Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    14/03/2017    3 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Capitolo 19. Gli avvenimenti di East City. Sesta parte.

 


 
Teresa rimase in silenzio per qualche minuto, come se stesse riordinando le idee per continuare il suo racconto. Anche Laura sembrava approfittare di quella pausa per recuperare un minimo di compostezza: aveva preso un fazzoletto e si era asciugata le lacrime e ora attendeva, guardando quietamente la sua tazza di the ormai vuota e cercando di far tornare il suo respiro normale.
Andrew sulle prime si limitò ad attendere, ma trovando irritante stare su quella sedia in un momento di simile tensione, si alzò in piedi e andò verso il caminetto, prendendo in mano la foto di Erin. Studiò con attenzione il viso della fanciulla, cercando i punti in comune con il suo amico: forse c’era qualcosa nel sorriso e nella linea del naso, ma per il resto la somiglianza era tutta con Laura. Provò a cercare anche qualcosa di Teresa, ora che aveva una minima idea di come fosse vent’anni prima, e tutto sommato vide che l’espressione sbarazzina aveva un non so che della soldatessa di quella vecchia foto.
“Henry avrebbe adorato Erin – si trovò a dire con un lieve sorriso – ne avrebbe apprezzato tantissimo la gioia di vivere e lo spirito d’iniziativa. Non ho mai avuto occasione di immaginarlo nelle vesti di padre, ma non ho dubbi che si sarebbe rivelato fantastico”.
Si girò verso il tavolo e vide che Teresa lo stava guardando, come se si chiedesse il motivo di una simile affermazione. Ma poi, probabilmente spinta da quei complimenti nei confronti della figlia, sorrise e decise di continuare il suo racconto.
“Questa è la lettera che gli avevo spedito per dirgli del mio stato di gravidanza – disse con voce sommessa, tirando fuori una busta ancora sigillata dove, accanto al nero sbiadito dell’inchiostro, risaltava il rosso di un timbro quadrato dell’esercito: riconsegnare al mittente. Destinatario deceduto – Come si è ben capito, non avevamo preso nessuna precauzione e l’idea di restare incinta nemmeno mi era passata per la testa in un simile frangente. Quando lo venni a scoprire, ad inizio settembre, se da una parte mi crollò il mondo addosso, dall’altra mi sentii… stupidamente felice. Mi dicevo che, con un bambino in arrivo, Henry sarebbe dovuto tornare per forza vivo. Come se in quelle trincee si potesse trovare una spiegazione logica per chi vive e chi muore… come se ci fosse una giustizia che l’avrebbe risparmiato. Un ragionamento davvero poco militare”.
“Ma dettato dall’amore – corresse Andrew, tornando a sedersi – del resto tutti noi abbiamo chiuso gli occhi davanti all’eventualità della sua morte. Abbiamo continuato a dirci che non sarebbe capitato proprio a lui, che sarebbe tornato… c’è voluta una lettera di condoglianze dell’esercito per farci capire quanto fosse orribile la realtà della guerra”.
“Lui aveva paura – disse inaspettatamente Laura, attirando su di sé gli sguardi degli altri – nelle sue lettere… ogni volta si sentiva la paura sempre più forte che provava. Per quanto non scrivesse mai apertamente di tutto questo, era come se potessi leggere tra le righe. Erano lettere così diverse da quelle che mi mandava quando era in città: quella carta giallastra e sporca, quell’inchiostro che faceva sempre più difficoltà – si guardò le mani, come se si stesse ricordando la sensazione che aveva provato ogni volta che aveva toccato quella carta – ogni volta mi veniva un brivido, era come se un briciolo di incubo fosse racchiuso in quella corrispondenza. Non era quello l’Henry che conoscevo, non era il mio fratellone che non aveva mai paura di niente e che mi proteggeva contro il resto del mondo. Non… per la prima volta mi sono resa conto di quanto in realtà potesse essere vulnerabile”.
“Ci sono determinate situazioni in cui è impossibile nascondere la propria paura – sospirò Teresa, passando una mano sulla busta davanti a lei – Henry era giovane, non aveva mai visto un campo di battaglia, così come la maggior parte dei suoi compagni. Andare in guerra è un’esperienza che sconvolge anche quelli meglio preparati, specie se si tratta delle trincee. Purtroppo il destino ha voluto che lui non ritornasse… spero solo che sia stato fortunato e sia morto subito, senza soffrire”.
“Non hanno mai restituito il corpo – disse Laura – scrissero che era impossibile date le condizioni”.
“Sono le pratiche formali dell’esercito – spiegò l’ex soldatessa – sarebbe impossibile riportare i corpi nei propri luoghi d’origine, specie quando ci sono tante perdite e la guerra è continua”.
“Credevo che il suo corpo fosse stato fatto a pezzi dalle granate…” Andrew la guardò incredulo.
“Non è detto. Le granate sono tra le armi più bastarde che esistano… scusate il termine, ma è così che le definiamo nell’esercito. Possono distruggere il corpo di una persona, ma a volte le schegge colpiscono arti, o altre parti del corpo, senza però togliere la vita immediatamente. Qualcuno sopravvive se si interviene in tempo e si estraggono i materiali nocivi, ma altre volte l’infezione è troppo forte e nemmeno l’amputazione può… scusate, non è un discorso felice…”
“E… e cosa sarebbe successo al corpo di mio fratello se… se non è stato distrutto?” chiese Laura, visibilmente impallidita davanti a quella descrizione.
“Fosse comuni – sospirò Teresa – il fronte contro Aerugo ne è pieno”.
“Merda… merda! – sibilò Andrew, alzandosi in piedi e sentendo una nausea vecchia di anni tornare con prepotenza – Ad averlo saputo…”
“E cosa avreste fatto? – gli chiese Teresa con comprensione – Non penserà che avrebbero riaperto una fossa comune per farle cercare quel che restava di Henry. So che sembro spietata, ma è semplice procedura dell’esercito. Anche a me dispiace di non avere una tomba qui dove poter portare dei fiori… dove poter dire a mia figlia, ecco, qui è sepolto tuo padre”.
“Non sarebbe possibile andarci?” chiese Laura con voce tremante.
“A quelle fosse? No… sono in zone ancora sensibili, non sarebbe possibile. Senza contare che bisognerebbe chiedere all’esercito e non sono informazioni che vengono date quando quei fronti sono ancora caldi”.
“Però tu lo sai dove si trova, vero? – continuò la rossa – Insomma, eri nell’esercito: una simile informazione non te la puoi esser lasciata sfuggire, non se riguardava Henry”.
“Ho le indicazioni esatte – annuì l’altra con tranquillità – e se mai sarà possibile ci andrò e porterò anche Erin con me. Se volete ve le posso dare, ma per come stanno le cose passeranno ancora degli anni, come se venti non fossero fin troppi”.
“Sarà una cosa da fare a tempo debito – annuì Andrew – adesso l’unica cosa che possiamo fare è continuare a mettere insieme le nostre storie”.
“A luglio di quell’anno avevo partorito Heymans – disse Laura, quasi a voler incoraggiare Teresa – nemmeno un mese e mezza dopo arrivò la lettera che annunciava la morte di Henry. Da quanto seppi, dato che avevo troncato i rapporti con loro, i miei genitori quasi impazzirono di dolore e nell’arco di due settimane si trasferirono a New Optain. Sono entrambi morti circa cinque anni fa, ma io non li ho rivisti dalla nascita di mio figlio. Quando avevano scoperto che ero rimasta incinta e di chi, praticamente mi ripudiarono e fu solo l’intervento di Henry che impedì loro di spedirmi in un bordello”.
“In questo sono stata più fortunata di te, lo ammetto – commentò Teresa – Quando mi arrivò la notizia della morte di Henry caddi nella disperazione più totale. Oltre al dolore c’era la preoccupazione per il bambino in arrivo: sapevo bene che, appena la gravidanza sarebbe diventata visibile, sarei stata costretta a lasciare l’esercito. Alcune mie colleghe, intuendo quanto fosse successo, mi suggerirono di abortire… tra soldatesse si ha sempre il contatto con qualche signora che aiuta in simili situazioni con la dovuta discrezione. Sembrava la cosa più ovvia da fare: il padre del bambino era morto e perdere il posto nell’esercito mi avrebbe messo in netta difficoltà economica. Ammetto che rimasi diverse notti a guardare e riguardare il bigliettino con l’indirizzo che mi avevano dato… ma alla fine non ce la feci. In fondo quel figlio era tutto quello che mi restava di Henry”.
“Aborto – Laura scosse il capo con aria cupa – quando i miei genitori proposero una simile soluzione, Henry andò su tutte le furie: disse che si potevano dimenticare di avere un figlio se mi imponevano una soluzione così orrenda”.
“Uno dei motivi per cui tenni il bambino fu proprio perché immaginai che Henry avesse voluto così. Ma era chiaro che, con una simile decisione, la mia carriera nell’esercito era finita”.
“E non essendo sposata non c’era nemmeno un sussidio economico in quanto vedova”.
“No – ammise con tristezza Teresa – non mi restava molta scelta: era inizio ottobre e io stavo entrando nel terzo mese di gravidanza: essendo di costituzione minuta non sarebbe passato molto tempo prima che diventasse chiaro che ero incinta. Così mi armai di coraggio e presi congedo dall’esercito… l’unica fortuna fu che per noi del reparto amministrativo simili procedure erano relativamente semplici. E feci l’unica cosa possibile: chiesi aiuto ai miei genitori”.
“Come presero la notizia?” chiese Andrew.
“Ne rimasero sorpresi, ovviamente. Insomma, sapevano che stavo frequentando un ragazzo ed avevo promesso loro che l’avrei portato a casa appena possibile. Ovviamente Henry era d’accordo, ma poi gli eventi avevano gettato all’aria questo progetto. Però sapevano che era un soldato e credo che fossero felici dell’idea che un giorno avrei lasciato l’esercito per mettere su famiglia con lui… tipico dei genitori. Anche se devo ammettere che non hanno mai fatto obiezioni alle mie scelte di lavorare”.
“Donna fortunata” commentò secca Laura.
“Quando spiegai loro la situazione ero così distrutta che non ebbero nemmeno la forza di rimproverarmi, di dire che ero stato una sconsiderata. In fondo non era proprio la classica storia del sedotta e abbandonata: anche se non conoscevano di persona Henry, sapevano che era un ragazzo serio e che era stata solo una disgrazia a creare quella situazione. Mio padre mi garantì che il bambino che portavo in grembo avrebbe preso il nostro cognome e che dunque non ci sarebbero stati problemi in merito… furono davvero gentili e premurosi in quei primi tempi: provvidero a chiamare una nostra vicina levatrice e a farmi visitare. Erano preoccupati che data la situazione stressante che avevo vissuto ne potessi risentire”.
“Sono stati degni d’ammirazione – annuì Andrew, ricordando invece il comportamento pessimo dei genitori di Laura – sei stata davvero fortunata ad averli accanto”.
“Sì, lo fui davvero – sorrise Teresa – non smetterò mai di ringraziarli per quel sostegno fondamentale. Dopo circa una decina di giorni che tornai a casa, presi ad aiutare nella merceria. A quelli che ci conoscevano, che restavano sorpresi della mia gravidanza, mio padre rispondeva sempre che Henry era morto in guerra e che dunque non c’era stata occasione di sposarci. Credo di aver ricevuto parecchia solidarietà dal quartiere in quel periodo: la gente simpatizza molto con chi perde qualcuno di amato in guerra… alla fine mi vedevano come una giovane vedova, anche se non ero sposata. Ad aprile dell’anno successivo, il tredici, misi al mondo Erin alle tre del pomeriggio… ricordo che scoppiai a piangere quando vidi i ciuffetti rossi sulla testa: avevo pregato tanto che prendesse qualcosa dal padre”.
“Insomma tutto procedeva per il meglio…”
“Sì, tutto procedeva per il meglio. La nascita della bambina aveva dato un nuovo senso alla mia vita e anche i miei genitori erano molto felici di essere diventati nonni. Mi convinsi che ormai la situazione si fosse rimessa nella giusta via, ma purtroppo le cose non andarono come sperato”.
“Che cosa è successo?” chiese Laura.
“Un anno dopo la nascita di Erin ci fu un inverno particolarmente rigido e diversi raccolti andarono perduti, rendendo problematico l’approvvigionamento in città. Come se non bastasse anche la guerra era in una fase particolarmente dura e così ci furono dei razionamenti… era un momento difficile e date le condizioni precarie basto un niente per scatenare un’epidemia. Iniziò come influenza, ma poi i sintomi peggiorarono e si spargeva a macchia d’olio per la città… data la malnutrizione le classi più deboli furono quelle con il maggior numero di perdite, specie tra i bambini. Ma tutti si ammalavano… compresi Erin ed i miei genitori. La bambina la prese in forma lieve e questo la salvò, ma mio padre e mia madre spirarono a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra”.
Fece un sospiro tremante a quel ricordo e, istintivamente, Laura allungò una mano per stringere la sua. Questa volta il gesto fu contraccambiato e le due donne rimasero in quella posizione per qualche secondo prima che Teresa continuasse.
“D’improvviso mi ritrovai completamente sola, con una bambina di poco più di un anno da crescere. Avevo la merceria, ma per quanto avessi sempre aiutato non avevo la minima idea di come gestirla… e la crisi di quel periodo non era per niente d’aiuto: fui costretta a chiuderla. Non nego che per diverso tempo io e la bambina patimmo la fame e spesso era qualche vicino di buon cuore a darci qualcosa per il pranzo o per la cena. Ma era tremendo ed umiliante… e non c’era niente di peggio di sentire i crampi della fame, la debolezza. Soprattutto vedere tua figlia che alza gli occhi su di te sperando che ci sia qualcosa da mangiare. Non poter provvedere alla tua creatura è la cosa peggiore del mondo”.
A quelle parole Andrew si sentì desolato. Henry aveva dato disposizioni perché il sussidio in caso di morte andasse a Laura. Se solo avesse saputo della gravidanza di Teresa avrebbe potuto sistemare le cose diversamente e si sarebbero evitati un sacco di problemi. E si sentiva anche in colpa perché loro, nella realtà protetta e autosufficiente del paese, non avevano patito una simile disgrazia, anzi non ne avevano avuto quasi notizia.
“Erin fortunatamente non si ricorda di quel periodo tremendo – sospirò Teresa con rassegnazione – ma io ho ben presente di quanto fosse magra e di come i vestitini le cadessero addosso. Era debole, apatica, restava nel suo lettino tutto il giorno senza aver la forza di muoversi. Per via della malnutrizione era anche soggetta a sfoghi nella pelle che la tormentavano giorno e notte, ma non ci si poteva fare nulla”.
Andrew e Laura si scambiarono un’occhiata triste: da genitori non potevano immaginare dolore più grosso di vedere il proprio figlio soffrire senza poter intervenire. Ancora una volta Andrew si trovava ad empatizzare maggiormente con quella tragedia: anche lui aveva visto Kain soffrire, sebbene per motivi diversi, e conosceva bene che tipo d’impotenza avesse vissuto Teresa.
“Sul serio, signora – mormorò – si sarebbe dovuta mettere in contatto con noi: l’avremmo aiutata in tutti i modi possibili”.
“Come potevo pensarci allora? – si chiese Teresa – Ormai, di fronte a quelle emergenze, mi ero dimenticata persino della vostra esistenza. La mia vita si riduceva a campare giorno per giorno. Anche se la merceria era chiusa e c’erano da pagare i debiti con alcuni fornitori: ero sull’orlo della disperazione. Vendetti i preziosi di mia madre e impegnai altri oggetti della casa… dopo qualche settimana, grazie al cielo, trovai un impiego come dattilografa in un piccolo ufficio: si trattava solo di qualche ora, per sostituire un impiegato che era malato. Data la situazione la paga era misera, ma era giornaliera e almeno potevo portare il pane a casa quotidianamente”.
Il suo respiro si fece più facile, come se finire quella parte della storia le provocasse un sollievo non indifferente, quasi la stesse rivivendo di nuovo.
“L’epidemia finalmente mollò la presa sulla città e anche i razionamenti finirono, riportando i prezzi dei beni alla normalità. A questo punto il salario mi consentiva di mettere anche qualcosa da parte e così, quando l’impiegato che sostituivo tornò a lavoro, avevo comunque qualche risparmio su cui poter far affidamento. Mi feci forza e decisi di riaprire la merceria, imparando a gestirla da sola… non fu semplice, ma dopo qualche mese andò relativamente meglio e più o meno mi potevo dire sistemata. Erin, nel frattempo, si era completamente ristabilita: la portavo giù a lavoro con me, era una specie d’attrazione per i clienti – adesso sorrideva – era curiosa e spigliata, si dava arie da padrona di casa ogni volta che entrava qualcuno. Si arrampicava nel bancone e voleva servire lei tutte le persone che conosceva: era un vero demonio, ma faceva morire dal ridere”.
“Mi sarebbe piaciuto vederla da bambina” commentò Laura.
“A me sarebbe piaciuto che avesse conosciuto i suoi cugini quando era piccola: vedo che hanno trovato un grande affiatamento tra di loro e questo mi fa pensare che da bambini si sarebbero divertiti molto assieme. Quello che più mi dispiace è che oltre me non abbia avuto una famiglia durante la sua infanzia. Non che non abbia stretto amicizie con altri bambini, però credo che le sia mancato qualcosa”.
Con quella frase si concluse la sua storia e rimasero in silenzio, come ad assimilare quanto era successo.
 
“Chissà che si staranno dicendo – sospirò Erin, fissando con aria desolata il suo bicchiere di succo di frutta ormai vuoto – avrei voluto tanto essere presente”.
“Con tutta probabilità tua madre dirà cose riguardanti il passato che non vuole che tu sappia”.
“Mi sembra di essere abbastanza grande per conoscerle. E non vedo che cosa ci sia da nascondere”.
“Secondo me non te la devi prendere troppo – la consolò Henry – con tutta probabilità è un incontro per far sentir più a loro agio sia mia madre che la tua. Hai visto anche tu che al ristorante hanno detto poco e niente”.
“E questo mi fa riflettere ancora di più se sia stata una buona idea o meno quest’incontro. Insomma, se mio padre ha tenuto all’oscuro la sua famiglia di mia madre e viceversa un motivo ci sarà stato. Adesso mi sento una figlia davvero insensibile”.
“Credimi che a volte agli adulti fa bene parlare di un passato che hanno preferito tener nascosto – obbiettò Heymans – sono sicuro che quest’incontro farà bene a tutti quanti loro. Sono partiti col piede sbagliato, al ristorante, ma conoscendo il signor Fury sono sicuro che riuscirà a far da paciere”.
“Speriamo – la fanciulla cercò di riprendere un po’ del suo buonumore – comunque lui mi è davvero piaciuto tanto. Insomma, per anni ho immaginato il miglior amico di mio padre come un soldato grosso e rumoroso, quello che si definisce un compagnone. Mi sbagliavo completamente: non potrebbe esserci persona più diversa… eppure è davvero simpatico: si vede che vi vuole un gran bene. Avesse sposato vostra madre sarebbe stato perfetto, non credete?”
A quell’innocente affermazione, i due fratelli si guardarono con imbarazzo, ricordando bene quale tragedia si fosse scatenata per la gelosia di Gregor nei confronti Andrew Fury. Heymans, inoltre, ricordava altrettanto bene di come gli avessero detto che lo stesso Henry avrebbe voluto un matrimonio tra i due amici.
“Ma no – si affrettò a dire – il signor Fury ha sempre e solo amato sua moglie, sin da quando lei era molto giovane. E lei è la miglior amica di mia madre… so che sembra strano, ma in una realtà piccola come il paese ci si conosce praticamente tutti. Pensa che tutte le scuole sono in un unico edificio e c’è una sola classe per ogni anno. Praticamente, nel novantanove percento dei casi, incontri la tua futura metà già quando sei ragazzino e giochi a pallone in cortile”.
“Diamine, questo fa davvero strano – ammise Erin – comunque ho deciso che prima o poi devo venire in paese. Mi piacerebbe tanto vedere il posto dove mio padre è cresciuto”.
“Potresti organizzarti – annuì subito Henry – nel caso saremmo davvero felici di ospitarti a casa. Così conosci anche il nostro gatto: manco a farlo apposta ha il pelo rosso, è proprio di famiglia”.
“Vedremo…” fu più cauto Heymans, rendendosi conto che portare Erin in paese voleva dire mettere in moto tutto il vespaio di pettegolezzi che non aspettava che una nuova occasione per scatenarsi.
Figuriamoci… la figlia di Henry Hevans. Sarebbe riaprire il vaso di Pandora.
Però poi sentì un moto di fastidio crescere dentro di lui: perché la loro vita doveva essere condizionata dagli altri? Era già bastato quello che era successo a causa di persone fin troppo vicine.
 
“Credo che Erin sia molto felice di aver ritrovato la sua famiglia per parte paterna – disse Teresa – non posso che essere contenta per lei. E credo che anche Henry avrebbe voluto così”.
Laura sospirò e si mise a braccia conserte sul tavolo, guardando distrattamente quelle vecchie foto sparse tra le tazze del the ed il vassoio coi pasticcini. Foto di soldati, per lo più di gruppo, solo in una c’era la singola coppia di suo fratello e Teresa. Pensò che fosse davvero triste che Erin non avesse mai visto nemmeno una foto del suo genitore.
“In paese ho qualche foto di Henry con la divisa da soldato – si trovò a dire – potrei spedirla in modo che Erin la possa tenere. Non starebbe male accanto a quella che sta sul caminetto”.
Notò che Andrew le stava sorridendo compiaciuto, ma si limitò ad arricciare il naso con fastidio: detestava quando il suo compito di manipolatore aveva successo. Era venuta in quella casa odiando profondamente Teresa Hidden, mentre ora se non simpatica la trovava comunque una donna degna di stima. Da madre che aveva fatto di tutto per proteggere i propri figli, non poteva che apprezzare i sacrifici fatti dall’altra.
È sempre così – si disse, prendendo in mano la foto di Henry e Teresa – nelle vecchie foto sembriamo delle persone totalmente diverse. Quando ancora la vita non ci aveva mostrato il suo lato peggiore e pensavamo che il mondo fosse a portata di mano.
Solo per Henry non c’era questo cambiamento: lui restava sempre quel soldato dallo sguardo spigliato e sicuro di sé. Non aveva fatto in tempo ad affrontare il passaggio alla maturità o, se l’aveva fatto, era successo troppo in fretta in quelle trincee e non era servito a salvargli la vita.
“Sarebbe un bel gesto – annuì Teresa, riportandola alla realtà – Erin lo apprezzerà davvero tanto. Pensavo… se… se Heymans vorrà venire qualche volta a casa non ci sono problemi”.
“Credo ne sarà felice – annuì con sorpresa. E poi, sentendosi in dovere di contraccambiare, aggiunse – e se Erin vuole venire in paese, prima o poi, la ospiterò più che volentieri a casa”.
“Oh, conoscendola vorrà farlo – sorrise l’altra – e spero che questo non causi problemi”.
“Non può causarne più di quanti ne abbiamo passato anni fa – scrollò le spalle Laura – e se le malelingue vorranno insinuare che i fratelli Hevans erano proprio della stessa pasta, sono problemi loro. Ammetto che sono venuta qui credendo di aver per sempre perso l’immagine meravigliosa che avevo di mio fratello, ma, come mi ha fatto notare qualcuno sin da principio, erano solo mie paturnie mentali”.
“Siamo state in due a cascarci allora – sospirò Teresa con un sorriso – se non ripartirete subito mi farebbe piacere un secondo incontro tutti assieme. Questa volta senza la tensione che si tagliava a fette di qualche ora fa”.
“Direi che lo dobbiamo ai ragazzi – approvò Andrew – Piuttosto, prima o poi racconterà tutta la storia a sua figlia, signora? Non ci vedo nulla di male in quanto è successo e non credo che sapere i dettagli potrà sminuire la stima che Erin ha per lei e per suo padre. Al contrario, da quel poco che l’ho conosciuta, credo resterà piacevolmente sorpresa”.
“Prima o poi – annuì Teresa, iniziando a rimettere a posto le lettere e le foto – ma non ancora”.
 
Tre giorni dopo Heymans ed Erin osservavano il treno che si allontanava dalla stazione ferroviaria, il fumo della locomotiva che in parte si attardava nel soffitto ad arco della galleria che terminava l’edificio prima che le rotaie iniziassero il loro percorso all’aperto.
Quando non ci fu niente da vedere, la banchina ormai vuota, i due cugini si scambiarono un’occhiata compiaciuta e si diressero verso l’uscita.
“Sul serio conti di venire in paese già in estate? – chiese Heymans, mentre scendevano gli scalini e si avvolgevano meglio nei loro cappotti pesanti – Ti puoi prendere tutto il tempo che vuoi, non devi vederlo come un obbligo solo perché mia madre ti ha invitato”.
“Non è un obbligo, proprio no! – esclamò Erin, guardandolo con sorpresa – Anzi, fosse per me sarei partita con loro. Non vedo l’ora di vedere quel posto… credi che riuscirò simpatica ai tuoi amici?”
“Credo proprio di sì – annuì il rosso, chiedendosi che effetto avrebbe fatto la spigliata Erin a Jean e agli altri – beh, con Kain sfondi una porta aperta. Quando saprà che siamo cugini salterà come un grillo per la felicità, fidati di me”.
“Che destino contorto – rifletté Erin, alzando lo sguardo verso il cielo leggermente nuvoloso di quella tarda mattinata di gennaio – Kain e mio cugino sono compagni di scuola. Non credo che sia stato un caso che l’abbia incontrato nel parco qualche settimana fa”.
“Non chiedermi come funzionano queste cose – ridacchiò Heymans – se dovessi iniziare a pensare a tutte le dinamiche che mi hanno portato qui starei impazzendo. Come dice il mio miglior amico, non conviene complicare le cose che sono semplici, non ne vale proprio la pena”.
“Ha perfettamente ragione! – annuì la giovane, stiracchiandosi felice e rischiando di colpire una persona che passava loro accanto – Oh, cielo! Scusi tanto, signore! Piuttosto non vedo l’ora che tua madre mi spedisca le foto di mio padre!”
“Già, a proposito di quelle – Heymans si fece leggermente più serio, frugandosi in tasca e tirando poi fuori una piccola scatolina – ci ho riflettuto a lungo ed è giusto che lo abbia tu. Da quando ce l’ho lo considero una sorta di portafortuna e spero che possa essere così anche per te”.
La ragazza si fermò nel marciapiede, apprendo il pacchettino e rimase perplessa quando tirò fuori uno strano braccialetto di metallo ormai opaco.
Henry Hevans – G2946” lesse nella targhetta attaccata agli anellini di metallo.
“È il braccialetto identificativo di tuo padre – spiegò Heymans – l’esercito lo fece avere ai miei nonni assieme ai suoi effetti personali e poi, quando loro sono morti, è passato al signor Fury che ha deciso di darlo a me. Però io sono solo suo nipote, mentre tu sei sua figlia”.
“Grazie – sorrise lei con le lacrime agli occhi, stringendo quel braccialetto tra le mani come se fosse il più prezioso dei tesori – è un regalo di infinito valore, non ne hai idea”.
“Credimi, ne ho idea” la contraddisse Heymans.
Ripresero a camminare per le strade di East City, facendo piccoli progetti sul quando rivedersi qualche giorno dopo, parlando dei rispettivi impegni di studio e di lavoro. Sembrava si conoscessero da una vita intera e che fosse stata solo una piacevole coincidenza a farli incontrare quel giorno.
Andava benissimo così.

 




_______________
E finalmente siamo arrivati al termine di questa parte della storia relativa alla figlia di Henry.
Ci tengo a precisare che, sin da principio, sapevo che la parte più tosta sarebbe stata la reazione di Laura a tutto questo. 
Come ben sapete la figura del fratello è sempre stata avvolta da un'aura di intoccabilità (sebbene Henry non fosse privo di difetti, tutt'altro), specie in confronto a quelle dei genitori invece detestati e odiati, ed era ovvio che scoprire di Teresa ed Erin l'avrebbe sconvolta. 
Spero di aver reso bene il suo iter emotivo in questa vicenda :)
Dal prossimo capitolo torniamo in paese :D

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath