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Autore: Tsuki 96    14/03/2017    2 recensioni
Mary non solo non ha ancora trovato pace al suo animo travagliato da eventi passati e un posto a cui sentire di appartenere: Laito è impazzito e se inizialmente era riuscita a moderare la sua preoccupazione, dopo più di tre mesi di coma da parte del vampiro non sa più che pesci pigliare; e i fratelli non sono altro che insensibili scansafatiche.
Yui fa del suo meglio per rallegrarla e aiutarla, ma non sa che sotto lo sguardo pensieroso e ansioso della nuova amica si cela ancora quello spirito che non si arrende di fronte a nulla.
Mary infatti nutre ancora speranza, non si dà per vinta; ma i problemi non finiscono lì: altri avvenimenti stanno per accadere, e c'entrano quattro vampiri già incontrati mesi prima.
E incubi, fantasmi del passato non le danno tregua, continuando a torturarla nel profondo.
(NdA: Presenza di personaggi appartenenti al seguito del videogioco, Diabolik Lovers More Blood.)
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter ∞

 

Ryan osservò attentamente Hope, intenta a pulire il violino verniciato di bianco come era solita fare tutti i pomeriggi alle cinque; orario in cui il padre sonnecchiava ancora comodamente disteso sul divano del soggiorno e il gemello pure stava probabilmente schiacciando un pisolino in qualche luogo improbabile (effettivamente, anche lei aveva molta voglia di stendersi e dormire…), mentre la madre era ancora al lavoro e il fratello e la sorella minori trascorrevano un’ultima ora in biblioteca prima di rincasare.

Rigirando tra le mani alcune caramelle che spesso si portava seco, il demone abbozzò un sorriso nel vederla aprire la bocca in una smorfia poco raffinata, come altrettanto poco raffinata fu l’imprecazione che le sfuggì nel notare più sporco del previsto sulla superficie dell’amato strumento; probabilmente uno dei gemelli minori aveva combinato qualcosa, seppur involontariamente: non raramente la sorellina Faith inciampava nei propri piedi, rovesciando il succo di carota o la torta ricoperta di glassa al cioccolato.

Finalmente la vampira puntò gli occhi azzurri sul giovane affacciato alla finestra e gonfiò le guance nel vederne l’espressione divertita; aveva percepito, o meglio udito, il suo arrivo già qualche metro prima di giungere alla casa, ed era abituata a questa routine: le cinque erano anche l’orario in cui Ryan finiva i suoi giri pomeridiani di consegne e, guarda caso, la casa di Hope era sempre l’ultima.

Gli fece cenno di entrare dalla finestra, che si era abituata a lasciare aperta proprio per permettergli l’accesso, nonostante sembrasse sempre tanto scocciata di ospitarlo; il demone fece un allegro cenno della testa e aprì le ante, scavalcando il muro, e le richiuse, senza mai togliere lo sguardo dalla coetanea a cui consegnò un paio delle caramelle, una volta giunto al tavolo a cui era seduta e accomodatosi su una delle seggiole libere.

- Buonsera, Hop-chan, mhh~!

L’altra sbuffò emettendo un verso leggermente simile a un grugnito, dopo aver esaminato le caramelle con un luccichio contento negli occhi e averne scartata una, cominciando a gustarla.

- Hope, Ryan, HOPE. Che novità hai oggi? Sempre ammesso che siano interessanti e non i soliti pettegolezzi – brontolò, ritornando a pulire con cura le corde del violino, sempre in ansia che si spezzassero.

- Mhh~ - ridacchiò lui, appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento sulle dita tra loro intrecciate, abbozzando quel ghigno malizioso che in città ormai tutti conoscevano e tanti temevano (sebbene non più di quello della sorella Nanami, assai più carica e divulgatrice di informazioni) – Ieri sera, mentre tornavo a casa, ho visto mia sorella sulla porta di casa… e indovina con chi stava parlando~? Ti do un indizio: non ci piacciamo tanto, anzi, per niente.

- Kaoru-kun? – Hope fece un bizzarro movimento della testa e si ravviò i non troppo corti capelli color biondo scuro, stranita – Ma non dovevano tornare ieri al castello?

- A quanto pare zio Reiji ha detto loro di rimanere ancora qualche giorno da Martha-san e Theo-san, se ho capito bene a causa di qualche imprevisto, mhh~ - spiegò Ryan, attorcigliando intorno all’indice una ciocca dei suoi capelli bruno-rossicci, e puntò i ridenti occhi viola nei suoi – Ma non è questo il dettaglio più intrigante!

La vampira sbuffò, scuotendo la testa, e brontolò che non fosse una novità che tra Nanami e Kaoru vi fosse del tenero, mentre riponeva il violino nella custodia con estrema delicatezza.

- Hop-chan, tu non hai visto quello che ho visto io! Si sono ba-cia-ti~, mhh~ - ridacchiò il giovane, le gote leggermente arrossate di emozione – O meglio, la mia cara sorellina lo ha baciato e lui è rimasto immobile, ha pure borbottato qualcosa in contrario, ma avresti dovuto vedere quanto era diventato paonazzo! – l’andamento della sua parlantina era aumentato, come se qualcuno avesse impostato la velocità al massimo – Sarebbe davvero fantastico vedere la faccia di zio Reiji quando saprà che suo figlio è interessato alla figlia di uno dei suoi fratelli “meno amati”, per non dire altro… ma, Hope?!

- Eh?! – la ragazza aprì gli occhi di scatto e alzò la testa bruscamente, lasciandosi sfuggire un gemito dolorante per il solito schiocco al collo e pensando tristemente che avesse ingoiato la caramella non ancora finita.

Ryan gonfiò le guance e mise il broncio, brontolando che si fosse addormentata proprio sul più bello del suo racconto e l’altra fece spallucce in risposta, ribattendo che non fosse poi così interessata e considerando che avesse bisogno di farsi una dormitina sul divano lì presente, collocato appositamente per eventuali attacchi di sonnolenza.

- Mi è concesso unirmi al tuo pisolino? – il demone distese le labbra in un largo sorriso, appoggiando le mani sulle guance e fissandola intensamente, tranquillo, come se dietro le sue parole non celasse un briciolo di malizia.

Hope gli rivolse uno sguardo seccato.

- Seriamente?

Ma le sue guance rosee la tradivano.

 

 

- Hikari! Hai visto il mio paio di occhiali di scorta?

La vampira era comodamente e allo stesso tempo elegantemente seduta su una poltrona, assorta nella lettura del terzo voluminoso libro della giornata; senza alzare gli occhi dalla pagina, mormorò un “sulla libreria” con voce atona.

Kaoru sospirò e si avvicinò al mobile, trovando la custodia sullo scaffale più centrale e domandando alla sorella minore cosa ci facesse lì: nel prenderlo in mano capì subito che fosse vuoto e il suo viso lentigginoso assunse una smorfia ancor più confusa ed irritata, infilando le mani tra i capelli scuri in un istintivo gesto stizzito.

- Hikari?!

- Ah, scusa, Onii-sama: li sto indossando io stessa…! Me n’ero quasi dimenticata; sai com’è, abbiamo lo stesso modello di occhiali e la stessa miopia – abbozzò un sorrisetto maligno la ragazza, girando gli occhi rossi verso il fratello, il quale stava respirando profondamente per mantenere la calma e trattenersi dal linciarla.

Dopotutto il figlio del Re dei Vampiri non poteva permettersi simili comportamenti! Un principe deve essere paziente, calmo, educato, riflessivo e…

- Onii-sama, andresti a comprarmi alcune confezioni di tè?

altruista?!

- Perché mai dovrei, con tutti gli impegni che ho…!

-  Perché altrimenti Otou-sama saprà della tua relazione con nostra cugina Nanami.

A Kaoru il lato calcolatore e malvagio della sorella non era nuovo; ma che fosse a conoscenza di quel dettaglio, ciò lo fece strabuzzare gli occhi e balbettare monosillabi, tra l’imbarazzo, il risentimento e l’indecisione di quella situazione tragica.

Il padre era stato chiaro: non c’erano problemi se andavano d’accordo con i figli dei suoi fratelli e dei Mukami… ma guai se avessero intrecciato dei rapporti sentimentali!

Il vampiro si massaggiò il setto nasale, togliendosi gli occhiali crepati, probabilmente sempre a causa di qualche piano escogitato dalla sorella – forse per fargli pagare il torto di qualche giorno prima, quando le aveva per sbaglio pestato il piede e sporcato gli stivaletti bianchi? Si era spesso chiesto da chi avesse ereditato quel carattere spietato e manipolatore, unao dei pochi tratti che li contraddistingueva, dato che, soprattutto fisicamente, si assomigliavano molto, nonostante avessero due anni di differenza.

Sbuffando esasperato, prese il portafoglio e uscì, ignorando il sorriso compiaciuto della sorellina e rimpiangendo i libri di chimica che aveva avuto intenzione di consultare per un paio dei suoi esperimenti da eseguire con il padre, una volta tornato al castello.

Avesse saputo che anche la sorella andava molto d’accordo con qualcuno…!

 

 

Morten non aveva rinunciato a coprirsi i corti capelli biondi con la sua berretta verde scuro, regalo del padre, sebbene fossero solo i primi di settembre; agilmente batteva le dita sulla tastiera, sistemando il danno che i gemelli Mukami avevano procurato a tutti i computer dell’aula informatica del liceo, un “Bentornati a scuola” anticipato nella quale era stato coinvolto proprio per prevenire simili esiti: invece Edward non aveva eseguito alla lettera le sue istruzioni e aveva mandato in tilt i calcolatori. Lui e il fratello Lucks erano stati puniti con pomeriggi di pulizia generale nell’intero edificio scolastico, già aperto per le attività dei club pomeridiani e l’utilizzo dei laboratori, mentre Morten era stato solo incaricato di mettere a posto il problema che avevano causato; gli insegnanti ormai ben conosceva questo trio e sapevano che i gemelli lo trascinavano quasi sempre contro la sua volontà nelle loro bravate.

- Pssst – sentì il mago all’improvviso, mentre riavviava il ventesimo computer riparato dopo aver ri-installato i software fondamentali, e sobbalzò sulla sedie, sbattendo le ginocchia contro la scrivania e soffocando un gemito di dolore.

La risata che seguì lo fece irrigidire e alzare gli occhi al cielo, esasperato: era di nuovo Edward, e dalle iridi grigie che brillavano come per dire “Ho un nuovo piano” non promettevano nulla di buono.

- Morty~ Indovina un po’ cosa ho in mente~! – sghignazzò il coetaneo con l’alta e corta coda di capelli sbarazzini biondo-castani, il canino un po’ più evidente dell’altro che premeva contro il labbro inferiore.

- S-Santo cielo… E-Eddy… S-Stai già p-pulendo l’intera s-scuola, vuoi a-anche occuparti de-dell’asilo nido…? – balbettò, come sempre, l’amico, cugino da parte materna e compagno di classe, massaggiandosi le nocche in un gesto nervoso.

Edward sbuffò schifato.

- Nah, ci pensa già Lucks con quella sua debolezza per i marmocchietti… e non voglio cambiare pannolini, giammai, sono già abbastanza i bagni qui… - si lagnò, annusando i vestiti già impregnati del fetore dei gabinetti per i maschi; mentalmente si domandò se anche Lucks avesse visto l’apocalisse in quelli femminili, ma scrollò il pensiero per riportare l’attenzione sugli occhi marroni chiazzati di verde di Morten, preoccupato e già in ansia per le possibili conseguenze del suo nuovo progetto.

- Dai, amico mio, non fare quella faccia! Si tratta di una cosa banalissima e innocente!

- S-Sì… I-Innocente come qu-quella volta i-in cui ha-hai riempito d-di p-puntine le s-scarpe di K-Kaoru-san… - commentò il mago togliendosi gli occhiali e pulendone le lenti con un lembo della felpa.

- Aaaah, te lo ricordi?! Ahaha, che bell’esperienza ch’è stata quella! La sua faccia…! Per di più di fronte alla sorella di Ryan… Comunque, ritornando a noi, voglio solo mettere un po’ in disordine la biblioteca! Tipo spostare qualche libro nella sezione sbagliata, o cambiare secondo l’ordine alfabetico… cose così!

Morten lo fissò gravemente e per niente convinto, tanto che Edward mise il broncio e domandò quale fosse il problema: non gli sembrava un’azione così diabolica e pericolosa!

- E-Eddy… Hi-Hikari-chan… si a-arrabbierà mo-moltissimo…

L’altro inarcò un sopracciglio e impiegò qualche secondo di tempo per riflettere su quanto gli aveva riferito: perché mai quella quattr’occhi avrebbe dovuto incavolarsi? Ah, giusto, la sorella del quattr’occhi-scienziato-pazzo amava leggere, amava le biblioteche dell’intera isola e allo stesso modo avrebbe nutrito tale affetto nei confronti di quella della scuola; tuttavia non avrebbe dovuto essere un problema: i due quattr’occhi frequentavano raramente la scuola, ovvero in quei periodi in cui venivano all’isola per trovare la zia Martha e i cugini, dato che vivevano al castello del padre.

- Machissene! – sbottò, afferrandolo per le spalle e trascinandoselo dietro in spalla, ridendo e ignorando le proteste balbettate dal povero cugino.

Nel frattempo, proprio nel piano inferiore dove si trovava la biblioteca scolastica e verso cui si stavano dirigendo, la stessa sopraccitata aveva sentito le loro voci; ripose il libro al suo posto nello scaffale degli argomenti di fisica, aggrottando la fronte infastidita, e s’incamminò verso la porta, fermandosi di fronte ad essa con le braccia incrociate, le gambe strette e la testa alta, severa e intimidatoria.

O così per lo meno aveva intenzione di apparire allo sguardo del giovane vampiro che aprì la porta, allegro per poi strabuzzare gli occhi alla vista di Hikari.

Morten alzò il viso un po’ a fatica, notando la presenza della cugina.

- C-Ciao Hikari-ch-chan… - la salutç agitando malamente la mano, non sentendo più il sangue scorrervi nelle vene dato che la teneva aggrappata al colletto dell’amico per paura di cadere.

- Mukami Edward! Ti conviene liberare mio cugino, per prima cosa, e poi ritornare ai tuoi lavori di pulizia, se non vuoi incorrere in conseguenze peggiori! – dichiarò con tono autoritario e deciso la ragazza.

Il giovane sbatté le ciglia un po’ colto di sorpresa, per poi scoppiare a ridere e sghignazzare.

- E sentiamo, topolina di biblioteca: quali sarebbero queste conseguenze peggiori? Non sto facendo nulla di male, tra l’altro! – ribatté, mettendo giù il povero Morten che barcollò dentro la stanza, alla ricerca di una sedia dove sedersi e placare il leggero giramento di testa che gli era venuto.

Hikari arrossì d’irritazione, e pure d’imbarazzo a quell’appellativo con cui solo Edward la chiamava.

- Non ancora, sottolineiamo! Vorresti davvero combinare qualche guaio?! E poi che il tutto venga riferito a tua madre?!

Bingo! Edward, all’accenno rivolto alla madre, impallidì leggermente, immaginandola con il suo sguardo di pietra che lo fulminava come l’ira divina: aveva effettivamente patito la stessa visione e la relativa ramanzina quando avevano mandato in tilt i computer della scuola (per non parlare di quando li aveva quasi menati per le puntine – quella seconda volta che le aveva usate per “sperimentare” - posate sulla sedia del vecchio insegnante di matematica… ouch!); forse non sarebbe stato davvero il caso di rivederla in quello stato, se non persino peggiore…

… ma se avesse ceduto sarebbe stato come dare ragione alla topolina di biblioteca!

- Gné gné! – le fece la linguaccia, pizzicandole il naso e superandola per avvicinarsi a uno scaffale qualsiasi e iniziare la sua diabolica opera.

La vampira percepì un nervo pulsare dolorosamente sulla fronte e si voltò di scattò, afferrandogli il braccio tra le proprie e trattenendolo, mentre sbottava rimproveri nei suoi confronti; tuttavia la forza del ragazzo era maggiore, perciò piuttosto che bloccarlo si sentì venir trascinata con lui, mentre questo ridacchiava sotto i baffi nel vederla diventare paonazza per lo sforzo: quanto era carina.

- Che sta succedendo qui, santo cielo!

La voce di Kaoru li colse di sorpresa, facendoli sobbalzare (per poco Morten non cadde dalla sedia); Hikari fu sul punto di rivolgere uno sguardo di aiuto al fratello, pronta a rivelargli tutto, ma la vista di Nanami Sakamaki alle sue spalle, e soprattutto dopo aver collegato il rosso del suo rossetto al rosso che intravedeva sulla base del collo dell’altro, non ben coperto dal colletto della camicia insolitamente sbottonata, fu il colpo di grazia.

- Voi…! Stavate…! – la fanciulla aveva raggiunto il culmine del rossore sul suo viso e improvvisamente tacque, formulando piani malefici di vendetta nei confronti di entrambi il fratello e la sua fidanzatina.

Aspetta che nostro padre lo venga a sapere, Onii-sama…!, pensò, prima di rendersi conto che Edward aveva avvolto un braccio intorno alle sue spalle e avvicinato il volto al suo orecchio per sussurrarle una sua osservazione, ghignando maliziosamente.

- Dai, non fare così: tanto lo so che faremo lo stesso anche noi, fra qualche anno, nel sottoscala qui vicino… - disse, concludendo la frase con un bacio sulla guancia, per poi saggiamente scomparire, evitando la furia funesta di Kaoru che si fiondò sulla sorellina per pulirle il viso con delle salviettine, “disinfettandola”.

Nanami scosse la testa e roteò gli occhi al cielo, osservando divertita i due cugini che bisticciavano e Morten che li fissava annoiato, tenendo la testa tra le mani e i gomiti poggiati sulle gambe; Hikari si affrettò a uscire dalla biblioteca, intenzionata a trovare quel maleducato che avrebbe pagato caro per quel villano gesto: la prese un po’ in giro, soffocando delle risate nell’udire le sue risposte stizzite e indignate, e la guardò allontanarsi lungo il corridoio.

- Dovevi proprio infastidirla, Nanami-san? – sospirò contrariato Kaoru, approcciandola.

La vampira fece un sorrisetto innocente e si ravviò i capelli, girandogli intorno.

- Ohoho~, ma dai, Kaoru-kun~ Io voglio solo sdrammatizzare, è lei che è tanto permalosa! – cinguettò, avvolgendo le braccia intorno al suo collo dopo essersi sollevata in punta di piedi.

- I-Io penso che to-tornerò di s-sopra… - Morten scappò dalla stanza rapido come un leopardo, consapevole che l’atmosfera creatasi era un chiaro invito a lasciarli soli.

Kaoru chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, paziente.

- Nanami-san, dovrei tornare a casa. Ho promesso di aiutare mia zia in alcune faccende.

La giovane inclinò la testa e arricciò le labbra, imbronciata, borbottando che fosse ancora troppo presto e che avessero trascorso pochissimo tempo insieme, aggiungendo la frase latina “nec sine te nec tecum vivere possum” per sfoggiare la sua unica bravura, oltre alla passione per la storia; l’altro vampiro, infilando una mano tra i capelli e massaggiandosi il cuoio capelluto, la corresse che buona parte delle due orette in cui erano stati insieme era stata usata interamente per scambiarsi effusioni fin troppo passionali.

- Esagerato~ Erano solo bacetti! – si lagnò lei saltando sul posto, fintamente capricciosa.

- Nel mio dizionario quei “bacetti” non corrispondono a una lunga sessione di baci alla francese o, come dice tuo fratello, a limonare”.

La vampira gonfiò le guance e lo fissò insistentemente, solleticandogli il retro del collo con le lunghe unghie smaltate di verde come i suoi occhi; infine si arrese, ma a patto che il ragazzo scambiasse con lei l’ultimo bacio del giorno: tanto ne avrebbe potuto godere ancora per un po’, prima del loro ritorno al castello.

Kaoru le scrutò il viso per qualche secondo, le palpebre serrate dipinte lievemente con un leggero ombretto rosso che richiamava i suoi capelli, tra i quali infilò la mano nel chinarsi, avvicinando le loro labbra e chiudendo a sua volta gli occhi.

 

 

Melissa saltellava allegramente tra gli scaffali del supermercato, contenta che lo zio Kou l’avesse accompagnata, approfittando di un suo impegno per registrare un paio delle canzoni del nuovo CD che sarebbe uscito prossimamente.

Ignara delle occhiate che qualche signora anziana o giovincello le rivolgevano incuriositi o turbati dalle cicatrici sul volto, la minuta strega chinava ogni tanto la testa per osservare la merce esposta, dai libri alla frutta, dalle confezioni di cereali (forse quelli per la colazione di Justin stavano finendo…?) ai bellissimi set di coltelli da cucina… poteva già sentire la loro lama sulla pelle, fresca e fine, e vedere il rosso brillante del sangue che ne sarebbe colato! Immersa nelle sue fantasie, raddrizzò le orecchie nell’udire delle voci familiari provenire dal reparto di elettronica.

Rapidamente e altrettanto silenziosamente si diresse in quella zona, sistemando i mossi capelli scuri scalati legati con un fiocco azzurro in una coda e assicurandosi che la frangetta fosse carina (non “ordinata”: era affezionata a quella capigliatura scompigliata che aveva ereditato dal padre); da dietro uno scaffale fece capolino con la testa e i suoi occhi color lavanda – anch’essi ereditati dal padre! Quanto era felice di assomigliare così tanto a lui – brillarono alla vista di quella testa coperta dalla berretta verde scuro e i piccoli ciuffi di capelli che ne sfuggivano, ribelli.

- E-Ed, penso che no-non sia il c-caso di prendere q-questi auricolari… - udì la stupendissima voce di Morten mormorare all’altra persona accanto, che altri non era che il cugino Edgar, con lo sguardo sempre annoiato e gli occhi socchiusi per la sonnolenza.

Quest’ultimo si arruffò i capelli color biondo scuro con un fare scocciato, borbottando con voce roca che fossero lì da mezz’ora solo per un paio di auricolari o cuffie decenti.

- C-Continui a cambiarli o-ogni mese…! E n-ne prendi se-sempre di scarsa qu-qualità... E-Ecco, queste cuffie do-dovrebbe andare bene…! – esclamò Morten afferrando la confezione di un paio delle suddette, nere con i bordi argentati.

Edgar inclinò al testa, poco convinto.

- Non saranno troppo scomode, Mort…? E poi non sono io che le rompo, è Ran che non fa attenzione quando gliele presto! – si lagnò, girandosi alla ricerca di un qualsiasi posto confortevole per schiacciare un pisolino; i suoi occhi azzurri caddero sulle sottili ciocche di capelli che spuntavano da dietro uno scaffale, riconoscendole all’istante.

- Mort, la tua spasimante è qui – borbottò seccato, sapendo che probabilmente il suo appuntamento con il sonno sarebbe stato rimandato a più tardi.

Il cugino si girò lentamente e un tic all’occhio lo colse nel vedere Melissa fuoriuscire dal suo nascondiglio e raggiungerlo trotterellando; il rossore sulle sue guance risaltò ancora di più in contrasto con il verde del cappello che indossava.

- M-M-Me-Me-Melis-ssa…?! – bofonchiò, iperventilazione già in atto.

- Morten-senpai…! – la strega allargò le braccia e le richiuse intorno al mago, stringendolo affettuosamente e strofinando la testa contro il suo petto, affettuosa e lieta di quel contatto; l’altro vampiro inarcò un sopracciglio e alzò gli occhi al cielo.

- Ok; prendo queste cuffie e la finiamo qui… ciao Mort, a domani! – disse, liquidandolo con la giovane fanciulla nel dirigersi alla cassa per procedere con l’acquisto.

Il ragazzo con gli occhiali sobbalzò sul posto e spostò ripetutamente la testa da Melissa ad Edgar, sentendosi tradito dal cugino di parte materna: e se la ragazzina avesse cominciato a chiedergli di provare a tagliarla con nuovi arnesi contundenti, chi l’avrebbe più aiutato a uscire da quella situazione?!

Forse era meglio iniziare ad accarezzarle la testa: sì, quello era il modo migliore per distrarla da eventuali pensieri… tra l’altro il suo sorriso soddisfatto era carino, perciò anche Morten ne avrebbe giovato.

 

 

Tra le tante cose che odiava, persino più di quelle volte in cui il padre non aveva tempo da dedicarle a causa del lavoro da idol, Hana detestava cimentarsi in partite videoludiche con l’amica e compagna di classe Christa: mai c’era stata una volta che avesse vinto contro l’albina, mai. Inoltre, a coprire la musica di sottofondo c’erano le costanti chiacchiere di Maria, come al solito riguardanti le soporifere lezioni di storia che avrebbero mandato in coma eterno i gemelli Sakamaki (quelli più grandi), e il ticchettio della punta del taglierino che Melissa continuava a rigirare tra le dita, intagliando la matita con piccoli ghirigori e ridacchiando felice, visto che era un regalo del suo Morten-senpai.

- Non ne posso più… - sbuffò sconvolta all’ennesima gara di corsa persa, mentre l’altra alzava le braccia verso l’alto in un gesto di vittoria.

- Prima o poi ce la farai, Hana-chan! – la incoraggiò Christa, sgranchendosi arti e schiena e rivolgendole gli occhi scarlatti da dietro la frangetta candida – Vedrai che continuando a impegnarti riuscirai a raggiungere i tuoi obiettivi!

- Non sempre totalmente, però – aggiunse con una vena di acidità nella voce Maria, rivolgendo uno sguardo fintamente dolce alla bionda che in risposta le lanciò un’occhiata fulminante con le sue iridi azzurro-grigie.

Christa balzò in piedi e tolse appena in tempo il taglierino dalle mani di Melissa, prima che ella si incidesse i polpastrelli e versasse qualche goccia sul pulito copriletto color azzurro confetto, rimproverandola gentilmente di stare attenta ad eseguire le sue attività in posti opportuni – tenendo conto che avrebbe proprio potuto farne anche a meno.

Melissa gonfiò le guance.

- No. Voglio farmi tanti amici come ha fatto papà~! – sorrise guardandosi alcune cicatrici sul braccio, pensando con tanto affetto al viso del padre. La vampira rivolse alla strega un’occhiata di comprensione e tenerezza, per poi fare un sospiro tra il divertito e il tediato nel sentire le altre due amiche iniziare a bisticciare.

Hana incrociava le braccia e arricciava le labbra in una smorfia imbronciata e offesa, rispondendo a tono alle considerazioni poste da Maria, la quale teneva le mani sui fianchi, gli occhi verdi fissi in quelli dell’altra e i capelli biondo-rossicci che sembravano gonfiarsi ogni qualvolta cominciava a perdere le staffe e ad alzare la voce, momenti in cui sfoggiava le zanne da vampira.

Christa intervenne mettendosi in mezzo e cercando di rappacificarle, nonostante ci fosse ormai abituata e fosse impossibile metterle d’accordo su tutto: fin da quando erano state due pargolette, le due coetanee avevano mostrato una tendenza a punzecchiarsi a vicenda; zia Yui e la signora Lucy avevano più volte raccontato la famosa storiella di quando Hana aveva tirato i capelli a Maria, quest’ultima le aveva vomitato sul vestitino azzurro il latte dell’ultimo pasto ed entrambe, infine, si erano mollate manate in faccia strillando versi inintelligibili… e di come zio Ayato e il signor Kou avessero assistito tifando ciascuno per la rispettiva figlia.

Maria improvvisamente lanciò un urlo terrorizzato nel sentirsi qualcosa strisciare tra i capelli, mentre la strega osservava con un sorriso compiaciuto e maligno le radici che aveva fatto crescere sulla sua testa, giocherellando con una ciocca dei propri boccoli biondi; Christa provvide ad aiutare l’altra vampira, cercando in tutti i modi di non strapparle anche i capelli stessi, mentre quest’ultima lanciava delle occhiate indispettite alla bionda, ben presto assillata da Melissa che la pregava di fare la stessa cosa con lei: pensava che le radici sarebbero cresciute direttamente dal cuoio capelluto, procurandole dolore, quando in realtà Hana aveva solo lanciato dei semini, mascherando il movimento del braccio come un gesto di stizza.

- Hana! La pagherai per questo! – si lamentò la vampira dagli occhi verdi, mentre gemeva dolorante all’ennesimo capello strappato insieme alle poche radici rimaste che Christa stava togliendo il più delicatamente possibile.

- Ho già pagato abbastanza con lo scherzetto che mi hai fatto a giugno! – rispose con una linguaccia e le mani sui fianchi l’altra, riferendosi ai sassolini finissimi che aveva trovato nelle proprie scarpe da ginnastica mentre si cambiava per la lezione di educazione fisica.

- Sempre la stessa storia, che grandi amiche! – commentò sarcastica e tranquilla l’albina, ridacchiando nel farsi tirare le orecchie da Maria, la cui smorfia irritata era già mutata in un sorriso divertito.

Ben presto anche Hana abbozzò un sorriso, accarezzando la testa a Melissa e negandole l’ennesima richiesta di farle del male con i suoi poteri.

 

 

- Nick… sono finite le mele disidratate… - singhiozzò Justin, asciugandosi gli occhi color lavanda e soffiandosi il naso nel fazzoletto, buttandolo insieme a tutti gli altri ammucchiati sul pavimento; ovviamente avrebbe più tardi provveduto a pulire, da bravo ragazzo educato qual era.

- Un attimo… - tirò su con il naso l’altro, gli occhi blu-verdi altrettanto lucidi e fissi sullo schermo – Un attimo… Oddio, sta morendo…!

L’amico strinse tra le mani la coperta nella quale si era avvolta e raddrizzò la schiena, sgranando gli occhi di fronte alla scena: dopo aver assistito alla tragica e drammatica morte dei propri compagni di viaggio, la protagonista aveva appena squarciato con un fendente il petto del nemico, il quale si era accasciato a terra morente e le aveva appena chiesto di togliergli la maschera affinché vedesse il suo viso prima di decedere.

Nicholas infilò le mani tra i capelli castani, stringendoli per la tensione, e si morse le labbra, in attesa del colpo di scena: con tutti i film che Justin gli aveva fatto vedere, aveva già capito che il nemico si sarebbe rilevato essere un personaggio importante e creduto perso dalla protagonista, la quale ora si era chinata per scoprirgli il volto, con gesti tanto lenti che i due amici stavano morendo dalla curiosità di verificare chi si nascondesse sotto quella travestimento.

E il campanello di casa suonò, facendo sobbalzare sul posto entrambi; il demone sbuffò e fermò appena in tempo il film con il telecomando, lanciando uno sguardo silenzioso ma pieno di significato all’amico che ricambiò con un’occhiata altrettanto eloquente: perché si presentavano imprevisti sempre al momento cruciale?

Mai avevano visto un lungometraggio per intero, senza interruzioni, pur organizzandosi: scelto un pomeriggio, Nicholas si assicurava di avere la casa libera, o che il padre e i gemelli maggiori stessero per lo meno dormendo profondamente, preparando divano, tappeto, bevande, snack e soprattutto fazzoletti necessari per tutta la durata del film; Justin giungeva con il DVD noleggiato in biblioteca o la chiavetta con il film scaricato da internet grazie a Morten, portandosi anche dietro la propria coperta preferita e il taccuino dove prendeva appunti riguardo il film, che avrebbe poi recensito sul proprio blog.

Eppure c’era sempre qualcosa a interrompere il loro hobby: durante un film d’azione la gemella di Nicholas, Faith, aveva per sbaglio dato a fuoco a una piantina del salotto dopo essersi emozionata un po’ troppo, svegliando e allarmando il povero padre pirofobo; una volta era arrivato Ryan per consegnare loro alcune lettere ed era rimasto a chiacchierare del più e del meno nell’attesa che Hope si svegliasse dal pisolino pomeridiano (e si può ben immaginare che aspettò invano); c’era stato quell’episodio del black-out in tutta l’isola, causato involontariamente da Edward e Lucks quando avevano tirato uno scherzetto al signor Theo; ancora, era accaduto che Ranmaru fosse stato invitato da Edgar a casa per svolgere insieme i compiti di matematica e avesse deciso di tenere ad alto volume lo stereo per assicurarsi che l’amico rimanesse sveglio, selezionando solo musiche di genere metal; infine, un giorno si era unita a loro Melissa, la quale aveva avuto la brillante idea di sperimentare sulla propria pelle il coltello della cucina, quando avrebbe dovuto andarci solo per procurare al fratello un bicchiere d’acqua.

- Justiiin, vai tu, ti prego… - sospirò Nicholas nel sentire il secondo scampanellio.

L’amico si alzò abbozzando un sorriso, assecondandolo: la pigrizia del padre non aveva risparmiato neanche l’amico, sebbene l’effetto non fosse stato tanto pesante come nel caso di Edgar e Hope; infatti Nicholas era solamente pigro ed era piuttosto sveglio, forse grazie alla straordinaria creatività che lo esortava a sfornare storie, fomentata dalla moltitudine di romanzi che divorava in una sola settimana e anche dalle vicende dei lungometraggi che lui stesso gli proponeva.

Justin s’incamminò lungo il corridoio, giungendo alla porta d’ingresso e aprendola, rimanendo di stucco nel vedere chi stava impazientemente per suonare la terza volta il campanello di casa: gli occhi rossi di Christa e quelli verdi di Maria si specchiarono nei suoi lavanda e, infilando le dita tra i capelli neri, il mago sentì le guance diventare incandescenti alla vista di quest’ultima.

- Ma-Maria… Christa… Ciao, cosa ci fate qui…? – domandò timidamente, cercando di tenere lo sguardo basso, mentre si udiva la voce di Nicholas chiedere chi fosse alla porta, urlando dal soggiorno.

- Niiick~! – lo chiamò l’albina entusiasta, entrando con nonchalance in casa e sfrecciando rapidamente verso la stanza nella quale il demone si era irrigidito per poi guardarsi intorno disperatamente, alla ricerca di un nascondiglio introvabile.

Chiunque, tuttavia, avrebbe fallito nel tentativo di celare la propria presenza a Christa.

Rimasero soli Justin e Maria, i quali si scambiarono degli sguardi, entrambi imbarazzati nello stesso modo ma esprimendolo diversamente: il mago si mordicchiava il labbro, la vampira rigirava tra le dita il ciondolo a forma di croce regalatole dalla madre.

- Vi abbiamo interrotto la visione del film? – ruppe il ghiaccio a un certo punto.

Justin abbozzò un cenno della testa.

- Posso restare con voi per il resto del film…? Prometto di stare tranquilla, ho con me il lavoro a maglia per tenermi impegnata – disse, tirando fuori dalla borsa la bozza intrecciata di una sciarpa di lana color ocra per confermare le sue parole.

Il ragazzo sorrise e annuì, aggiungendo che non ci fosse alcun problema; la fece entrare, raggiunsero gli altri due in soggiorno, trattenendosi dal ridacchiare nel vedere Christa comodamente accucciata sul divano contro Nicholas, rosso in volto come un pomodoro ed estremamente nervoso, e si sedettero sul tappeto: Justin si riavvolse nella coperta e invitò Maria a rimanergli accanto.

La vampira accettò un po’ titubante: avrebbe dovuto sopportare il suo ammaliante profumo di sapone e soprattutto resistere alla tentazione di assaggiare il fluido rosso che gli scorreva in corpo; ma pur di passare del tempo con lui avrebbe sacrificato qualsiasi cosa.

Christa al contrario non si fece problemi a mordicchiare il polso di Nicholas, durante il proseguimento del film…

 

 

Una decina di bambini scalciò tra le prime distese di foglie autunnali, correndo lungo il sentiero interno alla foresta dove s’infiltrava il fiume dell’isola, urlando con le loro voci bianche e allegre; Lucks, il quale camminava tranquillamente dietro di loro, con le mani in tasca e gli occhi fissi su ciascuno di loro, sorrise alla vista dei loro visi entusiasti e presto batté le mani per richiamare la loro attenzione e proporre l’attività che aveva progettato per quel giorno.

- Bene, ragazzuoli, tutti intorno a me… Ida, sei molto alta, stai nascondendo il povero Joseph – ridacchiò il vampiro scompigliando i capelli a una delle bambine e invitandola a spostarsi più dietro – Così siamo apposto! Ecco il compito di oggi: raccoglierete tutte le foglie che vi sembrano diverse tra loro, poi ci riuniremo di nuovo e cercheremo di riconoscere tutti insieme a che piante appartengono! Vi piace come idea?

Quasi tutti schiamazzarono positivamente, non vedendo l’ora di mettersi in opera; quei pochi che misero il broncio erano solamente piccoli individui pigri che desideravano arrivasse in fretta il momento che tutti aspettavano: quando Lucks si sedeva su un grande masso e loro intorno a lui per terra, sopra le proprie giacche, ad ascoltarlo mentre parlava degli alberi, delle loro foglie, dei loro fiori, del loro legno profumato che da tempo aveva iniziato a lavorare, creando magnifiche opere di artigianato… di cui si portava sempre dietro dei piccoli campioni, ma pur sempre preziosi, che regalava a ciascuno di loro.

E poi li portava a turno sulle spalle, a correre lungo il sentiero e verso i campi che a primavera si dipingevano di variopinti fiori tra margherite, narcisi, violette e tulipani.

Il vampiro li osservò con un tenero sorriso cimentarsi nell’attività proposta e si ritirò in disparte, appoggiandosi con la schiena contro il tronco di un albero: i suoi occhi grigi si spostavano da un bambino all’altro, attento alle loro azioni, ai loro sguardi, al loro labiale, e soprattutto alla vivace forza che sprigionavano da tutti i pori; li adorava.

E adorò ancor di più la vista di una capigliatura nera, dai lisci capelli tagliati dritti, posta a un livello non tanto più alto rispetto ai bambini, a causa della statura piccola che aveva ereditato dalla madre, seppur sempre più alta di quest’ultima: Christina, sulla via del ritorno dalla sua quotidiana passeggiata nel bosco, camminava lungo il sentiero, non sorpresa di vedere i bambini tuffarsi nei mucchi di foglie, e a sua volta vagava alla ricerca di chi li aveva portati con gli occhi verdi dietro alle spesse lenti degli occhiali.

Non appena incrociarono gli sguardi, pieni di intesa, la vampira abbozzò un sorriso e gli si avvicinò.

- Buon pomeriggio, cugino Lucks – lo salutò con voce calma e composta, le mani infilate nella tasca della felpa, e rivolse l’attenzione ai bambini, tenendo le orecchie ben aperte alle parole del vampiro.

- Tina, eccoti puntuale come sempre e con gli occhiali sul naso, meno male – rise lui, dando un’occhiata all’orologio da polso per confermare quanto considerato e rammentando quanto spesso le accadeva di perdere gli occhiali – Non avrai anche programmato questa breve sosta in nostra compagnia, eh?

La giovane scosse la testa, allargando leggermente il sorriso divertita.

- Non dire sciocchezze, calcolo sempre qualche minuto in più del solito per tornare a casa.

- Non è la stessa cosa? – si grattò la testa Lucks, trattenendosi dal ridere.

- Non pensavo di incontrare proprio te… per esempio, ho visto anche Hana-chan, in riva al fiume.

- Nostra cugina? Non dovrebbe essere con le altre a prepararsi per l’inizio delle lezioni? – chiese leggermente confuso il ragazzo.

Christina sollevò le spalle, non sapendo cosa rispondere, aggiungendo che l’unica informazione che poteva dargli fosse relativa al perché fosse : stava crescendo una piccola aiuola di fiori; e quando l’altro le domandò ancora perplesso a che pro, la vampira ridacchiò, accarezzando una ciocca dei capelli che le arrivavano appena sotto le orecchie.

- Vuole avere dei fiori per farci una corona e regalarla a Ranmaru-kun. Sai, per quella volta che le ha ghiacciato il trucco, involontariamente.

Lucks si spanciò dalle risate, immaginando il viso imbarazzato e risentito del sopracitato.

 

 

Ranmaru e Edgar erano soliti frequentarsi tra loro più spesso rispetto ad altri coetanei; non solo perché erano cugini da parte paterna, non solo perché i padri, tra tutti i fratelli, erano quelli che si “volevano più bene”: ciò che più li accomunava era il carattere. Entrambi erano taciturni e piuttosto riservati, seppur per motivi diversi – il primo per timidezza, l’altro per pigrizia e disinteresse verso gli altri – e s’intendevano spesso e meglio tramite la comunicazione non verbale; rispettavano l’uno lo spazio personale dell’altro: se Edgar si addormentava di colpo, evento assai frequente e normale, Ranmaru lo lasciava in pace, ordinando la sua collezione di oggetti rotti (il padre si era sempre chiesto da chi avesse preso questa bizzarra e singolare abitudine), e se Ranmaru ascoltava musica metal, a Edgar non dispiaceva unirsi a lui e rinunciare a quella classica.

E proprio di musica stavano discutendo quel pomeriggio, seduti sul muretto che dava sul mare, vicino al cimitero; il biondo sbadigliava, annuendo o dissentendo con cenni della testa o a monosillabi, e l’altro si lamentava dei pregiudizi nei confronti del genere metal, soprattutto il sottogenere denominato “metal sinfonico”, gesticolando con fervore e allo stesso tempo guardandosi intorno attentamente, alla ricerca di qualsiasi cosa che fosse spezzata o danneggiata: una matita vecchia, un coccio di una boccetta preziosa, una catena arrugginita di un gioiello rovinato, un peluche scucito abbandonato per strada.

Edgar cominciò a rendersi conto dopo una mezz’oretta che qualcosa stava andando storto quando sentì balbettare il cugino dagli occhi ambrati e i capelli castani che gli coprivano parte del viso, come il padre albino: voltandosi verso di lui, notò il rossore sulle guance e il tic all’occhio, deducendo che la propria sorellina Faith fosse nei paraggi; perciò si voltò nuovamente, annoiato, per poi mutare l’espressione in una più nervosa.

Faith camminava lungo il muretto tenendosi in equilibrio pericolosamente, accompagnata dall’amica Aiko; su quest’ultima si soffermò lo sguardo di Edgar, intento a fissarle i lunghi capelli biondi, ondeggianti sulla schiena, e gli occhi marroni chiazzati di verde, fissi sull’altra ragazza e ansiosi che cadesse da un momento all’altro.

Effettivamente Faith perse l’equilibrio, ma fortunatamente dalla parte dove c’era il suolo pronto a ricevere il suo atterraggio; la ripida discesa non accolse il suo cadavere e i tre presenti si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo, chiedendosi come facesse una giovane di quindici anni a essere ancora così spericolata e incosciente.

Curiosa come nostra madre…, pensò Edgar, sollevando e agitando la mano in segno di saluto alle due fanciulle che s’avvicinarono, scompigliando i capelli scuri alla sorellina che si avvinghiò al suo torso, affettuosa.

- Fratellone! – esclamò, strofinando la testa contro il suo petto, contenta.

Ranmaru la osservò, sentendosi un po’ geloso dell’amico, e distolse lo sguardo dopo averlo incrociato con quello sghignazzante di Aiko; quest’ultima a sua volta spostò l’attenzione su Edgar, posando le mani sui fianchi con fare di rimprovero.

- Guarda che non mi hai ancora restituito il mio libro di chimica, lazzarone! – lo rimbeccò, facendolo sbuffare seccato.

- Mi serve ancora… avremo un compito già il primo giorno… - si giustificò, borbottando.

- Ma veramente avremo un compito di letterat-… - stava per rivelare l’altro, ritrovandosi la bocca bruscamente tappata dalla mano del coetaneo, nervoso.

- Eeeeeed – incrociò le braccia la bionda, assottigliando gli occhi furenti sulla figura del vampiro, il quale roteò gli occhi al cielo, pronto a sentire la solita ramanzina – Non dovresti neanche averne bisogno, visto che l’avete già studiata due anni fa!

- Ho bisogno di un ripasso… - ribatté brontolando Edgar, massaggiandosi il collo e staccandosi dalla sorellina che fino a quel momento era rimasta abbracciata a lui, ridacchiando sotto i baffi alla scena.

I due cominciarono a litigare, lei animatamente e lui improvvisamente loquace, mentre Ranmaru li scrutava con un sopracciglio inarcato mormorando che non sarebbero mai cambiati e che non se ne sarebbe stupito se di lì a qualche anno si sarebbero sposati; poi i suoi occhi caddero su Faith, la quale stava divagando con la mente in chissà quale pianeta, l’espressione alquanto bambinesca per la sua età.

- Ran-kun, cuginetto mio – esclamò a un certo punto, puntando i profondi occhi scuri su di lui, provocandogli quasi uno spavento – Pensi che Ai-chan non sia più cotta di Justin-kun?

Il giovane sbatté le palpebre e arricciò le labbra.

- Penso di sì… voglio dire… dopo quello che era successo…

Rammentarono quel giorno in cui alla povera Aiko era sfuggita una parola di troppo sul suo affetto nei confronti di Justin e a quest’ultimo era capitato di rispondere in maniera troppo schietta, involontariamente; perciò Maria si era resa conto che non aveva mai degnato di uno sguardo chi le aveva sempre rivolto la maggior parte delle attenzioni (Justin spesso le aveva prestato degli appunti per scuola, sotto suggerimento di Melissa; sempre lui le portava dei fiori l’otto marzo e il giorno del compleanno; ancora, solo lui si accorgeva dei minimi cambiamenti nei suoi vestiti o nella capigliatura), sempre ricercate invano da parte di Kaoru, amaramente scoprendo che già Nanami aveva catturato il suo cuore.

Aiko aveva pianto tanto, nonostante fosse conosciuta come tra le più toste delle ragazze della sua età; dopotutto, anche lei aveva dei sentimenti, ed era rimasta ferita. Per tanto tempo non si erano più parlati, Justin per imbarazzo e vergogna di aver avuto poco tatto, lei per dolore e rifiuto. Alla fine tutto si era risolto con il regalo che le aveva fatto, un paio di piantine grasse che erano andate ad aggiungersi al piccolo angolo della camera che la strega aveva riservato al suo pollice verde.

- Uffa, volevo andare a raccogliere i funghi nel bosco… - brontolò scontenta Faith, incrociando le braccia e provando a richiamare l’amica che continuò a ignorarla, impegnata a reggere il confronto con Edgar – Ok, andrò in biblioteca da Ruki-nii~!

- Cos- Aspetta, Faith! – non appena la voce della strega pronunciò quel nome, Ranmaru sobbalzò allarmato e tentò di fermarla inutilmente, perché lei era già partita come un razzo in direzione della suddetta meta.

Il vampiro si lasciò sfuggire un grugnito stizzito e, lanciando un’occhiataccia all’amico ed Aiko, le corse dietro; odiava profondamente quell’uomo: era certo che avesse ammaliato Faith fin da bambina, portandogliela via con il passare del tempo.

 

 

Il vampiro osservò soddisfatto il lavoro appena concluso: tutti i libri presenti erano ritornati al loro posto e dove mancavano quelli prestati aveva messo delle composizioni di pietre colorate, o comunque piccoli oggetti esteticamente gradevoli per riempire il vuoto, dietro suggerimento di Faith, ella stessa creatrice di alcuni di questi manufatti che gli aveva portato.

Aprì l’agenda dove era solito segnare tutti i suoi programmi e promemoria, sbarrando il riordino generale dei volumi; come previsto, era riuscito a finire tutto in tre giorni, pulendo anche gli interni degli scaffali, e il giorno dopo avrebbe proseguito la pulizia del resto dei mobili e dell’intero edificio. Ragionò che avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Yuuma e Azusa per finire entro la sera del giorno dopo, così da poter accogliere le classi del primo anno di scuola primaria con la biblioteca in perfette condizioni, appena sarebbe iniziato l’anno scolastico; poi avrebbe dovuto chiedere a Mary di sostituirlo verso sera, per un paio di ore, il tempo di ritornare finalmente a casa propria e occuparsi anche di essa.

Forse aveva ragione Kou: passava così tanto tempo in biblioteca che ormai avrebbe potuto anche trasferirsi direttamente lì e lasciare il suo appartamento ai futuri giovani.

Si ravviò i capelli e ripose gli occhiali, fattore esclusivamente estetico del suo aspetto da bibliotecario, nell’apposita custodia, che collocò all’interno di uno dei cassetti della sua scrivania personale, chiudendolo con il lucchetto.

I suoi sensi da vampiro avvertirono immancabilmente la presenza della solita intrusa che fin dall’età infantile aveva frequentato la biblioteca e la sua compagnia; abbozzò un sorriso divertito e sospirò, sedendosi sulla sedia imbottita a sfogliare il proprio inseparabile libro, richiudendolo non appena percepì la strega raggiungerlo da dietro, impaziente di riuscire un giorno a leggerne il contenuto.

- Nooo, c’ero quasi! – si lamentò la ragazza, saltando sul posto come una bambina indispettita, e lo fissò imbronciata con i suoi grandi occhi scuri.

- Faith, non dovresti essere sulla via del ritorno a casa? – cambiò discorso l’altro, incrociando le braccia e inarcando un sopracciglio a quel comportamento non consono alla sua età.

- Comunque, Ruki-nii, vedo che hai messo tutto a posto, finalmente! – esclamò guardandosi intorno la giovane dai capelli bruni, lunghi fin sotto le spalle e lisci come spaghetti, tanto che nemmeno la forcina che usava per tenere le ciocche lontane dagli occhi riusciva a svolgere bene la propria funzione, scivolando sempre verso il suo viso.

Ruki sospirò, questa volta come riflesso del suo tentativo di mantenere la pazienza.

- Certo che ora è tutto in ordine. A breve verranno i bambini neo-studenti, è d’obbligo accoglierli con un edificio pulito, sistemato e accogliente – sorrise guardando alcuni degli adesivi che la stessa strega aveva attaccato sulle lampade annesse ai banchi dove sedersi per leggere, la maggior parte ritraenti animali stilizzati o faccine spiritose.

- Manca un’oretta alla cena, posso rimanere ancora una mezz’oretta a farti compagnia, Ruki-nii! – rispose “in ritardo”, rivolgendosi uno sguardo innocente.

Il vampiro si ravviò i capelli e mormorò se non si sarebbe arrabbiato il padre a sapere che era di nuovo in biblioteca con “quello lì dai capelli color salsa di soia”; la fanciulla  si sedette su uno dei tavoli e dondolò le gambe, dicendo che non vedeva l’ora che arrivasse il momento in cui i bambini avrebbero messo piede in quell’edificio, introdotti nel mondo delle storie; Ruki considerò che avrebbe potuto coinvolgere i nipoti e tutti gli altri, soprattutto Lucks che ci sapeva fare con i marmocchi; Faith rise, commentando che il babbo aveva un modo strano di dare nomignoli alle persone.

Sì, Faith era fatta così: molto spesso le sue parole si riferivano a ciò che era stato detto prima dell’ultima battuta da parte dell’interlocutore; il vampiro aveva sempre ritenuto che fosse alquanto abile a non scomporsi per lungo tempo, quanto era altrettanto adorabile da arrabbiata non appena perdeva la continuità del suo atteggiamento.

Pensò fosse uno dei pochi tratti che la rendevano diversa dalla madre, con cui aveva in comune tutto il resto, soprattutto la sua curiosità e la passione per gli hobby creativi, solo che si dedicava più al crafting che alla scrittura, talento del gemello, e al disegno, su cui tanto aveva lavorato Mary, diventando illustratrice di tanti libri che la stessa biblioteca possedeva.

- Ruki-nii, stai pensando a mia mamma? – domandò improvvisamente la giovane, arricciando le labbra e attirando di nuovo la sua attenzione.

- Scusa, mi stavi dicendo qualcosa di importante? – rispose l’altro, ignorando l’accenno a Mary, cosa che fece gonfiare le guance a Faith, infastidita.

- Ruki-nii, mi dispiace ripetertelo tutte le volte… ma mia mamma ormai sta con il babbo. Non dico di dimenticarla, ma… - per un momento volle provare a fare la persona matura, cose che non le riusciva per niente con il tono di voce infantile che sfoggiava sempre, tranne durante le interrogazioni a scuola in cui era irriconoscibile.

- Mi sembra di aver già chiarito con te questa questione, Faith – la riprese duramente Ruki, rivolgendole un’occhiata glaciale che l’ammutolì per un po’ – Non potresti mai capirmi. Ora torna a casa, la tua famiglia ti sta aspettando.

- Come posso tornare dalla mia famiglia, quando tu non ne hai una ad aspettarti a casa? – mormorò la strega guardandolo tristemente.

Il vampiro sgranò gli occhi e aprì bocca per poi richiuderla: come poteva ribattere? Kou aveva Lucy e la figlia, Azusa aveva Finn e i tre figli, Yuuma aveva Anna e, anche loro, tre figli; Ruki era rimasto solo, chiudendo in un forziere il suo amore per Mary senza mai scordarlo, accompagnato solo dai libri e dai figli dei fratelli e dei Sakamaki, tra alti e bassi: nonostante i loro difetti, o un po’ di astio covato da alcuni nei suoi confronti, mai era stato così a proprio agio tra i giovani, tanto era brillante quella nuova generazione.

E poi c’era Faith. Si era sempre chiesto cosa avesse spinto la bambina che era stata, fino all’adolescente ch’era diventata, a seguirlo ovunque e instaurare un rapporto amichevole con lui; aveva sempre cercato però di evitare comportamenti che avrebbero potuto illuderla, data la giovane età soggetta a infatuazioni passeggere e ingannevoli. Dopotutto il suo aspetto da giovane “scapolo” aveva attirato le liceali durante tutti quei diciassette anni, da quando si era stabilito a vivere sull’isola con gli altri.

Sospirò e si ravviò i capelli in un gesto nervoso.

- Faith, torna a casa ti ho detto.

- Ti capisco perfettamente, invece! – balzò sui propri piedi la ragazza, posando le mani sui fianchi e cambiando il tono della voce, più adeguato alla sua età.

Ruki rise, scuotendo la testa amaramente.

- Non potresti nemmeno comprendere l’invidia che provo per tuo padre, Faith, tanto gli vuoi bene.

La strega scosse la testa, rifiutandosi di uscire e avviarsi verso casa; spazientito, Ruki l’ammonì di ubbidire da brava ragazza e andarsene, per poi rimanere spiazzato da quello che le proprie orecchie udirono.

- Come no! Invidi mio padre come io invidio mia madre, Ruki-san. Però le voglio bene comunque, è la mia mamma!

Il vampiro si sedette sulla sedia, fissandola interdetto; con una semplice frase aveva rivelato due cose: che lui si era sbagliato completamente sul suo conto, sottovalutandola, e che Faith era infatuata di lui. Infilò le dita tra i capelli, respirando profondamente e sentendosi in bilico tra una risposta sensata e matura e una reazione nervosa e confusa.

- Ma non preoccuparti, Ruki-nii! – Faith sorrise radiosa, ritornando al suo portamento fanciullesco – Se non riuscirai mai a ricambiare i tuoi sentimenti, mi basterà fare lo stesso che tu hai fatto nei confronti di mia madre! Io, Faith Sakamaki, giuro di amarti e proteggerti in eterno, seppur da lontano! – annunciò con fare solenne, piegando il braccio e mettendo una mano sulla fronte come in un saluto militare.

Ruki ebbe un dejà vu e scoppiò a ridere, chinando il busto verso il basso.

Faith sbatté le palpebre e lo guardò confusa, chiedendosi se fosse stata troppo infantile.

Il vampiro si alzò e le rivolse un indecifrabile ma allo stesso tempo tenero sorriso, per poi tirarle la guancia e ribadirle nuovamente che fosse ora di tornare a casa, ignorando i mugugni di dolore da parte della povera strega che cercò di sfuggire a quella presa ferrea.

Nel frattempo, due occhi ambrati rimasero a fissarli per qualche minuto, sconsolati.

 

 

Ranmaru, nel limite del possibile, uscì dalla biblioteca senza lasciare tracce della sua presenza e scese i gradini che portavano all’ingresso con passi lenti e strascicati; aveva sempre sperato che l’interesse di Faith fosse solo qualcosa di passeggero. Certamente era ancora giovane e i suoi sentimenti avrebbero potuto mutare... qualcosa, tuttavia, diceva al giovane che non sarebbe successo.

Rammentò di aver sentito lo zio Laito chiacchierare di qualche delusione d’amore di suo padre, un giorno che era stato invitato da Ryan a casa sua con Edgar; allora aveva quasi pensato che suo padre fosse stato un rammollito e un po’ patetico e in quel momento si sentì terribilmente in colpa: ci voleva tanta forza e tanto coraggio per superare quello stato di sconforto, di perdita. Si avrebbe potuto definirla “una semplice cotta da adolescenti, passerà!” e forse in futuro avrebbe pensato lo stesso, ma era davvero giù di morale nonostante cercasse di ignorare il groppo alla gola e l’improvvisa nausea.

- Ran~maru~kun~ - udì una voce femminile provenire dalla sua sinistra.

- Ci mancava la stregaccia – borbottò stringendo i denti il giovane, rivolgendo gli occhi al cielo.

Hana gonfiò le guance, offesa, e balzò giù dal muretto che affiancava la rampa di scale, sulla quale si era seduta ad aspettarlo, con le mani dietro la schiena; il vampiro assottigliò gli occhi verso le sue braccia, sospettoso.

- Che hai lì dietro? – domandò immediatamente, aspettandosi che fosse qualche vendetta nei suoi confronti per un qualsiasi torto che le aveva fatto inconsapevolmente, come spesso gli accadeva di venir accusato dalla stessa.

La strega sorrise maliziosa e alzò la testa con fare di superiorità.

- Lo scoprirai solo se chiuderai gli occhi!

- Fossi scemo, non ci casco. Ci vediamo – sbuffò scocciato Ranmaru, infilando le mani nella tasca della giacca di jeans e avviandosi lungo la strada verso casa, domandandosi mentalmente cosa ci fosse per cena.

Hana fissò la sua schiena allontanarsi, contrariata, e lo rincorse per poi saltargli sulle spalle, quasi sbilanciandolo; il ragazzo imprecò pesantemente e se la scrollò di dosso, voltandosi furente per dirgliene quattro: istintivamente chiuse gli occhi nel vederla alzare le braccia verso il suo viso, per poi riaprirli nel sentirla ridacchiare e allontanare gli arti.

Lo osservava con un’espressione contenta, le gote rosse e gli occhi luminosi; ignaro che anche il suo viso avesse assunto una leggera sfumatura rosea, il vampiro si rese conto di avere in testa qualcosa e la tastò con le dita, riconoscendo al tatto una sensazione morbida e fresca, fatta di intrecci alternati a forme più complesse e fragili: delicatamente sollevò l’oggetto della testa e corrugò la fronte nel portarsela di fronte, scoprendo che era una semplice corona di fiori, tra margherite, violette e altre varietà di fiori, fatti crescere dai poteri magici della stessa.

La strega, timorosa che potesse gettarla a terra, la prese tra le mani per rimettergliela in testa, annunciando soddisfatta che gli stesse bene; il giovane inarcò un sopracciglio e scosse la testa, ritornando sui propri passi.

- I fiori sono da femmine – brontolò; ma non si tolse la corona di fiori, gesto che riempì di gioia la fanciulla, la quale lo seguì, avvinghiandosi al suo braccio e strattonandolo, e lo informò che fosse stata invitata con i genitori dalla madre di lui a cenare con loro.

Ranmaru protestò che suo padre sarebbe stato davvero contento; Hana ridacchiò.

 

 

E fu così che Subaru si ritrovò Kou e famiglia al suo ritorno a casa, rimanendo impalato sulla soglia d’ingresso e con un tic all’occhio nel vedere il biondo che agitava la mano allegramente davanti a lui, sorridendo e chiedendogli se non fosse felice di rivedere il suo migliore amico; Lucy e Isa chiacchieravano in cucina, tranquille, la prima aiutando la seconda a preparare il tavolo per la cena, ignorando i battibecchi dei mariti in soggiorno (almeno Subaru si consolò più tardi nel sapere che la figlia stava ottenendo ottimi risultati con gli allenamenti di CrossFit); nel frattempo, Hana tentava di battere Christa a uno sparatutto per l’ennesima volta, invano, entrambe scrutate da Ranmaru, scocciato che le due coetanee gli avessero sequestrato la camera per usufruire della sua console, non prima che il ragazzo avesse potuto nascondere in un luogo sicuro la corona di fiori.

 

 

Yui tornò a casa dal suo turno da infermiera stremata, sia fisicamente per la stanchezza e il viaggio sia psicologicamente (aveva visto un altro paio di anziani morire, mentre stringeva loro le mani nel mantenere la promessa di assistenza fino alla fine); la figlia la accolse a braccia aperte, raccontandole le novità del giorno e scartando i dettagli sul cespuglio di spine che aveva piantato nel giardino della vicina, scherzo suggeritole dal padre che non perdonava quella vecchia signora di averlo criticato per il suo continuo ingozzarsi di takoyaki; Ayato, d’altra parte, era impegnato a cercare e comprare su Internet i libri di testo del primo anno consigliati dal liceo, che Maria avrebbe cominciato a frequentare la settimana seguente, entusiasta ma pur amareggiata che non sarebbe stata in classe con tutte le amiche (purtroppo Melissa e Christa erano finite in classi diverse, rimanendo sola insieme a Hana… con cui aveva pur una sorta di rivalità…).

 

 

Con un sorriso gioioso sulle labbra, Azusa accolse tra le braccia i tre figli di ritorno da una passeggiata, baciando sulla fronte le sue due bambine e scompigliando i capelli al secondogenito; Finn a sua volta li stritolò uno a uno, soffermandosi più a lungo sulla più giovane che ne apprezzò il dolore causato e il rumore delle ossa scricchiolate; Christina si collocò immediatamente nella sua poltrona preferita, con un libro già pronto in mano da leggere, Justin aiutò la madre in cucina, riflettendo su come recensire un film appena visionato quello stesso pomeriggio, e Melissa, a cui venne vietato di metterci piede per i disastri che combinava nel futile tentativo di preparare deliziosi manicaretti, fece compagnia al padre in soggiorno, accoccolandosi contro di lui sul divano e lasciandosi accarezzare i capelli dal padre, gesti calmi e pieni di affetto che le acquietavano il cuore.

 

 

Lily assottigliò gli occhi sui due figli, abbozzando di nascosto un sorriso: il suo sesto senso da madre aveva percepito quel che avevano combinato all’isola durante la loro breve vacanza passata con i cugini, prima di ritornare al castello dove stavano cenando con il padre, rispettando le regole del galateo con cura come Reiji aveva insegnato loro; non fu difficile nemmeno per il Re dei Vampiri notare una chiazza rossastra sul retro del collo di Kaoru, promettendosi che dopo il pasto avrebbe scambiato qualche parola con il primogenito, sperando vivamente che l’odore della progenie di quel pervertito di suo fratello fosse solo frutto della sua immaginazione, e considerò che anche Hikari emanasse un profumo diverso dal solito, che tanto gli ricordava un certo vampiro non purosangue… Come al solito, questi pensieri non fecero altro che fargli pulsare i nervi.

 

 

Edward tornò più tardi del solito, avendo perso la percezione del tempo durante l’allenamento con il signor Flyer (che considerava più come un nonno che come il cugino di non-sapeva-bene-quale-di-preciso grado che era); Anna lo aspettava sull’uscio con le braccia incrociate e furente, consapevole che avesse per l’ennesima volta annodato i tubi dell’acqua nel giardino, dando altre rogne al padre che ci stava lavorando con cautela con l’inizio dell’autunno e le giornate fredde; i vicini ormai era abituati alle grida di Yuuma, mentre rimproverava il figlio ribelle, scena a cui assistevano il gemello Lucks, con un’aria spiritosa della serie “te l’avevo detto” (come se lui stesso non fosse stato responsabile di altre catastrofi commesse insieme), e Aiko, con gli occhi ridotti a due fessure, seccata dal comportamento irrecuperabile del fratello maggiore; il padre diede un ultimo schiaffo in testa ad Edward, minacciandolo di ritirarlo dal club di arti marziali.

 

 

Ryan e Nanami, nonostante avessero essi stessi degli atteggiamenti civettuoli, odiavano rientrare e ritrovarsi i genitori che limonavano in salotto: si fermarono sul posto a fissarli con uno sguardo annoiato e lasciandosi sfuggire un grugnito irritato che sostituiva un “ci risiamo”; Claire almeno sobbalzò sul posto e si staccò dal marito, scusandosi seppur non molto imbarazzata, mentre Laito ridacchiò e fece l’occhiolino al figlio, come per dirgli di imparare da lui per quando sarebbe stato solo con Hope (sorprendentemente, ciò che aveva previsto e riferito alla sua adorata cuginetta Mary diciassette anni fa si era realmente avverato!); la figlia si sedette tra i genitori e iniziò a raccontare ciò che aveva scoperto girando in città, il figlio si avviò in cucina per preparare la cena, sapendo che avrebbe dovuto imparare per compensare la pigrizia e conseguente incapacità da parte della sua amata; la sorellina sarebbe stata più fortunata, dato che probabilmente zio Reiji aveva insegnato ai figli l’arte culinaria.

 

 

Morten si rilassò, sdraiato sul tappeto del soggiorno e lasciandosi cullare dalla melodia suonata al pianoforte dal padre, dopo aver riposto gli occhiali sul tavolino ed aver piegato il berretto a mo’ di cuscino sotto la propria testa; Ellen nel frattempo stava combinando un disastro con la cena e certamente a breve avrebbe chiamato la sorella maggiore a raggiungerla per darle una mano; Mark scorreva le dita leggere come piume sui tasti, esercitando una minima pressione, ma intense emozioni sonore, al tempo stesso comunicando telepaticamente con l’amata gemella, sorridendo di un affetto raro e indicibile, che solo lui e Mary potevano capire, e di tanto in tanto compiangendo il povero amico Theo e la moglie Martha, soli e soletti nel loro amore senza frutti per un difetto genetico; il figlio si assopì poco dopo e presto i dolci sogni suggeriti dalla poesia del padre si tramutarono in incubi dove i cugini lo coinvolgevano in piani maligni che sicuramente avrebbero avuto un esito negativo, facendolo sudare freddo e contorcere nel sonno.

 

 

Ruki osservò la luna già visibile in cielo dall’oculo centrale del soffitto, dalla quale proveniva tutta la luce del tramonto, ancora sufficiente a illuminare quasi tutti gli scaffali e i mobili della biblioteca; al vampiro sarebbe bastata per scorrere gli occhi sulle parole del libro appartenuto al padre, che al momento aveva posato sul ginocchio accavallato, assorto nella contemplazione di quel bianco satellite e nei suoi pensieri. Gli sfuggì una breve risata, ricordando quanto era accaduto con Faith, e, accarezzandone la copertina azzurra, risollevò il libro per continuare la lettura, maneggiandolo in modo tale che dalle pagine più in fondo sfuggì un sottile oggetto, simile a un filamento d’erba; Ruki, perplesso, si chinò a raccoglierlo da terra e sgranò gli occhi nel vedere un rametto di lavanda essiccato e pressato; lo girò pensieroso tra le dita, per poi avvicinarlo ed annusarlo: l’aroma era andato perso con il tempo. Abbozzò un sorriso e si alzò, avviandosi verso uno scaffale dove erano collocati dei libri di erboristeria e piante: ne prese uno sui fiori, aprì una pagina a caso e vi infilò il rametto di lavanda, chiudendo il volume e riponendolo al proprio posto; infine, ritornò alla scrivania e finalmente al libro.

 

 

Faith avanzò quatta quatta verso le sue vittime, trattenendosi dal ridacchiare alla vista di tutti e tre sul divano, beatamente addormentati l’uno accanto all’altro; Nicholas la osservò grattandosi la fronte e mordendosi le labbra, certo che il padre e i fratelli si sarebbero accorti prima o poi della sua presenza; invece, non appena la gemella balzò in braccio a tutti e tre con successo, essi sussultarono e spalancarono gli occhio scioccati dall’improvviso impatto, per poi riconoscere la causa del loro risveglio e richiamandola con tono scontento e occhi desiderosi che il loro sonno non fosse mai stato interrotto; Faith si sistemò sulle gambe del padre e gli avvolse le braccia al collo, coccolona, e Shuu si addolcì un poco, pur rimanendo in apparenza indifferente; Hope controllò l’orario sul cellulare, arrossendo a un messaggio abbastanza sconcio da parte di un demone dai capelli rossi, e quasi rischiò che il padre lo leggesse; Edgar tirò su con il naso e gettò la testa all’indietro, istantaneamente addormentandosi di nuovo e sognando lunghi capelli biondi; udirono la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi e i figli si alzarono in piedi di scatto, affrettandosi fuori dal soggiorno.

Nicholas fu il primo a raggiungerla e le rivolse un sorriso dolce; Faith, che corse rapida come una gazzella, le andò incontro abbracciandola di slancio; Hope camminò verso di lei e si fermò poco distante, aspettando che si avvicinasse per prenderle la giacca e la borsa e riporle sull’attaccapanni; Edward si accasciò sonnolento contro l’anta della porta del soggiorno, non riuscendo più a muoversi dopo solo qualche passo, e la salutò con voce impastata dal sonno:

- Bentornata, mamma.

Mary sorrise radiosa come il sole nel venir accolta dalle sue stelle, per poi rivolgere uno sguardo pieno di amore a Shuu, comparso dietro di lei per baciarle la guancia.

- Sono a casa.

 

 

- Rose-san, hai visto? I miei nipoti mi hanno mandato un’altra foto~.

Kanato ridacchiò con voce sottile e ripose la fotografia in una cornice viola con i fiori bianchi, unendola insieme a tutte le altre sul mobile in ebano che aveva scelto per raccogliere i doni che gli arrivavano dai nipoti (quelli di cortesia dei fratelli – esortati dalle mogli - li bruciava o teneva, a seconda che fossero dolci, stoffe o giocattoli); osservò i volti delle persone ritratte, disposte sui gradini di una scala in pietra, con un’espressione insolitamente dolce e al tempo stesso indubbiamente sinistra, talvolta lasciandosi sfuggire una smorfia più o meno sprezzante ai figli di quei luridi non purosangue.

Kaoru e Hikari erano sicuramente i soggetti più seri e disciplinati del gruppetto, ma uno sguardo più attento avrebbe potuto notare che la seconda stava pizzicando il fratello sul fianco, probabilmente per vendicarsi di un qualche piccolo torto, e il maggiore stringeva le labbra per trattenersi dal sgridarla; Hope era la più inespressiva, dall’altro lato di Hikari, con la quale inaspettatamente aveva stretto più amicizia rispetto alle altre, forse perché era la meno rumorosa; Nanami teneva le braccia avvinghiate a quello di Kaoru, sorridendo al fotografo con un viso meno malizioso del solito, mentre Ryan sfoggiava un piccolo ghigno, le braccia posate ciascuna sulle spalle di Edgar, a occhi socchiusi e con espressione seccata, e di Ranmaru, palesemente contrariato da quel contatto; Christa guardava di sottecchi Nicholas, il quale sorrideva timido dietro la sorellina Faith, allegra come sempre; Melissa stringeva le mani al fratello e alla sorella, il sorriso sereno e pieno di gioia, mentre Justin sfoggiava una smorfia alquanto imbarazzata, dato che Maria, stante su un gradino più alto rispetto a lui, aveva poggiato le mani sulle sue spalle, stringendole affettuosamente; Christina sorrideva mite, intoccata dal fatto che le dita di Lucks stessero sfiorando le sue, questo pure in apparenza tranquillo, le spalle circondate dalle braccia del gemello; Edward aveva messo in risalto il suo ghigno più largo e sbruffone, fissato con un sopracciglio inarcato dalla sorellina Aiko, probabilmente ignara che la foto fosse stata già scattata e a cui Hana aveva dato il braccetto, alzando la mano libera con le dita a “v”; infine, Morten fissava la macchina fotografica rigido e con un sorriso storto per cui probabilmente era stato preso in giro dai gemelli Lucks ed Edward.

- Sono carini, vero, Rose-san, Teddy?

Sulla poltrona della stanza, colma di peluche fabbricati dallo stesso vampiro, adornata di merli e pizzi sugli abiti da bambola di porcellana, lo zombie della ragazza non annuì, né con un monosillabo né con un cenno della testa, lo sguardo vitreo fisso nel vuoto; persino Teddy, posato accanto a lei, sembrava più espressivo.

 

 

Ché non tutti si meritano il lieto fine

 

.

 



... che dire.
Finalmente, finisce qui.
Vi ringrazio per aver letto e apprezzato, spero, la storia fino alla fine.
Spero abbia reso chiaro chi è figlio di chi X°D.

Qui, penso proprio che termina, almeno per un lungo periodo, la mia attività su EFP. 
MA conitnuerò a fantasticare e scrivere.

Tanti abbraccia,

Tsuki
  
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