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Autore: thewise    16/03/2017    0 recensioni
Ahsoka Tano è una giovane togruta di diciott'anni, è lontana dal suo pianeta d'origine, lontana da quella che ha sempre considerato la sua famiglia, lontano da tutti e lontana da tutto. La guerra giunge al termine ed ogni cosa sembra apparentemente riprendere il suo corso, anche se non nel modo sperato: la Repubblica cade, sorge l'Impero. Ahsoka Tano è lontana, non sa più chi è, chi è stata e cosa diventerà. Ma c'è una cosa di cui Ahsoka è certa, una cosa che sicuramente sa di non essere: un Jedi.
( INCOMPLETA )
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Anakin Skywalker/Darth Vader, Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 05.

Seeds of the Dark Side


" does this darkness have a name?
Is it your name? "

two years ago

« Volevi vedermi? »
Ahsoka comparve agilmente al fianco di Anakin, che scoprì essere impegnato in una conversazione apparentemente importante e formale con il Maestro Windu.
La togruta prese un respiro profondo, schiarendosi la voce per mascherare il suo entusiasmo eccessivo di fronte ai Jedi. « Ho terminato di decifrare la trasmissione che mi hai chiesto, Maestro. E ultimato le riparazioni con l'aiuto di R2, dovrebbe essere tutto più che funzionante. »
Anakin le rivolse un cenno con il capo e un'occhiata eloquente. Windu parlò per primo, lo anticipò, scrutando l'apprendista con tipico distacco. « Molto bene. Skywalker, raggiungici all’hangar. Partiamo tra un'ora. »
Ahsoka osservò Mace Windu dirigersi lungo il corridoio, puntando verso l'uscita del Tempio. Guardò il suo Maestro di sottecchi, unendo le mani avanti a sé. La sua immaginazione aveva vagato in lungo e in largo non appena ricevuta la sua chiamata, aveva sete d'azione, d'avventura, magari di poter salvare qualche altro pianeta dalle invasioni Separatiste o infiltrarsi in un altro pericoloso luogo brulicante di droidi distruttori.
« Allora, dove andiamo stavolta? », riprese, alzando di nuovo il livello della voce e del proprio entusiasmo. Windu non era più presente per rimproverarla con uno sguardo ben piazzato. « Sai, quella trasmissione che mi hai assegnato ha fatto insorgere qualche teoria e sono sicurissima che... »
« Pensavo, Ahsoka... »
« Potrebbe trattarsi di una richiesta d'aiuto! Dopotutto non è la prima volta che ne riceviamo, il fatto che sia così criptata e in un'altra lingua... »
« Oggi potresti impiegare le tue energie in Archivio, ho sentito che c'è molto lavoro da fare con i tempi che corrono. »
« ... è un chiaro segnale di qualcosa di losco! Forse qualcuno voleva mascherare le informazioni per fa sì che – aspetta, cosa?! », s'interruppe Ahsoka, accigliata e disgustata da ciò che aveva solo in parte udito. Sì, perché non era possibile che il suo Maestro le avesse davvero proposto di rimanere al Tempio, lontano dal pericolo, sommersa dalla quiete e dal peso della conoscenza dall'alba dei tempi. Doveva per forza aver frainteso...
Anakin incrociò le braccia al petto, per tutta risposta. Aveva una strana espressione compiaciuta, soddisfatta, il genere di sguardo che di solito gli riservava Ahsoka e che, molto probabilmente, aveva appreso proprio da lui. Un brutto segno, comunque.
« Hai capito benissimo, furbetta. Io e il Maestro Windu abbiamo una questione da risolvere, tu potresti approfittare di questo tempo libero per ampliare i tuoi orizzonti. Sai... », liberò una mano per gesticolare, lasciandola poi in sospeso.
« No, non lo so », ribatté Ahsoka, come se avesse appena visto una creatura orripilante. « Io vengo con voi. »
« Assolutamente no. »
« Invece sì, vengo! »
« E' fuori discussione. »
Ahsoka sbuffò, scrollando dalle spalle la tipica sensazione d'impotenza che provava ogni qualvolta il suo Maestro tentasse di escluderla. Non importava che le motivazioni di Anakin fossero le più nobili, quali l'iperprotettività e l'incontrollata preoccupazione, no: Ahsoka le considerava ugualmente una piaga, qualcosa di terribile, che aveva iniziato ad abbattersi sul suo spirito un po’ troppo spesso. E non capiva come mai, in fondo.
Avevano combattuto molte battaglie, entrambi rischiavano la vita ad ogni passo, ad ogni incursione e dovevano convivere con la certezza di non avere un terreno stabile sotto i piedi durante quella guerra brutale. Era così per tutti, Jedi o no, politici e cittadini, perché il conflitto non aveva pietà per nessuno. Nessuno veniva risparmiato, nessuno. Ahsoka non riusciva a comprendere i celati timori di Anakin, emersi all’improvviso.
« Se non fosse stato per me, il tuo piano geniale alla Cittadella non sarebbe mai riuscito! Hai bisogno di me, Maestro. »
« Continua pure. Ricordami le ragioni per cui ero così arrabbiato quando hai ignorato i miei ordini e ti sei fatta ibernare nella grafite », commentò Anakin pieno di sarcasmo, un sopracciglio che saettò pericolosamente verso l'alto.
« Ma ti ho salvato. Vi ho salvati. Io so che tu sai che vi ho salvati. »
« Può darsi », rispose fingendosi perplesso a riguardo, « ora che mi ci fai pensare... è esattamente per questo che ho deciso di premiarti. So che ti piace particolarmente l'Archivio Jedi e sarei un Maestro davvero senza cuore a negarti questa opportunità. »
Ahsoka rimase a fissare Anakin stranita, incapace di comprendere fino in fondo. « Che cosa?! », strillò dopo un paio di secondi silenziosi, incurante del fatto che vi fossero altre persone lì attorno.
Dunque era così: Anakin il maturo voleva davvero intraprendere la strada della vendetta. Non c’era dubbio che Ahsoka avrebbe ricambiato alla prima occasione, garantito.
« Sì. Ho organizzato un programma davvero molto interessante e per assicurarmi che tu non ne perda nemmeno un pezzettino ho chiesto a Jocasta di guidarti in ogni tuo passo. »
Gli occhi chiari di Anakin guizzarono sopra le spalle di Ahsoka, che si voltò subito alla ricerca del punto indicato dal Maestro. Jocasta attendeva pacata sulla soglia alla fine del corridoio, sorrise gentilmente e fece un cenno con la mano in saluto.
La giovane togruta abbozzò un sorriso talmente fasullo da far quasi ridere anche il Maestro, che si limitò a rispondere con un gesto composto a Jocasta. « Sento che ti divertirai un mondo, furbetta. »
« Non puoi farmi davvero questo », pronunciò a denti stretti Ahsoka, alternando le parole ad una risata particolarmente nervosa. Come lo era lei, del resto.
« L'ho appena fatto. Non spassartela troppo in mia assenza! »
Anakin s'incamminò, un'espressione fastidiosamente appagata sul volto. Ahsoka lo seguì con lo sguardo, si volse del tutto per non perderlo di vista neppure un istante. Era accigliata e sdegnata in modo buffo; cercò di balbettare qualche suono indistinto, di richiamarlo, di opporre resistenza a quel trattamento scorretto. La mano sinistra di Anakin si sollevò a salutarla.
« Ma – Maestro! Questo non è – giusto. Ah! Skycoso! »
Rinunciò all'impresa non appena la figura alta e scura scomparve, lasciando al centro dell'attenzione solo la gentile Jocasta. Non era di certo la prima volta che veniva assegnata al settore della conoscenza, come supporto o in funzione di aiuto esterno al fine di aggiornare gli altri Jedi, ma rimanere al Tempio sapendo che oltre quelle mura i Maestri erano impegnati sul campo era insopportabile. Inoltre con una Jedi alle costole, a controllarla assiduamente più che guidarla, era impossibile oltrepassare l'autorità di Anakin e chiedere ad un altro Maestro di partecipare alla missione ( soprattutto se si trattava di Windu ).
A quel punto era più che chiaro cosa fosse, per Ahsoka: un complotto, un complotto bell'e buono. Già prefigurava la sua presenza a tutte le azioni successive, con o senza consenso. Anakin non poteva davvero pensare di tenerla lontano da ogni cosa, d’incastrarla e chiuderla in quella sorta di gabbia d'argento per evitare di correre rischi, parte inalienabile della vita di un Jedi e ancor di più del suo apprendimento.
« Non lo sopporto quando fa così... »


present day

Gli occhi di Drake scrutavano Coruscant come un pianeta nuovo e sconosciuto.
Erano passati più di nove anni da quando vi aveva messo piede l’ultima volta, senza nemmeno tener conto del fatto che quell’episodio fosse stato più una toccata e fuga che una visita vera e propria. Ricordava vagamente i mercenari alle calcagna, la sparatoria nel bel mezzo di un locale, lui e Carter in fuga, Sienna furiosa per il baccano che avevano provocato…
Sì, Coruscant appariva di fronte a lui come una novità, comprensibile dopo anni e anni di foreste, di vita rurale fuori dalla civiltà avanzata. Quasi provò un moto di nostalgia a guardare le vetture tecnologiche, la città, la frenesia. Quasi.
Ahsoka aveva lasciato la Narada da un paio d’ore e aveva approfittato di quel tempo per contattare la sua vecchia amica, sperando che in quattro anni non avesse cambiato nome e fatto perdere ogni sua traccia. Succedeva, talvolta, quando un non cacciatore di taglie veniva coinvolto in vicende di legalità altra e doveva, prima o poi, affrontarne le conseguenze. Fu sollevato di scoprire che ciò non era avvenuto e riuscì a trasmettere il suo messaggio senza problemi. Doveva solo attendere e questo, bè, questo sì ch’era il vero problema per Drake.
Insomma, non si poteva dire che fosse un uomo impaziente: aveva trascorso molto tempo in un posto sperduto, architettando un’uscita in grande stile, che aveva poi finito per abbandonare in favore di uno stile di vita anonimo e piatto. Aveva dovuto aspettare che una ragazzina spuntata dal nulla gli ricordasse chi era, cosa doveva fare, come doveva agire. Aveva aspettato quattro anni per affrontare la verità ed ora quella piccola attesa sembrava interminabile, pregna d’incertezza. Non era sicuro che lei avrebbe voluto vederlo, non era certo che si sarebbe presentata. Perché avrebbe dovuto farlo?
Si alzò dal sedile del pilota, lasciò con passo nervoso la cabina e attraversò la nave sbuffando. Marek non l’aveva perso di vista, ma aveva deciso di scuotere il capo tra sé e rimanere al suo posto per analizzare carte e dispositivi di comunicazione. Era in paradiso, circondato dal progresso, da oggetti e aggeggi di cui non conosceva la natura e la funzione, e per i quali provava una curiosità illimitata. Suo padre poteva pure sfogare l’ansia in giro per la Narada, lui non si sarebbe mosso.
Drake percorse il breve corridoio due volte, poi una terza. Mise la mani in tasca e le ritrasse dopo un quarto di secondo. Si bloccò persino come per dire qualcosa – a se stesso? – e ricominciò di nuovo la marcia imperterrita. Non riusciva a stare fermo, il solo pensiero d’immobilizzarsi di nuovo era insopportabile: aveva dormito a sufficienza, dopotutto.
Raggiunse il portello aperto, respirando a pieni polmoni l’aria così diversa di Coruscant. Usò le pareti come appoggio, lasciando che tutto il peso venisse sostenuto dall’arcata contro la sua spalla. Lo sguardo, nel frattempo, saettava ovunque, analizzava ogni direzione per carpire quante più immagini possibili, limitate dal punto in cui si trovava. Osservò gli edifici, i passanti, gli speeder. Incrociò le braccia, inspirò, espirò, attese.
« Ehi, bell’imbusto, sembra che tu abbia qualche problema con la carrozzeria. »
Drake si voltò di scatto in direzione della voce, che riconobbe all’istante. « Bè, questo non lo direi davvero », rispose accennando una risata molto allusiva e scostandosi dal varco per percorrere la rampa di accesso.
Scese a passi lenti, le braccia ancora conserte, scrutando da sotto le sopracciglia appena aggrottate forse la persona più fidata rimastagli. Si fermò solo quando le fu di fronte, a pochi centimetri di distanza. Occhi verdi immersi negli occhi castani, quasi neri. Una parte di lui non riusciva a credere che si fosse presentata davvero, ma la sorpresa fu presto abbattuta da una sorta di obliqua gioia.
« Drake Leafson, è bello vedere che non sei ancora morto. »
Una smorfia compiaciuta e un ghigno attraversarono il volto di Drake, che liberò le braccia e le allargò con ovvietà. « Ho la pellaccia dura. Lo sai, tesoro. »
La vecchia amica lo guardò impassibile, scuotendo poi il capo tra sé. Gli diede un pugno leggero s’una spalla prima di abbracciarlo di slancio, dopo anni e anni.
« Che razza di furfante! Prima o poi vedrò la tua testa appesa al soffitto del locale più delinquenziale della città », disse sbattendo le mani sulla sua schiena più volte. « Si può sapere che fine hai fatto? »
« È una lunga storia. »
La donna colse la flebile nota stonata d’amarezza in quell’affermazione e si liberò dall’abbraccio, che Drake aveva ovviamente ricambiato con fin troppo entusiasmo. Lo fissò ancora, questa volta seria.
Lynn Ronan.
Abile e temibile combattente, dalla mira infallibile, caratterino a dir poco esplosivo e un gancio destro che Drake non avrebbe dimenticato facilmente. Aveva quasi trent’anni, ma l’esperienza di un gigante. Il nome della sua famiglia era da secoli conosciuto a Mirial per la lealtà e il coraggio in ambito militare e, com’era stato deciso ancor prima che nascesse, Lynn era stata spedita senza interferenze all’accademia dove era divenuta una dei soldati migliori. I diamanti tatuati al centro della fronte e sugli zigomi erano grande motivo d’orgoglio, con il tempo anch’ella stessa aveva imparato ad apprezzare quella vita nonostante l’imposizione. Ne portava i segni su gran parte del corpo, attraversavano la sua carnagione giallo-olivastra.
Poi, per uno strano caso del destino, aveva conosciuto Drake Leafson, un furfante cacciatore di taglie in fuga, e i due avevano formato sin da subito un’ottima squadra – battibecchi e pugni esclusi. Drake era per Lynn un libro aperto, non solo per l’eccezionale talento della mirialana di sondare il linguaggio del corpo di chiunque, ma in parte maggiore perché poche cose erano in grado di abbattere uno spirito selvaggio come quello di Drake. E se ciò era avvenuto, un evento terribile doveva averlo colpito. Non erano così diversi l’uno dall’altro, il fatto che fossero per contro molto affini sorprendeva sempre chiunque, persino loro stessi.
Lynn spostò un attimo gli occhi verso la nave, per poi riportarli diritti su quelli verdi di Drake. « Dov’è Sienna? », chiese, cercando di non apparire troppo preoccupata.
Un’ombra calò su Drake d’un tratto, assorbendo la sua espressività e riducendola ad un semplice sguardo affranto e vuoto. L’uomo non riuscì a sostenere l’occhiata esaminatrice cui era esposto e cercò di rifuggire verso il basso. Fuggire in qualunque misero angolo della galassia.
Voleva rispondere a quella domanda, rispondere davvero, ma la saliva era improvvisamente svanita. Le labbra erano diventate secche, un nodo impediva alla voce di salire lungo la gola e fuoriuscire, unendosi al brusio generale della città viva. Drake Leafson aveva affrontato il passato, certo, ma ora più che mai si rese conto di quanti demoni ancora avesse da combattere. Come avrebbe potuto uscirne vincitore e soprattutto indenne?
Si limitò a stringere le labbra, simulando una smorfia, l’unico gesto comunicativo a cui poteva aspirare per far sì che Lynn comprendesse. E lei capì.
« Drake… », sospirò, cercando le parole giuste. « Per questo hai fatto sparire ogni traccia… »
Drake annuì lievemente, gli occhi ancora incollati al pavimento.
Lynn inspirò, deviò lo sguardo, mentre nella sua mente si dibatteva una feroce battaglia tra due diverse posizioni: la parte più nascosta dalla possente armatura da soldato piangeva, soffriva per la notizia della perdita dell’amica; la corazza, invece, non comprendeva perché ciò fosse avvenuto lontano anni luce dalla sua vista, perché nessuno le avesse detto niente, perché non si fossero rivolti a lei. Tanti perché che non avrebbero mai trovato una vera risposta.
Scosse il capo frustrata. « Perché non sei venuto da me, Drake? Avrei potuto… insieme, avremmo potuto… non avresti dovuto isolarti e sparire, senza far sapere a nessuno dove fossi e cosa stessi facendo. Ad un certo punto ho iniziato a credere che fossi morto, che lo foste tutti, perché altrimenti… »
« Lo so, Lynn, e credimi mi dispiace. Mi dispiace tanto, davvero. »
« Anche a me », ribatté lei in un sussurro, riferendosi alla morte di Sienna più che al rimprovero. Il fatto che Drake riconoscesse l’immaturità del suo comportamento e si fosse scusato attenuava quegli anni di totale silenzio. Di solito l’orgoglio aveva sempre la meglio, quello era un piccolo e inestimabile momento.
I due vecchi amici si guardarono per qualche attimo senza più dire una parola. In realtà avevano molto da dire, molto da recuperare – Lynn era curiosa di sapere cosa avesse fatto cambiare idea a Drake, cosa lo avesse riportato nel mondo esterno e per quale motivo si fosse ora rivolto a lei. Ma non lo disse, non subito. Così come Drake non iniziò a raccontare gli eventi dell’ultima settimana e mezza come un furia, esagitato e ansioso, gesticolando all’impazzata.
No, nessuno dei due parlò. Rimasero fermi, sospesi, l’uno negli occhi dell’altro. Soltanto due vecchi amici ritrovati.
« Papà, sono già passate alcune ore, non sappiamo che fine abbia fatto Ash–– »
La voce in crescente aumento di Marek s’interruppe sul varco del portello, sia Drake che Lynn si volsero nella sua direzione. Il ragazzo era immobile, una mano alla parete, lo sguardo fisso e le labbra ancora schiuse per metà. Una vena di confusione attraversava il suo volto, gl’increspava le sopracciglia e assottigliava gli occhi verdi.
Tentò di aggiungere qualcos’altro, ma Drake lo anticipò sensibilmente. « Marek, ti ricordi di Lynn? Era con noi prima di… »
« Credo di sì », replicò il ragazzo nell’immediato, scavando nei suoi ricordi di bambino.
Lynn smise di osservarlo ammirata, notando tutte le somiglianze possibili con l’amica, e sorrise. Non era una novità che il ragazzo avesse poco o niente di Drake, in effetti, era un dato di fatto che l’aveva perseguitato sin dall’infanzia. « Sei diventato grande, ragazzino. »
« Sì… credo sia quello che succede alla maggior parte delle persone normali. »
« E impertinente come tuo padre! »
Drake si sforzò invano di non ridere. « Cosa vuoi, gli insegno solo il meglio. »
Dopo una smorfia di finta incredulità anche Lynn rise, sentendo alleggerirsi la morsa che qualche attimo prima stava facendo una pressione notevole sulla sua emotività nascosta. Vedeva più che mai Sienna riflessa nel volto di Marek. Ci sarebbe voluto del tempo per digerire quel boccone amaro, per accettarlo, per superarlo. Nonostante fossero trascorsi quattro anni, sembrava ancora successo troppo in fretta per lei che n’era rimasta estranea, come se in qualche modo fosse una crudele illusione.
Marek si schiarì la gola alzando gli occhi al cielo. « Comunque, papà, forse dovremmo andare a vedere se va tutto bene. Non voglio interrompere il tuo momento di felice rimpatriata, ma… »
« Sì, hai ragione! », esclamò Drake, cogliendo al balzo l’occasione per scappare da certi delicati argomenti. O per meglio dire: demoni.
« Di cosa state parlando? », domandò Lynn, spostando lo sguardo indagatore da uno all’altro.
Drake si volse platealmente per fronteggiarla di nuovo, con una strana espressione sul volto. Rimase qualche secondo sospeso, a labbra spalancate per trovare il modo più semplice ed immediato di spiegarle l’accaduto. Poi deviò, e la strana espressione si fece confusa, appena appena corrucciata.
« Forse non ce ne sarà bisogno », sussurrò.
Ahsoka stava percorrendo il marciapiede, nascosta dal mantello ma per loro ancora riconoscibile. I suoi passi erano lenti, pesanti, quasi stesse trascinando alle spalle un gravoso velivolo spaziale. Era affranta, completamente schiacciata da qualcosa che nessun altro poteva vedere e l’avvolgeva.
Con un sospiro, Drake superò Lynn per andarle incontro. La togruta, assorta nei suoi pensieri – o forse ancor di più nella sensazione di vuoto che l’affliggeva da quando aveva lasciato il Tempio per la seconda volta – impiegò un po’ per accorgersi della presenza di Drake. Camminò a capo chino fin quando non fu arrivata proprio davanti a lui.
« Va tutto bene? »
« Sto bene », rispose ridestata, premurandosi di alzare lo sguardo per apparire credibile.
Ovviamente questo non fu sufficiente a convincere Drake, che comprese ad ogni modo di non dover porre ulteriori domande. Si limitò ad emettere un flebile suono d’assenso, per nulla deciso ad accantonare del tutto la questione. Era solo rimandata ad altra sede e tempo, esattamente come il racconto dei suoi quattro anni perduti.
« D’accordo. Ashla, ti presento Lynn Ronan », proseguì, scostandosi per indicare ad Ahsoka la mirialana, « la vecchia amica di cui parlavo. In un certo senso è merito suo se ancora non sono finito in un… come l’hai chiamato, scusa? »
« Locale delinquenziale », disse Lynn ridendo.
« Giusto! Locale delinquenziale in cui prima o poi verrà affissa la mia testa a scopi decorativi. »
« Decorativi – non sei poi una così gran bellezza. »
« Non sono d’accordo… »
« E non sono vecchia, tu lo sei più di me. »
« Ehi ehi, questo dipende dai punti di vista… »
« Scusatemi », li interruppe Ahsoka con un filo di voce, muovendosi per superarli.
Sia Drake che Lynn s’immobilizzarono, osservarono la ragazza camminare con la medesima pesantezza in direzione della nave. Sembrava essere su un altro pianeta, lontana da loro, da Coruscant, da ogni cosa si trovasse lì.
Ahsoka salì la rampa con lo sguardo basso, passando accanto a Marek, che tentò invano di proferire parola. Non sapeva nemmeno lui se fosse un bene oppure no, e incontrò lo sguardo confuso di suo padre che, in un certo senso, fu un monito a mantenere il silenzio.
Come Drake aveva avuto le sue questioni irrisolte, entrambi avevano compreso che la togruta aveva le proprie sin dal momento in cui quel Jedi aveva lanciato alla Narada una trasmissione. E le questioni irrisolte, i debiti non estinti… bè, erano in grado di tormentare la più determinata anima della galassia. Lo sapevano bene.
Lo sapevano bene tutti loro.


two years ago

L'indice sottile della togruta scivolò sullo schermo, scorse l'ennesima pagina azzurra piena di scritture a caratteri non facilmente identificabili.
Nelle ultime ore aveva avuto modo di testare le sue abilità linguistiche in tre diversi modi: primo, si era trovata di fronte antichi ideogrammi runici, probabilmente risalenti alle antichissime leggende Jedi ( di cui aveva parlato con interesse ad Anakin, che aveva evidentemente un'ottima memoria ); secondo, una pagina astronomica era stata trascritta nelle medesime rune; e terzo, di sicuro sempre grazie allo zampino del suo Maestro, aveva dovuto decifrare una cartografia datata e leggibile solo dopo aver risolto l'enigma della chiave di lettura. In sintesi: era stata una giornata proficua ma altrettanto lunga e noiosa.
La mente di Ahsoka non riusciva a rimanere concentrata sulle parole e nei disegni che aveva davanti, errava piuttosto tra gli infiniti scenari della missione in svolgimento. In che pianeta potevano essere diretti? Bè, vista l'urgenza con cui Anakin le aveva assegnato la trasmissione ricevuta, quasi certamente la meta era la zona d'emissione. A giudicare dal messaggio, il luogo nascondeva informazioni che alla Repubblica sarebbero potute tornare molto utili per combattere i Separatisti, quindi il compito di Anakin e del Maestro Windu si aggirava tra il soccorso e l'entrare impossesso di tali, importanti dettagli.
« Come procede il tuo viaggio, giovane padawan? », domandò la voce pacata di Jocasta, ridestando Ahsoka dai meandri dei suoi pensieri.
Sorrise, lanciando un'occhiata fugace alla mentore prima di posare lo sguardo sullo schermo. « Bene, credo. Queste mappe sono interessanti, non ne avevo ancora viste di questo genere. »
« Il Maestro Skywalker ha espressamente chiesto che tenessi da parte qualsiasi cosa riguardasse antiche traduzioni e cartografie in codice. Sembra proprio che voglia testare le tue abilità di osservazione. »
Il sorriso di Ahsoka si ampliò e dovette davvero sforzarsi per non farlo sfociare in una risata nervosa. Voleva testare la sua pazienza, più che altro; come se non sapesse che fosse piuttosto brava con le lingue e le trascrizioni aliene, poi. « Sì, », imitò un’espressione gioiosa, fasulla ma essenziale, lasciandosi pervadere da tutto il sarcasmo possibile, « è davvero eccezionale, il mio Maestro. Sa come far emergere al meglio le mie capacità e ricorda perfettamente tutte le letture e le storie di cui gli ho parlato, quasi più di me. »
« Se hai bisogno mi trovi nella sala affianco », rispose Jocasta con un cenno gentile, posando poi una mano sulla spalla di Ahsoka.
La Jedi proseguì a passi tranquilli, attraversando la stanza poco illuminata e dirigendosi verso gli scaffali pieni di dati. Gli holocron non erano distanti, Ahsoka lo sapeva benissimo per via del suo primo e lungo soggiorno in Archivio, che a quanto pare sembrava ripetersi. In cuor suo, a parte la poca concentrazione che sviava ad ogni più piccolo rumore, sperava che la storia non si ripetesse e che qualche Separatista non decidesse di rubare la conoscenza chiara proprio ora.
Sospirò, tornando al suo lavoro. « Già, davvero eccezionale, Skycoso. »

Quando tutte le sale del Tempio furono immerse dal buio notturno, illuminate da flebili luci disperse e soffuse, Ahsoka era ancora seduta alla sua postazione a fissare lo schermo. Reggeva il peso del capo con il braccio, il gomito puntato alla superficie del tavolo, il mento sulla mano e fissava i simboli antichi visibilmente annoiata.
Erano passate ore, il via vai era progressivamente diminuito così come il brusio dei Jedi, la tranquilla attività negli Archivi, tutto. Solo pochi si trattenevano fino a tardi e tra essi, quella sera, figurava anche un’Ahsoka improvvisamente perplessa.
La sua attenzione si ridestò come da un sonno profondo, si mise a controllare le schede e i dati in suo possesso, che aveva letto e cercato d’interpretare fino ad allora. Molti avevano trovato riscontri – non era una linguista esperta al massimo livello, ma grazie alla sua memoria aveva imparato a decifrare alcuni simboli in lingua antica o se non altro a comprenderli nel loro significato più generico. Aveva digitato le trascrizioni, le aveva fatte scorrere con l’indice ormai in procinto di agire in automatico… e qualcosa sembrava non tornare.
Le rune erano antiche, anche quelle di provenienza più strana lo erano, e parevano essere profetiche. Ahsoka ne verificò la provenienza, il codice di cui facevano parte. Erano state catalogate e sistemate dalla stessa Jocasta, infallibile quando si trattava di mappe stellari e arcani manufatti, ma risultavano prive d’informazioni riguardo al ritrovamento. Qual era la loro provenienza? Com’erano giunte al Tempio?
Forse l’immaginazione di Ahsoka stava avendo la meglio su di lei, tentando di sfruttare quella strada per movimentare la sua reclusione negli Archivi. Il desiderio di essere accanto al suo Maestro e scoprire cosa stava succedendo nella missione in atto era forte a tal punto? Sì, lo era, ma le sue percezioni non erano da meno. E in quel momento le stavano dicendo a gran voce che, almeno, avrebbe potuto scoprire cosa stava succedendo all’interno di quelle quattro mura.
Si alzò dalla holopostazione, guardandosi attorno nella stanza deserta. Un lieve senso d’inquietudine la percorse dalle punte dei piedi fin ai montral di poco più sviluppati, che in quel momento captavano una tensione insolita. Era tardi, quasi tutti erano tornati nelle loro stanze e la sua mente vagava in lungo e in largo in cerca di mistero e avventura: la risposta venne da sé e Ahsoka scosse il capo facendo spallucce.
Attraversò la sala con pochi passi, rallentando appena varcata la soglia.
« Jocasta? », chiamò in sussurro, proseguendo guardinga e a passo felpato.
Nella stanzetta non c’era traccia dell’anziana Jedi e neppure della quantità di schede che doveva rimettere a posto. A ben vedere sembrava quasi non essere stata per nulla usata, quella postazione, e ciò risultò un po’ strano ad Ahsoka.
Si guardò attorno perplessa, raggiungendo il tavolo e lo schermo. « Jocasta? C’è nessuno? »
La sua voce moderata sfumò nel silenzio più assoluto, lugubre persino per una tipetta coraggiosa come lei. Poggiò una mano alla superficie, non riuscendo ad impedirsi di dare uno sguardo al lavoro che la Jedi doveva fare. E si accigliò.
« Questo è strano… », borbottò tra sé, fissando lo schermo vuoto.
Non c’era alcuna traccia di catalogazioni, traduzioni, mappe, qualsivoglia mansione che Jocasta eseguiva quotidianamente all’interno del Tempio, dato il suo importante ruolo.
Ahsoka scorse con l’indice le pagine, navigando furtiva. Se l’avessero scoperta le avrebbero affidato compiti d’archivio per mesi e mesi e mesi. Un destino davvero infausto, ma niente a che vedere con quella pulce nell’orecchio che sembrava non volersene andare. Forse doveva smetterla di fantasticare e tenere i piedi per terra.
« Hai bisogno di qualcosa, padawan? »
Ahsoka sobbalzò impetuosamente, volgendosi di scatto verso la voce che aveva improvvisamente fatto irruzione nella stanza. Si ritrovò a fronteggiare Jocasta, ad una distanza davvero ridotta, tanto che la Jedi apparve come una delle due statue all’entrata del Tempio.
« Hai bisogno di qualcosa, padawan? »
« Jocasta, mi hai spaventata! Veramente volevo chiederti qualcosa riguardo a quelle traduzioni… », balbettò Ahsoka quasi senza fiato, spostando gli occhi blu da una parte all’altra. Fece una piccola pausa prima d’incrociare il volto statuario della Jedi e avvertire un brutto presentimento. « Ma possono aspettare. Credo sia meglio… che vada, sì. »
Scrutò sempre più confusa il volto nell’ombra di Jocasta, inespressivo e impassibile. Si aspettava che ripetesse monotona “Hai bisogno di qualcosa, padawan?”, ma la Jedi si limitò al silenzio, che gettò Ahsoka nella sensazione d’essere in mezzo a tanti piccoli occhi che l’osservavano senza tregua.
Indecisa sul da farsi si sporse leggermente per controllare la via d’uscita della stanza, esitante. Sospirò, spostando lo sguardo sgranato da una parte all’altra pur di non fissarsi troppo a lungo su Jocasta: ogni volta le capitava d’incrociarla, così vicina, sentiva un gelo invernale percorrerle la spina dorsale. E rabbrividiva.
« Sì », ripeté Ahsoka con un cenno d’assenso. « Sarà meglio che vada. »
Senza aggiungere altro o aspettare un secondo di più, la superò svelta in direzione della soglia, delle altre sale, convinta a raggiungere la propria stanza e a barricarsi dentro. Brividi le percorrevano il corpo imbizzarriti, brividi apparentemente inspiegabili.
Jocasta non aprì bocca, non disse nulla e Ahsoka si accigliò ancor di più quando si volse e la vide esattamente ferma immobile nel punto in cui era prima. Non si era mossa di un solo centimetro, non aveva neppure cambiato la posizione delle mani, inclinato il capo di qualche grado, niente. Era pietrificata come una statua priva di vita, un involucro vuoto.
Terribilmente confusa, la giovane togruta attraversò il Tempio domandandosi perché i suoi soggiorni in Archivio si trasformassero sempre in vicende strane. Magari era un segnale dell’universo che sosteneva a gran voce il fatto che non dovesse rimanere chiusa tra quelle mura, che il suo posto era in missione accanto ad Anakin e agli Maestri. Ahsoka gliel’avrebbe senz’altro riferito.


present day

Era finita. Qualunque cosa fosse iniziata con la decadenza della fiducia, l’esilio dall’Ordine dei Jedi, il processo di fronte al senato e al Cancelliere, era finita. Finita davvero.
Ahsoka guardava la parete grigia di fronte a sé senza pensare a nulla, inspirando ed espirando. Esistendo, semplicemente, ancora una volta.
No, si disse in silenzio, forse non era finita… forse non era nemmeno cominciata, dopotutto. Ahsoka Tano non era un Cavaliere Jedi, non lo sarebbe mai diventata ed era piuttosto sicura che, qualunque essa fosse, la sua via si trovasse lontana dal Tempio e lontana da Coruscant. Lontana dall’unica vita che aveva sempre conosciuto.
Le parole di Obi-Wan vorticavano offuscate nella sua mente, mescolandosi a quelle di Plo e alla figura affrettata e inquieta di Anakin. Il volto della vecchia amica di Drake s’insinuava furtivo, riportava a galla la saggezza di Luminara Unduli e il doloroso tradimento della sua amica più cara: Barriss.
Il ricordo di quel terribile giorno irruppe prepotente nella confusione silenziosa, il momento in cui Anakin aveva interrotto il processo, l’aveva salvata dalla condanna a morte per poi mostrare a tutti la vera faccia nascosta dietro agli attentati. E aveva visto la sua amica. La sua amica, Barriss, ch’era stata capace di ferire e uccidere delle persone, di creare prove schiaccianti contro di lei. La sua amica… che l’avrebbe lasciata a morire.
In nome di cosa?, si chiedeva Ahsoka. Perché accadevano cose tremende, nell’universo? Chi o cosa avrebbe mai voluto vedere simili accadimenti? A che scopo?
Bè, il Lato Oscuro non aveva mai avuto senso per lei. Anche in un momento come quello, dove tutta la cieca fiducia da sempre avuta era vacillata e caduta, infranta in mille pezzi, poteva contare su di una costante irremovibile: Ahsoka non sarebbe diventata una schiava del Lato Oscuro, mai.
Aveva visto con i propri occhi e provato sulla propria pelle cosa significasse dar vita ai propri demoni, combatterli allo stremo, affrontarli e temerli. Prima d’allora non aveva pensato di averne, coraggiosa ed immacolata come un perfetto futuro Cavaliere – nonostante in molti le rimproverassero l’impulsività, l’avventatezza, l’ostinatezza e la troppa sicurezza. Era emotiva, profondamente legata alle persone che la circondavano da una catena invisibile e ferrea, che l’aveva trascinata nell’abisso dell’insicurezza quando il dubbio e il tradimento l’avevano colpita alle spalle da vigliacchi. In fondo, non sarebbe diventata un grande Cavaliere Jedi con quell’oceano incontrollato di emozioni e sentimenti…
Seduta sul letto di fortuna di una cabina, Ahsoka portò istintivamente le mani alla cintura dell’abito, vuota. Il monito delle spade laser era svanito, non le aveva più. Quell’ennesimo peso si era dissolto, preso dalle mani di Plo Koon.
La togruta chiuse gli occhi, inspirò ed espirò.
Scacciò le domande senza risposta riguardo a Barriss e le soppiantò di nuovo con le preoccupazioni di Obi-Wan. Plo aveva parlato di una tempesta in arrivo, al Tempio. Che si riferissero entrambi alla medesima cosa? L’oscurità? E se così fosse, come avevano potuto i Jedi non rendersi conto d’essere stati contaminati all’interno dalla guerra, che con tanta brama e avventatezza avevano portato avanti? Le loro azioni e le loro scelte andavano contro il primo principio universale che ogni giovane allievo imparava alla prima lezione dal proprio Maestro: un Jedi usava la Forza per mantenere la pace, non per combattere, non per la guerra. I Jedi dovevano essere guardiani della pace, non soldati al servizio di un Repubblica decaduta, al servizio del Lato Oscuro.
Ahsoka si sporse in avanti, poggiando i gomiti alle gambe per sorreggere il capo con le mani. Sapeva, in cuor suo, che Obi-Wan Kenobi e Plo Koon non si stavano sbagliando, lo sapeva benissimo. I suoi incubi trovavano un senso, si trasformavano in avvertimenti chiari e tondi. Sottovalutarli come avrebbe fatto in passato non sarebbe stato saggio.
Nessun Jedi avrebbe dovuto sottovalutare, per estensione, il potere viscido e ingannatore del Lato Oscuro. Ma forse era già troppo tardi. Forse le cose avevano iniziato a cambiare da tempo, forse era già stato superato il punto di non ritorno. Forse era tardi, tardi per tutti.


two years ago

La mattina seguente Ahsoka arrivò alla sua postazione con una puntualità spaventosa, tanto che i Maestri sul suo cammino la salutarono con gentilezza e una buona dose di sorpresa.
Non aveva dormito molto, impegnata a rielaborare tutti gli avvenimenti del giorno prima. Aveva unito i pezzi, le briciole pregne di sospetto che aveva raccolto nel suo cosiddetto viaggio attraverso la conoscenza. Aveva riflettuto sulla sensazione al cospetto di Jocasta, sul suo comportamento inusuale, sulle rune inspiegabili e sullo schermo vuoto della sala accanto.
Impallidì quando raggiunse la sua postazione. Il suo lavoro era sparito, non era rimasta nemmeno una codifica piccina, neanche una sola lista misera di traduzioni, di calcoli delle mappe stellari, niente. Tutto era stato cancellato.
« Ma che cosa è successo… », riuscì a dire Ahsoka con un filo di voce, gli occhi sgranati e la bocca aperta dall’orrore. Come diavolo era possibile?
Alzò lo sguardo per controllare che gli altri Jedi presenti non la stessero guardando – sarebbe stato strano, anche se qualcuno di loro doveva pur sapere se il sistema d’archivio aveva subito un danno durante la notte o era stato riavviato o se, accidentalmente, qualcuno aveva cestinato le informazioni sbagliate.
Accidentalmente? Questo sì ch’era un dubbio grande e grosso, al quale Ahsoka non voleva dare minimamente l’etichetta di “coincidenza”. Non credeva che le cose avvenissero per puro caso, non quando c’era in gioco la Forza e con essa i dubbi insorti con i fatti del giorno precedente. Una vera coincidenza che fossero scomparsi proprio i dati riguardanti rune curiose e antiche, profetiche, spuntate da chissà quale parte dell’universo.
Jocasta non c’era, o almeno non era presente in quella stanza. Ahsoka lo notò subito, perché la Jedi fu la prima persona che cercò con lo sguardo. Appurata la sua assenza, entrò nella sezione di comunicazione della postazione, effettuando una chiamata.
Com’era prevedibile, l’ologramma di Anakin impiegò una decina di secondi prima di comparire in dimensioni ridotte sullo schermo blu, come se vi avesse camminato tranquillamente sopra. Aveva le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate.
« Furbetta, come procede il tuo soggiorno negli Archivi? », domandò il Maestro con una piccola nota spazientita nella voce.
Ahsoka non mancò di coglierla, aumentando solo il suo interesse per la missione, che evidentemente non era così banale come Anakin aveva voluto farle apparire, e il disappunto per non avervi potuto partecipare.
« Splendidamente, come se non lo sapessi… »
« Quindi mi hai chiamato per chiedermi un prolungamento della tua assegnazione al Tempio? »
La togruta imitò una risata sarcastica, finendo per roteare gli occhi e poggiare il capo su entrambe le mani. « Molto divertente, Maestro. »
« Allora? Non ho molto tempo, cosa succede? »
« Niente, Maestro. O meglio… ho un presentimento che non mi piace per niente e stanno accadendo cose molto insolite », spiegò Ahsoka, deviando lo sguardo e pronunciando ogni parola in maniera marcata, per solidificare la sua stessa convinzione. Più elaborava i fatti, più la sensazione di trovarsi nel giusto la dominava.
L’ologramma di Anakin sospirò, liberò una mano per compiere un cenno. « Che genere di cose? »
« Le informazioni che hai chiesto a Jocasta di farmi esaminare sono particolari. Non c’è niente che faccia risalire alle loro origini, sembrano rune antiche di migliaia di anni e certi simboli non si trovano neppure nella banca dati dell’Archivio. È come se semplicemente non esistessero e solo parte della traduzione è possibile. »
« Bè, questa non è una novità quando si ha tra le mani un documento stilato all’epoca dell’origine dei Jedi. Molte delle trascrizioni sono andate perdute, le altre sono incomplete o comunque parzialmente comprensibili. »
« Lo so, Maestro, ma queste sono diverse da tutte le altre », continuò Ahsoka imperterrita, iniziando ad abbassare il tono della voce per non attirare l’attenzione degli altri Jedi presenti. Si guardò addirittura intorno fugacemente, per poi avvicinarsi di più alla figura contornata d’azzurro di Anakin. « Sembrano una specie di profezia. »
« Possibile ma improbabile, Ahsoka », rispose con tranquillità Anakin.
L’apprendista sospirò, muovendosi sulla postazione pur di non dover guardare l’immagine del Maestro. Sapeva a cosa stava pensando, non aveva neppure bisogno di sentirlo uscire dalle sue labbra: la sua impetuosità stava dominando la sua lucidità, comportamento inappropriato e svantaggioso per un Jedi.
« Ascolta, non c’è niente di male nel passare del tempo negli Archivi. La conoscenza è molto più importante di qualsiasi altra cosa, senza siamo ciechi. »
« Adoro la tua convinzione nel pensare che questo sia confortante », borbottò Ahsoka sarcastica, senza riuscire ad impedirsi una smorfia.
Sul volto di Anakin apparve un ghigno, il genere di aria compiaciuta che faceva sempre venire ad Ahsoka un gran desiderio di abbattere più droidi da combattimento solo per farla svanire. Stava per aggiungere qualcos’altro, sicuramente una battuta colma d’ironia che avrebbe fatto rimpiangere alla ragazza di averlo contattato, di aver provato a riferirgli le sue percezioni. Stava per parlare di nuovo, Anakin, quando venne interrotto dalla voce di Jocasta.
« Qualcosa non va, padawan? »
Ahsoka fece un balzo dalla sedia, si voltò d’un tratto verso la presenza sbucata dal nulla della Jedi, poco lontana dalla sua postazione. Vide ancora quello sguardo assente, marmoreo, inespressivo. Scosse il capo dopo un paio d’istanti, sforzandosi d’apparire più spontanea possibile.
« Ehm – no, no! Tutto nella norma. Stavo solo – aggiornando, aggiornando il mio Maestro su un compito », esitò per guadagnare tempo utile ad inventare una storia credibile, « un compito che mi ha assegnato prima di partire. Dovrei chiedere consiglio al Maestro Yoda. »
« Il Maestro Yoda non è qui. »
La voce monotona e gelida di Jocasta fece accapponare la pelle ad Ahsoka, che provò a non sgranare gli occhi esageratamente. Aveva davvero un brutto presentimento, una pessima sensazione, tra le più sgradevoli mai percepite fino ad allora, escludendo i purtroppo numerosi incubi che spesso l’avevano attaccata di recente. La cosa peggiore era che quasi tutti si erano alla fine rivelati veri, come segnali dal futuro perché Ahsoka stessa fosse preparata ad affrontarli.
La togruta si rivolse allora di nuovo all’ologramma di Anakin, ch’era rimasto perplesso in ascolto, con la sola visuale delle reazioni della sua allieva. « Bè, Maestro, suppongo che tu abbia ragione. Mi rimetto subito al lavoro. Chiudo. »
L’ologramma scomparve dalla piattaforma di fronte allo sguardo irrequieto di Ahsoka. Gli occhi fissi di Jocasta erano ancora posati sulla sua figura, riusciva a percepirli con chiarezza, e aprì delle schede casuali sullo schermo pur di mostrare che tutto era al proprio posto.
Non sapeva spiegare perché, neppure a se stessa, ma quella percezione la rendeva improvvisamente diffidente nei riguardi di Jocasta e non solo: una parte nascosta di sé l’avvertiva persino come un’entità ostile che per nessun motivo doveva mettere in allerta, od ogni tentativo di capirne di più sarebbe stato vano. Mantenere un basso profilo era la migliore alternativa per indagare indisturbata, per vedere nitidamente attraverso la nebbia che tentava di offuscare il Tempio, per comprendere.
Il suo soggiorno negli Archivi aveva improvvisamente preso una netta deviazione di rotta. Di nuovo.

Ahsoka mosse passi furtivi, si appiattì contro la parete.
Silenzio.
Senza separarsi dalla superficie su cui era poggiata, si avvicinò ulteriormente e con cautela, lasciando che le dita creassero delle scie invisibili sul muro chiaro. Da quel punto aveva una visuale completa sul corridoio, che percorse ancora un po’, attenta a non provocare rumori che avrebbero rivelato la sua presenza.
Jocasta scomparve oltre la porta, che nascondeva cunicoli e altre vie che conducevano, in fine, ai più preziosi e importanti manufatti del Tempio Jedi.
Ahsoka sospirò infastidita. Perché gli holocron le rendevano sempre la vita più complicata di quanto già non fosse? Non riusciva a credere che anche questa volta sarebbe finita nei guai, perché era sicuro che vi sarebbe precipitata. E a capofitto.
Mantenendo alta la guardia, si rilassò contro la parete per poi abbandonarla. Camminò tranquillamente fino all’entrata, le mani vicine alle spade laser sulla cintura. Jocasta sarebbe potuta apparire da un momento all’altro, sbucare all’improvviso ancor più minacciosa e cupa, e Ahsoka non aveva intenzione di essere colta alla sprovvista nuovamente.
Non c’erano altri Jedi nel corridoio soffuso e deserto, la togruta si fermò per scrutarlo nella sua totalità prima di varcare la soglia. Il Consiglio avrebbe mostrato disappunto, l’avrebbe rimproverata del suo comportamento un’altra volta ancora, ma scoprì essere un pensiero molto leggero rispetto al presentimento dominante. Era un rischio ch’era disposta ad accollarsi; quello che invece non voleva assolutamente era scappare di fronte ad una possibile minaccia imminente. Cos’avrebbe detto Anakin se avesse sepolto il capo nella conoscenza del Tempio? Ella stessa non ne sarebbe stata capace, tanto da non riflettervi nemmeno più del dovuto.
Ahsoka entrò, superò la porta e la richiuse dentro di sé. Non fece neppure caso al fatto che fosse insolitamente aperta.
Ci siamo, si disse, inspirando profondamente. La consapevolezza di non tornare indietro la spinse a proseguire, guardinga. I suoi occhi sondavano ogni centimetro attorno a sé, le sue percezioni la guidavano.
Si fermò quando captò un fruscio poco distante, controllò alle sue spalle e poi avanti. Non c’era nessuno tranne lei – lei e Jocasta, ch’era palesemente in quell’area del Tempio, nonostante non riuscisse più a sentirne la presenza. La presenza
Ahsoka sgranò improvvisamente gli occhi e trattenne il fiato. Non era solo quello il problema, no. Le sue percezioni erano svanite, tutte quante. La vista e l’udito erano le sue uniche guide e questo la fece sentire molto più indifesa di quanto le fosse probabilmente mai capitato prima. Non riusciva a sentire la Forza, ogni suo tentativo risultava annebbiato, sfumava nella nebbia che gelida aveva iniziato a filtrare e oscurare la luce del Tempio. Era cieca.
Il vuoto non bastò a fermarla, però. Il viso di Ahsoka si trasformò nell’emblema della determinazione e la giovane apprendista procedette, stringendo tra le mani le spade laser. L’idea di tornare alla sala degli Archivi o a riferire la situazione ad un Maestro non la sfiorò neppure.
Percorse il corridoio, svoltò, proseguì, svoltò di nuovo. Dopo un istante di esitazione, attraversò l’ultima barriera. E fu circondata dagli holocron.
La connessione con la Forza si ristabilì e ad Ahsoka parve non si fosse mai spenta. Questo la rese più sicura, allontanò la sgradevole memoria dello scontro con il generale Grevious e il suo fallimento. Ora era un’allieva maggiormente consapevole, riflessiva, in grado di utilizzare la propria esperienza e di dar ascolto ai consigli del suo Maestro – in un universo parallelo.
Dopo solo un paio di passi, il medesimo fruscio già udito la costrinse a nascondersi dietro ad uno dei tanti scaffali. Ahsoka si trovò ad una spanna di distanza con quei manufatti luminosi, la luce quasi la trapassò del tutto e dovette socchiudere gli occhi. Oltre non c’era nulla che fosse fuori posto, nessuna persona, neppure Jocasta.
Che fine aveva fatto la Jedi? Che Ahsoka sapesse non c’era un’uscita secondaria alla stanza degli holocron quindi, per amor di logica e a meno che non fosse improvvisamente dotata del potere di rendersi invisibile, Jocasta doveva obbligatoriamente essere lì dentro. Dov’era?
Ahsoka fece un passo in avanti furtiva, abbassandosi e lasciando che le ginocchia reggessero gran parte del suo peso. Le dita erano aggrappate saldamente alle spade laser, pronte a scattare al momento giusto. Si volse a destra e poi a sinistra, squadrò il lungo corridoio della sala poco illuminata.
Un bisbiglio proveniente dal fondo attirò la sua attenzione e Ahsoka si mosse, silenziosa ma decisa a scoprire cosa stesse davvero succedendo al Tempio. Il cattivo presentimento esplose a mano a mano che la distanza diminuiva e si avvicinava al punto da cui la voce soffusa si era diradata. Ad essere sincera, la giovane non era riuscita a carpirne le parole, ma tanto bastava: nella sala degli holocron c’era qualcuno e l’istinto le diceva chiaramente che quel qualcuno non era Jocasta.
Si fermò di nuovo. Il cuore le balzò in gola e le impedì di respirare, totalmente sopraffatta dalla stessa sgradevole sensazione moltiplicata in maniera esponenziale. Iniziava a somigliare ad un formicolio, un prurito persistente come un cumulo di minuscoli insetti muniti di denti avidi e affilati.
I montral emisero un fischio, da lei sola udibile.
« Hai bisogno di qualcosa, padawan? »
Ahsoka si volse di scatto alla voce di Jocasta, cavernosa, lugubre e gutturale, non appartenente alla Jedi. Fece in tempo a lanciarle un’occhiata spaventata e sorpresa, ad alzare le spade laser accese e ad usarle per proteggersi – ma non fu abbastanza.
L’ombra della Jedi cadde sulla togruta come un’onda d’alluvione, un torrente d’acqua inquinata e impetuosa, che l’avvolse tra le sue braccia informi e oscure. Il grido di Ahsoka formò un eco agghiacciante nella sala desolata, che si ripeté in un circolo vizioso interminabile.
E poi tornò il silenzio.

« Anakin. Anakin! »
Obi-Wan scese dalla navetta con un balzo, trattenendosi dal dar voce ai suoi pensieri sull’impetuosità del ragazzo ch’era stato suo apprendista.
Interrompere un sopralluogo nel bel mezzo di una missione senza prove concrete che il rientro al Tempio fosse necessario: il Consiglio avrebbe posto molte domande in merito e non avrebbe sicuramente visto di buon occhio l’atteggiamento sconsiderato di Skywalker. Se poi il suo intuito avesse fatto centro, i Jedi avrebbero discusso sulle sue potenzialità che ancora stavano crescendo e con esse il pericolo. Il Lato Oscuro.
« Dobbiamo mettere in allerta l’edificio del Tempio, generale? », domandò il capitano Rex, al suo fianco.
« Sì – no! Tenetevi pronti e non abbassate la guardia, ma non fate nulla finché non saremo certi della situazione. Il panico è l’ultima cosa che dobbiamo seminare in questo momento. »
La voce di Obi-Wan uscì marcata e scattosa, mentre un passo dopo l’altro il Jedi attraversava con impeto la distanza che lo separava dall’entrata del Tempio. La squadra dei cloni era alle sue spalle, seguivano le direttive di Rex, che a sua volta eseguiva gli ordini del generale Kenobi.
« Avete sentito il generale? Setacciate il perimetro ma con discrezione. State all’erta », comandò il capitano indicando ai suoi uomini le varie direzioni in cui dividersi. Anch’egli ne intraprese poi una, percorrendo ai margini quel luogo sacro. « Muovetevi! »
Obi-Wan avvertì le presenze disgregarsi e procedette senza indugio. Scosse il capo tra sé, abitualmente, contrariato: Anakin li avrebbe cacciati in un altro guaio, uno dei tanti, riusciva a sentirne già la puzza. Chissà da chi aveva preso quella testardaggine estremamente esagerata, intollerabile, insopportabile…
Una volta varcata la soglia si fermò, trovando la figura immobile di Anakin all’inizio della grande sala. Stava osservando da lì ogni movimento, ogni angolo, ogni filo d’aria assente tra le quattro mura quiete. Ma niente si muoveva, nessun Jedi. C’era qualcosa di sensibilmente diverso, percepibile come un brivido in grado di solcare le ossa e penetrare fino al midollo.
Anakin scrutava ancora l’area impassibile. « Lo senti? »
Obi-Wan era al suo fianco, improvvisamente spogliato del sentimento di lieve irritazione e disappunto. Un presentimento aveva preso il suo posto e gli sussurrava parole ben chiare, a cui avrebbe dovuto dare ascolto. « Sì, e non mi piace », spostò lentamente lo sguardo per incontrare quello dell’amico Jedi, che rispose con un cenno del capo.
Non avevano bisogno di dare ulteriori spiegazioni o di porre inutili domande: capirono al volo che se effettivamente qualcosa c’era, non avrebbero avuto il tempo di fermarsi a riflettere e a valutare le alternative possibili, più accomodanti, più sicure.
L’atmosfera era cambiata, la pace e la serenità interiori che di solito dominavano quel posto erano state soppiantate da un malessere cupo, una coltre di pesantezza paragonabile ad una nuvola di fumo denso. Ogni minaccia che si muovesse attraverso di esso era invisibile anche a loro, ai Jedi, e il fatto che fosse riuscita ad entrare al Tempio era fonte di dubbi e preoccupazioni. Qualcosa stava cambiando, si muoveva nell’ombra, silenzioso, in attesa.
« Vado a cercare Ahsoka. »
« Anakin », il braccio di Obi-Wan scattò rapido per frenare in tempo quello del Jedi, « sta attento. Percepisco qualcosa di strano, di… infido. Sarà meglio essere prudenti. »
Le labbra di Skywalker furono colte da un guizzo impertinente. « Tranquillo, vecchio Obi-Wan, lo sono sempre. Credevo che ormai avessi smesso di preoccuparti. »
« Sai, non è così facile non preoccuparsi quando il tuo ex apprendista ha una predilezione per i guai della peggior specie », ribatté Obi-Wan roteando gli occhi. « Coraggio, va. Controllo le altre stanze, a quest’ora dovrebbero esserci gli addestramenti dei giovani padawan. Tu sta in guardia e non fare niente che io non farei. »
Anakin ampliò il sorriso a dismisura, in un modo a dir poco insopportabile, e prima che potesse replicare con la sua buona dose di sarcasmo Obi-Wan lo liquidò con un gesto della mano. In fondo, anche se cercava di non mostrarsi vagamente divertito da quella tipica situazione, aveva ragione lui: Anakin aveva intrecciato quella sorta di storia d’amore con il pericolo da fin troppo tempo, probabilmente dalla nascita, e l’ostentava persino con fierezza. La sua era tutta questione di fortuna.
Assottigliò lo sguardo, Obi-Wan, e mugugnò tra sé. L’osservò allontanarsi in direzione degli Archivi più all’interno e scosse il capo, di nuovo. « Quel ragazzo mi farà diventare matto… »

La sala principale degli Archivi, contrariamente alle previsioni precedenti, non era deserta come l’atrio d’entrata aveva fatto supporre. Anakin rimase sorpreso di vedere i Jedi concentrati e immersi nello studio. Tutto sembrava fin troppo pacifico rispetto a quella strana sensazione che l’aveva attanagliato dal primo momento in cui aveva intravisto una strana scintilla nello sguardo della sua allieva. Ebbe come l’impressione di aver messo piede in una camera perfettamente in ordine, pulita fino all’ultimo granello di polvere, sotto al cui tappeto si nascondeva in realtà una macchia dilagante e appiccicosa. Cosa avrebbe trovato una volta sollevato il tappeto?
Anakin Skywalker aveva una personalità piuttosto complessa ed era fiero di molte cose, in cuor suo. Era sicuro di sé la maggior parte delle occasioni e uno dei fatti di cui poteva vantarsi era di conoscere Ahsoka Tano più di quanto si conoscesse ella stessa.
Capiva i suoi pensieri profondamente e completamente, senza neppure necessitare di parole aggiuntive che sarebbero risultate superflue; percepiva spesso le sue emozioni contrastanti in via di maturazione, come una giovane padawan dal temperamento ribelle e dallo spirito indomabile, così com’era stato lui in passato e com’era ancora adesso; sentiva i suoi pensieri, anche quando quegli occhi blu tentavano di celarli e barricarli oltre il muro del silenzio. Ahsoka non aveva segreti per Anakin – e il Maestro non era del tutto consapevole di non averne per lei – ragione di più per rendere sospetta quell’apparente tranquillità.
Attraversò la stanza con prudenza, comportandosi normalmente e rivolgendo cenni di saluto ai volti conosciuti. Congiunse le mani e si diresse oltre, verso i numerosi scaffali e le postazioni in cui era possibile studiare, catalogare, decifrare i dati e le informazioni. D’un tratto s’interruppe. E la sentì.
Una sensazione insolita lo invase, lo toccò, come fosse dotata di un corpo organico. Anakin si volse di scatto per osservare il corridoio alle sue spalle, lo stralcio del salone che ancora riusciva a vedere dal punto in cui si trovava: niente di strano apparve. Tutto era al suo posto, tutto era normale, tutto andava bene e se non fosse stato per quella spiacevole impressione avrebbe anche potuto crederci, Skywalker.
Stette per riprendere a camminare, desideroso di trovare la sua padawan e assicurarsi che rimanesse ben salda al suo fianco, quando le percezioni di Ahsoka lo percossero violentemente. I sensi vennero offuscati per un istante che si protrasse a lungo, sostituiti in un lampo da miste sensazioni di paura, ansia, confusione, fiato spezzato.
Anakin boccheggiava, una mano premuta sul petto e le palpebre serrate. Cosa stava succedendo tra quelle mura? Non sapeva come fosse possibile, come riuscisse ad essere connesso ad Ahsoka in quel modo, ma era certo si trattasse di lei. L’avrebbe riconosciuta ovunque. E non andava bene.
Poi tutto cessò, tornò il silenzio e Anakin fu solamente… Anakin. Sbatté le palpebre più volte, mettendo a fuoco di nuovo con chiarezza il corridoio che si apriva di fronte, serrando le labbra per impedire alla rabbia di prendere il sopravvento. Doveva muoversi, affrettarsi.
Il pensiero di trovare Ahsoka ferita l’attanagliò al punto tale da sentirsi l’unico vero colpevole se le fosse accaduto qualcosa. Lui l’aveva assegnata al Tempio, lontana dalla sua vista e dalla sua attenzione; lui l’aveva messa all’interno di una scatola, senza neppure accertarsi che fosse realmente il posto più sicuro della galassia – e perché avrebbe dovuto? Il Tempio era inviolabile, la Forza era presente densa e potente, i Jedi non potevano essere toccati lì dentro. Ma i tempi stavano cambiando e molte cose con essi. Anakin riusciva a percepirlo.
Affrettò il passo, cancellando il corridoio sotto i suoi piedi in un lampo. Svoltò l’angolo impetuoso e, completamente assorto dalle centinaia di possibili conclusioni, si scontrò con forza con qualcosa ch’era sfuggito alle sue sensazioni distratte. Qualcosa o qualcuno.
« Maestro! », esclamò Ahsoka, ritrovandosi improvvisamente intrappolata dalle braccia di Anakin.
Skywalker la guardava allarmato, confuso, terribilmente preoccupato. La sua allieva stava bene, non era ferita, e l’unica nota insolita era il fatto che apparisse evidentemente spaventata. Uno stato in cui di rado gli era capitato di vederla.
« Stai bene? », chiese, liberandola dalla presa.
Ahsoka aveva il fiato corto, inspirava boccate d’ossigeno frammentate, il battito del suo cuore tuonava imbizzarrito all’interno del suo petto. « Sì, sto bene », annuì freneticamente, alzando poi una mano in direzione della lontana sala degli holocron. « Sono là dentro. »
« Chi? »
« Non lo so! », ribatté Ahsoka, scuotendo il capo. « Hanno preso Jocasta e altri Jedi. Credo vogliano usarli per accedere. »
Gli occhi di Anakin si ridussero a due fessure incupite. « Accedere? », domandò più per spontanea reazione che per vera necessità di ottenere una risposta. Il Jedi sapeva cosa stesse a significare quella semplice parola e non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
Senza aggiungere altro, Anakin partì impetuoso. Con le sue falcate alimentate dall’urgenza di porre fine a quella storia percorse gran parte del corridoio, prima che una mano alle sue spalle gli afferrasse il braccio sinistro.
« Non farlo, Maestro! Sono troppo pericolosi! », lo supplicò, quasi, Ahsoka.
Costretto a voltarsi dalla presa dell’apprendista, che gli sembrava sempre troppo energica a dispetto del suo essere così piccola ai suoi occhi, Anakin le piazzò un’occhiata accigliata. « Ecco perché devo fermarli. »
« Ti uccideranno! »
« Questo resta da vedere… », sussurrò scettico, non solo sulla sua ipotetica morte ma anche sull’atteggiamento di Ahsoka. Non capiva cosa vi fosse in lei che non andasse, guardandola, eppure qualcosa non andava. Di solito era lui a doverle urlare di fermarsi, mentre lei da coraggiosa e sconsiderata correva a braccia aperte incontro al pericolo. Non aveva alcun senso!
Anakin si liberò dalla mano di Ahsoka con delicatezza, scrutandola ancora perplesso. Poi le fece un cenno col capo e riprese la via, percependo la sua presenza alle spalle.
Aveva rallentato decisamente il passo, assunto maggior prudenza, e si soffermava ogni qualvolta dovesse compiere una svolta per evitare d’imbattersi in minacce improvvise. Poteva essere chiunque, all’interno del Tempio, ma un attacco in piena regola come quello aveva sempre più l’odore di una trappola. Se la nuova strategia dei Separatisti era minare la sicurezza dei Jedi ci stavano riuscendo egregiamente.
Anakin sollevò un braccio per fermare Ahsoka dietro di sé. C’era qualcosa oltre la svolta, qualcosa che il Jedi non percepiva. Si accigliò. Perché non riusciva a sentire più niente? Non necessitava mai di estrema concentrazione per avere una visuale interiore di ciò che accadeva attorno a lui, anche a distanze notevoli per la sua età. Ed ora invece era completamente cieco.
« Sta indietro… », sussurrò ad Ahsoka, utilizzando il braccio per spostarla dietro di sé e coprirla interamente con il suo corpo. Sul momento Anakin non ci diede molto peso, ma il fatto che l’apprendista non oppose alcuna resistenza e non si lamentasse apertamente della sua iperprotettività era l’ennesimo campanello d’allarme.
Ahsoka si rannicchiò contro la schiena di Anakin, che aveva già alla mano la sua spada laser. In un attimo l’accese e si lanciò contro la presenza oltre lo svicolo del corridoio. Il blu accecante dell’arma fu placato da una scia altrettanto luminosa.
« Maestro », disse Anakin, a metà tra una domanda e un’esclamazione.
« Maledizione, Anakin! », lo rimbeccò Obi-Wan ad occhi sgranati, disattivando subito la sua spada.
Anakin ripose la propria alla cintura, sistemandosi il mantello noncurante e sforzandosi di non apparire troppo divertito dalle tipiche reazioni del suo vecchio Maestro. Si schiarì la voce per fuorviare e tornò a concentrarsi sulla situazione.
« Credevo fossi andato dall’altra parte a controllare che tutto fosse al suo posto. »
« Infatti, nessuno ha notato niente. Ti sto cercando da venti minuti, ad ogni modo, perché non hai risposto?! »
« Cosa? », chiese Anakin, sbigottito. « Ti ho appena lasciato all’ingresso… »
« Sì, venti minuti fa. »
Il Jedi non replicò in alcun modo, se non con lo sguardo più confuso che potesse comparire sul suo volto. Obi-Wan lo fissò altrettanto perplesso, non riuscendo a capire totalmente in che genere di guaio erano caduti – sarebbe stato uno scherzo troppo pesante anche per uno come Anakin. Rimasero per un attimo in silenzio a fare chiarezza, senza tuttavia ottenere grandi risultati quanto piuttosto molte altre domande.
Anakin scosse il capo. « Percepisco qualcosa di oscuro, forse ha a che vedere con questo. Non ho mai ricevuto tue chiamate, non credo che il comunicatore si sia rotto all’improvviso e mi sono fermato solo un momento quando –– », s’interruppe d’un tratto al pensiero che lo colse a quelle parole. Quando aveva provato le emozioni di Ahsoka e ne era stato del tutto soggiogato.
« Quando cosa, Anakin? »
« Niente, lascia stare », lo liquidò, scuotendo il capo con più convinzione. « Dobbiamo entrare subito nella stanza degli holocron, secondo Ahsoka chiunque stia attaccando il Tempio si trova lì dentro. »
« Temo che allora siano già scappati », disse Obi-Wan, pensieroso. « Vengo da lì, io e il Maestro Mundi abbiamo setacciato la zona e non c’è nessuno. »
« Questo non ha alcun senso… »
« Molte cose non ne hanno, a cominciare dal quadro generale della situazione. Un attacco simile è privo di organizzazione e di logica, non è certo nello stile di Dooku o di Grevious. Sembra opera di qualcuno con le idee poco chiare. »
« Bè, non certo di uno sprovveduto se è riuscito ad entrare al Tempio. »
« Magari è quello che i Separatisti vogliono far credere per togliere l’attenzione da loro », spuntò la voce di Ahsoka, che non aveva più detto una parola dall’arrivo inaspettato di Obi-Wan.
Anakin non era affatto convinto di ciò e un sospetto iniziò a tormentarlo, come un piccolo parassita. Un’idea.
« Va bene! », esclamò, « Forse sarebbe meglio dividerci, allora. Solo perché non ci sono tracce nella stanza degli holocron non significa che la minaccia sia sventata. Ho un presentimento e intendo seguirlo. Ahsoka, vai con Obi-Wan e state in guardia. »
La togruta non si oppose e annuì, mentre la confusione vagava indisturbata sul volto di Obi-Wan. Era talmente sorpreso dal fatto che Anakin volesse separarsi da lei che impiegò qualche attimo a fare dietrofront per riprendere a controllare la zona. Carpì qualcosa, il Maestro, lesse negli occhi del suo vecchio allievo quell’idea che aveva in qualche modo preso posizione nella sua mente. E non disse nulla, si limitò a sospirare e a tenere per sé domande e contestazioni.
Si addentrarono nel Tempio in silenzio e a passi furtivi.
Obi-Wan controllò quante più zone possibile, esaminò i corridoi e rimase sempre all’erta con la spada alla mano. Il sollievo faceva capolino sulla sua espressione quando toglieva dalla lista un’area, scatenando per contro però dubbi ancor maggiori.
« Anakin inizia a prendere fin troppo sul serio il suo ruolo di generale », disse con tono scherzoso, tenendo la voce moderata. « Si diverte come un ragazzino a dare ordini. »
Al suo fianco, Ahsoka non rispose. Annuì semplicemente, continuando a sondare con lo sguardo la via del Tempio.
« Comincio a capire il tuo bisogno di trasgredire le regole, mi rendo conto che a volte può risultare difficile seguire le sue direttive… », Obi-Wan si fermò e si rivolse accigliato in direzione di Ahsoka, « Non dirgli che l’ho detto. E sarà meglio procedere con la spada alla mano, dobbiamo essere prudenti. »
Prima che la togruta potesse rispondere, il Maestro aveva già compiuto un paio di passi in avanti. Lei attese qualche attimo, scrutò con un’ombra crescente sul volto la figura del Jedi che la precedeva. I suoi occhi si colorarono di giallo, s’incupirono, bruciarono di un nero incandescente le palpebre e gran parte della pelle sottostante.
« Sì, Maestro », bisbigliò Ahsoka, la spada laser accesa alla mano.
Era alle sue spalle, silenziosa e rapida. Le percezioni di Obi-Wan erano annebbiate e non poté percepire ne l’oscurità incombente ne la spada verde della ragazza puntata ad un’altezza per lui davvero pericolosa. Perché avrebbe dovuto sospettare di un’allieva, poi? Sapeva che la situazione non era delle migliori, ma non aveva ragioni tangibili per fiutare quel genere di pericolo; inoltre non conosceva Ahsoka Tano così in profondità da poter cogliere differenze sostanziali. Fortunatamente, qualcun altro sì.
Il braccio di Ahsoka si caricò d’energia e si mosse per trapassare con forza la schiena di Obi-Wan Kenobi. Emise un grido che si espanse nel corridoio, ma la spada laser non arrivò mai a toccare la vittima prefissata: il Jedi si volse di scatto, vide la mano di Ahsoka trattenuta e bloccata nonostante i suoi sforzi per tentare di colpirlo. Anakin era a qualche metro di distanza, ad impedire con la Forza alla sua stessa allieva di uccidere il suo Maestro.
« Anakin, è –– »
« Lo so! Spostati da lì! »
Obi-Wan non fece in tempo ad indietreggiare neppure di un passo per poter sollevare la sua spada; Ahsoka lo spinse con quanta più Forza poté contro la parete in fondo al corridoio. Fu scaraventato senza la minima esitazione sotto lo sguardo teso e incredulo di Anakin.
« Ahsoka, fermati! Questa non sei tu! »
« Finalmente dici qualcosa che abbia senso », rispose lei con una voce che non le apparteneva.
La rabbia prese per un attimo il controllo di Anakin Skywalker, che con il suo potere trascinò verso di sé la sua apprendista di parecchi metri, lasciandola a terra. Quel gesto gli costò un certo sforzo emotivo più che fisico, gli tolse il respiro e lo colmò con una preoccupazione non indifferente.
Ahsoka si rimise in piedi con facilità, la spada laser volò veloce al palmo della sua mano aperta.
« Ahsoka, ferma. »
« Fermarmi, Maestro? », disse sprezzante, volgendogli ancora le spalle. « E perché mai dovrei farlo? Sono esattamente dove voglio essere. »
Anakin si avvicinò di pochi passi, allungò l’occhio per assicurarsi che Obi-Wan stesse bene – magari un po’ ammaccato e incosciente, ma vivo. « Sapevo che qualcosa in te non andava. Cosa ti hanno fatto? »
Ahsoka rise, in un modo che si discostava sempre di più dalla sua personalità vivace e luminosa. « Niente che non farò anche a te, non ti crucciare. »
« Ahsoka… »
« Lei non è più qui », ribatté austera, voltandosi finalmente a fronteggiare Anakin Skywalker. « E presto la seguirai anche tu, Prescelto! »
La spada laser verde si accese e Ahsoka balzò contro Anakin con una rapidità tale da sorprenderlo. Bloccò l’attacco ad una spanna dal proprio volto, con una visuale quasi spaventosa del viso deformato dall’oscurità della sua padawan: le iridi gialle lo fissavano senza pietà, i muscoli erano rigidi, i denti stretti. Premeva per far calare quella spada e Anakin iniziò a sentirne il calore troppo vicino.
Non voleva affrontare Ahsoka, non voleva ferirla ma non poteva permettere che quella cosa la distruggesse e che coinvolgesse persone innocenti. Doveva fermarla. Ma come? L’allontanò da sé con impeto, deviando i colpi successivi evitando di passare all’offensiva direttamente.
« Ahsoka, non farlo », disse prima di accucciarsi per schivare l’ennesimo fendente. Tentò di sferrare un attacco solo per guadagnare terreno ed avanzare. Non funzionò esattamente come Skywalker aveva pensato: Ahsoka era sempre stata troppo agile per la sua età e si ritrovò a desiderare che, per una volta, non fosse così. Desiderio vano.
« Hai paura, Prescelto? », sputò per nulla intenzionata a fermarsi, continuando a far vibrare la spada laser a destra e a sinistra. « Sento la puzza del terrore che provi, presto ne sarai consumato! »
Anakin indietreggiò e si sporse indietro per evitare di essere fatto a pezzettini dalla sua allieva. Poi piazzò la sua spada in posizione verticale, accanto al suo volto, placando con tutta la forza delle sue braccia la lama verde di Ahsoka.
« Non consumerai lei, però », disse a denti stretti.
Le labbra della ragazza si distesero lentamente, millimetro dopo millimetro. « È tardi, ormai. »
Quelle parole colpirono Anakin in pieno volto, fecero esplodere la sua rabbia in un modo che sarebbe dovuto essere sconosciuto e proibito ai Jedi. Vide i chiari flash degli avvenimenti su Mortis attraverso gli occhi corrotti di Ahsoka, vide il loro scontro, la sua morte.
Sì, era morta Ahsoka, e quella era la ragione che lo aveva spinto a riconsiderare dal principio la sua partecipazione alle missioni più pericolose. Aveva provato un dolore inconciliabile alla vista del suo corpo privo di vita, si era sentito un fallimento, si era sentito impotente e debole. Non poteva permettere che succedesse di nuovo, che qualcuno che amava morisse sotto i suoi occhi, che gli sfuggisse tra le dita come polvere, che lo abbandonasse. Era sua responsabilità agire e allora seppe cosa fare, come scrivere a quell'evento un finale diverso.
Anakin lasciò che l’ira percorresse il suo corpo, che lo attraversasse e scendesse, svanendo. Non perse di vista lo sguardo di Ahsoka e iniziò a mollare la presa, indietreggiando. Spense la spada.
La togruta parve stupita della sua reazione e seguì il suo esempio senza un motivo preciso: ora erano entrambi disarmati, ma ben presto Ahsoka recuperò il proprio vantaggio. Sollevò una mano e utilizzò la Forza per serrare la gola di Anakin in una morsa pungente.
« Ora cadrai, Prescelto. Cadrai sapendo che ogni tentativo di salvare il tuo prezioso Ordine è fallito, proprio come te. Il Lato Oscuro è già qui. »
Il volto di Anakin s’irrigidì in una smorfia di dolore. « Ahsoka… »
« Lei non c’è più! », gridò per tutta risposta, le gialle incandescenti sgranate.
La mano minuta era sospesa nella distanza minima rimasta tra lei e il Maestro, le dita arcuate e in procinto di stringersi sempre di più, fino a chiudersi in un pugno. La Forza fluiva e con essa il potere cui stava attingendo. Il potere del Lato Oscuro.
Ahsoka non l’aveva mai utilizzato per attaccare qualcuno, per immobilizzare una persona, per impedirgli qualsiasi movimento, e ne fu sopraffatta. Toglieva ossigeno ad Anakin ed ogni attimo trascorso, ogni frammento assorbito era un passo di più verso l’abisso dell’ombra. Ma dopotutto ne era già ricolma, strabordante come un vaso pronto ad esondare.
Strinse i denti, le dita tese e per nulla intenzionate a mollare la presa. Più Anakin tentava di contrastare la sua azione con il suo potere e di resistere, più l’ira sedimentava nei meandri delle sue emozioni trattenute, chiedeva a gran voce d’essere liberata e radere al suolo qualsiasi cosa sul suo cammino. La percepiva selvaggia e indomabile, come una furia sguinzagliata ed incontrollabile.
Era arrabbiata, frustrata, impaurita. Tutte sensazioni che conosceva bene, nonostante non le appartenessero, almeno non di solito. Ahsoka le aveva percepite talvolta provenire dal baratro più offuscato e cupo del suo Maestro, specialmente quando si trattava di delicate faccende del suo passato o delle persone a lui care. Si sentiva uguale ad Anakin e lo odiava per questo.
« Ahsoka – ascoltami – non ti lascio », riuscì a dire con voce stroncata. « Non me ne vado. »
Ahsoka guardò il dolore negli occhi contratti di Anakin e sorrise. « Allora morirai. »
In quel momento, Anakin smise di opporre resistenza, smise di lottare. Le sue braccia scivolarono come prive di vita lungo il suo corpo, le labbra si schiusero e il suo volto si rilassò con amarezza alla morsa di Ahsoka.
Il respiro lasciò definitivamente i suoi polmoni e la sgradevole sensazione di andare fuoco lo invase. Dovette reprimere l’istinto di sopravvivenza che gli ordinava a gran voce di ribellarsi, di cercare di muoversi, d’inspirare, di fare qualsiasi cosa. Dovette sopprimere anche la rabbia covata e nascosta verso il Lato Oscuro che aveva osato di nuovo toccare la sua Ahsoka. Si lasciò andare.
Ahsoka non cessò di usare la Forza contro di lui, ma lo guardò confusa. Cosa voleva fare? Forse dopo tutto il clamore e la reputazione del suo nome Anakin Skywalker voleva morire davvero? Bè, lo avrebbe senz’altro accontentato, nonostante lo preferisse vivo e soggiogato.
La sua espressione si dipinse di pura determinazione, già prefigurava il momento della vittoria e non sarebbero stati un paio di Jedi incapaci a fermarla. No. Niente poteva frapporsi fra la Luce e l’Oscurità, l’eterna dicotomia ove molti si erano intromessi ed erano sfortunatamente finiti come presto avrebbe concluso il suo viaggio Anakin Skywalker. Obi-Wan Kenobi lo avrebbe raggiunto subito dopo.
Gli occhi azzurri del Maestro erano fissi su quelli gialli e contornati da venature nere di Ahsoka. La disturbava quello sguardo fermo, ancora troppo determinato per i suoi gusti. Provò un moto di fastidio nell’osservarlo e dovette distogliere la vista per soccombere ad un brivido.
« Ahsoka », si sforzò di far uscire un filo di voce Anakin.
Ahsoka emise un lamento, serrò le palpebre e si contorse sul posto. La mano ebbe un lieve cedimento e la presa si allentò.
« Ahsoka, guardami », Anakin sfruttò la sua temporanea debolezza, l’usò per aggrapparsi a quella flebile luce che ancora riusciva ad intravedere: la speranza. « Guardami. »
La presenza del Jedi stava divenendo insopportabile per Ahsoka, che portò freneticamente la mano libera alla tempia. La sua voce, quello sguardo, la sua resa così calma, quieta, piena di disgustosa fiducia, le facevano venire la nausea e trattenere il fiato. Una fitta iniziò a farsi sentire all’altezza del petto, la testa le doleva. Non c’era spazio in mezzo a quel caos, non c’era abbastanza spazio…
« Ahsoka, guardami. »

Ahsoka si fissò di scatto su Anakin, le iridi gialle sgranate ed immobile. Se avesse avuto la capacità di gettare fiamme al solo sguardo, avrebbe incenerito il suo Maestro. Ma più lo guardava e più sentiva dolore.
Voleva ritrarsi, tesa come un fascio di nervi in procinto di spezzarsi duramente. Non riusciva ad incontrare i suoi lineamenti, a vedere il suo sguardo, a percepire la sua resistenza caduta senza ripensare alle volte in cui le aveva salvato la vita, o ai momenti in cui avevano agito come una persona sola. Aveva chiara di fronte a sé l’immagine della sua preoccupazione quando era stata catturata e gettata in un’arena per essere cacciata, il sollievo e la gratitudine della sua presenza, dei suoi insegnamenti. I suoi occhi, quando per la prima volta si erano trovati davvero e non fisicamente, nello stesso posto, ma più in profondità. Maestro e apprendista. Un legame difficile da spezzare, maggiormente difficile da instaurare.
« Va tutto bene », sussurrò Anakin.
« No… », emise con un filo di voce, un lamento, una supplica. Scosse il capo sempre più freneticamente, respirando a fatica. « Non c’è abbastanza spazio… non c’è spazio… »
Paura. Rabbia. Dolore.
La mano di Ahsoka cessò di agire e Anakin fu libero. La ragazza si accasciò, le dita alle tempie, cercava di contrastare quella sofferenza inspiegabile, che non riusciva a comprendere. Una voce le ordinava di rialzare quella mano maledetta e di spingersi oltre al limite per uccidere il suo Maestro, per uccidere Obi-Wan. Ahsoka non voleva ascoltare quegli ordini, odiava dover rispettare le imposizioni e le regole non le erano mai andate a genio, soprattutto se ti trattava di questo genere di comandi.
Non poteva farlo, non quando a quelle urla corrispondevano ricordi preziosi che assieme formavano l’essenza di Ahsoka Tano. Il suo incontro con Plo, l’arrivo al Tempio, la sua assegnazione al Maestro Skywalker, la vicenda della fabbrica dei droidi Separatisti, quando lei e Barriss erano intrappolate sotto alle macerie. E Anakin non aveva perso la speranza, era rimasto. Era rimasto per lei.
« Non posso farlo… non voglio… »
Anakin era contro la parete, riprendeva fiato. Cercò di allungare una mano verso la sua padawan, che si allontanò. « Ahsoka… »
« Non c’è spazio, non posso… »
Qualcosa scattò nella mente di Anakin, esattamente come l’idea parassita che l’aveva convinto della stranezza di Ahsoka, e le afferrò con più sicurezza un braccio. Non importava che il suo respiro si stesse ancora stabilizzando, si fece forza e l’avvicinò a sé abbastanza perché potesse di nuovo guardarlo negli occhi, faccia a faccia.
« No! », si ribellò Ahsoka, strattonando e stringendo al tempo stesso le braccia di Anakin.
Evitò il suo sguardo fin quanto poté ed in fine cedette, sentendosi inondare dalla limpidezza dei suoi occhi stanchi. Non la lasciava andare, condivideva l’oppressione di quella cosa, di quella ignota onda oscura.
Ahsoka smise di opporsi e lasciò che Anakin la sostenesse. Si fidò, nel profondo, come lui aveva fatto prima, mettendola alle strette, fidandosi.
« Ahsoka, va tutto bene. Guardami. »
Lo stava guardando, Ahsoka, respirando a fatica, lottando, resistendo alla tempesta che imperversava nel suo cuore. « Maestro – », sussurrò a labbra contratte, « non voglio farlo. »
« Andrà tutto bene, fidati di me. Lascia andare. »
« No… », scosse il capo tra sé Ahsoka.
« Lascia andare. »
Il dolore era insopportabile e un velo di lacrime offuscò la vista della togruta, che serrò le palpebre con quanta più forza aveva in corpo. Il contatto visivo con Anakin era interrotto, ma lui strinse di più le sue braccia, la intrappolò.
“Lascia andare.”
“Andrà tutto bene, fidati di me.”
Due scie salate attraversarono il volto di Ahsoka, dissolsero la sofferenza, la paura, la rabbia; trascinarono via l’oscurità, il caos e il rumore. Tutto tacque.
Ahsoka barcollò sul posto, esausta e senza fiato, sorretta da Anakin, che l’abbracciò istintivamente. Era finita, qualunque cosa fosse successa tra le mura di quel luogo sacro e inviolabile… era finita.
Lo sguardo di Anakin vagò alla ricerca di Obi-Wan, ancora privo di sensi. « Bè, furbetta, forse è il caso di riconsiderare il tuo soggiorno negli Archivi », disse provato e tuttavia sarcastico. Ahsoka poteva persino giurare d’intravedere una nota divertita nella sua espressione, il che non era un fatto da escludere. Come non erano da escludere le spiegazioni più creative che sarebbero state presto discusse dal Consiglio.


Anakin riconobbe a prima vista la figura esile e voltata di Ahsoka. Si fermò ad osservarla, lasciando che Obi-Wan e il Maestro Windu proseguissero lungo il corridoio soffuso.
Il Consiglio era stato molto chiaro in merito, tutti si erano trovati concordi: qualcosa di terribile si muoveva all'ombra della guerra, silenzioso e letale. Gli ultimi avvenimenti al Tempio erano solamente un monito, un avviso che nessuno avrebbe dovuto sottovalutare. L'oscurità era tra loro, in agguato, palpabile e potente, solo in attesa di un passo falso o di un momento di debolezza per cogliere la luce alla sprovvista, per spegnerla.
Ahsoka stava usando la Forza, le mani indirizzavano al loro posto dati appartenenti alla sezione ingegneristica, messi a soqquadro dopo lo scontro. In effetti i danni riportati non erano stati parecchi, ad esclusione delle bruciature causate dalle spade laser. Era il disordine a dilagare e, fortunatamente, molti allievi Jedi stavano sostituendo l'addestramento pomeridiano con del sano volontariato in aiuto di Jocasta.
« Sapevo che in fondo ti saresti divertita negli Archivi, furbetta », disse Anakin, una volta attraversato il corridoio.
Ahsoka non si volse subito, ma il Jedi riuscì comunque a cogliere il lieve movimento delle spalle e ad immaginare il disappunto sul suo volto. Disappunto accompagnato da qualcos'altro, la vera ragione per cui aveva deciso di compiere quella breve deviazione, considerando che ancora non aveva avuto modo di parlarle dopo l’accaduto.
« Qualcuno doveva rimanere a sistemare questo macello », rispose l'apprendista, decidendosi ad incrociare lo sguardo del Maestro, seppur con una piccola smorfia. Niente di più diverso dall'essere contrariata, però, quanto forse dispiaciuta e in parte maggiore consapevole della propria colpevolezza. E abbattuta. Non riusciva neppure a guardare in faccia Anakin per un lasso di tempo prolungato.
« Credo che quello sia nel posto sbagliato. »
La giovane togruta puntò la coda dell'occhio verso lo scaffale, mentre una scheda lasciava il posto e raggiungeva quello affianco. Sospirò, Ahsoka, non sapendo se ringraziare o meno l'intervento di Anakin. Forse avrebbe dovuto e ancora non ne aveva avuto occasione, soprattutto per averle salvato di nuovo la vita.
« Bè, che cosa vuoi, Skycoso? », sbottò con una scrollata di spalle. « Non penso che tu sia qui per aiutare a rimettere in ordine. Spero non per controllarmi. »
Sulle labbra di Anakin apparve un accenno di sorriso. « No, volevo assicurarmi che stessi bene. Obi-Wan ha richiesto la nostra presenza in una missione, partiamo domani. Dovresti andare a riposare e lasciare questo lavoro agli altri. »
« Sto bene. »
Il Maestro esaminò qualche istante la sua padawan, anche se non ne aveva davvero bisogno. Percepiva il suo stato d'animo, l'aveva sentito nel momento esatto in cui aveva discusso dell'accaduto assieme agli altri Jedi e leggerlo attraverso il blu di quelle iridi non era altro che un'ulteriore conferma.
« Ahsoka, non devi rimproverare te stessa. Non è stata colpa tua, hai fatto tutto ciò che era nelle tue possibilità e nessuno avrebbe potuto agire diversamente. »
« Avrei potuto ucciderti. »
« Non sopravvalutarti, furbetta, ho sempre un asso nella manica », replicò Anakin, coprendo a fatica un ghigno impertinente.
Ahsoka assottigliò lo sguardo infastidita. « Avrei potuto uccidere il Maestro Obi-Wan », sottolineò, per nulla intenzionata a demordere.
« Fortunatamente sono io l'asso nella manica di Obi-Wan. »
Gli occhi della giovane schizzarono verso l'alto, increduli e al tempo stesso alla ricerca di un punto in cui fissarsi che non fosse l'espressione compiaciuta e insopportabile di Anakin Skywalker.
Una parte di sé apprezzava ardentemente il fatto che cercasse di alleggerire il peso della situazione, perché Ahsoka non aveva dubbi su questo: sapeva di non poter nascondere niente al suo Maestro, per quanto talvolta cercasse di deviare la sua attenzione. Anakin comprendeva sfumature dei suoi pensieri che lei stessa faticava a capire, e anche questo era un altro motivo per essergli grata. Ma ora era diverso.
Il giorno precedente non era stato come il "sogno" su Mortis, in cui l'Oscurità aveva contaminato e logorato il suo animo con le tenebre – o almeno era quello che Ahsoka poteva supporre dai frammenti sconnessi di cui aveva ben poca memoria. Quello era stato uno sogno, un sogno terribile, un incubo, ma pur sempre tale. Solo un sogno.
L'attacco al Tempio invece era stato reale e Ahsoka ricordava ogni istante, come immagini ripetute continuamente in una sequenza infinita nella sua testa, un vortice perpetuo in cui affrontava il suo Maestro, il Maestro del suo Maestro e i suoi stessi demoni. La cosa peggiore, però, era stata la scoperta di averne: mostri celati e silenti, in attesa della giusta occasione per emergere, di una scintilla. Come poteva Anakin Skywalker rimediare a ciò?
« Ascolta, hai agito bene », riprese il Maestro, barricando la leggerezza dietro ad un muro di apprensione. « Hai impedito che la situazione degenerasse, che venissero coinvolte persone innocenti e dovresti essere fiera di questo. Io lo sono. Non hai affrontato un’orda di droidi da guerra, hai combattuto contro il peggior nemico di ogni Jedi: te stessa. »
« Immagino che il Consiglio prenderà seri provvedimenti. »
« Perché dovrebbe? Hai superato una prova che non tutti sono in grado di sopportare, hai dato uno sguardo alla paura e alla rabbia e gli hai voltato le spalle. Cammina a testa alta, Ahsoka. »
Le parole di Anakin attirarono prepotentemente la sua attenzione, nonostante non fossero abbastanza forti da scalfire del tutto l'armatura che aveva indosso da poche ore. Si sentiva intaccata, sporca, priva di difese e in colpa. Ma sarebbe sopravvissuta anche a questo.
« Grazie, Maestro », disse semplicemente.
Anakin si limitò a compiere un cenno col capo, conscio di quanto quel “grazie” si riferisse al fatto di averle salvato la vita piuttosto che all’elogio del suo buon lavoro. Non insistette maggiormente e anzi, comprese che in quel momento la sua allieva stava anteponendo qualcosa di molto più importante al riconoscimento del suo talento. E, in silenzio, ne fu orgoglioso.
« Maestro? », lo chiamò Ahsoka, prima che potesse allontanarsi.
Il Jedi non mosse un passo, si volse a sopracciglia inarcate, in attesa.
Ahsoka impiegò qualche secondo ancora per permettere alla propria voce di fuoriuscire, ponderando neanche così bene il peso di ciò che voleva dire. Era impulsiva per natura, ma non poteva negare di aver riflettuto a lungo nelle ultime ore, più di quanto si sarebbe aspettata.
« Come lo sapevi... », iniziò esitante, utilizzando le mani nella speranza che gesticolando avrebbe acquistato maggior sicurezza nel rendere concreto quel dubbio. « Come sapevi che non ero… io? Insomma, come... »
« In tutte le battaglie e le missioni in cui abbiamo combattuto insieme, non ti ho mai vista tirarti indietro e lasciarti prendere dal panico. Per non parlare del fatto che mi hai apertamente dato ragione su qualcosa. E poi… di solito sono io quello che urla al vento di non correre in braccio al pericolo quando decidi di non ascoltare i miei ordini e fare di testa tua. »
La spiegazione molto sarcastica di Anakin sembrava tanto semplice quanto ovvia, mentre Ahsoka iniziava ad avvertire un lieve, lievissimo imbarazzo colpevole. Naturalmente si trattava di un sentimento passeggero: in pochi minuti ( se non secondi ) si sarebbe addirittura scordata di averlo provato, visto e considerato il loro rapporto fin troppo confidenziale. Mai ci fu volta in cui la prima constatazione del Jedi fu più vera: Ahsoka Tano non sarebbe mai sopravvissuta allo status di padawan con qualsiasi altro Maestro.
« Mi dispiace? », abbozzò la giovane con un sorrisino ben costruito.
« La tua noncuranza delle regole e dell’autorità ti ha salvato la vita questa volta, quindi chiuderò un occhio, o magari due. »
Ahsoka sorrise, facendo sparire ogni traccia di artificio e furbizia da quel gesto. I dati dell'Archivio l'aspettavano e aveva come il sentore che li avrebbe guardati diversamente, con un piccolo pezzo del puzzle decifrato, con un'incertezza quantomeno risolta. Il resto avrebbe potuto aspettare, se non altro fino alla prossima occasione.
« Ah, Ahsoka. Prima, quando ho detto che Obi-Wan ha richiesto la nostra presenza e che dovresti andare a riposare non era un consiglio, era un ordine. Non ho intenzione di diventare cieco. »
« Ai tuoi ordini, Skycoso », replicò Ahsoka fingendosi accomodante e restando poi a guardare il Maestro percorrere la sala del Tempio.
Il suo sorriso scomparve e con esso la smorfia sarcastica. Ahsoka fissò seria i passi di Anakin, uno dopo l’altro, domandandosi se forse… se forse non ci fosse una vera ragione di fondo a tutti quegli eventi così strani ed inspiegabili. Niente accadeva mai per caso, era un fondamento costante della vita di un Jedi. La Forza agiva in modi sconosciuti, talvolta incomprensibili ma pur sempre coerenti ad una strada ben tracciata per ognuno. Qual era, dunque, il significato di quell’oscurità? Cos’aveva insegnato ai Jedi? Che il Lato Oscuro incombeva come già sapevano?
Apparentemente niente. Ahsoka tornò a rimettere in ordine gli ultimi pezzi rimasti prima d’incamminarsi nella propria stanza come da ordini. Apparentemente niente, ripeté durante il tragitto, portando appresso un grande dubbio irrisolto. Dubbio che, non poteva sapere allora, era il seme di ciò che si sarebbe scatenato nell’Ordine dei Jedi.
Il dubbio.


present day

« Quindi la tua idea sarebbe questa: vagare in giro per la galassia senza avere un’idea precisa di cosa fare e dove andare? »
Drake era seduto comodamente sulla poltroncina del pilota, nella cabina della Narada. Si era girato in modo da essere rivolto verso Lynn, che troneggiava in piedi con una mano poggiata al sedile del co-pilota. Lo scrutava accigliata.
« Qualsiasi cosa sembra stupida detta in questo modo! », si lamentò lui, allargando le braccia e lasciandole ricadere pesantemente sui braccioli della sedia. Poi sbuffò e annuì. « Sì, quella sarebbe l’idea. O almeno penso che sia quella, non sono sicuro di cosa dovrei fare con Marek e Ashla e la guerra. Non sono sicuro di niente, Lynn. »
« Capisco », disse la mirialana, incrociando le braccia al petto. « Ma non è un buon motivo per intraprendere una sorta di strada che non si può nemmeno definire in questo modo. »
Gli occhi verdi di Drake si spalancarono appena a quelle parole, le stesse pronunciate dalla voce calma e vera di Ahsoka. Avevano ragione, lo sapeva bene. Ciononostante la situazione non diveniva in un lampo meno complessa solo perché non esistevano ragioni valide al lasciarsi andare alla deriva. Drake aveva scelto la via facile per anni, iniziava a sentire ora il peso della via giusta.
Distolse lo sguardo con esitazione, stringendo le labbra.
« Ascolta, Drake », riprese Lynn, spostandosi per occupare la poltrona del co-pilota. « Io capisco… capisco davvero come ci si sente a ritrovarsi sbalzati all’improvviso fuori dalla propria vita, senza più niente che riconduca ad un passato ormai perduto. Sai bene quanto riesca a capirti e quanto mi addolori la morte di Sienna. Ma tu sei ancora vivo. Marek è qui, ha bisogno che suo padre torni ad essere lo sbruffone sicuro di sé che ho conosciuto molti anni fa e che sono sicura sia nascosto da qualche parte, lì dentro. »
Le labbra di Drake si spiegarono in un sorriso abbozzato, mentre un’espressione compiaciuta tentava di apparire attraverso l’incertezza. Non durò a lungo, però: un pensiero solcò la sua mente, trasformandosi in evidente rimorso e dolore. Una sofferenza silenziosa, una ferita mai cicatrizzata del tutto, che molto spesso sanguinava e lo dilaniava.
« Quell’uomo ha mollato la baracca da tempo », disse Drake, nauseato dal ricordo che lo stava trascinando giù a picco. « Non sono io… »
Scosse il capo in maniera quasi impercettibile, senza più cercare gli occhi di Lynn Ronan. Lei aveva sempre la cosa giusta da dire e non voleva sentire la sua voce dolce, nettamente in contrasto con la tosta personalità che lui aveva avuto modo di conoscere molto bene. Qualsiasi parola non avrebbe colmato la voragine chilometrica che dimorava all’altezza del suo stomaco.
« Ho affrontato Carter, prima di tornare su Coruscant. »
« Tu – cosa? »
« Mh », annuì Drake, inspirando una boccata d’aria eccessiva. « Per un attimo ho pensato che mi avrebbe ucciso, anche se da povero sciocco ho continuato a sperare che guardandomi negli occhi sarebbe riuscito a perdonarmi. Ma non è stato così e non lo sarà mai. »
« Drake… »
« È morto per colpa mia, Lynn. Carter ha perso suo figlio per colpa mia. »
« Non puoi saperlo… »
« , invece », ribatté con fermezza, ora penetrando gli occhi dell’amica con i propri. « Non sarebbe accaduto se non fosse stato per la mia stupidità, la mia impulsività nel credere che sarebbe stato tutto così facile e banale. Sono stato… avventato! Il figlio del mio migliore amico è morto. Mia moglie è morta. Il mio migliore amico vuole la mia testa su una picca e stava per uccidere mio figlio ed una ragazza che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. »
Drake era senza fiato, cercò di recuperarlo in maniera piuttosto maldestra e affannosa. Il suo sguardo determinato non ammetteva repliche da parte di Lynn, che lo fissava semplicemente. La mirialana sbatté le palpebre più volte, serena.
« Hai finito..? »
« Sì! », sbottò ancora Drake, obbligandosi in fine a tacere.
Le sopracciglia corvine di Lynn scattarono verso l’alto, formarono un arco perfetto. « Bene. Allora possiamo tornare a parlare della tua folle idea non idea. »
Drake si accomodò esausto alla poltroncina, sbuffando. Mosse un cenno con una mano, troppo coinvolto dai pensieri a cui aveva appena dato voce per interessarsi alle giuste osservazioni di Lynn. « Prego. »
La mirialana inspirò, scrutandolo impassibile. « Carter non ti perdonerà mai. »
Lo sguardo di Drake mutò in un lampo, passando in rassegna dapprima la confusione e poi una sarcastica accondiscendenza. « Ti ringrazio per la tua sincerità, tesoro, davvero. Sono estasiato… »
« Non ti perdonerà mai finché non riuscirai prima a perdonare te stesso, Drake. »
Tacque, l’uomo, cancellando dal suo volto ogni traccia d’ironia. Ecco proprio ciò che doveva aspettarsi da lei, Lynn Ronan, la seconda persona al mondo capace di fargli il dono della vista di fronte ad un realtà che aveva avuto davanti al naso per anni. E a cui aveva più volte voltato le spalle.
« Vorrei tanto sapere come… », sussurrò con lo sguardo nuovamente a terra, affranto. « Dimmelo tu, Lynn. Dimmelo ed io lo farò. »
« Nessuno può farlo. Non so dirti come si fa… »
« Io non… », s’interruppe Drake, scuotendo il capo, « non lo so. Non riesco ad accettare questi avvenimenti, non riesco neanche a capire come siano potuti succedere. Non ho mai voluto che qualcuno si facesse male, che qualcuno morisse a causa mia. Ho pensato… che smettendo di agire avrei potuto almeno proteggere ciò che rimaneva della mia famiglia, ma la verità è che avevo paura ed ero paralizzato dal senso di colpa. Anche adesso lo sono, perché temo che una mia scelta programmata possa mettere in pericolo Marek o quella ragazzina che – diamine, ha saputo capire in pochi istanti quello che io ho voluto seppellire per anni! »
« E cos’è? »
« La paura, Lynn. La paura… », rispose con un filo di voce, pieno di consapevolezza. Senza neppure accorgersene, Drake stava affrontando l’ultima vera battaglia, la resa dei conti. « Paura di soffrire, di dover provare senso di colpa, vergogna; paura di non essere il padre che mio figlio merita e di non essere forte abbastanza per affrontare quello che c’è là fuori. La Repubblica sta combattendo da troppo tempo una guerra che non può vincere e qualsiasi vittoria sarà comunque una sconfitta. »
Oltre la porta socchiusa della cabina di pilotaggio, Marek osservò per un’altra manciata di secondi il rimorso di suo padre. Spostò piano lo sguardo, iniziando a sentirsi un viscido ladruncolo scoperto ad assistere a quella conversazione. Non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe voluto sapere, vedere e sentire i pezzi mancanti di quell’assurdo puzzle: il puzzle del cuore di suo padre. Non era giusto.
Guardò a terra, i propri piedi. Lasciando un sospiro, s’incamminò attraverso i corridoi della nave, i pensieri immersi in tante domande quant’erano le rispose di cui si era appena appropriato di nascosto, ladro nella notte. C’era una ragione alla rabbia e all’odio di quell’uomo, quel prepotente che aveva reso gli ultimi anni della loro vita un inferno, Carter Neely.
Marek riusciva a capire, riusciva a comprendere quanto poco si fosse trattato di affari e quanto invece fosse una questione personale mai estinta. Non provava neppure rancore per suo padre, che ai suoi occhi si era sempre comportato come un codardo in fuga, un cacciatore in disgrazia che scendeva a compromessi pur di sopravvivere, un miserabile. Anzi, si odiò per questo. Se solo gli avesse raccontato la verità, se non gli avesse mentito, se non gli avesse fatto credere di essere qualcosa che non era, se avesse condiviso con lui il suo dolore, se solo…
Le cose sarebbero potute andare diversamente? Bè, forse no. Marek aveva comunque perso sua madre, lui e Drake sarebbero stati dei fuggitivi, alla ricerca di una via di scampo dal loro stesso passato e un rifugio per sopravvivere alla guerra galattica. Esattamente come ora.
Indugiò quando giunse di fronte ad una cabina aperta, in cui intravide la figura ancor più minuta di Ahsoka. Era seduta sul letto, lo sguardo basso, le braccia e le spalle come chiuse su se stesse. Marek pensò che sarebbe potuta scomparire da un momento all’altro e qualcosa lo spinse ad impedire che ciò avvenisse.
« Ahsok – Ashla », disse dopo aver fatto un passo, varcata la soglia. « Scusami, io… »
Ahsoka si voltò a guardarlo con tranquillità, ritrovando una minima parvenza di pace nell’allontanarsi dai meandri della solitudine. « Non ti preoccupare, capisco che la situazione sia… insolita. »
Marek strinse le labbra in una smorfia, pienamente consapevole di doversi mordere la lingua e contare fino a dieci prima di dar libera uscita a qualunque suo pensiero.
« Non uso quel nome da un pò… »
« Quindi eri davvero un Jedi? »
« No », replicò Ahsoka, ancora in balìa di quel precario equilibrio. Era la sola presenza di Marek a mantenerlo, a far sì che non crollasse in mille frammenti come le lacrime versate al Tempio e durante il tragitto verso la nave. « Ero un’apprendista. Il genere di allieva che a fatica si adegua alle convezioni e non rispetta le regole quando può seguire l’istinto. Ma poi… è stata una mia scelta, andarmene. »
Il ragazzo osservò i lineamenti di Ahsoka, il modo in cui annuì velatamente, l’inestimabile accenno di sorriso che la rendevano la sconosciuta più affidabile del mondo. Forse aveva subito instaurato un legame dal giorno in cui lo aveva salvato alla locanda, forse aveva allacciato a lei un filo invisibile, forse erano più simili di quanto ancora potevano sapere, ma Marek sentiva di poter rivelare qualunque cosa ad Ahsoka. Ahsoka o Ashla, quale che fosse il suo nome, non sembrava avere poi così tanta importanza.
Si avvicinò a passi silenziosi, prese posto accanto alla togruta, posando lo sguardo nella parete di fronte grigia di fronte a sé.
« Io non sono nemmeno sicuro di sapere esattamente cosa sia un Jedi, quale sia il suo ruolo », iniziò, con l’ennesima smorfia stampata sul volto, « una volta ho sentito mio padre che raccontava qualcosa a mia madre, ma è stato tempo fa. »
Le sue parole catturarono l’attenzione di Ahsoka, che l’osservò con profonda comprensione. « Ti manca molto, non è vero? »
Marek annuì, facendo scivolare lo sguardo dalla parete di metallo al pavimento. « Quel pianeta ha preso molti più pezzi di noi di quanto non sembri. »
« Come… com’è morta? »
« È caduta. Io ero sull’altro lato della montagna, non ricordo bene con chi… dovevo aspettare che lei e mio padre attraversassero il valico, ma sono stati attaccati. Ho visto la roccia sgretolarsi sotto i suoi piedi e l’ho vista cadere. »
Il silenzio avvolse quella dolorosa confessione, quel segreto rivelato. Insolito, per Ahsoka, che mai all’infuori di Plo Koon e Anakin aveva parlato del proprio passato. Eppure giunse alla consapevolezza di avere realmente molte affinità con Marek, nonostante si conoscessero in così minima parte, per nulla in effetti. Aver affrontato l’ultima settimana e il ritorno su Coruscant aveva però innescato in loro un meccanismo non indifferente.
« Anche i miei genitori sono morti », disse semplicemente Ahsoka, mettendosi a sua volta in gioco. Non erano soli, nessuno dei due.
« Mi dispiace… »
« È passato moltissimo tempo. I Jedi sono diventati la mia famiglia, o almeno lo erano. »
Marek sollevò lo sguardo per posarlo su di lei. « Fino a quando non hai scelto di andartene. »
« Sì. »
« Bè, sembra completamente privo di senso quindi vuol dire che è del tutto normale. »
Sul volto di Ahsoka si espanse quel piccolo accenno di sorriso, corse ad incontrare gli occhi di Marek, che parlavano ancor di più di quanto egli stesso non facesse. Per un attimo, un fugace e misero istante, le parve di sentire la presenza di Anakin al suo fianco, il suo inconfondibile modo di sdrammatizzare ogni tipo di situazione, di alleviare con facilità gravosi macigni.
Le crepe nel suo precario equilibrio si colmarono in quel momento, si riempirono nell’illusoria sensazione d’integrità.
« Già. L’Ordine non è come te lo aspetti. I Jedi sono… pacifici, equilibrati, saggi. Almeno questo era quello che erano in principio. Sono molto sensibili alla Forza, perciò il loro compito è essere guardiani della pace e mantenere l’equilibrio nell’universo. »
« Cos’è la Forza..? »
« La Forza è – è complicato. Non credo che sia una cosa o un’entità, una definizione. La Forza è ovunque, attraversa tutto ciò che esiste e tutto ciò che esiste è parte di essa. Il Maestro Yoda diceva sempre che non siamo diversi da una pietra, da una nave o da un insetto: siamo manifestazioni diverse della stessa Forza e un giorno torneremo ad unirci ad essa. »
La spiegazione apparentemente chiara – e mnemonicamente imparata – di Ahsoka non faceva una piega e Marek si ritrovò ad osservarla perplesso, con un occhio socchiuso rispetto all’altro.
La storia che aveva udito da suo padre e da sua madre, più che altro una voce, non aveva niente a che vedere con strane connessioni ed inspiegabili leggende sui fondamenti spirituali dell’universo.
Annuì comunque, assorto, mugugnando tra sé. « Wow, sembra… complicato. »
Ahsoka non poté fare a meno di tentare una risata alla vista della sua espressione palesemente confusa e accigliata. Chi avrebbe mai potuto capire una cosa del genere non avendo mai sentito parlare neppure dei Jedi e dell’equilibrio universale? Quasi si stupiva Ahsoka stessa delle nozioni assimilate, di quanto avesse imparato a comprendere quel legame con la Forza ancora così imprevedibile e incomprensibile.
« Lo è », disse divertita, costringendosi a tornare seria con una smorfia. « Ma le cose sono diverse ora, credo stiano cambiando già da un po’ con questa guerra… »
« Diverse? Che vuoi dire? »
« Non lo so. I Jedi sono cambiati, avverto questa… diffidenza, questa sorta di mano oscura che è calata sul Tempio. Non è stato sempre così, però. »
Marek sospirò, lo sguardo ancora fisso sulla togruta. In un certo senso, quel pianeta desolato e traditore aveva tenuto lui e suo padre lontano dal conflitto e dalle brutalità della guerra, al punto d’arrivare a chiedersi se ancora stesse tenendo in ginocchio la galassia.
« Per questo hai deciso di andartene, di lasciare la tua famiglia? Perché le cose sono cambiate? »
« Sì… e no. Prima di allora non avevo mai dato veramente peso a quello che stava succedendo, non avevo pensato… », sospirò e la voce smise semplicemente di dar voce ai pensieri, o forse furono i pensieri a svanire e con essi la voce.
Ahsoka non lo sapeva, così come non sapeva trovare il modo di rispondere alla logica questione di Marek. Si sentiva persa, affranta, delusa, sola, in bilico su di una piattaforma instabile nel bel mezzo di un abisso profondo in cui la minima incertezza sarebbe potuta essere fatale. Fatto curioso viste le molte insicurezze della togruta, emerse solamente dopo l’abbandono dell’Ordine. Ma era davvero così? Erano emerse solo di recente le sue insicurezze? Oppure erano già sedimentate in remoti angoli del suo cuore, della sua mente arguta, in attesa della giusta occasione per venire a galla? Non era stata forse lei a chiedere a Barriss se non fosse sbagliato reprimere i propri sentimenti come un Jedi doveva fare?
« Forse non ho mai guardato attentamente il quadro generale delle cose, davo troppo ascolto all’istinto e troppo poco alla voce silenziosa dentro di me », disse.
« La Forza? », azzardò Marek, iniziando ad interessarsi davvero a quella realtà complicata.
« Esatto. »
« E cosa ti dice adesso? »
Ahsoka rifletté una manciata di secondi, scoprendo il suo istinto in totale disaccordo con quella voce silenziosa dentro di sé. Mise a tacere l’impulsività e con essa l’oceano d’incontrollate emozioni su cui era diventato sempre più difficile navigare. Le aveva ascoltate per mesi, aveva permesso loro di sopraffarla in modo da comprenderne le ragioni. Ora tornò il silenzio, un silenzio quasi confortante se non fosse per i sussurri lontani del Maestro Kenobi e del Maestro Plo.
« Che devo restare. »

Angolo dell’autrice.
I'm back!
Mi scuso moltissimo per l’enorme ritardo – il nuovo orario delle lezioni è incredibile e il capitolo è risultato più lungo del previsto. È probabile che in futuro le date siano un pò più prolungate (?) così da evitare eventuali ritardi… perdonatemi. Mi farò perdonare (?)
Comunque sia HERE WE ARE.
Okay, questo è ‘formalmente’ l’ultimo capitolo della prima parte, quella che serve a ricoprire l’arco tra la quinta stagione di Clone Wars e La vendetta dei Sith, e che quindi è un ponte che conduce direttamente al vero viaggio di Ashla verso Fulcrum. Siamo alla fine del principio.
Si è delineata una strada che inizia, sono state gettate le basi emotive sia della nostra eroina che dei personaggi che la seguiranno in giro per la galassia e le loro ragioni. A questo proposito ci sono ancora tanti pezzi mancanti del mosaico che un po’ alla volta verranno inseriti, soprattutto perché – aiuto – mi sono affezionata già molto a Drake, Marek e persino a Lynn… spero che abbiano fatto o faranno breccia anche nel vostro cuore (?) Riserveranno molte sorprese eheheh.
Dunque, ci siamo.
Cosa deciderà di fare Ahsoka?

p.s. il capitolo 06 verrà pubblicato domenica 26 marzo e sarà intitolato “Fall of the Jedi”.
Sarà ufficialmente l’ultimo tassello della prima parte e per questo motivo avrà una struttura diversa dagli altri capitoli. Sarà un po’ particolare… differente. Non faccio anticipazioni, anche se il titolo credo riveli moooolto già da solo.
p.p.s. il flashback contenuto in questo capitolo è molto simbolico. I tempi stanno cambiando, il mondo sta cambiando, l’oscurità è radicata persino nei posti più improbabili e le percezioni sono offuscate. L’Impero sta già sorgendo senza che i Jedi se ne rendano conto e anzi: vi sono proprio seduti sopra.
Inoltre è un richiamo a Twilight of the Apprentice… p.p.p.s. grazie a chi sta seguendo questa storia, a chi ha lasciato una recensione e anche ai lettori silenziosi. Grazie di cuore davvero, qualunque opinione / suggerimento / critica è sempre ben accetta. Fatemi sapere! E a presto!



   
 
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