3
Famiglia
La mattina seguente, a
svegliarla fu un cicaleccio rumoroso, seguito da un rapido tramestio.
Con le palpebre pesanti e le immagini di morte impresse a fuoco nella
retina, Nemeria si mise a sedere. Noriko non era vicino a lei, ma ne
riconobbe la voce calma e pacata da fuori, mentre discuteva con Hami -
o forse era Hirad? - di quello che avrebbero dovuto fare quel giorno.
Rimase
ad ascoltarli per un po', con lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime
ancora impigliate nelle ciglia. Aveva sognato di essere catturata dal
predone e assistere all'uccisione di tutti i sopravvissuti della sua
tribù. Li avevano legati e poi l'uomo l'aveva costretta a
guardare mentre tagliavano loro la testa, sordi alle urla dei bambini e
alle suppliche delle loro madri, fino a quando non era arrivato il suo
turno. Con lei erano stati molto più crudeli. Avevano
stretto un nodo scorsoio attorno al collo e l'avevano impiccata alla
tenda dell'Alta Sacerdotessa, sopra i cadaveri fatti a pezzi, in modo
che fosse l'ultima cosa che vedesse. Avevano scelto una corda corta,
troppo corta, persino Nemeria si era resa conto che non sarebbe morta
subito e così era stato. Poteva ancora percepire con
chiarezza la canapa che premeva contro la giugulare e l'aria che le
raschiava la gola mentre si dibatteva per liberarsi, artigliando il
vuoto, la sensazione di mancamento che, come una iena, le strappava
ogni energia, fino a quando non aveva smesso di muoversi.
Si massaggiò il collo e trasse un profondo respiro per
calmarsi, ma il tremore che le scuoteva le mani non
l'abbandonò. Così si rannicchiò su se
stessa, stringendosi il più possibile le gambe al petto. Lo
faceva spesso quando aveva paura o quando succedeva qualcosa di brutto
e Etheram non era lì per consolarla.
Una volta sua sorella l'aveva sorpresa mentre piangeva sotto le coperte
nel cuore della notte. Fuori infuriava una tempesta di sabbia e il
vento stava scaricando la sua furia sulle tende del villaggio dal
primissimo pomeriggio. Era stato in quell'occasione che Etheram le
aveva detto di assumere quella posizione e di contrarre tutti i
muscoli, così da impedire al Jin cattivo, così
Etheram aveva denominato la paura, di farla tremare.
“Inspira, espira, inspira, espira.”
Affondò le unghie nelle gambe e strinse i denti. Si
dondolò per un po' continuando a ripetersi quelle parole,
fino a quando non sentì la gelida stretta allo stomaco
allentarsi e il pulsare del suo cuore diminuire. Solo allora
riuscì ad alzarsi. Si sentiva ancora scossa, e il sonno le
pesava sulle palpebre, ma l'idea di tornare a dormire la terrorizzava.
Non appena mise piede fuori dalla tenda, Hirad, o almeno credeva fosse
lui, le venne incontro, le mise tra le mani un panino duro come un
sasso e le fece cenno di avvicinarsi. Noriko sedeva assieme ad Hami
vicino all fuoco ormai spento.
- Ben svegliata. Noriko ieri sera non ha fatto in tempo a spiegarti
come funziona qui, ma scommetto che eri stanca. - le sorrise Hirad,
invitandola a prendere posto vicino a lui, - Altea mi ha detto che ti
ha trovata mentre gironzolavi per le strade e che avevi una faccia
davvero triste. Non che anche a cena tu non l'avessi, però
mi è sembrato che... -
- Arriva al punto. - lo richiamò Hami, prima di addentare
una nespola.
Aveva una voce bassa, quasi baritonale, che si contrapponeva a quella
squillante di Hirad. Questi gli rivolse un'occhiata truce, ma poi
tossicchiò e si ricompose, tornando a guardare Nemeria.
- Dicevo, ti puoi svegliare quando ti pare, a meno che il capo non ti
abbia affidato un compito. Però sarebbe meglio ti alzassi
assieme agli altri, perché Afareen quasi sempre va in
città a “fare la spesa”. Ah, sono sempre
lei e Chalipa a occuparsi di servire i pasti, quindi se hai fame ed
è l'ora di pranzo basta che tu vada da loro. -
- Ma come faccio a sapere che è il momento di mangiare? -
domandò timidamente Nemeria, - Siamo sottoterra e non vedo
nessun orologio qui intorno. -
- Ed è qui che ti sbagli! - Hirad le indicò
orgoglioso un vaso di pietra a forma di cono, - Vieni, ti faccio
vedere. È una mia invenzione, ne vado particolarmente fiero.
-
-
Non l'hai inventato tu. Ne hai visto uno al mercato e poi l'hai
riprodotto come potevi. - lo corresse Hami, ma Hirad lo
ignorò.
Il ragazzo agguantò Nemeria sottobraccio e la
trascinò con sé. Contro ogni aspettativa, aveva
una presa salda che mal si sposava con le braccia mingherline e le dita
lunghe e affusolate.
- Vedi, all'interno ho inciso dodici tacche di deflusso ad altezze
differenti. Il punto più alto è per la prima ora,
quelli sotto, come immaginerai, indicano le altre. Da questa sfera
defluisce l'acqua. In base al suo livello riusciamo a capire che ore
sono. È strano, lo so, all'inizio non è semplice,
ma basta farci l'abitudine. -
-
Non l'avevo mai visto. - commentò ammirata Nemeria, - Mi
sono sempre orientata con la meridiana, non credevo fosse possibile
leggere l'ora anche senza il sole. -
- Oh, sì che è possibile. È molto,
molto più semplice di quello che tu possa pensare. Se vuoi,
una di queste volte ti posso insegnare a... -
- Hirad, ti prego, niente cose complicate a quest'ora della mattina. -
lo rimproverò Hami, stiracchiandosi, - Lo so che ti piace
parlare di queste robe scientifiche, ma la nostra Nemeria vorrebbe solo
sapere quali sono le sue mansioni. -
Come se si fosse appena ricordato di una cosa importante, Hirad si
batté una mano sulla fronte.
- Sì, hai perfettamente ragione! Dunque, Dariush ti ha
affidata a me. Andremo a esplorare le catacombe, le mapperemo e
riporteremo le nostre scoperte sui miei libri. Sai, sono davvero ampie,
si estendono sotto tutta la città e forse anche fuori, e
sono quasi sicuro che se cercheremo bene troveremo anche un nuovo
rifugio. Ah, giusto, visto che verrai con me devi assolutamente vedere
cosa ho scoperto fino ad oggi, così anche tu... -
- Aspetta... significa che dovremo uscire da qui e infilarci in quei
tunnel? -
- Mi pare ovvio. Ma non preoccuparti, non ci perderemo.
Cioè, a volte mi è capitato di perdermi, ma
questo solo durante le mie prime uscite. Adesso conosco benissimo tutte
le gallerie esplorate, sono il re di questo posto! -
Hirad si sfregò le mani e si infilò nella tenda
blu alla sua destra, per poi tornare quasi subito con in mano varie
pergamene.
- Come puoi vedere, ho disegnato tutto, appuntando il nome di ogni
singolo cunicolo. Il Capo non pretende che anche tu li impari, non
ancora almeno, e... -
Andò
avanti a parlare a raffica, ma Nemeria udiva appena la sua voce. In
quelle gallerie c'erano i fantasmi e, nel buio, potevano nascondersi
anche altri nemici che avrebbero potuto assalirla non appena si fosse
distratta. La sua mente le rimandò l'immagine del predone,
dei suoi occhi di ghiaccio che la cercavano, mentre lei correva
disperata nel tentativo di sfuggirgli. Quasi le parve di sentire le sue
mani serrarsi attorno alla gola. Si massaggiò il collo,
fingendo di tossire, la pelle pervasa dai brividi e il battito del
cuore accelerato.
- Bene, visto che non ci sono state obiezioni, io vado a prepararmi. -
concluse Hirad, visibilmente elettrizzato all'idea di uscire a
esplorare le catacombe, - Ricordati di farti dare qualcosa da mangiare
da Afareen, dille di abbondare già che ci sei, dato che non
sappiamo per che ora saremo di ritorno. -
Nemeria annuì vagamente e, mentre il ragazzo si allontanava,
si lasciò ricadere sulla prima sedia libera. Era instabile e
una delle gambe era più corta delle altre, ma aveva bisogno
di sedersi, pensare, riprendere fiato.
- Dovresti fare quello che Hirad ti ha detto. - le suggerì
Noriko in tono neutro.
Nemeria fece spallucce e appoggiò il mento sulle dita
intrecciate.
- Lo so, devo solo... rimettere a posto le idee. Mi ha detto
così tante cose e adesso ho una gran confusione in testa. -
- A me sembrava fossi concentrata su altro, in realtà. - la
bambina si allungò verso di lei e inclinò la
testa per catturare il suo sguardo, - Se non te la senti, puoi dirlo,
nessuno qui ti giudicherà. A parte Hirad, quasi nessuno ha
il coraggio di avventurarsi nelle catacombe. -
- Anche tu? -
Noriko sorrise debolmente. Spostò l'attenzione altrove,
l'espressione malinconica che aveva un momento prima era sparita,
celata dietro le sue iridi color ghiaccio. Gli occhi di Noriko avevano
qualcosa che spaventava e affascinava Nemeria, un connubio di paura e
calma che le provocava l'inspiegabile impulso di confessarsi e, allo
stesso tempo, allontanarsi.
- Quando mi sono unita al gruppo di Dariush, anche io sono stata
incaricata di seguire Hirad, ma preferisco stare all'aria aperta. -
Nemeria incassò la testa nelle spalle, poi si
girò a guardare verso l'entrata. L'immagine di Dariush che
stringeva i piccoli seni di Altea, della sua mano che le premeva contro
le scapole per tenerla ferma, le fece ribollire il sangue e rivoltare
lo stomaco.
- Dariush è davvero il vostro capo? - chiese in un ringhio,
strinse i pugni e inspirò profondamente, obbligandosi a
mantenere il controllo.
Noriko rimase qualche istante a fissarla con la stessa calma con cui si
contempla un paesaggio.
- Tutti lo reputano tale, quindi lui pensa di esserlo. - rispose,
allungando le gambe fin a sfiorare i ceppi anneriti.
- Nonostante faccia del male ad Altea? -
La bambina non rispose.
Nemeria scosse il capo schifata. La rabbia le graffiava lo sterno come
una bestia feroce e il sangue affluiva rovente alle mani. Sentiva il
potere del fuoco spingere per uscire, un bisogno urgente che si
confondeva con un altro, più doloroso e devastante, che
però cercava di ignorare.
- C'è un detto dalle mie parti che recita “Siediti
sulla sponda del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il
cadavere del tuo nemico”. - mormorò Noriko con
voce piatta, - È solo questione di tempo, Dariush
avrà quel che si merita. -
“Mentre
aspetti il cadavere, però, il nemico ucciderà
ancora.”
Nemeria serrò le palpebre e si sforzò di
togliersi quelle immagini orrende dalla testa, che si affastellavano
mescolandosi ad altre relative al passato: Dariush sul corpo di Altea,
il sangue che sgorgava dalla gola di Hediye, lo sguardo tagliente dello
Sha'ir, le lame arrossate alla luce abbacinante del sole. Si
portò le mani alle tempie e si obbligò a
respirare, come se l'aria potesse abbassare la pressione che le
schiacciava la gola.
- Guardami. - le ordinò Noriko.
Nemeria obbedì e alzò la testa in un movimento
lento, quasi sofferto. Osservò il corpo sottile della
bambina, la sagoma snella che la giacca lasciava trasparire, le spalle
rilassate sotto la canapa e le dita aggrappate al proprio braccio per
trattenerla dal compiere azioni impulsive. La pietra di luna divenne
più tiepida e Nemeria avvertì il fuoco che le
bruciava dentro affievolirsi, come se qualcuno vi avesse gettato sopra
dell'acqua. Solo allora si rese conto di stare tremando, che non era
solo la rabbia a scuoterla.
- Devi rimanere sulla tua sponda del fiume e attendere. - le
ripeté pacata Noriko, lo sguardo sempre fisso su di lei, - E
se nel buio vedi qualcosa, ricordati dove sei e non avere paura. Non
serve, non qui. -
A quelle parole, Nemeria sussultò. Provò a
divincolarsi, ma era come paralizzata, incatenata a quello sguardo che,
solo adesso se ne rendeva conto, era fin troppo maturo per appartenere
a una fanciulla così giovane.
- Come fai a sapere...? -
- Sono una brava osservatrice. - rispose semplicemente, come se fosse
la cosa più ovvia.
Poi si alzò e le diede le spalle, allontanandosi. Nemeria
rimase a osservarla mentre camminava, il cervello pieno di domande e
una pressante angoscia che le premeva sul petto. Il dubbio di quante
cose Noriko potesse sapere le si insinuò tra le costole e le
stritolò i polmoni, strappandole via la poca aria che
contenevano. Se non fosse stata seduta, ne era certa, le ginocchia le
avrebbero ceduto.
Non si accorse della presenza di Hirad finché il ragazzo non
la scosse e non le mise in mano una mappa e uno zaino. Dalla sua
espressione soddisfatta, Nemeria capì che non vedeva l'ora
di uscire.
- Che faccia preoccupata, diamine! Te l'ho già detto prima,
non ci perderemo. - la rincuorò, sfoderando un sorriso
smagliante, mentre la trascinava verso l'uscita.
Nemeria lo lasciò fare senza opporre resistenza.
Scivolò fuori dal passaggio segreto con un po' di fatica e
si lasciò guidare da Hirad, che, tutto contento di avere
compagnia, continuava a parlare.
Girarono
per le gallerie conosciute per buona parte della mattina, fermandosi
solo per bere o per mangiare. Come Nemeria aveva immaginato, le
catacombe erano cupe e spaventose anche alla luce del sole, un
labirinto di pietra nel quale si sarebbe facilmente persa senza una
guida. Di tanto in tanto, un ragno o un ratto sgattaiolava fuori da
qualche angolo buio, per poi sparire di nuovo, ma a differenza del
giorno precedente, Nemeria non vi badò.
Mentre Hirad cercava di spiegarle come orientarsi, la sua mente vagava
e si perdeva in pensieri sempre più tetri, abitati da occhi
e da mani pronte a ghermirla. Le sembrava di camminare in un sogno, uno
dei tanti che faceva quando viaggiavano attraverso il deserto, e per un
istante riuscì a convincersi che quello che stava vivendo
era tutta un'illusione, uno scherzo causato dal caldo. Poi
però il vento le portava alle orecchie la parlata stretta e
dura dei cittadini di Kalaspirit e la realtà tornava a
gravarle addosso come un macigno.
Alla fine della giornata, quando Hirad, ormai stanco e avvilito dalla
poca partecipazione della sua compagna, la ricondusse alla base,
Nemeria non cenò nemmeno. Si infilò nella tenda e
tirò su le coperte fin sopra la testa.
Nelle due settimane che seguirono, Nemeria dovette imparare molte cose.
Stare con i ragazzi del campo, far parte della
“famiglia”, non era facile come aveva pensato. E,
in generale, non lo era vivere a Kalaspirit. Il mito della
città benevola e ospitale era solo una maschera per i
viaggiatori meno esperti o quelli che non si soffermavano abbastanza
tempo per scoprirne il vero volto, freddo, ostile, talvolta anche
razzista. Gli occhi di Nemeria e Noriko, la carnagione chiara dei
gemelli e le orecchie lunghe di Altea e Dariush erano dettagli
più che sufficienti per causare una certa diffidenza, che
unita ai loro abiti sdruciti e alla puzza che si portavano dietro si
trasformava rapidamente in odio. Era per questo che per la maggior
parte del tempo si muovevano sottoterra, attraverso quel labirinto di
gallerie e tunnel che sembrava arrivare ovunque in città.
Nonostante sapesse quanto fosse necessario conoscerle, Nemeria aveva
difficoltà a ricordarseli. Quando usciva con Hirad e questi
le indicava i segni distintivi di ognuno, li dimenticava quasi subito
e, per quanto si sforzasse di trattenere quelle informazioni, il giorno
successivo qualsiasi conoscenza avesse acquisito sull'argomento era
svanita.
Altea e Hami la rimproveravano, mentre Mehrdad e Malakeh, quelle poche
volte che non erano fuori assieme alla Sha'ir, a Chalipa e Kimiya, si
lanciavano un'occhiata d'intesa, sussurrandosi qualcosa all'orecchio
che li faceva ridere. Più di una volta Nemeria ebbe la
tentazione di affrontarli e chieder loro cosa ci fosse di tanto
divertente, ma poi la pietra di luna diventava calda e la sua
irritazione scemava abbastanza da farle riporre l'ascia di guerra.
Noriko, invece, non le parlava più, sembrava aver perso
completamente interesse nei suoi confronti. Se da una parte questo la
tranquillizzava, dall'altra le dispiaceva, anche se non riusciva a
capirne il motivo.
L'unico
con cui le piaceva passare il tempo era Hirad. Lui scherzava e
minimizzava la sua sbadataggine con una risata o il racconto di un
aneddoto su quando era finito in un nido di ragni o era inciampato nel
femore di qualche vecchio scheletro. Non sembrava più
scoraggiato dal suo silenzio, anzi, più Nemeria taceva
più lui sembrava impegnarsi, tirando fuori i racconti e le
curiosità più strane. Sapeva davvero molte cose,
sia sulle catacombe che sulla città stessa, e amava
parlarne, anche se difficilmente riusciva ad arrivare fino in fondo al
suo discorso senza divagare. Col passare dei giorni, Nemeria
cominciò ad apprezzare la sua compagnia e il suo continuo
sproloquiare. Qualche volta addirittura le venne voglia di conversare e
seguirlo nei suoi voli pindarici, sebbene lei fosse la prima a
perdersi. In un certo qual modo, tutte quelle nozioni riuscivano
parzialmente a occupare la sua mente, la tenevano ancorata alla
realtà e allo stesso tempo la distraevano dai suoi demoni
personali che, però, venivano a trovarla ogni volta che
chiudeva gli occhi.
Svegliarsi al mattino era sempre un sollievo: l'incubo era finito ed
era obbligata a pensare ad altro, anche se la rabbia, la paura e
l'angoscia erano i suoi inseparabili compagni. La seguivano ovunque
andasse, si annidavano in un angolo remoto della sua mente e sbucavano
fuori alla prima occasione. Le bastava incrociare lo sguardo tagliente
di Dariush, scorgere uno strano movimento nel buio o udire una voce
simile a quella di Etheram o Hediye perché questi
l'assalissero con i loro suoni, le loro immagini, le loro sensazioni.
In quei momenti, Nemeria si sentiva sopraffatta e il bisogno di parlare
con qualcuno di quello che ne era stato della sua gente e di quello che
accadeva ad Altea diventava quasi insopportabile.
Aveva provato a richiamare l'elementale, ma ogni volta che ci provava
la paura di essere scoperta le strisciava dentro le ossa e la frenava.
Gli unici momenti in cui le sembrava di tornare a respirare era quando
usciva con Hirad.
Fu durante una delle loro esplorazioni che lui le rivelò che
la loro base segreta probabilmente era stato il luogo di ritrovo di
alcuni sovversivi, che, quasi cinquant'anni prima, avevano attentato
alla vita del governatore della città.
-
Non mi ricordo dove l'ho letto o l'ho sentito dire, però ho
ben impressa la faccia di mia madre quando mio padre glielo disse. Che
dire, è stato uno degli eventi più straordinari
avvenuti qui a Kalaspirit. - disse addentando una focaccina al miele, e
alzò gli occhi masticando con espressione assorta.
Lo faceva spesso quando estraeva dalla sua “biblioteca
mentale”, così lui amava definire la sua
straordinaria memoria, tutte le informazioni su un argomento. Nemeria
attese in religioso silenzio che riprendesse a parlare.
- Questi qui, insomma gli uomini che volevano attentare alla vita del
governatore, non si sapeva da dove fossero sbucati o perché
volessero farlo fuori. La maggior parte della gente pensava fossero dei
poveracci che, stanchi di vivere per strada, avevano pensato di unirsi
per fare il loro colpaccio. Sai, per soldi si è disposti a
tutto, anche se, a essere sincero, credo ben poco a questa versione. -
- Perché? -
- Per come sono andate le cose e per come si erano organizzati. -
snocciolò, pulendosi i calzoni dalle briciole di pane e
facendole cenno di seguirlo, - La nostra base, non so se ci hai fatto
caso, ha i muri estremamente lisci, come se fossero stati levigati.
Ora, non sono un genio dell'ingegneria, tanto meno mi intendo di
architettura, però sono più che certo che quella
stanza non sia stata scavata da mano umana. Sono più
propenso a pensare che sia stata opera della magia, precisamente di un
Dominatore della terra. -
- Non poteva essere già stata costruita? Magari da quelle
stesse persone che avevano costruito le catacombe. -
- È una possibilità, sì.
Però si sposa male con la mia teoria, quindi trascuriamola
per un momento. Insomma, quello che accadde fu che attaccarono il
governatore, penetrarono nelle sue stanze e arrivarono a tanto
così dal raggiungere il loro obiettivo. Per fortuna, una
guardia che era sopravvissuta alla loro carneficina riuscì
ad arrivare alle spalle del loro capo e ad ammazzarlo prima che lui
facesse fuori il governatore. Roba da pazzi, vero? -
- Se lo dici tu... -
Hirad le lanciò una lunga occhiata di traverso,
evidentemente deluso dalla sua reazione, ma poi liquidò la
cosa con un'alzata di spalle e riprese a raccontare.
- Alla fine, quando le altre guardie fecero irruzione nel palazzo, i
predoni si erano già volatilizzati. Capisci? Spariti nel
nulla, come se non fossero mai esistiti! A me sembra più che
ovvio che si siano avvalsi della magia per andarsene. -
- E allora perché nessuno ha provato a rintracciarli? Che
so, qualcuno che sapesse manipolare un elementale della terra o
dell'aria. -
Il ragazzo si grattò la nuca con foga, per poi staccarsi una
zecca con una smorfia. Quando la schiacciò con il
polpastrelli, il sangue quasi gli esplose in faccia.
- Questo non te lo so dire. Presumo abbiano lasciato perdere
perché ci sono ben pochi Dominatori qui a Kalaspirit e quei
pochi si fanno pagare fior di monete per i loro servigi. Ma ora che mi
ci fai pensare, dopo quell'episodio è successa un'altra
cosa: la città è diventata molto più
ostile nei confronti dei viaggiatori, soprattutto i non-umani. Non che
mi stupisca, tutti sospettano dei diversi quando accadono le tragedie. -
Quel giorno Hirad camminava più spedito del solito e Nemeria
doveva impegnarsi per non perderlo di vista, anche se questo
significava ignorare i ratti che le correvano sui piedi e i ragni che
le si potevano parare davanti alla faccia da un momento all'altro.
- Senti, non te l'ho mai chiesto, ma come fai a sapere tante cose? -
gli domandò col fiato corto quando riuscì
finalmente ad affiancarlo, - Sei una specie di enciclopedia su due
gambe, non puoi aver appreso tutte queste nozioni vivendo per strada.
Non capisco. E poi, con la tua intelligenza potresti aspirare a
qualcosa di più che esplorare catacombe. Come mai sei qui? -
Il viso di Hirad si adombrò e per un lungo momento Nemeria
credette che non le avrebbe risposto.
-
I genitori miei e di Hami ci hanno abbandonato, come è
successo a te e agli altri. Sai loro... mamma e papà sono
due esseri umani, mercanti di una certa fama a Shalast. Io e mio
fratello, invece, siamo mezzi Sha'ir. Quando eravamo piccoli, le nostre
orecchie a punta erano un dettaglio insignificante, praticamente
nessuno le notava. Poi siamo cresciuti e i dettagli si sono assommati,
sottolineando la nostra diversità. Eravamo molto
più alti di quanto saremmo dovuti essere e rivaleggiavamo
per forza e agilità con anche coi ragazzi più
grandi. All'inizio mamma e papà cercarono di ignorare le
malelingue e concentrarsi sulla nostra educazione, affidandoci ai
maestri migliori della città. Poi, a una festa, un loro
parente ubriaco fradicio disse loro che eravamo lemnas e
che la strega che si era portata via i loro veri figli probabilmente li
aveva usati per evocare un Jin col quale accoppiarsi. Beh, non
usò proprio queste parole, ma il succo è questo.
Da allora i nostri genitori non hanno più voluto fare finta
di niente. La cosa buona è stata che quando ci hanno
abbandonati, ci hanno dato abbastanza monete da permetterci di
ambientarci e trovare un modo per sopravvivere. -
- Ma non è giusto! - sbottò indignata Nemeria, -
Che colpa ne avevate voi se vostra madre aveva tradito vostro padre?
È stata una crudeltà terribile, avete dovuto
pagare per l'errore di qualcun altr... ehi, perché stai
ridendo? -
- Niente, niente, è che sei tenera quando ti arrabbi. - le
arruffò giocosamente i capelli, con un'espressione
sinceramente divertita sul viso, - Dovresti anche parlare
più spesso. Fai domande molto più intelligenti
della maggior parte delle persone che ho incontrato. -
Imbarazzata, Nemeria si sottrasse al contatto della sua mano.
Assomigliava a quella di Noriko, ma era meno callosa e ruvida. Hirad la
lasciò andare, salvo impadronirsi di una ciocca all'ultimo
momento. Se la rigirò tra le dita, studiando le sfumature
grigiastre che la sporcizia non aveva ancora del tutto coperto.
- Penso di sapere cosa sei. - bisbigliò dopo un minuto
scarso.
Il cuore di Nemeria mancò un battito. Come aveva fatto
capirlo? Non aveva mai manifestato il suo potere, nemmeno una volta, e
ormai il suo popolo era ritenuto una leggenda. Come poteva sapere che
era una Jinian?
Arretrò così bruscamente che per poco Hirad non
cadde a terra. Le emozioni che la tenevano sveglia la notte la
investirono con la forza di un uragano, senza che nemmeno la pietra di
luna, subito divenuta rovente, riuscisse a placarlo.
- Tu non sai niente. - sibilò.
- Invece sì, so cosa sei. Ma tranquilla, non ho intenzione
di parlarne con nessuno. Non voglio che gli altri ti caccino, non
voglio che tu te ne vada. Ti puoi fidare di me. -
- Ah, sì? E come faccio a esserne certa? -
Improvvisamente, l'aria si fece torrida, quasi irrespirabile, e una
luce aranciata prese a danzare sulle pareti viscide
d'umidità. Con la fronte imperlata di sudore, il ragazzo
fissò lei e poi le fiamme che le lambivano le mani e le
braccia senza bruciarle. Nemeria ne percepiva appena il calore sulla
pelle.
- Perché so che fine fanno i Dominatori in questa
città, so che tipo di vita conducono e non ho nessuna
intenzione di lasciarti andare a morire nell'arena. -
deglutì, ma, nonostante la paura, la sua voce rimase
inaspettatamente calma, - I miei genitori hanno abbandonato me e mio
fratello perché eravamo diversi. Non intendo di comportarmi
come loro, non voglio che tu venga sbattuta a combattere per il resto
dei tuoi giorni soltanto perché sei una Dominatrice. Non
sarebbe giusto. -
Nemeria lo scrutò basita. La rabbia e la paura sfumarono
assieme alle fiamme e il silenzio calò su di loro.
Il ragazzo si terse il viso con l'acqua e sistemò la mappa
nello zaino sulla schiena, senza aggiungere altro.
- Come hai fatto a capirlo? -
- Ho un po' tirato a indovinare, in realtà. -
rivelò, guardandola dall'alto in basso, - Hai dei capelli
strani e gli occhi di un colore... indefinito. Avevo letto da qualche
parte che i Dominatori hanno queste caratteristiche e in base a
ciò ho dedotto che anche tu lo fossi. -
- Un po' debole come argomentazione... - rispose con un risolino
nervoso Nemeria, anche se in cuor suo si sentiva rinfrancata da quelle
parole.
- Lo so, ma già una volta ci avevo preso e ho sperato di
avere di nuovo fortuna. -
- Mi stai dicendo che c'è qualcun altro come me tra di noi? -
Un sorriso enigmatico apparve sulle labbra di Hirad.
- Immagino tu non abbia intenzione di dirmelo. -
- Immagini bene. -
- Ma perché? Tu hai appena scoperto il mio più
grande segreto, potresti almeno condividerne uno con me! -
Il ragazzo si umettò le labbra e inclinò il capo,
fissando una ragnatela sul soffitto.
- Potrei, ma non sarebbe divertente. Inoltre, questo potrebbe essere un
buon argomento di conversazione. Anche se non sembra, quando divago e
deliro mi piace che ci sia qualcuno con cui parlare. Se ti rivelassi
chi sono, c'è la possibilità che tu ti chiuda di
nuovo nel tuo silenzio e a me non va di tornare a discutere con il
nulla. -
Nemeria si imbronciò e gli scoccò un'occhiata
risentita, che suscitò l'ilarità del compagno.
- Ti ho mai detto che sono un seguace di quell'uomo famoso che diceva
di non poter insegnare niente a nessuno, ma solo provare a far
riflettere? -
- No, forse, non lo so. Dici molte cose, tu. -
- Bene, ora lo sai. E comunque, Nemeria, non penso che questo sia il
tuo più grande segreto. Sono le lacrime che ti brillano
negli occhi e il tuo completo silenzio il tuo più grande e
doloroso segreto. -
La ragazza ci mise un po' a capire cosa le stesse dicendo.
- Tu sai troppe cose... - commentò poi sottovoce.
- Sono solo un buon osservatore. - replicò Hirad,
profondendosi in un inchino teatrale.
Mentre Hirad le dava le spalle e la precedeva lungo la galleria,
Nemeria abbassò lo sguardo e si morse le labbra, ricordando
che anche Noriko aveva detto la stessa cosa. Mise da parte l'esitazione
e si sbrigò a raggiungerlo.