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Autore: AnyaTheThief    13/03/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cullato dal movimento del treno, Jad era finalmente riuscito a dormire profondamente, come non faceva da anni. Quella discussione con Iris gli aveva tolto un grandissimo peso dal petto, e finalmente era tornato a respirare, dopo cinque lunghi anni. Anche se non ancora del tutto.

Ma sapeva che presto avrebbe sistemato le cose, e lo avrebbe fatto per bene.

Era arrivato troppo tardi per Vanessa. Era morta da quattro anni quando lui aveva scoperto, o meglio ereditato, il ricordo di un soldato che veniva ucciso a sangue freddo dai suoi compagni fuori dalla stazione ferroviaria di Vienna. Lei era morta senza sapere cosa gli fosse successo, con il dubbio che si fosse dimenticato di lei. Quel pensiero non faceva che tormentarlo, così come lo tormentava il ricordo di quella lettera consegnata troppo tardi, il pugno di Athos, la sua disperazione incontrollata dopo la morte di Milady. Mai se lo sarebbe perdonato.

Ma almeno poteva ancora fare qualcosa per mettere a posto tutti i tasselli.

“La prossima fermata è King’s Cross.” la voce registrata del treno lo ridestò dal suo torpore. Prese dalla tasca il suo nuovo telefono per controllare l’ora, anche se sapeva che non poteva tardare nemmeno se ci avesse provato. Lui era parte di quella storia, si era rivisto chiaramente in quell’immagine nella sua testa; l’aveva studiata a lungo, cercando ogni volta di scorgere sempre più particolari. Non stava cercando di cambiare il destino, lui ne era parte; anche se non avesse voluto, le cose sarebbero andate comunque in quel modo.

L’unico contatto salvato in rubrica era quello di Iris, anche se non era sicuro che utilizzasse ancora quel vecchio numero. Decise di provarci.

“Spero che in Italia faccia meno freddo che qua.” scrisse, cercando di restare il più anonimo possibile. Sapeva che ancora non lo aveva detto a Manuel; dopotutto, aveva qualcosa di ben più importante da dirgli.

Scese dal treno e trovò la propria strada senza difficoltà. Camminò fino a che, svoltato un angolo, una maestosa cattedrale gli si parò di fronte. La sua cupola grigiastra quasi si confondeva con il cielo dello stesso colore cupo, ma le colonnine bianche spiccavano come una fila di denti candidi e perfetti. Inaspettatamente, il cellulare suonò.

“Jad?” diceva il messaggio. “Li abbiamo trovati. Stanno bene e ti sono grati. Manuel sa tutto.”

Dovette fermarsi un istante, perché un altro grande peso che si portava dietro, si volatilizzò, e per un attimo pensò di poter volare via con la prossima brezza gelida che avesse soffiato nel piazzale. Sospirò, poi rispose: “Come la chiamate?”

Mise via il telefono, alzò lo sguardo verso l’enorme chiesa che lo sovrastava imponente, poi entrò. Constatato che aveva ancora del tempo, si divertì a perdersi tra i colori del pavimento, a guardare gli affreschi sul soffitto, a leggere i nomi sulle iscrizioni e sulle statue funerarie. Salì un numero interminabile di scale e si trovò in un’ampia galleria circolare. Si sedette lì ed aspettò.

Controllò il telefono, ma non vi trovò alcuna risposta da Iris. Probabilmente si stava godendo la compagnia degli amici ritrovati, e avrebbe anche rimpianto il non poter essere lì con loro se non fosse che sapeva bene cosa stava facendo e perché.

“Mi scusi...” chiese improvvisamente ad una famiglia di turisti con un bambino a seguito, rivolgendosi al padre di quest’ultimo. “Mi piacerebbe tanto avere una foto del panorama là fuori.” ed indicò le scale che salivano ulteriormente, sbucando su una terrazza esterna. “Ma ho davvero paura dell’altezza. Non è che la farebbe lei con il mio telefono?” dovette trattenersi dal ridere. Un funambolo che soffre di vertigini.

“Oh...” fece l’uomo spiazzato. “E’ che anche nostro figlio ha paura...”

“Ma dai, certo che possiamo farla.” lo interruppe la moglie. “Sebastian può aspettarci qui. Dopotutto, siamo saliti fin quassù, tanto vale fare ancora qualche gradino!” e prese il telefono dalle mani di Jad, impostando la fotocamera.

“La ringrazio, signora. Posso dare un’occhiata io a vostro figlio, in cambio.” sfoderò il suo miglior sorriso conquistatore: sapeva di fare sempre un certo effetto sulle signore più mature.

“Ma sicura che...” sentì l’uomo replicare, mentre si allontanavano.

“Starà bene, ha undici anni ormai.” tagliò corto la donna.

Il ragazzino li guardò allontanarsi leggermente imbronciato. Effettivamente, non avevano nemmeno chiesto il suo parere prima di mollarlo lì con uno sconosciuto. Si sedette sulla panca.

“Ehi… Sebastian.” provò a parlargli Jad. “Vuoi vedere una cosa super forte?” il ragazzino non gli rispose nemmeno. Se ne stava seduto a fissare il vuoto, con una certa tristezza negli occhi che non sembrava coincidere con la sua età. “Okay, lo prendo per un sì. Rimani qua, e quando ti faccio segno, ascolta attentamente!” spiegò con un entusiasmo che non venne per nulla colto dal ragazzino. “Sì, okay, non è cambiato molto, devo dire.” aggiunse Jad affrettatamente. “Stai qui e ascolta.” e si allontanò da lui.

Percorse mezza galleria, fino a giungere all’estremità opposta a quella dove sedeva Sebastian. Lo vide avere una reazione leggermente interessata. Gli fece un cenno con la mano e il ragazzino, ormai incuriosito, si avvicinò con l’orecchio al muro. Jad portò una mano a coppa davanti alla bocca e parlò verso il muro vicino a sé.

“Questa è la galleria dei sussurri.” disse, vedendolo poi strabuzzare gli occhi sorpreso nel sentire la sua voce così vicina, sebbene fossero tanto lontani. “Prova a parlare.” lo esortò Jad.

Un po’ scettico, Sebastian cercò di imitarlo, appoggiando una mano al muro e parlandovi all’interno. “Ciao, mi senti? Prova, prova...”

Il funambolo ridacchiò. “Ti sento forte e chiaro.” fece una breve pausa. “Sei un ragazzino intelligente, vero, Sebastian?” non udì risposta dall’altro lato, ma con la coda dell’occhio lo vide reagire sorpreso. “Scommetto che penserai che io sia pazzo, ma devi ascoltarmi bene.” Lo vide voltarsi verso di lui, lo sguardo serio e confuso. Gli sorrise rassicurante. Non doveva scordare che era soltanto un bambino, ma allo stesso tempo non poteva dimenticare quale anima risiedeva nel suo corpo.

“Guarda all’ingresso della galleria. Sta per entrare una signora alta, bionda, con una giacca grigia, assieme ad una ragazzina di dieci anni, capelli scuri, occhi verdi, cappotto rosso.” non si voltò a controllare che fosse successo veramente, ma dalla faccia impallidita di Sebastian dedusse che ci aveva preso in pieno. “Guardala bene, Sebastian. Quello sarà il tuo primo e unico amore. Non importa quante volte vi lascerete e riprenderete... la vostra storia non sarà mai in discesa. Potranno passare anni tra un incontro e l’altro, ma nei momenti in cui sarete insieme… Fidati, ragazzo, quello è vero amore. Chi pensa di averlo vissuto, non ha idea di cosa possano provocare le vostre due anime quando si uniscono.” disse d’un fiato. Sapeva di non avere molto tempo.

Il ragazzino aprì la bocca per replicare, ma lui lo interruppe subito.

“Ovviamente il vostro primo incontro non potrà essere convenzionale. Guardala.” e Sebastian si voltò a guardare la ragazzina sporgersi leggermente oltre al guardrail per vedere la chiesa sottostante. Anche a distanza, Jad notò negli occhi di Sebastian lo stesso guizzo che passava nello sguardo del suo amico ogni volta che si menzionava Milady, ogni volta che si incontravano, o anche solo quando la pensava. La ragazzina si gettò con fare altezzoso i capelli dietro la spalla e Sebastian parve tornare in sé.

“Ne sei sicuro?” domandò verso il muro. “Mi sembra che se la tiri un po’.”

Jad rise divertito. Certo che ‘se la tirava’. Poteva permetterselo. Era la donna più intelligente che avesse mai conosciuto.

“Sicuro al cento percento. Adesso guarda quell’uomo con la giacca nera e il cappello. E’ nervoso, ha perso sua moglie da qualche parte nella chiesa e non riesce a contattarla. Guardando il cellulare, non si accorgerà di stare per andare addosso ad una bambina, spingendola oltre il parapetto. Vai, non hai molto tempo!”

Lo vide reagire rapidamente come solo il Capitano dei Moschettieri sapeva fare. Guardò l’uomo che camminava nella direzione opposta a quella in cui iniziò a camminare lui, guardò la bambina, poi affrettò il passo. Accadde esattamente quello che Jad aveva previsto: la ragazzina si sollevò in punta di piedi per sporgersi ancora un po’, la pancia schiacciata contro il parapetto, proprio mentre l’uomo inciampava nelle sue gambe, facendole perdere l’equilibrio.

Sebastian corse verso di lei, che stava già annaspando per lo spavento di sentirsi mancare la terra sotto ai piedi. La afferrò per la vita e la tirò verso di sé, facendola cadere sul pavimento.

“Stai bene?” si affrettò a dire l’uomo, porgendole una mano per rialzarsi. Lei si massaggiò il fondoschiena dolorante, tirandosi in piedi da sola.

“Certo che no, mi stava facendo cadere di sotto!” esclamò, attirando l’attenzione di più persone, compresa la madre.

“Emily! Oh, mio Dio, Emily cos’è successo?” accorse la signora bionda, ad abbracciare la figlia.

“Mi dispiace, io...” mormorò l’uomo, mortificato. “Il ragazzino l’ha salvata.” disse poi, indicando Sebastian, che avvampò ed iniziò a guardare tutti con aria quasi colpevole, poi si voltò verso Jad, che se la rideva dal lato opposto della galleria.

“Grazie, grazie!” urlò di gioia la madre di Emily, stringendolo in un abbraccio, che lo lasciò ancor più imbarazzato di prima.

“Mi ha fatta cadere, comunque.” disse la bambina sprezzante, gettandosi di nuovo i capelli dietro le spalle.

Jad scosse il capo continuando a sghignazzare. Non era mai cambiata.

“Grazie per la foto.” disse con tutta calma, riprendendosi il telefono dalle mani del padre di Sebastian appena uscito dalla porta che dava sulle scale. La coppia si guardò attorno e subito notò il capannello di gente radunata attorno a loro figlio. “Sebastian!” chiamarono entrambi, accorrendo allarmati.

“L’ha salvata, l’ha salvata...” ripeteva la madre di Emily, mentre lui si avviava verso le scale. “Vi prego, lasciate che mi sdebiti per questo...”

Non aveva bisogno di stare lì a vedere cosa sarebbe successo, lo sapeva perfettamente. Una benedizione ed una maledizione: la vita non lo avrebbe mai sorpreso, né in bene né in male. O almeno così aveva creduto, fino a quel giorno.

Aveva passato così tanto tempo a concentrarsi su quell’evento, per osservarne ogni dettaglio, che non pensava che altro potesse accadere. Il cellulare squillò di nuovo non appena uscì dalla cattedrale. “Stai dicendo che è una femmina?! Vuoi smettere di rovinarci qualsiasi sorpresa?” diceva il messaggio di Iris, facendolo ridacchiare ancora di più. Si fermò un attimo in piedi sulla gradinata, per digitare la risposta, ma fu a quel punto che una voce familiare interruppe il flusso dei suoi pensieri.

“Quindi si sono ritrovati.”

Per quanto fosse possibile, data la sua carnagione scura, Jad sbiancò. Era la prima volta dalla morte di sua madre che qualcuno riusciva a stupirlo. Sollevò lo sguardo dal telefono. Una ragazza dai lunghi capelli rossi ed il viso pallido cosparso di lentiggini lo scrutava dal fondo della scalinata coi suoi grandi occhi verdi. In un flash nella sua mente rivide i suoi capelli spettinati sparire dietro le sbarre della Conciergerie; gli fece male, sì, quelle visioni così improvvise, per quanto rare, gli facevano sempre male.

“Non dirmi che non te l’aspettavi!” esclamò stupita, prendendolo in giro. “Chi credi abbia suggerito alla madre di Emily di entrare in chiesa?”

“Come hai fatto…?” borbottò incredulo.

Ma lei sospirò, alzando gli occhi al cielo.

“Andiamo, ci puoi arrivare da solo… Ti facevo più intelligente di così.” lo schernì.

“Non ti ho mai ringraziata a dovere. Per quella volta in prigione.”

Lei sbuffò una risatina ironica. “Perché credi sia venuta a parlarti? Andiamo, devo riscuotere il mio debito.” gli fece un cenno con la testa e fece per avviarsi. Intravide un sorriso malizioso, poco prima che lei gli diede le spalle: per quanto poco si intendesse di donne, lo aveva già visto prima d’ora e sapeva cosa significata.

Jad era ancora incredulo, ma dopo un attimo di stupore, scese gli scalini e si incamminarono assieme.

“Davvero, ma che problema hai tu con le bionde? Non riesci a starci alla larga, eh… Certo che la donna del tuo migliore amico… Sei proprio senza contegno.”

“Devi proprio ricordarmelo?”

“Comunque la chiameranno Tabatha.”

“Lo so.”

“Certo, come no… Ma se gliel’hai chiesto!”

“Smettila di leggermi, se non vuoi che faccia lo stesso con te.”

“Tremo di paura. Quello che non sapeva nemmeno che oggi sarebbe diventato il giorno migliore della sua vita.”

“Non esagerare.”

“Parole tue. Ne riparliamo tra tre anni.”

  
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