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Autore: Cara93    14/03/2017    3 recensioni
Questa è una breve OS che si dipana sulle prime tre stagioni, mettendo in evidenza i pensieri e le riflessioni di Sandor Clegane, noto come il Mastino.
Contiene linguaggio che può risultare offensivo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sandor Clegane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che vidi le ragazze Stark fu a Grande Inverno, quando Robert Baratheon, primo del suo nome, re degli Andali, protettore del reame eccetera, eccetera, chiese al suo fedele cane di accompagnarlo nel suo viaggio per i Sette Regni, una stupida scusa per bere e scopare tutte le puttane del reame prima di arrivare al Nord, dove aveva intenzioni di chiedere al suo migliore amico, Eddard Stark, Lord di Grande Inverno, di diventare suo Primo Cavaliere, dopo la morte di Jon Arryn. Provavo grande affetto per quel porco, lo devo ammettere, però era uno sciocco. Doveva immaginare che Cersei, sua sposa e sua regina, aspettasse il momento opportuno per restiture in un sol colpo tutte le offese ricevute: è una Lannister dopotutto e un Lannister ripaga sempre i suoi debiti. Io e mio fratello, lo sappiamo bene. Rimasi subito colpito da tutti gli Stark, così come lo fu tutto il corteo reale: erano una bella famiglia, sorridente, fiera e unita come se ne vedevano poche di quei tempi. Lord e Lady Stark sembravano veramente innamorati e i giovani rampolli della Casata erano belli, fieri e in salute. Poi, chissà come, tutto andò male.

Il primo funesto segnale avvenne lungo la strada verso Approdo del Re. La più piccola delle sorelle Stark, Arya, diede una bella lezione a quello stronzetto viziato del principe Joffrey e a pagarne il prezzo fu un ragazzino, l'apprendista del macellaio o del bottaio, non ha più importanza chi fosse e il meta-lupo di Sansa. Fu allora che le vidi per la prima volta: Sansa, un uccelletto indifeso, troppo bella e gentile per questo mondo così malvagio, con una forza e una dignità fuori del comune; Arya, una piccola lupa, ribelle, coraggiosa ed impetuosa, valorosa quanto e più di un uomo. Fu un episodio di per sè insignificante, ma profondamente ingiusto. Ma cosa, qui, in questa terra maledetta, lo è? 

Non mi curai più delle sorelle Stark da allora, almeno finchè il Fato o gli Dei giocarono uno scherzetto ignobile a quella fiera Casata: Eddard Stark, Lord di Grande Inverno, Primo Cavaliere del Regno venne accusato di alto tradimento e le sue figlie imprigionate; o meglio, una delle sue figlie, visto che Arya, non si trovava da nessuna parte. Ero nella sala del trono, quando Sansa Stark, tremando come una foglia, implorava pietà per il padre, certa che non avesse compiuto alcun errore e, nel caso ciò fosse avvenuto, in perfetta buona fede. Aveva ragione, la piccola colombella. Ned Stark era in buona fede. Aveva, però, commesso l'errore di fidarsi delle persone sbagliate. Aveva riposto la sua lealtà e il suo rispetto, in un uomo che non era più quello che ricordava, quello con cui aveva combattuto in battaglia, l'uomo giusto e buono si era trasformato in un beone lussurioso circondato da astute volpi, lugubri avvoltoi e velenosi serpenti pronti ad attaccare alla prima occasione. Aveva riposto fede nella regina, certo che facesse la cosa giusta e che onorasse il suo re, anche se lui, ora, giaceva sottoterra. Era un uomo nobile e giusto, Ned Stark. Troppo, per quel lurido pezzo degli Inferi che è Approdo del Re. 

Ero presente il giorno in cui Joffrey Baratheon mostrò a tutti la sua vera natura, così mostruosa e sanguinaria, incurante delle promesse e della strategia politica, quando condannò Ned Stark a morte e diede veramente inizio alla guerra aperta fra le due famiglie, che, fino ad allora, avevano messo in atto bieche scaramuccie e offese, aspettando il pretesto per attaccarsi a vicenda. Quando ripenso a quel giorno, rivedo la mia piccola colombella sul palco, vicino alla regina, sorridente e calma, almeno all'inizio. Poi, una volta capito che il suo caro promesso sposo non aveva intenzione di liberare suo padre, osservai il suo viso mutare: divenne pallida all'improvviso e prese a gridare, implorando Joffrey. Dovette guardare il boia tagliare la testa di suo padre, mentre, tra le lacrime, a malapena trattenuta da Cersei, cercava di scaraventarsi contro il re e contro il boia, nella vana speranza di poter tornare indietro e risparmiare a suo padre quel destino così orribile e ignobile.

Visse tra quelle persone, la mia colombella, certa che una parola sbagliata avrebbe decretato la sua fine. Era coraggiosa, Sansa Stark, un genere di coraggio poco capito e poco apprezzato, il coraggio del prigioniero che, nonostante le angherie del suo aguzzino, conserva la propria dignità. Cercava di sopravvivere come poteva, la mia colombella, aspettando l'arrivo di un salvatore e odiando in segreto quella città e la sua corte. E come poteva essere altrimenti? 

Il germe dell'odio nei confronti di Joffrey Baratheon, si fece largo nel suo cuore, il giorno in cui il giovane re, dopo averla invitata a fare una passeggiata, la condusse sugli spalti della fortezza, mostrandole, fiero e crudele, la testa mozzata di suo padre infilzata su una picca e promettendole quella del fratello come regalo di nozze. Vidi negli occhi azzurri di Sansa una rabbia cieca e un odio profondo e bruciante, vidi in lei ciò che non avevo mai notato, celato così abilmente dalle buone maniere e dalla femminilità del suo aspetto: la fierezza del lupo e il fuoco degli Stark, così simile a quello che ardeva costantemente negli occhi di Arya. La fermai, prima che spingesse Joffrey dalla fragile passerella di legno che gli permetteva di avvicinarsi ai merli del castello. Mi guardò, indispettita, indirizzando anche a me quello sguardo duro e bruciante. 

Joffrey si divertiva a tormentarla, la riteneva una ragazzina stupida e fragile, così come la reputava Cersei, che disprezzava la debolezza. Ma la mia colombella intrappolata non era debole, non è mai stata debole. Si piegava e si adattava alle circostanze, attendendo il suo momento, come un lupo solitario insegue una preda succosa e difficile e aspetta che sia vicina e senza vie di fuga prima di morderla a morte. 

-Un re non piange mai-
-Certo, Vostra Grazia. Ma io vi ho visto piangere-
-Cosa avete detto?-
-Una sciocchezza, Vostra Grazia-
Temevo ogni giorno per la sua vita, tanto il suo disprezzo verso il sovrano si ingigantiva e lei diventava sempre più imprudente. Ma non era l'unica a disprezzare Joffrey: se un cane non viene nutrito, prima o poi decide di attaccare il padrone. Accadde con gli abitanti di Approdo del Re, affamati e arrabbiati e accadde a me, trattato alla stregua di un animale. 

Non avevo mai completamente riflettuto sulla mia condizione, ma assistere ogni giorno alle torture che quel bastardo infliggeva alla piccola colomba, fece scattare qualcosa in me, qualcosa che la mia mente limitata, a detta di tutti, non avrebbe mai potuto partorire. Il fedele cane da guardia del re, il Mastino, sognava nelle notti più nere, di seguire l'esempio di Jaime Lannister e conficcare un pugnale nel cuore di suo figlio, il folle re Joffrey.

E venne l'assedio. E venne la battaglia. E venne il fuoco. Davanti alle fiamme e alla paura capii che quella non era la mia città, che quel dannato ragazzino sporco di latte non era e non sarebbe mai stato il mio re e che sprecare la mia vita lottando in nome di quel piccolo bastardo non mi avrebbe mai reso fiero. Servire Robert Baratheon era, a suo modo, un compito dignitoso, anche se non c'è dignità nel trascinare un ubriaco fuori dal letto di una puttana; ma era più umano che assistere agli orrori che quel crudele stronzetto metteva in atto per suo perverso piacere. Così lasciai la battaglia e la città, diventando un disertore. 

Mi recai nelle stanze di Sansa, l'unica che meritasse la mia protezione in quell'immonda città. Le offrii la mia spada e la libertà, ma la colombella rifiutò la mia offerta. All'inizio, pensai che ormai era un uccelletto dalle ali spezzate, che, troppo abituato alla gabbia, non riusciva a staccarsi dalla sua prigione dorata. Ora so che non è così: la mia dolce colombella pensava, anzi, sperava di salvarsi da sola. 

Durante il mio viaggio, in una taverna, venni individuato dalla Fratellanza Senza Vessilli. E lì, insieme a quei soldati da quattro soldi, che predicavano la libertà e la giustizia, ma che non erano altro che banditi con ideali flessibili, lì, per tutti i maledetti sette dei, riconobbi Arya Stark. 

Era più dura e cinica di quanto ricodassi, ma il fuoco ardeva ancora nei suoi occhi scuri. Era ancora impetuosa e impudente, la piccola lupa. Fu lei a mettermi nei guai, accusandomi dell'omicidio di un ragazzino, quel maledetto garzone, costringendomi a duellare per la mia vita. In quel momento, desiderai di strangolarla con le mie mani e ammirai il suo coraggio, una combinazione anomala e poco salutare, visto che quel groviglio di strane emozioni mi distrasse dal duello, rischiando di perdere e, di conseguenza, bruciare vivo. Prospettiva poco allettante, dato il mio passato. 

Da uomo libero, seguii la Fratellanza a poca distanza, attendendo il momento opportuno: volevo prendere la piccola lupa e riportarla dalla sua famiglia. Impresa alquanto ardua, visto che la lupacchiotta mi odiava. Ma non importava: se non ero riusciuto a riportare a casa Sansa, avrei salvato Arya. 

Fui costretto a legarla. Era più testarda e sveglia di quanto immaginassi. A suo modo era sopravvissuta in un luogo pieno di persone orribili come la sorella, era stata cauta, mostrando le zanne quando aveva ritenuto necessario. Lo capii quando cercò di uccidermi con una pietra. Sapeva cogliere le occasioni, ma anche valutare i rischi, qualità decantate e desidarate da re e lord, ma più rare di quanto quei signori credessero. La slegai solo quando si convinse che l'avrei portata da suo fratello e da sua madre: non a Delta delle Acque, dove credeva si trovassero in quel momento, ma alle Torri Gemelle, per il matrimonio tra suo zio, Edmure Tully e una delle figlie di Frey. 

Forse avrei dovuto maledire gli dei, o forse fui punito per la mia mancanza di devozione, ma quando io e la piccola lupa arrivammo alle Torri Gemelle era ormai troppo tardi: Robb e Catelyn Stark erano già morti, traditi dai loro alleati nel modo peggiore: sbeffeggiati e disonorati nella morte quanto erano stati rispettati e pieni d'onore in vita.

Credevo che la piccola lupa gridasse e piangesse, maledicendo i Bolton e i Frey, gli autori di quella carneficina, ma non lo fece. In cuor suo, Arya Stark covava sentimenti tanto freddi quanto forieri di morte. Era una sensazione che mi era familiare: avevo provato le stesse emozioni vicino a Sansa, la cupa e fredda certezza che, appena si fosse presentata l'occasione, avrebbero fatto pagare tutto quel dolore ai responsabili, con gli interessi e a capo scoperto, perchè sapessero che gli Stark di Grande Inverno non si lasciano distruggere facilmente. 

Ne ho avuto un assaggio molto presto: mi ero rifiutato di entrare in una locanda presidiata da un gruppetto di uomini al servizio dei Lannister, ma la piccola lupa aveva scorto un uomo che era nella sua lista personale di nemici ed era balzata davanti alla porta della locanda. Non ho neppure avuto il tempo di portarla via che la porta si è aperta, costringendoci a entrare. 

Maledizione, le Stark portano solo guai. Ve lo assicuro, parola del Mastino.   
   
 
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