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Autore: Echocide    15/03/2017    3 recensioni
Tikki è condannata a un'esistenza immortale e susseguita di morti: è una sirena e il suo unico scopo è dare in pasto delle vite umane al Mare, suo Genitore e Sposo. Ma dopo l'ennesima morte, nel piccolo villaggio in cui si ferma, incontra qualcuno...
Plagg odia il mare che gli ha portato via la sua famiglia e odia anche la nuova arrivata, che odora di salsedine, ma allo stesso tempo non può stargli lontano...
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Plagg, Tikki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.045 (Fidipù)
Note:Buon mercoledì! Ed eccoci qua con un nuovo appuntamento de 'La sirena' (perché è mercoledì, vero?). Bene, bene. In verità non è che ho molto da dire, prima di questo capitolo (sono abituata a Miraculous Heroes, dove di norma faccio discorsi pieni di informazioni randomiche), quindi...beh, che posso dire! Grazie veramente per aver apprezzato il primo capitolo di questa storia che, a conti fatti, è un esperimento che ho voluto provare.
Grazie tantissimo a tutti voi che avete letto, commentato e inserito la storia in una delle liste.
Grazie veramente tanto!



La donna stava piangendo, mentre alcuni volontari tiravano a riva il corpo senza vita del padre: nonostante il rumore delle onde che, incessanti si abbattevano su quella porzione di spiaggia, Plagg poteva sentire le urla strazianti.
Poco prima era corso al locale uno dei pescatori, additando a una barca abbandonata e tutti si erano messi in allarme: non era la prima vittima che il mare reclamava e, chi viveva in paesini come quelli, sapeva benissimo che non sarebbe stata neanche l’ultima.
Andare in mare, molto spesso, era una scommessa.
Ma non in una giornata come quella.
Plagg strinse il pugno, osservando il mare che era leggermente mosso e non così agitato da provocare il ribaltamento di una barca e l’annegamento di un pescatore esperto. Come era possibile che fosse avvenuto ciò?
Un malore forse?
Si appoggiò alla ringhiera, osservando il medico del paese sgambettare lungo il pontile.
Fu era l’unico dottore nel raggio di chilometri, da cui tutti andavano: uomini, donne, bambini, vecchi, animali. L’anziano cinese fungeva per il piccolo porto sia da medico che da veterinario e, com’era solito dire, non è che ci fosse poi così tanta differenza fra uomini e animali: se il cuore smetteva di battere erano morti entrambi.
«Secondo te cosa sarà successo?» domandò Nooroo, poggiando gli avambracci sulla ringhiera vicino a lui e tenendo lo sguardo sulla folla riunita attorno al cadavere: «Avrà avuto un malore?»
«Probabile.» commentò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli scuri e spostando la sua attenzione sulla figura solitaria che, molto distante da tutti, stava osservando la scena: la Rossa, com’era solito chiamarla fra sé, era arrivata poche settimane prima e, da subito, era stata sulle sue, senza parlare con nessuno.
Anche Nooroo era stato vittima di quel muro di silenzio, quando aveva provato ad avvicinarla.
E ogni volta che lei entrava nel locale, unico bar della zona fra l’altro, ci ricascava con tutte le gambe.
Plagg assottigliò lo sguardo, osservandola mentre si stringeva fra le braccia con quel giaccone che era molto più grande del suo corpo: poco prima, al locale, lei si era accorta che la stava fissando.
Di norma non succedeva mai o, comunque, era molto bravo a non farsi notare.
«C’è la tua bella» commentò, indicando con un cenno il punto in cui la Rossa era ferma e osservando lo sguardo di Nooroo calamitarsi in quella direzione, mentre le guance gli diventavano rosse: «Beh, non vai a parlarle?»
«Per cosa? Per vederla fissarmi in silenzio?»
Plagg abbozzò un sorriso, tornando a fissare i lavori per riportare il corpo senza vita, sentendo su di sé lo sguardo dell’amico: «Che c’è?» mormorò, dopo un po’ e infastidito da quell’attenzione non richiesta: «So di essere bello, ma non pensavo di essere il tuo tipo.»
«Stai pensando alla…» Si voltò, fulminando con lo sguardo l’altro e osservandolo mentre chinava lievemente la testa: «Scusa, non volevo.»
«Non importa.» mormorò Plagg, stringendo le mani a pugno e facendo vagare lo sguardo sulla grande distesa d’acqua: odiava il mare e sapeva che era un sentimento reciproco. Quando era piccolo adorava nuotare e stare a mollo nell’acqua: ricordava ancora le prese in giro di sua madre, mentre gli spalmava la protezione solare e lo riprendeva per la pelle scura che aveva.
Sei come tuo padre, ti abbronzi subito. Anche tua sorella è così, mentre io…, questo era solito ripetergli, per poi mostrare le sue braccia pallide come il latte.
Un urlo straziante lo riportò alla realtà, facendogli lasciare la madre nei ricordi, ove era relegata da quando il mare gliel’aveva portata via assieme al padre e alla sorella: osservò la figlia del deceduto notare la Rossa e correre verso di lei: «Ma cosa…?» mormorò, muovendosi velocemente e scendendo sulla spiaggia, osservando la donna prendere un sasso e lanciarlo in direzione della ragazza.
«E’ tutta colpa tua!» urlò quest’ultima, fra i singhiozzi e fermandosi a pochi passi dalla Rossa: «E’ colpa tua se mio padre è morto!» continuò, con le mani strette a pugno, mentre altri la raggiungevano: Plagg si fermò a pochi passi, osservando la ragazza fissare la donna con lo sguardo mortificato e poi farlo vagare sul resto delle persone.
«E perché sarebbe colpa sua?» domandò la voce stanca del dottor Fu, facendosi largo fra la folla e sistemandosi fra la donna e la Rossa: «Ho visto personalmente questa ragazza al bar, proprio durante l’orario in cui tuo padre dovrebbe essere morto. Anche Plagg e Nooroo possono confermare.»
«L’ho vista parlare con lui qualche giorno fa…»
«Tutti hanno parlato con lui, fino a prima che andasse in barca. Siamo tutti colpevoli?»
«E’ una straniera.»
Fu sospirò, annuendo con la testa e sorrise: «Giusto. Dimenticavo quel piccolo particolare che, se sei straniero, sei anche un omicida. Dove avevo la testa quando ho curato quel tipo, che si era tagliato quando gli si è fermata la macchina? Sono sicuro che, a quest’ora, avrà già ucciso delle bambine…»
«Non è divertente, dottore.» dichiarò la donna, fissandolo con il volto rigato dalle lacrime: «Questa…»
«Questa ragazza è innocente. E lo diresti anche tu, se non fossi accecata dal dolore, Marie.» bofonchiò Fu, scuotendo il capo e fissandola con lo sguardo assottigliato: «Tuo padre è morto per un malore e, appena quei bravi sommozzatori la smetteranno di prendere il the e si decideranno a tirar fuori tuo padre dall’acqua, ti dirò anche quale è. Non questa ragazza.» continuò l’anziano, voltandosi verso la Rossa: «Vuoi dire qualcosa, mia cara?»
La ragazza lo fissò un attimo, scuotendo poi la testa e incassandola fra le spalle, facendo un passo indietro e andandosene velocemente sotto gli occhi di tutti: «Lo vede? Lo vede come è strana? E’ arrivata qua da settimane e non parla mai…»
«Ma come? Non avevi detto, proprio poco fa, che ha parlato con tuo padre?» domandò Fu, scuotendo la testa: «Posso comprendere che è il dolore che ti fa parlare, Marie. Piangi tuo padre, ne hai tutto il diritto. Ma non accusare nessun innocente.»
Plagg ridacchiò, osservando la donna tirare su con il naso e fissare il dottore imbarazzata, mentre quest’ultimo aveva spostato l’attenzione proprio sul ragazzo: «Oh. Plagg! Volevo proprio te!» esclamò, avvicinandosi al giovane e guardandolo: «Avrei un lavoretto da darti…»


Chiuse la porta con forza, sobbalzando quando sentì il rumore secco: si voltò, osservando il foglio attaccato ove erano le poche regole del piccolo albergo in cui si era fermata.
Quando la figlia della vittima – della sua vittima – era corsa verso di lei, per un attimo Tikki aveva sperato.
Sperato che sapessero la verità e che l’avrebbero uccisa, permettendole quella libertà che non aveva da viva.
Ma così non era stato…
Certo, la donna l’aveva incolpata ma senza nessuna prova: non aveva mai incontrato l’uomo che aveva ucciso di persona. Lo aveva studiato da lontano, apprendendo la sua vita come faceva con ogni altro obiettivo che il Mare le dava, ma incontri ravvicinati? No, quelli mai.
Eppure la figlia la incolpava e, sebbene il dottore del paese, aveva preso le sue difese, lei sapeva quanto le parole della donna fossero vere: era colpa sua. Era lei che, con il suo canto, aveva spinto l’uomo a suicidarsi, gettandosi nelle acque del Mare.
Era lei che lo aveva ucciso.
Inspirò profondamente, osservando i suoi pochi oggetti sparsi per la stanza e annuì, afferrando il borsone consumato con cui viaggiava e iniziando a riempirlo velocemente: il suo lavoro era concluso lì, non avrebbe avuto senso continuare a rimanere in quel piccolo paese che si affacciava sull’Oceano Atlantico.
Per un po’ il Mare non le avrebbe chiesto altre vittime, quindi poteva viaggiare per i fatti suoi.
Era in Francia, quindi perché non visitare qualche zona di quella nazione?
Gettò la spazzola e una felpa, annuendo alla sua scelta: sebbene vivesse da tanto tempo, si era sempre limitata a rimanere nelle zone vicine al Mare, poiché  come sirena sentiva la mancanza del suo Padre e Sposo non appena si allontanava di qualche chilometro ma, perché non resistere a quella forza che la invocava, spingendosi un po’ nell’entroterra? Vedere qualche città e scendere verso sud, fino a raggiungere Marsiglia.
Se non ricordava male, lì viveva un’altra sirena.
Sì, avrebbe fatto così.
Se ne sarebbe andata e avrebbe viaggiato.
Non sarebbe rimasta un secondo di…
Un leggero bussare alla porta della sua stanza la interruppe: si voltò verso l’unica entrata alla camera e rimase in allerta, quando un secondo lieve toc toc la sospinse verso la porta: «So che sei lì dentro, Rossa.» dichiarò una divertita voce maschile: «Ti ho seguita dalla spiaggia, sai?»
Tikki inspirò profondamente, poggiando una mano sulla maniglia e sentendo il metallo freddo contro il palmo; respirò nuovamente e aprì la porta, osservando la figura ferma dall’altra parte: la pelle inscurita dal sole, i capelli mori leggermente lunghi e lo sguardo verde dal taglio felino.
Conosceva fin troppo bene la persona dall’altra parte, anche se non aveva mai avuto nessun contatto con lui.
Ma Plagg era famoso in tutto il paese.
Conosciuto per il suo odio verso il Mare, che gli aveva portato via la famiglia; per il suo aspetto fra le ragazze, che sospiravano ogni volta che lui entrava da qualche parte; e, soprattutto, lo conosceva per quella sensazione di pericolo e allerta che lui le metteva addosso.
Lo osservò guardare l’interno della stanza, mentre lo sguardo si posava sul borsone sul letto: «Te ne stai andando da qualche parte, sirenetta?» le domandò, storcendo il naso e facendo qualche passo indietro, come se la vicinanza con lei non gli piacesse. Tikki sgranò gli occhi a quell’appellativo, aprendo la bocca e richiudendola, portandosi poi le mani alla gola: «Non hai mai visto il film della Disney? La protagonista almeno?»
Tikki l’osservò, mentre lui si poggiava contro il muro parallelo a quello della porta e incrociava le braccia, inclinando la testa: «Rossa. Occhi azzurri. Non parla…Avevo pensato fosse carino come soprannome.»
Non sapeva chi era lei.
Era solo uno stupido soprannome.
Lasciò andare il respiro che aveva trattenuto, inclinando la testa e rimanendo in attesa: che continuasse pure con il suo sproloquio, lo avrebbe messo al suo posto come ogni altro essere maschile a quel mondo; alzò la testa, osservandolo mentre, comodamente poggiato contro il muro, ricambiava il suo sguardo con un sorriso tranquillo sulle labbra.
«Posso stare qui per tutto il tempo che voglio, ti avviso.» la informò, dopo una buona manciata di minuti e notando i segni di irrequietezza di Tikki: «Sono una persona molto, molto, molto paziente. Io.»
Tikki sbuffò, rientrando nella camera e afferrando il bloc notes e la penna che, lo staff dell’ albergo, aveva lasciato nella camera insieme ai campioncini di bagnoschiuma e shampoo e ad altri piccoli gadget che dovevano renderle confortevole il soggiorno.
Cosa vuoi?, scrisse sulla prima pagina e la mostrò a lui.
Plagg lesse le due parole, spostando poi l’attenzione sulla ragazza: «Non parli?» le domandò, ricevendo in cambio uno scuotimento del capo come segno di negazione: «Nel senso che non parli parli o non vuoi parlare con me?»
Non posso parlare, scrisse Tikki sul foglio, sotto il primo messaggio: ho un problema.
Plagg annuì, leggendo le nuove frasi e prendendosi un po’ di tempo: «Ok. Ecco svelato il mistero del tuo mutismo, allora.»
Cosa vuoi?
«Cosa vorrei? Mh. Dormire, ecco. Ma quel maledetto di Fu mi ha nominato tua guardia del corpo e quindi…» si fermò, allargando le braccia: «Tadan! Eccomi qua.»
Guardia del corpo?
«Sì, crede che la figlia di Gustav farà qualcosa contro di te e…tu sai di chi parlo, vero? La tipa che…»
Sì, lo so.
Plagg annuì, scostandosi dal muro ma rimanendo sempre distante da lei: «Bene. Ottimo.» si fermò, passandosi una mano fra i capelli scuri e giocherellando con la fascia nera e verde, che portava legata attorno al capo: «Non devo spiegarti più di tanto allora: sarò la tua ombra, almeno finché quella donna non si sarà calmata o tu te ne sarai andata, sirenetta.» dichiarò, entrando nella stanza e lasciandosi andare sul letto: «Ah, ti sconsiglio di farlo ora: saresti sospetta ed io non prenderei un soldo. Grazie.»
Tikki l’osservò, mentre chiudeva gli occhi e si rilassava nel suo letto: aprì la bocca, richiudendola e pestando stizzita un piede a terra.
Maledizione.
Non poteva parlare, altrimenti avrebbe dichiarato morte certa per quel tipo.
Ma la voglia di dirgliene tante era veramente enorme.

   
 
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