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Autore: Afaneia    15/03/2017    2 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Capitolo VIII – Come l'irruzione di un'alba.


A partire da quel giorno, e per tutti i giorni a venire, Max sente di aver ingaggiato una titanica lotta contro il tempo.

Ogni giorno, quando torna a casa, Ivan gli parla di Aima, e non sempre o non necessariamente con la voce. Le notizie peggiori Max le intuisce proprio quando Ivan è troppo stanco, troppo disperato per parlare... e allora, Max non chiede niente. In questi casi, quando il suo compagno torna a casa esausto, cogli occhi troppo pieni di qualcosa d'inesprimibile, Max deve esercitare su se stesso uno sforzo di volontà ancora più intenso del normale per obbligarsi a staccare dai suoi libri, a un orario decente, e a infilarsi sotto le coperte con lui. Ivan non chiede niente, non dice niente, eppure Max sa ch'egli ha un disperato bisogno della sua presenza.

E sarebbe poi capace di spiegare ad alta voce, se qualcuno glielo chiedesse, che cosa spera di ottenere, con queste notti insonni trascorse sui libri e le sue competenze che si accrescono e sempre di più affollano e colmano la sua mente, ma che sono destinate a rimanere lì – nella sua mente – sterili e inservibili e totalmente insignificanti? Aima sta morendo, e se anche poi non fosse? Forse che ci sarebbe qualcosa, qualsiasi cosa ch'egli potrebbe fare per salvare la sua vita? Max non è un medico, non è niente di niente, impotente come il più miserabile studente del primo anno di Medicina, e la sua impotenza lo fa sentire ignobile e furente come se si sfiancasse urlando contro una marea di onde che lo affondano!

È possibile che non ci sia nulla, che non esista nulla, che tutto il suo impegno e la sua rabbia siano destinati a rimanere insignificanti come atti non compiuti?

E poi, proprio quando la lotta pare sopraffarlo, come un nemico invisibile e troppo potente, una sera in cui Ivan è tornato a casa tanto desolato e furioso col mondo e con se stesso e con l'universo intero da non riuscire neppure a guardarlo negli occhi, è stata la sua impotenza a parlare per lui. A un tratto Max si è accorto di essere seduto a un tavolo da ore, a rileggere e sottolineare in continuazione gli stessi libri, sprecando le sue forze e il suo tempo proprio come se cercasse di abbattere un muro con le sue mani nude. Sta sbagliando tutto. Nulla di quanto potrà mai leggere in quei libri potrà mai salvare Aima, semplicemente perché, se questo è il massimo che la scienza può offrire allo stato attuale delle cose, non è sufficiente, e non c'è niente che né lui né nessun'altro possano fare. Ai miracoli, dopo averne cercato per anni uno che per poco non ha distrutto Hoenn, Max ha ormai smesso di credere da un po', e la scienza, ch'è stata sempre l'altro fondamentale caposaldo della sua vita (e anche quello che, alla fine dei giochi, si è rivelato il più sicuro), non è sufficiente a salvarla. Non ancora, quantomeno.

E improvvisamente Max capisce che quel non ancora è tutto quello a cui può aggrapparsi. Nella morte di Aima, che è ormai una certezza assoluta che si staglia davanti a lui coll'imponenza dell'ineluttabile, Max si accorge finalmente che quella è l'unica via percorribile, e scoprirla è una liberazione, come l'irruzione di un'alba attraverso una coltre di nubi. È la chiave di tutto, finalmente, e una volta che l'ha trovata, questi libri gli diventano completamente inutili, per il momento.


«Ti vedo in forma» commenta Max a mo' di saluto, sinceramente sorpreso.

Al suo complimento è alquanto evidente che non farà seguito alcuna risposta, ma per la verità Max si ritiene già abbastanza fortunato per il fatto che Ottavio abbia deciso di presentarsi all'appuntamento. Convincerlo a venire a incontrarlo in questo bar di Ciclamipoli è stato di per sé un mezzo miracolo, e in quanto al resto egli non ha proprio idea di come farà a persuaderlo ad ascoltarlo per più di cinque minuti, per non dire a collaborare con lui. Con ogni probabilità, Max non riuscirà a ottenere da lui che un secco no, ma doveva almeno tentare. Ottavio ha collaborato con lui a partire dal suo primo progetto sulle rocce effusive al suo primo anno di Geologia, e l'idea d'intraprendere un progetto senza di lui, semplicemente, gli era impensabile. Certo, Max sa di dover riscrivere parecchie cose della sua vita, ma non vede per quale motivo cancellare proprio le migliori: e Ottavio, pur con tutti i suoi evidenti difetti, è stato comunque una delle persone più importanti del suo passato. Almeno questo, Max glielo deve.

Le apparenze sono fatte per ingannare, ma qualcosa nell'aspetto del suo antico collaboratore gli dice che Ottavio, quel tormento di rancore e di rimorso che Max conosce anche troppo bene, lo ha già superato. Non era lui a portarsi dietro la responsabilità morale più grossa per quello che hanno fatto, dopotutto – Ottavio ha cercato di fermarlo! La sua coscienza, per quel tanto che un tardivo tentativo di fare la cosa giusta può bastare a cancellare tutti gli anni che hanno trascorso inseguendo il medesimo obiettivo, è pulita. Anche se non immediatamente come Ivan, Ottavio ha cercato d'impedirgli di distruggere Hoenn. Quello che è successo dopo, dal momento che Max si è rifiutato di prestargli ascolto, non è stata colpa sua.

Ottavio si siede rabbiosamente davanti a lui, alla prudente distanza del tavolo che li separa, e lo guarda. Forse non è arrabbiato tanto con lui per averlo convinto a incontrarlo, quanto con se stesso per avergli dato retta, per l'ennesima volta.

Per la sua rabbia e per il suo rancore, Max nutre il massimo rispetto.

«Buongiorno, Ottavio» riprende lentamente, ma con decisione. Sa già che, con ogni probabilità, Ottavio gli dirà comunque di no, ma ormai la sua strada è già tracciata e un suo eventuale rifiuto non potrà in alcun modo fargliela perdere di vista. Questo percorso, quali che possano essere le difficoltà. Max ha intenzione di compierlo tutto sino alla fine, senza allontanarsene mai, alla stregua di chi segua l'inestinguibile corso di un fiume, che prosegua la sua via verso il mare anche dopo aver percorso un breve tratto sotto terra. «Ti ringrazio di essere venuto.»

«Veniamo al dunque, Max» ringhia Ottavio. «Hai detto di avere bisogno di me, quindi va bene, sono venuto qui a sentire quale nuova stronzata avevi in mente. Ti confesso che sono curioso. Vuoi archeorisvegliare qualcun'altro, prima di pranzo?»

Max incassa il suo sarcasmo a testa alta, senza replicare. Se lo merita. Non gli viene in mente neppure per un momento che potrebbe fargli notare, in modo più o meno velato, che quel piano folle lo ha concepito lui, d'accordo, ma che Ottavio lo ha aiutato per anni, prima di cambiare idea e di tirarsi indietro a un minuto dalla fine. Non ne vale la pena. Questo gioco delle responsabilità e delle colpe non ha più alcuna ragion d'essere, e tutto ciò che gli viene in mente di replicare, ora come ora, è: «Mi dispiace, Ottavio.»

Con l'aria di qualcuno che fosse già in proncinto di lanciarsi in una lunga tirata alla sua volta, e che inaspettatamente sia costretto a rimangiarsela prima ancora di averla cominciata, Ottavio spalanca gli occhi, annaspa un po' e domanda: «Che cosa?»

«Mi dispiace» ripete Max con calma, senza timore di scandire bene le sillabe. Lo guarda negli occhi, serenamente e a lungo come forse non ha fatto per anni, e per una volta è contento di riuscire ad ammettere così, in modo spontaneo e del tutto indipendente dalle circostanze che lo circondano, di aver inseguito un miraggio per quasi vent'anni. Gli ci è voluto un po' (beh, quasi un anno), ma ora finalmente può offrire al suo migliore amico delle scuse sincere dal profondo del suo pentimento e della sua accettazione. Solleva le mani per impedirgli di parlare, per il momento. «Mi dispiace, Ottavio... per davvero, questa volta. Per tutto. Per averti convinto a perseguire quel piano e per aver creduto che intendessi tradirmi. E anche per aver sciolto il Team quando le cose si sono fatte difficili.» Quando anche i loro occhi erano divenuti insopportabili per la sua coscienza rimordente, quando le loro bocche e le loro fronti stanche, deluse, tutto, tutto di loro gli era parso urlare e accusarlo, a ogni singolo incrocio di sguardi, di averli ingannati tutti e trascinati con sé nell'abisso del suo errore di valutazione.

Ma l'onestà delle sue scuse a Ottavio non basta. Chinandosi in avanti sul tavolo per non cedergli altra via di fuga, lo incalza: «E per Rossella. Non è vero?»

Ripensare a Rossella gli fa ogni volta più male. Rossella è stata il suo grande errore, l'erede e continuatrice del suo sogno di progresso e di distruzione, e ora Max sa di averla odiata proprio per questo: per avergli mostrato, nel modo più efficace possibile, con la violenza delle sue azioni, quale uomo egli era e sarebbe ancora, e quali aberrazioni sarebbe stato in grado di compiere, se solo gliene si fosse offerta l'occasione...

Max ha odiato Rossella per la semplice colpa di essere identica a lui, e proprio per questo motivo l'ha allontanata, alla fine. Ora che l'ha capito, che si è finalmente reso conto di cosa quella ragazza disturbata abbia significato per lui, a distanza di quasi un anno, egli è finalmente in grado di perdonarla... ma proprio per fare ciò, per poterla finalmente comprendere e perdonare, quest'anno gli era necessario quanto una boccata d'aria dopo ore di apnea: Max ha potuto perdonarla per aver compiuto i suoi stessi errori solo dopo aver perdonato se stesso per averli commessi per primo.

«E per Rossella» conferma a bassa voce. Esita un poco, e poi: «Hai avuto notizie di lei?»

Che sia per l'onestà che gli ha letto negli occhi, o per il semplice fatto di avergli sentito pronunciare il nome di Rossella per la prima volta dopo mesi, Ottavio appare più rilassato, ma si passa egualmente una mano sugli occhi. Il pensiero di Rossella estenua anche lui, evidentemente.

«Credo che sia tornata a casa, dai suoi genitori, ma non ha voluto che l'accompagnassi. Posso solo sperare che sia rimasta con loro» ammette tristemente. «Alle mie chiamate non ha mai risposto. Credo che stia cercando di cancellarci, sai.»

In risposta alle sue considerazioni, Max si limita ad annuire in silenzio. È giusto così, si dice pensierosamente. Rossella è malata e ha bisogno di un aiuto che in questo momento né lui, né Ottavio, né nessun'altro è in grado di darle: Max ha conosciuto i suoi genitori, tanti anni fa, ed è certo che essi fossero e siano tuttora in grado di aiutarla meglio di chiunque altro... ma ora che Ottavio gliel'ha detto, sa che non smetterà di pensarci e di domandarsi se tutto vada bene, e chissà, forse troverà anche la forza per cercare di ricontattarla, in futuro.

«E tu, invece?» chiese a bassa voce.

Ottavio si stringe nelle spalle come se quella domanda, per lui, fosse irrilevante. Quest'uomo è sempre stato dannatamente pieno delle risorse e degli appigli più insospettabili, e Max non dubita neppure per un momento della risposta che gli sta per dare. «Ho ripreso a lavorare per la Devon. Credo di essere rimasto simpatico al Campione, sai, Rocco. Mi ha aiutato lui a riottenere il posto.»

«Sono contento per te» risponde Max, e lo è davvero. È sempre stato praticamente certo che Ottavio avesse avuto fortuna in qualche altro modo, e non è venuto a offrirgli questo nuovo progetto perché pensava che ne avesse bisogno.

In tutto questo, comunque, non gli era venuto in mente che Ottavio avesse potuto tenersi impegnato anche su di lui.

«Quanto a te, so che vivi con Ivan, adesso. Era l'ora» constata Ottavio in tono molto divertito, come se per tutta la conversazione non avesse atteso altro che poter parlare di questo. Max aggrotta la fronte in un moto di perplessità. «E tu come lo sai?»

«Oh, andiamo, Max. viviamo in un presente meravigliosamente aperto alla libera circolazione delle notizie, e le voci girano» riprende Ottavio. «E comunque, ho conosciuto un'ex recluta del Team Idro, una di quelle che hanno lasciato Ivan. Cercava lavoro a Ferrugipoli, ma non so se abbia avuto fortuna, poi... se fossi stato in lui, non mi sarei allontanato così tanto dal mare, a dire il vero. E chiunque abbia piantato Ivan senza avere una valida alternativa è stato stupido, te lo dico io, ma che vuoi farci... erano un branco di ragazzini che avevano solo voglia di litigare con i nostri, era ovvio che avrebbero lasciato perdere tutto quando avrebbero dovuto scontrarsi soltanto con l'inquinamento dei mari e rimboccarsi bene le maniche, senza troppi ideali e sfide di mezzo. Ma gli saranno rimasti i suoi fedelissimi, no? E poi ho sentito che stanno lavorando molto in questo periodo, è vero?»

Quello di cui Ottavio, ormai lanciato nel suo interminabile monologo, non sembra essersi accorto, è che Max ha smesso di ascoltarlo praticamente subito, anche perché il destino di qualche anonimo ex- accolito di Ivan, per la verità, gli interessa ben poco. Non si aspettava affatto che Ottavio sapesse già della loro convivenza.

«Suppongo che tu sappia già anche della bambina, quindi» dice pensierosamente.

Per la prima volta dall'inizio della loro conversazione, Max ha la soddisfazione di vedere Ottavio veramente sconvolto.

«La cosa?» esclama stupefatto, appoggiandosi al tavolo con ambo le mani e gli occhi spalancati per lo stupore. Cerca invano di riprendersi e di riacquistare un contegno, ma subito dopo, lasciando perdere una partita persa in partenza, prosegue: «Ma, Max... tu non hai mai sopportato i bambini! Vuoi dirmi che ne avete adottata una?»

Almeno questo non lo sapeva. Non che Max intendesse tenere nascosto niente, beninteso – andiamo, anche volendolo, non avrebbe più l'età per una relazione clandestina – ma gli fa piacere aver assunto una più precisa percezione di quanto della sua vita sia già noto ad altri.

«Niente di così complicato, Ottavio» si affretta a spiegargli. «È la figlia di Ivan, l'ha avuta prima che... beh, insomma. Non vive neppure stabilmente con noi.» Non ancora, quantomeno, pensa con una stretta allo stomaco.

Se il suo tentativo era quello di tranquillizzarlo, Max ha fallito alla grande. Ottavio ha l'aria di uno che potrebbe avere un infarto da un momeno all'altro.

«Ivan ha una figlia? E da quando? E tu lo sapevi?»

«Certo che non lo sapevo, Ottavio!» protesta Max, sentendosi quasi offeso da tale mancanza di fiducia. «L'ho saputo pochi mesi fa, dopo che abbiamo cominciato a vivere insieme. E ti prego, risparmiami le tue considerazioni in merito alle insospettabili capacità di segretezza di Ivan» soggiunge. Ottavio, che stava già preparandosi a interromperlo per obiettare ancora, chiude immediatamente la bocca. «Qualunque riflessione tu possa esprimere, l'ho già pensata mesi fa. Ivan ha eluso ogni nostro tentativo di spionaggio e l'ha tenuto nascosto anche al suo stesso Team, informando solo il suo stato maggiore. Non c'era modo per noi di scoprirlo, se gli unici a saperlo erano Ada e Alan.»

«A dire il vero, ero solo sorpreso che a te stesse bene così» risponde Ottavio cautamente, dopo qualche istante di silenzio.

Max lo scruta a lungo senza capire. «Che mi stia bene cosa?»

«Beh, il tuo uomo ha avuto una figlia da un'altra donna.» Ottavio sembra quasi far fatica ad articolare una frase compiuta, come se temesse, spingendosi troppo in là, di offenderlo. «Insomma... a me farebbe impazzire, penso. È da anni che va avanti tra voi due.»

«È successo più di otto anni fa, Ottavio» risponde Max con calma. È la prima volta che ha modo di parlare con qualcuno di quest'argomento, ed è stupefacente che la cosa non lo metta minimamente in imbarazzo e che egli sia in grado di ripetere così, ad alta voce e con la massima tranquillità, le stesse riflessioni che ha concepito nella sua mente ormai sei mesi prima. Questa è la verità, dopotutto: non ha accettato Hyra per compiacere Ivan, ma perché credeva sinceramente che fosse la cosa giusta da fare, e le legittime osservazioni di Ottavio non mettono minimamente in crisi la sua convinzione. «Non stavamo neppure insieme all'epoca. Non ho mai minimamente creduto di avere l'esclusiva su di lui, fino a dopo Groudon. E poi, beh... ti dirò che sua figlia Hyra è sorprendentemente intelligente. Non è poi male come pensavo, con i bambini.»

«Oh» risponde Ottavio, stranamente colpito. Se ne rimane in silenzio per un po'.

«Va bene, allora» conclude finalmente, dopo un po', appoggiandosi alla sedia, con aria seria e concentrata e aperta al dialogo. «Dopo tanti anni direi che possiamo mettere da parte i convenevoli, no? Ora dimmi perché hai voluto incontrarmi.»

Max tamburella per un po' con le dita sul tavolino, cercando dentro di sé le parole per cominciare il discorso. Ma un modo giusto per dirlo non esiste, ormai lo sa anche troppo bene, perciò, con un sospiro profondo, finisce per lasciar perdere.

«La madre di Hyra sta morendo. Ha un melanoma. Hanno provato a operarla, ma le metastasi sono troppo estese, perciò... non c'è niente da fare.»

«Oh» balbetta Ottavio solamente. È senza fiato, e forse un po' confuso. «Accidenti, Max, io... mi dispiace. Ivan sarà distrutto.»

«Lo definirei... incazzato.» Non esiste un momento migliore per avanzare la sua proposta, ormai. «Senti, Ottavio... quanto ne sai tu della tecnologia usata nella rimozione delle cellule cancerogene?»

«La che cosa?» Ma è evidente che Ottavio ha capito benissimo, e ha solo bisogno di un attimo di pausa per fare mente locale. «Cielo, Max... che razza di domanda! Bisognerebbe che mi documentassi almeno un po'! Ma Max, ascolta... se i medici dicono che non c'è più nulla da fare, dubito molto che io...»

«Non è per sua madre, Ottavio» lo interrompe gentilmente Max. «Non lo è più, ormai. Lei mi ha solo... aperto gli occhi su quello che voglio fare della mia vita, d'ora in poi.»

Gli ci è voluto un po' di tempo a lasciar andare Aima nella sua mente, e ad ammettere a se stesso, con la massima e più dolorosa sincerità possibile, che non è e non sarà mai in grado di salvarla. Che è troppo tardi, troppo tardi per chiunque, a parte forse per un miracolo, e che continuare a sfiancarsi a cercare una soluzione era inutile e controproducente, come ostinarsi a fissare l'orizzonte con un cannocchiale troppo piccolo per poterlo vedere interamente.

Seduto di fronte a lui, in questo locale così luminoso e vitale in questa Ciclamipoli accarezzata dal giorno, Max ha modo di osservare con tutta calma la consapevolezza prendere forma negli occhi di Ottavio.

«È questo che volevi propormi, quindi?»

«È questo» conferma Max con calma. «Non ho ancora ben chiaro tutto, ovviamente, ma ora so che è questo che voglio fare nella vita, Ottavio. Aiutare le persone, ma in un modo migliore. Ora so che è quello che hai cercato di mostrarmi quel giorno, di fronte alla Grotta dei Tempi, quando io non sono stato in grado di ascoltarti fino in fondo. Mi piacerebbe cambiare di nuovo il mondo al tuo fianco, se sei d'accordo.»

«Max, io... non so cosa dire.» Ottavio è spiazzato, preso alla sprovvista tanto da non sapere neppure dove guardare. «Lo sai, vero, che non è proprio una cosa che si fa dalla sera alla mattina? Non è come risvegliare un leggendario e puff!, qualche milione di ettari di terra coltivabile in più. Si tratta di studiare anni e anni per ottenere un miglioramento di ordine infinitesimale nelle tecniche già esistenti. Insomma, sei proprio certo...»

«Lo sono, Ottavio.»

I miracoli non esistono, l'umanità non può essere salvata in un giorno. Max ha cercato di opporsi a questa verità per tutta la vita, scontrandovisi di petto come contro un muro, e dopo vent'anni la sua resa è ormai completa e incondizionata. Ha fallito, e a distanza di quasi vent'anni dal giorno in cui per la prima volta egli ha concepito il suo folle piano, finalmente Max si è reso conto di quanto tempo abbia sprecato a inseguire una chimera e a rischiare di rovinare tutto per voler ottenere troppo in un colpo solo.

Non può salvare il mondo da solo, ma può fare qualcosa, e forse un giorno questo infinitesimale qualcosa potrà salvare una vita. Questa è forse la massima speranza che può permettersi di coltivare, e veramente, va bene così. Ha sbagliato per tutta la vita, ma per fortuna, ringraziando il cielo, ha aperto gli occhi prima che fosse troppo tardi, e ora è ancora in tempo per rimediare e fare la cosa giusta.

«Allora ci penserò, Max» afferma Ottavio, solo un po' più convinto e meno esitante di prima. «Dopotutto, sai... non è che alla Devon il lavoro sia così interessante. E poi non era male lavorare con te, quando non c'erano di mezzo leggendari di novecentocinquanta chili.»

Per oggi, Max ritiene che sia più corretto non mettere in chiaro proprio tutto. Rimane sottaciuto, per esempio, il fatto che non ha più alcuna intenzione di avere sottoposti di alcun tipo, e che da oggi non vuole altro che soci alla pari. Non vuole lusingare il suo orgoglio. Se Ottavio accetterà, Max vorrà soltanto la sua convinta partecipazione, e basta.

«Grazie, Ottavio. Confesso che non mi aspettavo che avresti preso in considerazione la mia proposta.»

Ottavio fa un cenno noncurante con la mano, quasi a scacciare un'idea molesta che non possa che disturbare la conversazione.

«Ci conosciamo da tanto, Max. Lascia perdere i ringraziamenti. In fin dei conti, sai... potrebbe darsi che anche io abbia qualcosa da farmi perdonare dal mondo.»

Fa piacere ritrovarsi con un vecchio amico, dopo tanto tempo. Per la prima volta da quando tutto questo è cominciato, Max ha come la sensazione di essere ringiovanito di dieci anni.




Buonasera a tutti!

Nuovo capitolo di svolta, direi ormai decisiva e conclamata, e purtroppo ancora più radicale che nel capitolo precedente. So che forse Max ha preso una “decisione” che non tutti si aspettavano, ma (anche se a malincuore) ritengo che questa presa di coscienza fosse fondamentale nel suo percorso di redenzione, se così vogliamo chiamarlo: i miracoli non esistono, ed esigerne uno dall'universo non può portare che danni.

Mi viene quasi da dire che Ottavio sia entrato da solo nella storia, perché non mi ricordo affatto di aver mai deciso di inserirvelo. Mi è piaciuto rappresentarlo come una persona un po' logorroica, che ha bisogno di dire tutto quello che pensa, subito, di qualsiasi argomento, e anche come qualcuno che abbia sempre una soluzione in tasca e sappia sempre come reinventarsi. Nel videogioco mi dava un po' questa sensazione, anche per il fatto che (potrei ricordare male, qualcuno mi corregga se sbaglio) viene specificato che al Team Magma sono molto utili le sue conoscenze acquisite durante il lavoro alla Devon.

Penso di aver detto tutto quello che dovevo riguardo a questo capitolo: come al solito, i miei più caldi ringraziamenti a cristal_93 e a Persej Combe per le loro recensioni al precedente, e in generale a chiunque sia arrivato a leggere sin qui!

Alla prossima

Afaneia

   
 
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