». Esmerelle batté il bastone contro il tronco con una forza tale da mandarlo in frantumi. Non appena scorse la sua presenza genuflessa per terra, la ragazzina corse contro di lui e lo afferrò per le spalle. «Bartimore… aiuto!» urlò. «Qualcuno ci aiuti!»      
Bart avrebbe voluto dire qualcosa, ma non riuscì neppure a sorriderle. Tutto quello che desiderava ora era non essere lì, non essere con lei in quello stato. Attorno, tra i tanti fuochi accesi, nessuno si mosse oltre alle fiamme scoppiettanti nelle braci nere. Un uomo, fuori dal padiglione che sorgeva al loro fianco, quello del Principe Stellato, stava passando lentamente la cote sulla sua lama, ma non sembrava essersi accorto di quel trambusto. Bart gettò un’occhiata nella sua direzione, e tanto bastò, forse, per farlo avvicinare con più furore del previsto.                                                                         
«Esmerelle». Finalmente riuscì a rantolare quella parola. Il suo nome. Dovette sputare sangue e terra prima di poter parlare ancora. «Non lo dirò a nessuno. Ma ti prego… aggiungi anche il suo nome… la prossima volta. Ti prego… aggiungi anche il nome di Wictor.»      
«Che succede, ragazzi? Oh, portatelo qui… oh…oh». Una voce rauca, strisciante come il sibilo di un serpente.                          
Poi il rumore di un cavallo al galoppo, il fischio del vento nei recinti, dentro ai vicoli di Roshby, oltre le case e dentro le numerose tende dei cavalieri. Nessuno parlò più, o forse Bart non fu in grado di sentire altro.          
Il cielo era nero, cupo, ammantato di tenebre. Ma Bart vide solo il bianco.
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Note d'autore
Nonostante i numerosi impegni, ho avuto modo di aggiornare la storia. Eccoci a questo nuovo capitolo, pieno - come promesso - di azione e movimento. Entra in scena un nuovo personaggio, Wictor Wyndwat, figlio del già menzionato Roger Wyndwat, e principe di Canto della Bufera, nella Punta. Be', cosa pensate di lui? E cosa del comportamento adottato da Bart? Ha fatto bene a mettersi tra lui e lo scudiero di Derek Winemors? E cosa pensate di patres Steffon e tutto ciò che ha fatto in questo capitolo? 
Spero di avervi lasciato con molte domande, con tanta voglia di proseguire la lettura (ora che Bart è praticamente andato)! Come al solito ringrazio tutti i miei lettori, uno per uno, e ciascuno dei miei recensori; siete davvero eccezionali! Ci vediamo al prossimo aggiornamento, con un capitolo molto criptico e pieno di personaggi che finora sono stati solo menzionati. [lunedì 20]. 
A presto ^^
   
 
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