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Autore: Itsamess    15/03/2017    0 recensioni
[Legion]
[Legion]
Ptolomy gli ha parlato di questa possibilità.
Gli ha spiegato che le sue capacità cerebrali sono fuori dal comune e che la sua mente, in determinate circostanze di pace assoluta – o al contrario di assoluta concentrazione –, può riuscire a captare onde cerebrali altrui, un po’ come una radio che coglie un'interferenza fra due stazioni e trasmette due canzoni differenti contemporaneamente.
Fino a quel momento si è trattato solo di stimoli limitati all'area uditiva – le voci che sente sono i pensieri di estranei chissà quanto distanti – ma in futuro non si possono escludere dei glitch visivi.
Non deve spaventarsi, non c'è niente di strano.

In poche parole, ha il cervello tanto fottuto che le sue allucinazioni potrebbero avere allucinazioni, ma davvero non c'è niente di strano.

Crossover Legion/Sherlock
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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 Senza lasciare impronte
 

L'alba.
Un'altra persona prenderebbe male l'idea di una sessione di terapia fissata alle 6 del mattino, ma David è grato di poter smettere di fingere di dormire.
 
Ptolomy lo sta aspettando.
È in piedi davanti ad una delle pareti di vetro. Il suo sguardo è perso all'orizzonte, sul sole di corallo che sta facendo capolino da dietro una coltre di alberi. Non sorride – ma del resto Ptolomy non sorride mai.
 
David non riesce a biasimarlo: non ha molte ragioni per essere allegro dal momento che lo aspetta una sessione di trekking nei ricordi più traumatici e oscuri di uno schizofrenico dedito all'utilizzo di droghe ad uso ricreativo.
È una brava persona e David vorrebbe risparmiargli quello spettacolo e inventare per lui una realtà bianca e innocente e impossibile, come quella che ha modellato per Sydney, eppure sa benissimo che mentirgli non servirebbe.
Ptolomy intuirebbe subito il trucco, è più intelligente di così.
 
Per questo però c'è sempre una punta di senso di colpa nel vedersi steso su un pavimento, fatto e delirante, nella maggior parte dei ricordi. Sono ricordi di pomeriggi volati in un'ora, fra nuvole di fumo e occhi socchiusi. Ricordi pieni di urla – le sue, per una volta – e oggetti che esplodono e volti sfocati. Ricordi che sarebbero incubi, se solo non fossero successi davvero.
David non si era reso conto di quanto fosse patetica la sua vita. Guardarla dall'esterno fa tutto un altro effetto.
 
«Quando vuoi» gli dice Ptolomy, facendogli segno di sedersi e prendendo posto esattamente davanti a lui.
 
«Sono pronto»mente David.
Non sarà mai pronto a vivere di nuovo quello che il suo cervello ha impiegato anni a rimuovere.
 
Il potere di Ptolomy non sa ancora individuare le bugie, quindi l'uomo prosegue come se nulla fosse: 
«Oggi vogliamo tentare un approccio diverso» gli annuncia con un tono di voce incolore come il cubo in cui si trovano «Per studiare se la base neurologica che regola il tuo potere si colloca nell'amigdala o nella corteccia prefrontale, ovvero, in poche parole, se il tuo stato emotivo influisca sul soggetto delle tue visioni o no. Per questa ragione, entrerò nel ricordo con te ma mi terrò in disparte, per non interferire»
 
«Ooook»
David stringe le mani sui sostegni che veicolano il potere di Ptolomy su di lui, o che almeno crede servano a questo.
«Quindi io cosa dovrei fare?»
 
«Concentrati su un ricordo felice»
 
David si lascia andare ad una breve risata, secca e senza ironia, ma Ptolomy non cambia espressione, per cui non gli resta che stringersi nelle spalle e replicare, non senza una vena di esasperata stanchezza nella voce: «D’accordo, d’accordo! Posso provarci». Prende un profondo respiro, come un nuotatore che si prepara ad un'apnea mnemonica, chiude gli occhi –
 
E tutto ad un tratto ha di nuovo dieci anni e un cane bianco e marrone che gli annusa affettuosamente una scarpa e poi corre avanti.
 
King
È il mio cane. Gli voglio bene
 
David si guarda intorno, cercando di capire dove si trova. Sembra essere la prateria dove passava quasi ogni estate: c'è un piccolo torrente che si snoda sinuoso davanti a lui, serpeggiando in mezzo a boschetti di betulle e massi chiari come ossa. David resta in attesa di veder apparire una delle sue solite visioni inquietanti, tipo un'ombra o un bambino di cartapesta, o quantomeno si aspetta di sentire qualche voce nella testa sussurrargli cose terribili, ma se tende l'orecchio sente solo lo spirare del vento, se sposta lo sguardo vede solo alberi e cielo.
 
È un ricordo sicuro.
Nessun demone con gli occhi gialli, nessuna manomissione, nessun trucco. Non credeva gli fossero rimasti molto ricordi del genere, e invece.
 
Deve essere autunno appena iniziato: l'erba è alta e giallastra, bruciata dal sole. Gli fa il solletico alle ginocchia, perché su quelle sue gambe corte e magre da bambino indossa solo dei calzoncini di tela. David lancia un'altra occhiata intorno a sé, anche soltanto per vedere dove si è cacciato King, ed è allora che lo vede.

Un altro bambino, sulla riva del torrente.
 
Ptolomy gli ha parlato di questa possibilità.
Gli ha spiegato che le sue capacità cerebrali sono fuori dal comune e che la sua mente, in determinate circostanze di pace assoluta – o al contrario di assoluta concentrazione –, può riuscire a captare onde cerebrali altrui, un po’come una radio che coglie un'interferenza fra due stazioni e trasmette due canzoni differenti contemporaneamente.
Fino a quel momento si è trattato solo di stimoli limitati all'area uditiva – le voci che sente sono i pensieri di estranei chissà quanto distanti – ma in futuro non si possono escludere dei glitch visivi.
Non deve spaventarsi, non c'è niente di strano.
 
In poche parole, ha il cervello tanto fottuto che le sue allucinazioni potrebbero avere allucinazioni, ma davvero non c'è niente di strano.
 
David non è amante delle conversazioni e soprattutto non è certo di voler chiacchierare con un glitch visivo, tuttavia dall'altra riva del torrente il bambino lo saluta con un cenno della mano tanto dolce e disarmante che lui non può fare a meno di ricambiarlo.
 
Anche King deve aver notato l’estraneo, perché gli si avvicina baldanzosamente, saltellando qua e là.
David deve affrettare il passo per stargli dietro, arrancando in quell'erba alta quasi quanto lui.
 
Il bambino sconosciuto ha i capelli ricci e una spruzzata di lentiggini sul naso, tanto chiare che a prima vista David non le aveva notate. Indossa degli abiti tutto sommato normali, se non fosse per il cappello di cartoncino nero su cui ha disegnato un teschio storto e per niente minaccioso.
 Non deve essere la prima volta che incontra qualcuno nelle proprie fantasticherie, perché accoglie David con una stretta di spalle e un sorriso di solidarietà simile a quello che si scambierebbero due bambini prima di un’interrogazione.
 
«Questa voce…» mormora il bambino pirata, non appena l'altro gli si avvicina abbastanza «La senti anche tu? »
 
La sente anche David ed è un sollievo, per una volta, sapere di non essere il solo. Questa voce, a differenza di quelle che ha nella testa, è in qualche modo familiare. Acuta, infantile. Echeggia in lontananza, portata dal vento come il canto di una sirena.
 
Amy.
È rimasta indietro.
 
«È mia sorella» spiega subito David, pur senza voltarsi, in qualche modo sapendo che Amy si stancherà presto di gridare – si stancherà presto di cercarlo – e tornerà a casa.
 
È come se avesse pronunciato una parola magica: il volto del bambino-pirata si illumina di genuino entusiasmo mentre esclama: «Anche io ho una sorella! E un fratello maggiore… ma loro non sanno giocare ai pirati» conclude un po' deluso, dando un calcio ad un sasso.
 
«Io sono David»
 
«William» il bambino esita un istante e poi si corregge,  mordicchiandosi il labbro: «Ma la mia ciurma si rivolge a me come Signor Capitano. Devi chiamarmi anche tu così»
 
«D'accordo»
 
Parlano a lungo, anche se David fa fatica a capire quello che dice, in parte per via del suo accento inglese, in parte perché l'altro bambino continua ad usare espressioni come cazza la randa o molla gli ormeggi, nonostante non sembri esserci nessuna barca. William deve essere un bambino molto fantasioso. Ad un certo punto, si guarda intorno – soffermandosi sul punto dell'orizzonte dove la pianura diventa collina e le betulle sembrano un bagliore argentato in lontananza – e commenta qualcosa come carino il tuo Palazzo, ma David immagina di aver capito male.
 
Costeggiano il fiume, i  cani che procedono trotterellando davanti a loro, senza lasciare impronte. La sabbia deve essere troppo compatta o troppo asciutta ed è l'unico dettaglio che non torna, perché per il resto tutto sembra reale, vero.
È un ricordo così nitido e felice che David ha la sensazione che sia l'unica cosa vera della sua vita. Non sa cosa chi è, né cosa voglia la dottoressa Bird da lui, né cosa abbia ucciso Lenny e non sa nemmeno se riuscirà a svegliarsi, stavolta, o se resterà intrappolato in una fantasia come il poeta beat che ha incontrato nel Piano Astrale - non è sicuro di niente se non che quello in cui sta camminando è il ricordo più felice che ha e che se anche non si svegliasse non gli dispiacerebbe.
 
Adesso il cane ha rallentato l'andatura. Gli cammina a fianco, sincronizzando i propri passi con i suoi.
David gli sfiora la testa con la punta delle dita, mentre un pensiero – una certezza – gli incurva le labbra in un sorriso.
 
C'è sempre stato.
Non ricordo un giorno in cui non era con me.
 
Fino ad ora David ha creduto che l'unica costante della sua vita siano state le voci che abitano la sua testa.
È bello scoprire di essersi sbagliato.
 
Tutto ad un tratto, William gli chiede: «Che razza è?»
 
«Un beagle» risponde subito David, senza neanche bisogno di pensarci. Non ha mai saputo niente di cani, eppure quella parola sembra essergli stata delle labbra tutto il tempo. «Si chiama King»
 
A sentir pronunciare il proprio nome, il cane scodinzola festoso.
William smette di camminare e David ha paura di aver fatto o detto la cosa sbagliata, invece semplicemente l'altro bambino si accovaccia per terra e tende una mano verso King.
David lo sente ridacchiare quando lui gli lecca le dita.
Non lo conosce – non lo conoscerà mai, è solo un glitch visivo – però a vederlo, con quel suo cappello di cartoncino in bilico sulla testa e le stringhe slacciate e gli occhi sereni, sembra un bambino felice.
 
Devono piacergli i cani, perché accarezza King con la naturalezza di un'azione abituale, come se le sue dita fossero fatte per adattarsi alla curva della testa dell’animale e le sue labbra per sussurrare bravo, bravo bello. Resta fermo in quella posizione per qualche minuto, poi finalmente si rialza in piedi, barcollando un po' per via del terreno sassoso.
 
David lo aiuta a reggersi: coloro che abitano sogni e ricordi devono aiutarsi a vicenda, no? Indica King con un cenno della testa e chiede: «E il tuo cane invece? Come si chiama?»
 
«Barbarossa» risponde il bambino, con un sorriso sdentato che riesce comunque ad  illuminargli il viso. Il vento gli scompiglia i capelli neri spazzandoglieli davanti agli occhi mentre aggiunge: «È il mio migliore amico»





 
Angolo dell'autrice

Un saluto a chiunque sia arrivato fin qui - dato che noi pochi fan di Legion dobbiamo restare uniti XD - e una premessa: questo era il mio primo crossover. Di solito li ho sempre evitati perchè già ho paura di sbagliare la caratterizzazione dei personaggi di un fandom, figuriamoci di due! Però l'altra sera, guardando l'ultimo episodio della serie e sentendo Amy dire "Non avevamo un cane" mi è tornato in mente Mycroft, e da lì è nata questa storia.


King e Barbarossa, non devo essere io a dirvelo, non sono cani reali: in un caso sono aspetti della personalità, in un altro traumi rimossi - eppure David e Sherlock continuano a ricordarli come i loro migliori amici, in mancanza di altro.
(se andiamo tutti a piangere in un angolo teniamoci compagnia)

Grazie di aver letto fin qui,
un abbraccione

Itsamess
  
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