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Autore: Infected Heart    14/03/2017    2 recensioni
They took the midnight train, goin' anywhere...
Ho immaginato il primo incontro tra Cory e Lea, e sognato tutto ciò che ne è seguito.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CORY POV
 
3/12/2008
 
Sollevarla è così semplice.
 
Io lo so bene, dopo un mese passato a provare passi di danza e prese strambe insieme a lei e a tutto il cast.
Siamo reduci da un bootcamp[1] obbligatorio: alcuni di noi non avevano nemmeno mai preso lezioni di danza, e da febbraio i ritmi di lavoro diventeranno ingestibili, visto che fino a maggio filmeremo l’intera prima serie.
Sì, il pilot ha avuto anche più dei consensi sperati dall’audience test[2], e la Fox ci ha dato il via libera per quella che sarà una vera avventura.
Dovremo imparare coreografie e canzoni nuove da un giorno all’altro, perciò speriamo che gli allenamenti intensivi siano serviti a temprarci.
 
Sollevarla è così semplice.
 
Lo sa bene anche il suo ragazzo, venuto a prenderla al termine di questo tour de force.
Li vedo abbracciarsi e baciarsi. Lui la prende in braccio e lei incrocia le gambe alla sua vita per reggersi. Si sorridono, e lui le toglie la fascia per i capelli, scompigliandole teneramente la frangetta.
Sì, piace anche tanto a me quel suo nuovo look. La rende più… donna. E se possibile esalta ancora di più quegli zigomi e quelle labbra così sexy. Soprattutto quando le apre per cantare. Dio, è così bella mentre canta.
La bottiglia di plastica che ho in mano diventa una pallottola informe. Chris se ne accorge e mi guarda con comprensivi occhi azzurri.
 
-Abbi pazienza.-
 
Pazienza? Per un mese, ogni giorno, ci siamo sfiorati, anche più del dovuto. Abbiamo riso, ci siamo fatti scherzi, e abbiamo riso ancora di più. Ci siamo conosciuti e…
Certo, non sono decisamente un ètoile della danza; posso solo immaginare quanto incompetente io possa sembrare ad una professionista del suo calibro, ma ciò è venuto a mio favore quando volevo sbagliare di proposito durante i passi a due. Diciamolo: non era così difficile riuscirci, e ho camuffato bene le mie reali intenzioni.
Qualunque cosa, pur di stare di più a contatto con lei. Anche prolungare la tortura, inciampando durante una bachata o imparare lo “spaccaginocchia”[3].
Ma lei riusciva a rendere piacevole anche questo. Soffocava una risata e abbassava lo sguardo, arrossendo; poi mi prendeva la mano e guidava i miei passi, con il sottofondo delle urla di Zach, il nostro insegnante.
Che io ovviamente non sentivo. Ero catturato da ben altro: sono pur sempre un uomo, e le donne fasciate in un’attillata tenuta da ginnastica fanno sempre il loro effetto. Soprattutto se hanno il fisico di Lea.
Fisico che ricordavo benissimo, spoglio di quegli inutili vestiti.
Dio, è così difficile mantenere la concentrazione, con lei vicino.
Un mese intero così. Un mese intero senza pause, weekend liberi o qualsivoglia evasione da quel mondo parallelo che Ryan è riuscito a creare in così poco tempo.
Certamente si è venuto a formare uno spirito di squadra, tra noi cinque casi umani. Siamo diventati affiatati a tal punto che tutti si sono accorti che tra me e Lea c’è qualcosa in sospeso.
Se pensavamo di essere attori così bravi da nasconderlo, evidentemente ci siamo sbagliati.
Oppure quel qualcosa è troppo forte per essere ignorato.
Lo so, ho le mie colpe: quando lei cercava un confronto su quella notte, io evadevo il discorso o ricominciavo a ballare, facendo finta di nulla.
Ma lei non si è nemmeno degnata di dirmi che si è fidanzata.
Nemmeno dopo che…
 
LEA POV
 
16/11/2008
 
È ormai mezzanotte passata, e non riesco a prender sonno. Indosso la vestaglia ed esco dalla roulotte, pronta a vagare per il campus deserto finché non sentirò le palpebre chiedermi pietà.
Arrivo di fronte all’ingresso della palestra e sono in procinto di svoltare a destra, per inoltrarmi nel viale alberato che dà inizio al percorso fitness all’aperto.
Ad un certo punto sento dei singhiozzi e mi guardo attorno, preoccupata. Seguo il suono, fino a quando non me lo trovo di fronte.
Lo vedo tremare, con le unghie conficcate nelle guance. Rivoli di sudore gli scendono lungo le tempie e si uniscono alle lacrime sul volto paonazzo dal dolore. Le vene gli pulsano visibilmente, così tanto che sembrano sul punto di esplodere da un momento all’altro.
Mette la testa tra le ginocchia, mentre si accascia contro il retro della palestra. Ha uno spasmo e la schiena subisce un violento contraccolpo sul muro.  
Non so cosa dire, cosa fare.
 
-Cory che… che succede?-
 
Socchiude le labbra, lottando con i denti che battono l’uno contro l’altro.
Ci prova, ma non riesce a pronunciare una sola parola.
 
-Vuoi… vuoi che chiami qualcuno? –
 
Mi lancia uno sguardo truce, e poi nasconde nuovamente gli occhi.
Ho capito.
Ma devo fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
 
Mi avvicino lentamente e mi metto in ginocchio, accanto a lui. Delicatamente gli poso una mano sulla spalla.
 
-Cory, io non ti lascio qui così.-
 
Sposto la mia mano, fino a trovare la sua, rigida e fredda, a contrasto con il viso bollente.
 
Con uno scatto, lui me la afferra.
 
I suoi tremiti mi arrivano fin dentro le ossa.
 
Io sono paralizzata, e un’ora dopo siamo ancora qui, nella stessa identica posizione.
 
Col passare dei minuti, i tremori diminuiscono e la sua stretta si fa via via più debole.
 
Quando sento la mano mollare la presa, giro il volto verso di lui, e mi accorgo che si è addormentato.
 
Arriva il mattino, e con cautela lo sveglio.
 
CORY POV
 
Sento il tepore di una carezza sulla mia guancia, ma non ho il tempo di soffermarmi su quella sensazione perché il dolore, dalla nuca, passa allo stomaco, e sono costretto a piegarmi in due per rigettare gli scarti di un’anima che ho perso chissà dove.
In tutto ciò un appiglio saldo, in una mano piccolina che non mi abbandona finché io non realizzo e scappo di corsa, sotto gli occhi di Lea che mi guarda, stanca e impotente.
Quello sguardo di pietà non riuscirò più a levarmelo di dosso, già lo so.
Dio, che vergogna.
Mi sciacquo il viso nel bagno della roulotte, e osservo il ghigno di scherno che rivolgo allo specchio. Quanto sono ridicolo. Non sono un gran credente, ma da quando conosco lei, mi ritrovo ad invocare le divinità più volte al giorno.  
 
Arrivo in ritardo al training mattutino e mi si forma un nodo in gola quando rivedo di fronte a me le sue occhiaie profonde, le sue sopracciglia corrucciate e le sue labbra spalancate… eppure non emette alcun suono, perché prima che possa parlare, io le volto le spalle, e mi metto a discutere animatamente con Ryan.
Con la coda dell’occhio la vedo abbassare il viso, ferita. Dissimula l’imbarazzo portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e sorridendo debolmente a Jenna, che le si avvicina, solare come sempre.
 
Ecco, adesso mi sento doppiamente in colpa: non solo ha assistito al peggior spettacolo che una persona può dare di se stessa, non solo ha passato la notte in bianco per starmi accanto, ma l’ho anche bellamente ignorata, da vero stronzo.
 
Come non detto. Triplamente in colpa.
Ma si dice “triplamente”?
 
Sì, forse quella robaccia mi ha davvero fuso il cervello.
 
Faccio del mio meglio per memorizzare i passi ed essere reattivo, ma appena posso cerco il muro, per evitare che i capogiri diventino svenimenti.
Con gli svenimenti inizierebbe una serie di domande, e io non ho voglia né di dare spiegazioni, né di mentire.
 
Sono troppo vigliacco per guardare Lea negli occhi, e trattarla con freddezza non fa che peggiorare la situazione.
 
Ma proprio non posso fare diversamente.
 
È ormai fine giornata, e siamo negli spogliatoi della palestra.
Dopo aver fatto la doccia, metto l’asciugamano attorno al collo, saluto gli altri ragazzi ed esco dalla zona del bagno riservata agli uomini.
Lea è appoggiata a lato della porta e si tiene un braccio con l’altro. Timidamente alza i suoi occhioni su di me.
 
Mi si mozza il fiato.
 
No, non è il “Sei così bella che mi togli il respiro”.
 
Sono nel panico.
 
Non posso scappare.
 
-Senti… so che non sono affari miei, ma… volevo solo sapere come stai.-
 
-Alla grande. Grazie.-
 
La spingo via bruscamente, per uscire definitivamente dalla struttura.
 
LEA POV
 
23/11/2008
 
Una delle cose che mi ferisce di più è non sapere il motivo per cui una persona è arrabbiata con me.
Voglio dire: se ho fatto qualcosa di male, è meglio farmelo notare, almeno, se è il caso, posso chiedere scusa, cercare di rimediare, o per lo meno provare a capire dove ho sbagliato.
Invece Cory da una settimana a malapena mi rivolge la parola, ed evita quasi di guardarmi. Ogni volta che mi deve dire qualcosa è come se la sua voce fosse la lama di un coltello: cauta, gelida, precisa e pungente. E io sono avvilita. Ho tentato in tutti i modi di essere gentile, di trovare un punto d’incontro. Ma nulla. Anche quando dobbiamo ballare insieme, dove una volta le sue mani mi sostenevano vigorose, ora c’è un tocco appena accennato, quasi come se solo l’idea di avere un contatto con me lo ripugnasse.
Dopo l’ennesima giornata piena di tensione, mi dirigo ai bagni insieme alle ragazze.
Esco dalla doccia, mi infilo l’accappatoio e friziono i capelli, poi mi incammino verso la roulotte.
Sgrano gli occhi quando, di fianco alla porta, vedo un mazzo di rose rosa.
C’è un biglietto, con stampata una grande stella dorata.
 
Probabilmente questa volta sarai tu a non volermi ascoltare, e ne avresti il diritto.
 Sono un codardo, e ti chiedo scusa.
 Le parole non sono proprio il mio forte, ma se me ne darai la possibilità, proverò a spiegarti.
 Te lo devo.
 Alle 23 all’entrata?
 Ti aspetto.
 
 Cory.”
 
Ok, quel ragazzo è strano forte. Ma d’altronde a me non sono mai piaciuti normali.
Aspetta un attimo: sto ammettendo che mi piace? Ferma tutto, Lea. Sei fidanzata, e Theo è un bravo ragazzo. Cory ha fatto un gesto carino, ma… vediamo dove vuole andare a parare.
Espiro sonoramente, e inspiro pazienza.
Quella che tutte le volte penso di non avere, e che poi mi ritrovo a dover imparare per forza.
 
Chissà perché sono così nervosa. A cena ho mangiato pochissimo, ed è mezzora che mi spazzolo i capelli, come se fossero un corpo esterno alla mia persona. Ho già provato quattro acconciature diverse, manco fosse un appuntamento galante.
Vai tu a capire il mio cervello.
Ormai è quasi l’ora e mi metto il golfino rosa, come le rose che Cory mi ha regalato.
Esco dalla roulotte e mi stringo nelle braccia. Stasera c’è una brezza fresca che soffia sullo spiazzo enorme che separa la palestra dal bosco.
 
Vedo Cory accostato all’ingresso dei campus, il cappuccio di una felpa nera gli copre il volto a metà, mentre guarda a terra, intento a calciare delle pietre sull’asfalto.
Devo constatare che è molto tranquillo anche lui.
 
Lo raggiungo, e contro ogni regola della buona comunicazione, incrocio le braccia fissandolo, in attesa.
 
-Ok, però così mi metti più paura di quanta già non ne avessi.-
 
Mette le mani avanti, in segno di resa.
 
-Per favore, parla, o rischio di impazzire.-
 
-Tu? Sei sempre così controllata, così… forte.-
 
Alzo un sopracciglio e scuoto la testa. Sospiro, e sorrido.
Che ingenuo.
 
-Senti, non sono orgoglioso di me. Chiaro?-
 
-Guarda che io non voglio obbligare nessuno a dirmi cose che non vuole dirmi, e men che meno ad avere un buon rapporto con me al di fuori del set. Ma il lavoro è lavoro. E io voglio lavorare con serenità. Detto questo… ero solo preoccupata per te.- mi mordo le labbra e guardo di fronte a me. Sotto il lampione è ben visibile il punto dove lui era stato così male che credevo sarebbe morto.
 
-Lo vedi? È per questo che non volevo parlarti.-
 
-Cosa?- Proprio non capisco.
 
-Lo sguardo che hai ora. La compassione. Io… non ho bisogno di compassione.-
 
-Ehi, guarda che ti sbagli.- Ecco, ho già detto “guarda” almeno tre volte. Prendo un bel respiro e continuo la frase.
-Non mi piace la pietà. La pietà è per chi non ha più nulla da condividere col mondo. Tu invece hai tanto da dare, tanto da dire… e sei… la nostra colonna portante. Il nostro quarterback.-
 
Gli sorrido, pensando a tutte le volte che in sala prove o in palestra, lui ha dato un senso al gioco di squadra. Come quella volta che, in un momento di sconforto generale, si è messo a ballare sulla sedia rotelle al posto di Kevin, per farci rendere conto che tutti possiamo farcela.  
 
-Io non sono una brava persona, Lea. Non voglio farti ancora del male.-
 
-Scusa, ma continuo a non capire. Aiutami.- senza accorgermene, gli prendo una mano.
 
-Scusami tu.– si libera dalla presa e infila tutte e due le mani nelle tasche dei pantaloni.
Inizia a camminare avanti e indietro a testa bassa.
 
Io rimango interdetta.
 
-Non avresti dovuto vedermi in quello stato. Quella é… la parte peggiore di me. Io… non ce l’ho fatta.-
 
-A fare cosa?- gli chiedo. Mi sembra di spremere un limone. Sicuramente il suo disagio è infinitamente maggiore del mio, ma proprio non so come aiutarlo ad esprimersi, se non facendogli (forse) banalissime domande.
 
-A reggere.-
 
All’improvviso si ferma e mi guarda nel profondo degli occhi, più serio che mai.
 
-Sediamoci. Poi potrai fuggire a gambe levate, ma ti prego di ascoltarmi senza interrompermi. È già abbastanza difficile così, per me… -
 
Sotto una palma solitaria al centro dello spiazzo c’è una panchina. Lui mi prende la mano e dolcemente mi fa cenno di accomodarmi.
Continua a parlare, rimanendo in piedi.
 
-Erano nove anni che non mi succedeva. Nove maledettissimi anni. E ora sono di nuovo al punto di partenza. Dopo la riabilitazione ho giurato che non sarei diventato come mio padre, che avrei coltivato i miei sogni, che avrei costruito una vita in cui potessi essere felice davvero, che non sarei rimasto schiavo di una felicità artificiale. E invece eccomi qui: un uomo che nemmeno sa controllare cosa scorre nelle proprie vene. Dopo tutto quello che ho passato, pensavo di essere forte… poi, una volta a Los Angeles, sono stato soffocato da quell’alone di perfezione… sai di cosa parlo, vero? Ti piomba addosso e ti fa sentire così insignificante… Mi vergogno da morire.-
 
Si siede di fianco a me e questa volta è lui a portare una mia mano sul suo viso. L’altra è delicatamente poggiata sulla mia coscia.
I suoi occhi mi scrutano, e sorride, per un istante, sereno.
 
-Tu… tu sei così pura. Non devi mischiarti con questo schifo.-
 
Si alza, e stringendosi nelle spalle, inizia ad incamminarsi verso la sua roulotte.
 
Ad un certo punto si blocca, e senza voltarsi pronuncia un’ultima frase.
 
-Grazie… per tutto.–
 
 
N.d.A: Salve a tutti! Scusate l’attesa, ma tra concerti da preparare last minute, lavoro, esami e deliri amorosi, non ce l’ho fatta a pubblicare prima.
Spero davvero che il capitolo valga la pena dell’attesa. So che mi sto addentrando in tematiche delicate, ma per mantenere fedeltà al personaggio, mi son sentita di inserire anche questa parte importante della sua vita, perché ha condizionato molte cose, come sappiamo.
Detto ciò, rinnovo l’invito a lasciarmi un feedback, se vi va.
Cosa vi aspettate dagli sviluppi della storia? Cosa vi piace e cosa no?
Sono curiosa di sapere.
In ogni caso, grazie davvero per aver letto <3
Un abbraccio!

-Infected Heart
 
p.s: Avete sentito Love Is Alive, il nuovo singolo di Lea? Fatemi sapere anche cosa pensate di quello.

p.p.s: Piccola curiosità: il titolo del capitolo deriva da una famosissima canzone Jazz di George Benson, This Masquerade. Sì, lo ammetto: nemmeno io la conoscevo, fino a quando, un mese fa, il pianista che ci accompagna a lezione di canto in conservatorio non si è messo a suonarla così, a random XD Ascoltate e leggetevi il testo, capirete perchè l'ho scelta a titolo del capitolo :) Qui vi lascio il link della versione di Shirley Bassey, che mi piace tantissimo: https://www.youtube.com/watch?v=3Ma4pfVZesg  
 
[1]Bootcamp: “Boot Camp è una pratica di fitness che si rifà all’addestramento militare dei marines americani e che propone un allenamento intenso per uomini e donne con l’obiettivo di perdere peso, tonificare i muscoli e aumentare forza e resistenza fisica in appena poche settimane. Con il Boot Camp, la palestra tradizionale si trasforma in un vero e proprio campo di addestramento militare, l’istruttore di fitness diventa un “sergente di ferro”, mentre i partecipanti sono civili che si sottopongono a quello che a prima vista potrebbe sembrare un maltrattamento con il solo scopo di tornare tonici e forti in tempi veramente record.”
 
[2] Audience Test: prima che un prodotto televisivo (film, serie tv, tv shows etc.) venga completato e inserito nel palinsesto, la visione del pilot (puntata di prova) viene sottoposta ad un pubblico eterogeneo o con target selezionato, come test per valutare indice di gradimento ed impatto emotivo.
[3] Spacchiaginocchia: in gergo, uno dei passi più difficili per un numero di canto coreografato. Consiste nel mettere una mano a terra per reggere il peso del corpo, e sollevare entrambe le gambe, piegate velocemente. La difficoltà, oltre che fisica, è nell'usare il diaframma, perché si è in posizione ricurva, e quindi il sostegno delle note cantate è problematico.
  
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