Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Tigre Rossa    13/03/2017    4 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
-----------------------------
Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Capitolo 7 – Tu puoi vedermi

 


 

 

 

Le uniche volte in cui non mi sento un fantasma è quando mi guardi tu, perché tu mi guardi e vedi me.

-Grey’s Anatomy

 


 

Dalla visita inaspettata di Bilbo Baggins passa un giorno.

Un giorno silenzioso, e noioso, ed odioso, come tutti quelli che l’hanno preceduto.

Poi ne passa un altro, tale e quale al primo.

E poi un altro ancora.

 

Tutto procede lentamente, come se niente fosse cambiato.

Come se il fantasma che continua a tormentarmi da quando sono scivolato via dalle braccia della Morte non avesse mai preso forma umana e non si fosse infilato nella mia vita così, all’improvviso. Eppure, qualcosa di diverso c’è.

E non nelle battutine che mi lancia Kili, o nella curiosità senza limiti di Dis, e nemmeno nelle occhiate indagatrici di Fili.

E qualcosa qui dentro. Qui, che brucia e urla e fa male, Dio, se fa male.

E come se, dopo quel momento, tutto fosse diventato ancora più difficile di prima.

Come se, dopo una ventata d’aria fresca, le fiamme abbiano ripreso a strapparmi le carni dell’anima con ancora maggiore intensità.

Come se, dopo un sorso di acqua fredda, il calore del fuoco abbia ripreso a consumare tutto ciò che tocca ancora peggio di prima.

Come se, ora che li ho finalmente incontrati, non potessi più andare avanti senza quegli occhi blu scuro.

 

Passano i giorni, ed io non faccio nessun rumore.

La stretta attorno al mio cuore si rafforza sempre di più, un po’ di più ad ogni battito, fino a farlo sanguinare.

Gli incubi notturni peggiorano.

Alle immagini evanescenti di giorni mai vissuti si mischiano quelle più concrete e reali dei suoi occhi, del suo sorriso sincero, della sua mano che stringe la mia.

Alle grida indistinte nel sonno si aggiunge la sua voce che mi chiama per la prima volta con il mio nome.

Al peso di mille sogni spezzati si mescola anche questa sensazione, un misto di desiderio, malinconia e paura, che non mi lascia un attimo, e mi strazia dentro ogni momento di più, senza lasciarmi mai tregua.

Ma io resto qui, in silenzio, la mano stretta a pugno su quel numero di telefono che sta lentamente sbiadendo, ma che non smette di bruciare.

Resto qui, a lungo, a lottare contro me stesso. A lottare contro questa mia debolezza che sì, vuole spingermi ad alleviare questo inferno che mi strazia l’anima, vuole dar sfogo a questo bisogno incolmabile di risentire la sua voce, rivedere il suo viso, incontrare di nuovo i suoi occhi.

Lotto,  lotto fino a non farcela più, lotto contro me stesso e contro quel dolore, quel bisogno che diventa di giorno in giorno più forte, quel bisogno che non posso, non devo assecondare.

Ma, alla fine, cedo.

Non so perché, non so come mai.

So solo che non posso resistere, se non voglio perdermi nell’oblio.

So solo che tutto, dentro di me, mi ordina di farlo, e io non riesco ad impedirmelo.

 

I suoi occhi mi stanno chiamando da davvero troppo tempo.

 

Così,  la mattina del quarto giorno afferro il mio cellulare e, con dita esitanti, digito quel numero ancora impresso sulla mia pelle, ma ormai quasi scomparso.

Mi porto il telefonino all’orecchio ed aspetto, il cuore che batte come se fossi di nuovo sul campo di battaglia.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Sto per arrendermi, sto per abbassare la mano e lasciar perdere, quando improvvisamente il cellulare smette di suonare.

 

“Sì, pronto, chi parla?”

Una voce allegra, ma allo stesso tempo profonda, risponde. Una voce sconosciuta che no, non appartiene a lui.

“Scusi, devo aver sbagliato numero. Cercavo il signor Baggins...” faccio, pensando di aver digitato male il numero e facendo per chiudere la chiamata, ma quella voce mi interrompe, come se nulla fosse.

“Oh, certo, ‘spetti ‘n’ attimo . . . Bilbooo! Ti vogliono!”.

Ci sono una serie di rumori, e poi, all’improvviso, in sottofondo, sento una voce leggera e un po’ seccata sbruffare.

La sua voce.

“Si può sapere perché devi sempre mettere le mani sulle mie cose? Dai, chi è?”

Lo sconosciuto ribatte velocemente, quasi completamente coperto da alcuni rumori di sottofondo “E che ne sono, uno con una voce da attore tragico. To’, tieni.”.

Altri rumori e poi, finalmente, la voce di Bilbo, chiara e limpida, mi raggiunge.

“Pronto?”

Zitto, cuore maledetto, sta’ zitto.

“Salve, Bilbo.”

Mormoro, cercando di controllare il mio tono di voce, e  dall’altra parte lo sento trattenere il fiato per un momento, per poi affrettarsi a rispondere con qualcosa misto all’entusiasmo e alla tensione.

“Th- ehm, che sorpresa! Io non ... non mi aspettavo di risentirti.”

Sembra davvero sorpreso, ma di una sorpresa piacevole, o almeno lo spero.

“Mi hai dato tu il tuo numero.”

Obbietto, non senza un pizzico di imbarazzo.

“S-sì, ma pensavo, beh . . .” lascia la frase in sospeso, come se si vergognasse, e una improvvisa certezza mi colpisce nello stomaco come un pungo.

Pensava che non l’avrei richiamato.

“Sono felice che tu mi abbia cercato, comunque.” aggiunge, e anche così, attraverso il telefono, per un attimo riesco a sentire il calore nascosto dietro quelle parole, e lo immagino davanti a me con un piccolo sorriso che gli illumina il volto, ed il cuore mi si stringe in una morsa che è tutto tranne che dolorosa.

“Ti disturbo? Sei occupato, forse?” domando, cercando di cambiare argomento.

“Oh, no, non preoccuparti. Stavo solo dando una mano in libreria a Bofur, un mio amico. Dovresti averlo incontrato da Gloin, l’altra sera. Basso, faccia da riccio e cappello stupido, non so se ricordi.”

Provo a fare mente locale, ma non mi viene in mente nessun Bofur. Non che alla fine abbia prestato così tanta attenzione ad altro che non fosse lui, quella sera.

“Non ce l’ho presente, ad essere sincero.” rispondo, rigirandomi tra le dita le piastrine quasi senza rendermene conto “Senti, mi stavo chiedendo. . . riguardo la tua proposta dell’altro giorno . . .”

Esito, e Bilbo mormora un gentile “Sì?”.

Prendo un respiro profondo e, facendomi forza, mi costringo a continuare.

“È ancora valida?”.

Dall’altra parte c’è qualche secondo di silenzio che mi fa letteralmente tremare dentro, e all’improvviso vorrei tornare indietro e cancellare tutto questo, queste parole, questa telefonata, tutto quanto. Ma poi la sua voce mi raggiunge di nuovo, così calda e confortante da cancellare subito qualsiasi timore.

“Certo. Dimmi solo dove e quando.”

Mi sfugge un piccolo sorriso, spontaneo ed inaspettato, a quella risposta così sincera e rassicurante, e mi affretto a continuare.

“Avevo pensato oggi pomeriggio di fronte al Beorn’s, a cinque minuti da casa mia, intorno alle quattro. Non so se conosci il posto. . .”

Non è vero, non avevo pensato a nessun posto ed a nessun orario. Avevo dato per scontato che non mi avrebbe risposto, o che non avrebbe accettato. Perché mai avrebbe dovuto farlo, dopotutto? Siamo appena due sconosciuti. Ed invece . .  .

“Sì sì, lo conosco bene.” risponde allegro “Allora ci vediamo dopo.”

La sicurezza con cui dice quelle parole per un attimo mi lascia sorpreso, ma poi mi ritrovo ad annuire al nulla, la mano stretta attorno alle piastrine come a voler cercare conferma che tutto questo – questo momento, questa conversazione, la sua voce dall’altra parte- sia reale.

“Sì, a dopo.” mormoro, e dopo un breve saluto a metà tra un sussurro ed un ringhio imbarazzato chiudo la chiamata.

 

Il cuore batte, se è possibile, ancora più forte di prima.

 

 

o0O0o.

 

 

Mi premo il cellulare contro le labbra, incredulo.

Al mio fianco Bofur mi fissa con un’aria a metà tra il confuso e l’incuriosito, ma cerco di ignorarlo, concentrandomi solo su questa strana e calda sensazione che mi sta avvolgendo, e che non voglio assolutamente lasciare andare.

 

Lui mi ha cercato.

Thorin mi ha cercato.

 

Io . . . non me lo aspettavo proprio.

Insomma, sì, gli avevo lasciato il mio numero, in un momento di follia che ho rimpianto subito dopo –già in taxi, mentre tornavo verso casa, avevo iniziato a sbattere la testa contro il sedile, maledicendomi per il mio gesto stupido ed irrazionale-.

Ho agito d’istinto, spinto da una sensazione davvero troppo forte per poter essere controllata, come se non potessi allontanarmi da lui senza dargli modo di ritrovarmi, se l’avesse voluto.

Come se non volessi lasciarlo andare.

Ma, dopo, mi era sembrato un gesto così sciocco, così dannatamente sciocco, insensato ed infantile . . . andiamo, gli avevo scritto il mio dannatissimo numero di telefono sul palmo della mano! Cioè, nemmeno fossi stato uno stupido adolescente in un romanzetto rosa!

Dio, avrei voluto morire dalla vergogna.

Mi arroventavo su cosa diavolo avesse pensato di me, e mentre man mano passavano i giorni il mio tormento aumentava sempre di più.

Credevo di aver rovinato tutto, con quel gesto.

Lo immaginavo pensarci con disprezzo e alzare gli occhi al cielo.

Lo immaginavo mentre scuoteva la testa e si puliva la mano con più sapone possibile per cancellare quelle cifre frettolose dalla sua pelle.

Immaginavo ogni possibile reazione da parte sua, arroventandomi su quel che avevo combinato, e più ci pensavo più stavo male.

E poi, all’improvviso, questa telefonata.

 

Quando ho preso il cellulare-che Bofur ovviamente mi aveva fregato senza che me ne accorgessi, come al suo solito- e risposto, senza sospettare nulla, ed all’improvviso ho sentito la sua voce dall’altra parte, tutto si è fermato.

Non riuscivo a crederci. Non mi sembrava possibile.

Mi aveva chiamato. Lui. Aveva guardato quelle cifre impresse sulla sua pelle e probabilmente ormai quasi del tutto scomparse, decifrato il numero da comporre, l’aveva digitato e mi aveva chiamato.

Era . . . inaspettato, davvero. Inaspettato. Incredibile, ed inaspettato.

E non mi ha semplicemente chiamato, no. Mi ha chiesto di rivederci. Ok, non sono state proprio queste le sue parole, ma me l’ha chiesto.

Ed io . . . ho accettato, senza nemmeno pensarci. Il tempo di realizzare che era tutto vero, che era reale, ed ho accettato. Senza riserve, senza remore. Cioè, con qualsiasi altro avrei sicuramente trovato mille scuse, mille altre cose da fare, avrei detto di no, in un modo o nell’altro, come faccio sempre.

Ma a lui . . . non so perché, ma è come se non potessi negargli nulla. È come se . . . oh, non so spiegarmi. È una sensazione qui, in fondo al cuore, che mi tormenta da quando i nostri occhi si sono sfiorati la prima volta, da Gloin.

Come se niente potesse tenermi lontano da lui.

 

Non ora.

 

Una mano mi viene sventolata davanti agli occhi, riportandomi al presente.

“Ehi Bilbo, sei ancora qui con noi?” mi strilla Bofur nelle orecchie, e mi costringo a scuotere la testa, a mettere da parte per un momento tutto questo ed a prestargli attenzione.

“Scusa, cosa c’è?” faccio, voltandomi verso di lui mentre mi infilo il cellulare nella tasca dei jeans.

Il mio amico osserva attentamente il mio viso, come se si fosse appena riempito di rughe o qualcosa del genere “Chi era il tenebroso al telefono?” mi domanda subito, la curiosità non del tutto nascosta dalla voce apparentemente incurante.

“Nessuno.”  faccio subito io, evitando il suo sguardo, certo che comunque la mia frettolosa risposta non servirà a nulla. Bofur mi conosce meglio di me stesso, sa riconoscere quando mento e quando cerco di nascondere qualcosa. Ma, sinceramente, cos’altro dovrei dirgli? ‘Oh, era solo lo zio di Fili e Kili di cui nessuno di noi era a conoscenza, quello che è spuntato fuori l’altra sera, causandomi un mezzo infarto,  hai presente? Ma sì, quello con cui prima mi sono quasi menato, e poi sono andato a recuperarlo ed a chiedergli scusa a casa sua e gli ho lasciato il mio numero scritto sulla mano. Ah, guarda caso è uguale spicciato all’uomo che sogno da mesi e a cui non riesco a smettere di pensare. E, pensa un po’, mi ha appena chiesto di uscire oggi pomeriggio!”.

Bofur solleva un sopraciglio, tirando fuori il suo classico sguardo ‘ma-chi-vuoi-prendere-in-giro’, e obbietta “Beh, ci ho parlato, quindi dubito che possa essere ‘nessuno’. E, da come il tuo sguardo si è illuminato quando hai risposto, dubito che sia un giornalista o qualcosa del genere. Quindi, te lo ripeto: chi è?”.

Sospiro, cercando velocemente una scappatoia a questa situazione, e mormoro quasi senza pensarci “È un mio amico.”.

 

Il mio respiro per un attimo si blocca.

 

Perché ho scelto, tra tante, proprio quella parola? Lui non è un amico, è poco più di uno sconosciuto. L’ho visto appena due volte, insomma!

La mia è stata una risposta spontanea, qualcosa di non controllato.

Come se avessi già risposto ad una domanda simile, in passato.

 

Chi è questa persona a cui hai promesso i tuoi servigi, Thorin Scudodiquercia?’

‘Lui è . . . era mio amico.’

 

Queste parole mi tornano indietro come un alito di aria fredda, e con loro così tanta sofferenza, e dolore, e rimpianto, e qualcosa di troppo forte per essere chiamato per nome da farmi tremare un attimo, ma Bofur non sembra accorgersene, perché storce la bocca e dice “Non è vero.”

Sbatto un paio di volte le palpebre, tentando di recuperare la lucidità perduta “Cosa?”.

“Non è vero che è un tuo amico. Nessuno dei tuoi amici ha una voce così. Ricordi che sono nella tua cerchia di amicizie da quando la facevamo ancora nei pannolini, sì?” ripete, scrutandomi con attenzione.

“È uno nuovo, che non conosci.” ribatto, cercando di trovare una scusante migliore, ma limitandomi ad imprecare mentalmente.

“Uhm, ne dubito.” fa lui, incrociando le braccia, le sopracciglia ormai scomparse sotto il cappello “Sai chi mi ha ricordato, con quella voce profonda e tutto? “.

Oh-oh. Ha di nuovo quella espressione. La tanto odiata e temuta espressione ‘a me non puoi nascondere niente’ e ‘ti ho beccato’, mista a quella ‘pensavi davvero di potermi ingannare?’ e ‘adesso sì che sei nei guai’ che conosco tanto bene.

Pensa in fretta, mi dico, mentre analizzo le mie opzioni. Restare lì e subire il sicuro interrogatorio, o scappare subito senza guardarmi indentro. Beh, la scelta è fin troppo scontata.

“Non lo so, Batman?” butto lì, mentre cerco con lo sguardo la giacca, optando per la modalità fuga immediata.

Bofur scuote appena la testa “Quel tipo che ci hanno presentato l’altra volta i ragazzi. Come si chiamava? Thor? Tarin?” fa, in tono solo fintamente casuale.

Individuo la giacca, sepolta dietro al bancone, e subito inizio a scivolare, velocemente ma non in modo eccessivo, verso di essa, tentando di controllare la voce mentre rispondo “Non ho idea di chi tu stia parlando.”.

“Ma sì, quello con cui ti sei litigato da Gloin.” insiste, seguendomi con fare attento “Strano che abbia il tuo numero, comunque. Mi chiedo come abbia fatto ad ottenerlo. E, soprattutto, perché mai ti abbia chiamato.”.

Ah no, non giocherò a questo gioco.

Afferro al volo la giacca e me la infilo ”Te lo ripeto, non capisco cosa tu stia dicendo. Scusa, ma ora devo andare, avevo promesso a Gandalf che avrei fatto un salto da lui prima di mezzogiorno.” rispondo in fretta, pronto per sgusciare via dalla porta il più velocemente possibile.

Prima che possa sgattaiolare via, però, lui mi si para davanti, le mani sui fianchi “A me non la fai, Bilbo Baggins. Mi vuoi dire perché il tenebroso zio sconosciuto di Kili e Fili ti ha chiamato al cellulare, sì o no?”.

Prendo un bel respiro “No, e se fossi in te non insisterei.” faccio, la voce stranamente ferma “Ora se permetti. . .”

Provo a passare di lato, e stranamente Bofur non fa alcuna resistenza, ma si limita a fissarmi con gli occhi spalancati.

“Non pensare che te la caverai così, scribacchino dei mie stivali!” mi grida dietro, ma lo ignoro ed accenno ad un sbrigativo segno di saluto con la mano, prima di uscire quasi di corsa dalla libreria.

 Apro velocemente la macchina, mi infilo dentro, metto in moto e solo una volta che sono in mezzo al traffico e sono certo che non mi abbia seguito mi lascio andare a un sospiro di sollievo.

Ok, è fatta.

Adesso devo solo sopravvivere all’incontro delle quattro con Thorin.

 

In un attimo, mi tornano in mente i suoi occhi chiari fissi nei miei, la sua voce profonda che pronuncia il mio nome, e la mia anima trema.

 

Va bene, forse è meglio che prima faccia testamento. Sì, tanto per sicurezza. Giusto in caso il mio cuore non regga, ecco.

 

 

o0O0o.

 

 

Se pensavo di poter uscire di casa senza essere notato, la mia era una vana illusione, a quanto pare.

Ho appena il tempo di infilarmi nel salotto il più silenziosamente possibile ed avvicinarmi alla porta, che una voce, alta e squillante, mi ferma.

“E tu dove credi d’andare?”

Mentalmente maledico tutte le divinità esistenti o meno, mentre lentamente chiudo gli occhi, prendo un bel respiro e mi volto.

Dis è appoggiata allo stipite della cucina, i capelli raccolti e tenuti su da una o due matite, le braccia incrociate ed un sopracciglio sollevato in un arco perfetto.

“Esco a prendere un po’ d’aria, come mi ha comandato il medico.” rispondo, cercando di sembrare naturale e di mascherare la mia mezza bugia “Non è per questo che hai insistito tanto, in queste settimane?”.

Il sopracciglio sale a raggiungere l’altro “Da quando tu ascolti quello che ti dico?” insiste, il tono di chi non se l’è bevuta.

“Da quando questa casa è diventata un carcere di massima sicurezza?” ribatto, abbastanza bruscamente, rendendo i miei occhi ed il mio viso di pietra “Sei mia sorella, non il mio controllore, per quanto ormai per te sia la stessa cosa. Smettila di ossessionarmi così. Se voglio uscire per distrarre la mente un paio di ore, non sono affari tuoi.”.

Mi pento di quelle parole nel momento stesso in cui escono dalla mia bocca, soprattutto quando vedo il suo viso raggelarsi.

Leggo il dolore nei suoi occhi, ma sono troppo stanco e troppo amareggiato per fare qualcosa per alleviarlo, stavolta.

 

Mi volto e, sordo alla sua voce che mi chiama ancora una volta, esco dall’appartamento che sta diventando la mia prigione e corro fuori.

Corro fino a quando i miei polmoni non si riempiono di aria fresca e le gambe non iniziano a tremarmi e mi vedo costretto a poggiarmi di schiena contro un muro, a riprendere fiato ed a cercare di zittire il rimorso che già urla dentro di me.

 

Ecco, ora sono anche un codardo, oltre che un niente.

Fantastico.

 

Ringhio e chiudo gli occhi, mentre cerco di far scendere il silenzio dentro di me. Una volta bastava così poco. Il volto di mio fratello e di mia sorella, i racconti di mio nonno e di mio padre, le ninna nanne di mia madre.

Le pacche sulle spalle di Vili, gli scherzi di Balin e Dwalin, i sorrisi dei miei nipoti.

Le battute di Dain, i siparietti di Jackson e John, le risate dei miei ragazzi.

Frammenti di ricordi semplici e vari, ma più preziosi dell’oro.

Ed adesso neppure in essi trovo pace.

È come se quel maledetto colpo si fosse portato via tutto quanto, il quel giorno di sangue ed oblio.

Il mio passato.

Il mio presente.

Il mio futuro.

Le mie speranze.

Le mie vittorie.

Le mie sicurezze.

La mia serenità.

La mia pace.

Si è impossessato di tutto quello che avevo con me fino a quel momento, e quel poco che mi ha lasciato si sta avvelenando pian piano, sotto i miei stessi occhi.

E non posso fare nulla per impedirlo.

Sono inutile, impotente, e spezzato.

E niente e nessuno potrà aiutarmi a vincere questa battaglia, stavolta.

 

“Thorin?”

 

Una voce, improvvisa e lontana, mi trascina all’indietro, e un altro dolore, un altro tormento prendono posto nel mio cuore, mentre di fronte agli occhi serrati scorrono immagini di momenti che non ricordo, eppure si fanno strada nella mia memoria con prepotenza e forza tali da togliermi il fiato . . .

 

 

Per un lungo, interminabile momento resto immobile a guardare l’orizzonte senza realmente vederlo, per poi costringermi a voltarmi verso quella voce timida che ormai conosco quasi meglio della mia.

 

Il piccolo mezzuomo è di fronte a me, i capelli arruffati di chi si è appena svegliato da un sonno agitato e uno sguardo preoccupato che non gli si addice, ma che ultimamente vedo fin troppo spesso sul suo viso pallido.

 

“Bilbo.”

 

Lo chiamo per nome, permettendomi quella piccola confidenza che mi riservo solo quando siamo soli, e vedo le sue orecchie imporporirsi appena al suono del suo nome sulle mie labbra.

 

 Se in un altro momento questo mi avrebbe intrigato, o perlomeno intenerito, ora mi è quasi indifferente.

Quasi.

 

“Credevo fossi addormentato da tempo, ormai.”aggiungo, tentando di concentrarmi su di lui e non sugli spettri che continuano a chiamarmi per nome, decisi a non lasciarmi andare.

 

“No, a dire il vero io, io . . . tu, sembri pensieroso, ed io . . . io volevo solo sapere se è tutto a posto.”

 

Balbetta, mentre un rossore ancora più accesso e inequivocabile gli colora le guance, e questo, assieme alle sue parole premurose –le prime che ricevo da tanto, troppo tempo- riesce a strapparmi da quella nebbia che mi sta trascinando sempre più indietro, a quei giorni lontani che ancora tormentano le mie veglie e le mie notti.

 

Appena un po’ stordito, sbatto qualche volta le palpebre, tentando di riappropriarmi di ciò che mi circonda, e solo quando ci riesco, e le voci dei fantasmi sono solamente un pallido urlo in lontananza, riesco a fare un cenno di diniego con la testa.

 

“Sto bene.”

 

Mento, come ho imparato a fare per non permettere a nessuno, nemmeno a me stesso, di vedere quanto sia profonda l’oscurità che mi porto dentro, né quanto siano numerosi i demoni che straziano quel posto straziato che è il mio cuore.

 

Mento, perché è questo che un capo deve fare, quando non può permettersi di crollare, e deve andare avanti sempre e comunque.

 

Mento, perché tanto non avrebbe senso dire la verità. Nessuno vuole vederla, e anche se non fosse così, nessuno riuscirebbe a comprendere il vuoto che il fuoco del drago mi ha lasciato dentro.

 

Mento, perché nessuno, nemmeno chi mi è vicino, riesce a comprendere la sottile differenza tra una coraggiosa menzogna e una crudele verità.

 

Ma qualcosa, in quella risposta, non lo convince.

 

Lo leggo nel suo sguardo, che si fa improvvisamente consapevole, e lo vedo nel modo in cui si avvicina a me, il volto ancora arrossato ma deciso.

 

“No, non è vero.” obbietta, prendendomi completamente di sorpresa “Tu non stai bene. Non ora, almeno. Il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove, persa nei giorni lontani che non hai mai abbandonato, e la tua anima corre verso la Montagna, spinta dal desiderio di ciò che è andato perduto e che mai hai smesso di desiderare. Non stai bene, Thorin, e non devi fingere il contrario. Non con me, almeno.”

 

Lo osservo, incapace di fare altro, e ci metto qualche momento per realizzare completamente il significato delle sue parole.

M, quando questo mi colpisce come un pugno allo stomaco, ogni mia certezza si sgretola, e con essa qualunque menzogna.

 

Lui ha visto oltre la mia maschera.

Ha visto oltre le mie bugie.

Lui ha visto oltre ai fantasmi del mio passato.

 

Lentamente, si avvicina ancora di più a me e, con una delicatezza che nessuno mi ha mai riservato, mi prende una mano, segnata da tanti anni di lotte e da interminabili cicatrici. La stringe tra le sue, morbide e gentili, come se fosse il suo tesoro più prezioso, qualcosa da proteggere e da custodire.

 

“Resta qui.”

 

La sua voce è ridotta ad un sussurro, ed i suoi grandi occhi blu sono fissi nei miei, unica luce in questa infinita oscurità, e mi rubano il fiato.

 

Non stanno guardando il grande Thorin Scuodiquercia, il principe senza regno, il re senza popolo.

Non stanno guardando il mio passato, né i mie fantasmi, né il mio futuro tenebroso.

 

I suoi occhi blu stanno guardando me, e me soltanto.

 

“Il passato è passato, ormai. Non inseguirlo. Resta qui con noi. Resta qui con me.”.

 

La sua è una preghiera che mi stringe forte il cuore, quasi più del dolore.

 

 Una supplica piena di qualcosa, qualcosa di grande ed indefinito che ora, con i suoi occhi profondi incatenati ai miei, sembra poter riempire quel vuoto che mi porto dentro da sempre.

 

Piano, come se non volessi spezzare un fragile sogno travestito da realtà, sollevo l’altra mano per coprire le sue, in una tacita promessa che so di non poter spezzare.

 

Mi avvicino a lui tanto che i nostri respiri si fondono in uno solo, mentre due semplici parole sfuggono dalle mie labbra, con la stessa dolcezza che uso solamente nel pronunciare il suo nome.

 

“Sono qui.”

 

“Sono qui.”

 

Nel sentire quella voce ripetere quelle parole d’ombra, apro di scatto gli occhi, stordito, e davanti a me vedo Bilbo osservarmi con un pizzico di imbarazzo.

 

Ci metto un po’ a realizzare che l’uomo che ho di fronte è reale, veramente reale, e non una mia fantasia; probabilmente ci impiego qualche momento di troppo, perché vedo il suo viso, prima semplicemente teso, farsi preoccupato, e i suoi grandi occhi blu studiarmi con ansia.

“E’ tutto a posto? C’è qualcosa che non va?” chiede subito, ricordandomi ancora di più il Bilbo della mia fantasia, e devo fare un enorme sforzo per reprimere l’impulso inspiegabile di piegarmi in avanti e stringerlo forte tra le mie braccia, per non lasciarlo più andare.

“Sì, sì. Scusami. Stavo . . .” mi stacco dalla parete, pensando ad una scusa che possa andar bene e sia abbastanza credibile “ . . . pensando ad altro, e mi hai preso alla sprovvista. Tutto qui.” borbotto in tono burbero, stringendomi nelle spalle e sperando che non noti il lieve tremore delle mie labbra.

Lui non sembra particolarmente convinto, ed infatti inclina la testa, senza mai distogliere gli occhi dai miei.

 “Sei così pallido . . . sei certo di stare bene?” chiede, la preoccupazione ancora più che evidente sul suo viso. Non se l’è bevuta proprio per niente, anzi.

Da chiunque altro, quella domanda mi avrebbe spinto a rispondere in malo modo, a sentirmi trattato come un malato, un infermo incapace di cavarsela da solo e bisognoso della compassione degli altri, ma stranamente con lui non succede. Semplicemente, questa sua preoccupazione mi intenerisce un po’, e in qualche modo permette al mio cuore, ancora frenetico dopo la corsa e quella scena mai avvenuta ma impressa a fuoco nella mia mente, di calmarsi un po’.

“Certo, non preoccuparti.”

Un piccolo sorriso si forma sulle mie labbra prima che io possa fermarlo e le parole mi sfuggono spontanee “Sono felice che tu sia venuto.”.

Le orecchie di Bilbo si tingono lievemente di rosso, e quella reazione talmente innocente, talmente pura, alle mie parole mi scatena nel petto un calore mai provato prima d’ora, ma stranamente piacevole e in qualche modo familiare.

Si passa una mano tra i capelli ramati, senza riuscire più a sostenere il mio sguardo, e chiede con voce esitante “Mi aspetti da tanto?”

 

Ti aspetto da sempre.

 

Questo pensiero, spontaneo, incontrollato, si fa strada nella mia anima e quasi giunge alle mie labbra, ma fortunatamente riesco a sopprimerlo, anche se mi lascia dentro una strana sensazione, che non riesco né forse voglio davvero decifrare.

“No, affatto.” borbotto, stringendomi nelle spalle e tentando di scacciarla via, nel timore che possa in qualche modo tradire le mie ancora per nulla chiare emozioni.

“Vogliamo andare?” chiedo. Non so nemmeno io dove, ma voglio solamente scacciare questa sensazione, in qualsiasi modo possibile.

Si limita ad annuire, ed allora inizio a camminare senza un’idea precisa in mente, lasciandomi guidare dai miei ricordi adolescenziali di Londra. Mi segue, senza fare domande, senza parlare, quasi senza guardarmi. Semplicemente, cammina al mio fianco, come un’ombra silenziosa, e in qualche modo averlo semplicemente accanto a me placa la rabbia e il rimorso scaturiti dalla mia discussione con Dis.

E, in un certo senso, la sua sola presenza affievolisce, almeno un po’, tutto quel bagaglio di frustrazione ed impotenza che mi ha portato a questo.

 

Continuiamo a camminare a lungo, senza quasi rivolgerci la parola, come se avessimo entrambi paura di rovinare ogni cosa.

Tutto quello che faccio è lanciargli di nascosto lunghi sguardi, e solo quando sento i suoi occhi blu bruciarmi la pelle mi rendo conto che sta facendo lo stesso, e non so bene come questo mi faccia sentire.

 

Sfuggendo a quei zaffiri penetranti, lo osservo, concentrandomi per la prima volta non più sul suo viso o solamente sui suoi occhi, ma studiandolo in tutta la sua figura, come se fosse un mistero avvolto nell’oscurità da svelare ad ogni costo.

È letteralmente uno scricciolo, non mi arriva nemmeno alle spalle, e sembra tremendamente fragile, capace di spezzarsi se solo lo stringessi tra le mia braccia.

Il viso, rotondo e con due guance che sembrano fatte apposta per arrossire, è impreziosito da una lieve spruzzatina di lentiggini, quei due grandi occhi blu che si rifiutano di incontrare i miei e da qualche ricciolo che li incornicia, troppo ribelle per restare al proprio posto.

Ha indosso un semplice jeans scuro, che richiama un po’ il colore dei suoi occhi, ed una camicia bianca, il cui ultimo bottone è stato lasciato aperto, e in quello spazio di pelle rubato una sottile e delicata clavicola richiama la mia attenzione in modo naturale, quasi senza che me ne rendi conto.

Non ho idea di cosa indossasse di preciso le volte precedenti, non ci avevo fatto particolarmente caso, per cui non posso dire se sia un abbinamento diverso dal solito, ma di certo, beh, è . . . sta veramente bene.

Per un attimo mi sento quasi inadeguato, avendo addosso solo un semplice pantalone e una vecchia maglietta verde militare risalente ai miei giorni d’addestramento, ma a giudicare dai lunghi sguardi imbarazzati che Bilbo mi lancia e dalle sue orecchie che diventano di secondo in secondo più rosse non si tratta poi di un abbigliamento così patetico.

 

Le gambe iniziano a tremarmi impercettibilmente, ancora non abituate a percorrere distanze tanto lunghe, ma tento di mascherarlo, nella speranza che non se ne accorga.

 

Non voglio sembrargli debole, fragile, patetico come invece sono in realtà.

Non voglio che veda il fantasma che sono diventato.

 

Comunque, non deve riuscirmi troppo bene, o forse semplicemente lui riesce a vedere attraverso le mie finzioni, perché quando passiamo di fronte a un piccolo parco si volta verso di me e mi propone, con le orecchie e le guance sempre più rosse, di fermarci un po’ lì.

“Conosco questo parco, è davvero carino, e ti distrae da qualsiasi pensiero.” spiega, mordicchiandosi appena le labbra come se fosse teso, quasi temesse la mia risposta “Che ne dici?”

Annuisco, perché non me la sento di fare altro, e lo seguo mentre mi guida all’interno di questo angolino verde, ricco di fontane, querce e persone, rifugiatosi qui per sfuggire, almeno per un po’, alla monotonia della vita di una metropoli.

Ci sediamo su una panchina e restiamo in silenzio per un po’, incerti su cosa dire, e alla fine  mi faccio forza e mi decido ad iniziare un discorso qualunque.

“Quindi, sei uno scrittore.” dico, come se stessi riprendendo una conversazione già iniziata in precedenza, ed in un certo senso è così.

Bilbo sembra un po’ sorpreso, ma si affretta ad annuire “Ho iniziato a scrivere da adolescente.” spiega, stringendosi nelle spalle “E, molto semplicemente, da allora non ho più smesso.”

C’è un leggero velo di tristezza nella sua voce, di cui non riesco a comprendere la ragione, ma almeno il suo imbarazzo sembra essere notevolmente diminuito, per cui decido di continuare su questo argomento. Di solito, la gente si sente a suo agio a parlare di qualcosa che ama. O almeno, Frerin una volta mi ha detto così.

“Devi aver scritto tanto, allora.” commento, sentendomi vagamente stupido appena queste parole lasciano la mia bocca e lo vedo aggrottare la fronte e fissarmi in modo confuso. Mi passo una mano tra i capelli, imbarazzato, ed aggiungo senza nemmeno sapere cosa sto dicendo “Da ragazzo leggevo molto, ma ho smesso quando mi sono arruolato. Non sono, ecco, molto esperto sulla letteratura degli ultimi anni. Diciamo meglio, sono completamente ignorante. Per cui, ecco...”

Un piccolo sorriso gli illumina il volto, bloccando quel fiume senza senso di parole.

 “Non preoccuparti, ho capito.” mi dice, molto semplicemente.

Sembra quasi divertito dal mio imbarazzo, e questo mi confonde un po’. Se ne rende conto, e subito riprende a parlare “Scusami, sono abituato ad essere circondato da persone che conoscono a memoria tutti i miei libri e non fanno che parlarne.” spiega, mentre il suo sorriso si allarga ancora di più “Ed è strano quando incontro qualcuno che non ha la benché minima idea di chi io sia. Strano, ma piacevole. Posso smettere di essere Bilbo Baggins lo scrittore, ed essere semplicemente Bilbo, almeno per un po’.”

La semplicità e la tranquillità con cui dice una cosa del genere mi lascia un po’ spiazzato, ma in qualche modo mi rassicura e mi fa’ sentire un po’ meno stupido. E il modo in cui mi guarda, come se fossi una sorpresa, inaspettata ma non per questo sgradita, mi da’ il coraggio di scherzare un po’ sulla mia evidente gaffe.

“Sono in compagnia di autentico dio letterario, quindi?” borbotto, e vederlo arrossire ancora una volta alle mie parole ed evitare il mio sguardo mi riaccende di nuovo dentro quel calore di prima, in maniera forse ancora più intensa.

“N-no, certo che no.”  ribatte, ma dal tono capisco che vuole solo essere modesto. Dev’essere famoso, e molto. E sicuramente deve essersela più che guadagnata, questa fama.

Mi segno mentalmente di cercare il suo nome su internet, questa sera, ora più incuriosito che mai, ma prima che possa riaprire bocca Bilbo sussurra qualcosa che cancella qualsiasi altro pensiero e che mi lascia senza fiato come un pungo nello stomaco.

 

“Comunque, perché mi hai richiamato?”

 

“Scusami?” chiedo, certo di aver capito male.

Lo scrittore alza lo sguardo, cercando con quei zaffiri blu i miei occhi, e ripete con attenzione la domanda “Perché mi hai richiamato? Non che mi dispiaccia, ma . . . non me l’aspettavo, ecco. E volevo sapere il perché.” aggiunge, torturandosi appena il labbro inferiore con i denti.

 

Perché mi hai richiamato?

 

Diecimila risposte mi affollano la mente, ognuna diversa dall’altra, ma comunque terribilmente vera e sincera, risposte che non posso dargli, ma che la mia anima urla come se fossero il suo testamento.

 

Perché il tuo nome mi sussurra qualcosa che non riesco a comprendere, qualcosa di terribilmente familiare che voglio ricordare in qualsiasi modo.

Perché quando ti ho visto la prima volta ho improvvisamente ricordato come si fa a respirare.

Perché i tuoi occhi tormentano i miei sogni, e ho continuato a cercarli per tutto questo tempo.

Perché è per te che sono rimasto in vita, anche se non ti conoscevo.

Perché mi tocchi dentro in un modo mai provato prima, e voglio comprendere come questo sia possibile.

Perché la tua voce è rinchiusa nella mia memoria e sa raggiungere quella parte di me nascosta al resto del mondo.

Perché sei la prima persona che mi ha riacceso dentro qualcosa, da quando sono tornato.

Perché il tuo sorriso mi ha permesso di restare sano di mente fino ad ora.

Perché è come se ti conoscessi da sempre, come se ti avessi cercato per tutta la vita.

Perché sentirti pronunciare il mio nome è come tornare a casa.

Perché non riesco a togliermi dalla mente il tuo riflesso.

Perché ogni volta che arrossisci mi sento come se aspettassi questo momento da sempre.

Perché ti vedo ogni volta che chiudo gli occhi.

Perché, anche se sei solo nei mie sogni, sento che sei qualcuno di importante, qualcuno che ho perso tanto tempo fa, ma che voglio ricordare con tutto me stesso.

Perché, quando sei tu a guardarmi, non mi sento più un fantasma.

Perché so, dentro di me, di non poterti perdere ancora una volta. Non questa volta.

 

“Perché volevo rivederti.”

 

Sussurro questa risposta, quasi temendo di fare uno sbaglio, nel timore che queste parole, così semplici in confronto alla tempesta che sento dentro, siano in realtà troppo e possano cancellare ogni cosa.

 

“Perché dovevo rivederti. Non so nemmeno io come, ma è così.”

 

Vedo i suoi grandi occhi blu spalancarsi a quella risposta, e ho paura di aver rischiato troppo, di aver rovinato tutto.

Ma poi un piccolo sorriso sincero si fa strada sulle sue labbra, e mi rendo conto che ha capito quello che voglio dire. Come se non ci fosse bisogno di spiegarlo, come se fosse capace di leggermi dentro, in profondità, dove nessun altro può arrivare, nemmeno io.

Come se avesse dentro di sé la stessa tempesta.

 

Ed è adesso che me ne rendo conto.

 

Lui riesce davvero a vedermi.

 

Non vede il fantasma che sento di essere diventato, lo spettro che tutti credono io sia.

 

Come il Bilbo dei miei riflessi, riesce a vedere me per quello che sono.

 

Si fa inavvertitamente più vicino e la sua voce è stranamente bassa quando sussurra, come se mi stesse rivelando un segreto

“Mi crederesti se ti dicessi che per me è lo stesso?”.

 

Annuisco prima ancora di realizzarlo, mentre un sorriso sincero mi illumina il volto, e dentro di me sento che è giusto, che questa follia forse non è più così tanto folle.

 

Forse, essere rimasto ha avuto un qualche valore.

 

Forse, non ho sbagliato a scommettere tutto su questi occhi blu che riescono a vedermi davvero.

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Yeah, sono tornata. Un po’ in ritardo, forse. Ok, ok, parecchio in ritardo. Non voglio nemmeno vedere a quando risalga l’ultimo aggiornamento. Mi sento già abbastanza in colpa così.

Vi chiedo profondamente scusa. A tutti voi. L’ultimo è stato un anno decisamente pieno e duro, e il tempo che ho trascorso a scrivere per puro piacere è stato davvero pochissimo. Purtroppo mi trovo in una fase delicata della mia vita, sto finendo le superiori e presto dovrò affrontare il futuro, l’università e tutte quelle cose da ‘grandi’ che mi spaventano enormemente. E quindi diecimila pensieri, problemi ed impegni mi hanno presa in ostaggio, e dire che ancora adesso si danna parecchio sa fare per stressarmi e buttarmi giù.

Ma mi sono resa conto che mettere da parte la scrittura peggiora solo le cose. Ho bisogno di staccare, almeno per un po’, tra un’interrogazione e una lezione di scuola guida. Non posso prendermi così tanto tempo, ma devo riservare almeno qualcosina per me e quelle cose che mi fanno bene. E tra queste ci siete voi, questo fandom e questa fanfiction.

Per cui sì, sono tornata. Non so con quanta frequenza aggiornerò, risponderò alle recensioni o via dicendo, ma on sparirò, promesso.

La figlia prodiga è tornata davvero.

 

T.r.

 

 

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Tigre Rossa