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Autore: nitin    17/03/2017    1 recensioni
Questa Klance si articola in sms, di tanto in tanto interrotti da qualche spiegazione giusto per far capire che, in realtà, c’è un filo logico dietro a questa trashata.
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Cosa diamine era successo, la sera prima…?
31/03
11:04
“Appena puoi, dimmi se ti senti meglio.”
11:04
“Bellissima dichiarazione, comunque. Dovresti fare il poeta.”
11:04
“Adesso vado a dormire. Vedi di non chiedermi di sposarti in questo lasso di tempo.”
Genere: Angst, Comico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi tornata.
Mi piace il fatto che io scriva un capitolo al giorno. Anche se dovrei studiare. Tipo, davvero tanto… Ma non importa.
Perché ormai è quasi finita.
 
Importante!!!
Queste sono le canzoni che ho usato nel capitolo, andate ad ascoltarvele se vi va:
Nelly Furtado – Manos Al Aire https://www.youtube.com/watch?v=n5c3tfvp4Lc
Bomba Estereo – Soy Yo https://www.youtube.com/watch?v=bxWxXncl53U
MCR – Na Na Na https://www.youtube.com/watch?v=egG7fiE89IU
 
CAPITOLO 13
 
 
03/08, Seul, Corea del Sud, ore 09:34
 
Gli occhi di Keith si aprirono debolmente, infastiditi dalla luce del sole che entrava dalle finestre di quella camera di ospedale. Nelle proprie narici, l'aspro odore di agenti chimici gli pungeva i sensi, facendogli arricciare il naso.
Lenzuoli bianchi coprivano il suo busto magro, spesse bende gli fasciavano gli avambracci, e due piccoli tubi gli entravano direttamente nelle vene di entrambe le braccia, rifornendoli di sangue e nutrimento.
E a Keith andava bene. Keith si lasciava nutrire, si lasciava rinvigorire senza esserne arrabbiato. Gli stava bene, essere vivo.
Da quando aveva sentito Lance, non aveva smesso neppure un attimo di pensare a lui. A lui, al suo sorriso, alle sue promesse, alla sua voce che lo chiamava 'amore mio'.
Lo aveva chiamato così... Lo aveva chiamato così per davvero, quella volta, non se l'era immaginato, non si era illuso.
Lance lo amava. E Keith amava lui.
Stanco, spossato, spostò gli occhi stanchi sulla figura che, seduta accanto al letto, si era appisolata sulla poltroncina con la testa appoggiata sul lettino.
Keith lo osservò per qualche secondo, con le labbra inarcate in un piccolo, leggero sorriso.
Shiro lo aveva salvato... Di nuovo. Ma, questa volta, ne era valsa la pena.
Allungò appena una mano stanca, facendo attenzione a non staccare la flebo dal braccio, e incastrò le dita nel ciuffo bianco di quello che era per sé un amico, un fratello e un padre allo stesso tempo.
Shiro aprì gli occhi stanchi, tossendo un paio di volte prima di tirarsi su con il busto, e Keith poté sentire le sue ossa scrocchiare sonoramente nel suo collo e nella sua schiena.
 
« Sei rimasto qui per tutta la notte...? » gli chiese il moro a bassa voce, mentre l'amico gli prendeva delicatamente la mano per stringerla un poco, annuendo delicatamente.
« Ti senti riposato, Keith? » e il moro annuí, anche se non molto convinto. Era stanco, diamine se lo era. Aveva dormito parecchio, ma così profondamente da non essere ancora propriamente 'sveglio'.
Era come se stesse vivendo un sogno. I suoni che sentiva erano ovattati, la vista annebbiata a causa di tutta quella luce, i sensi come ipnotizzati da quel profumo di agenti chimici e di disinfettante.
Ma gli piaceva, sentirsi così, ora che... Ora che aveva sentito la voce di Lance.
« Shiro... Tu e Lance avete più parlato, dopo che mi sono addormentato? »
« Sì, gli ho scritto dal mio telefono e gli ho dato il mio numero. Volevo avere il suo contatto, in caso di bisogno... Ma poi più nulla. Mi ha solo chiesto di stare accanto a te. »
Keith sorrise a quelle parole, tirandosi su con il busto, anche se con parecchia fatica.
Lance doveva essere preoccupato da morire. E arrabbiato, magari... Anzi, sicuramente.
Keith socchiuse gli occhi. Era stato un idiota... E lo aveva fatto soffrire terribilmente, e preoccupare, e lo aveva fatto sentire arrabbiato e abbandonato e inutile, e Keith sapeva che fosse così.
Perché Lance era così, si preoccupava per sé, gli rispondeva anche nel mezzo della notte pur di farlo stare meglio.
Keith sentiva di non meritarlo, sapeva di non meritarlo... Ma, forse, quella decisione non spettava a sé. E se Lance avesse voluto stargli accanto, allora tutto ciò che Keith avrebbe potuto fare sarebbe stato farlo stare bene, farlo sorridere e non farlo preoccupare.
« Shiro... Mi passi il telefono? »
 
 
02/08, Varadero, Cuba, ore 19:42
 
Lance non stava esattamente 'bene'. Stava meglio, questo era sicuro, ma era scosso. Estremamente scosso.
Nei giorni precedenti si era rassegnato all'idea di aver perso Keith per sempre. Se n'era fatto una ragione, nonostante non avesse esattamente accettato con piacere l'idea.
E ora... Ora era tornato. Era tornato tentando il suicidio.
Se Shiro non fosse stato lì, se fosse arrivato anche solo cinque minuti dopo, Keith sarebbe morto.
E Lance non l'avrebbe davvero sentito mai più.
Sarebbe morto, e per Lance era difficile pensare che non fosse colpa propria. Non c'erano colpe, non era colpa di nessuno, era colpa della vita, del destino, del cielo, ma non di Lance, e non di Keith.
Eppure, il castano ancora faticava a farselo entrare in testa.
 
Era in cucina, Lance, con addosso un paio di boxer blu e delle grosse ciabatte a forma di pinguino, e con il busto coperto solo da un grembiule bianco con il disegnino di una mucca stampato sopra.
Muoveva i fianchi ripetutamente al ritmo dell'intro di "Soy Yo" di Bomba Estéreo, che era appena partita alla radio, mentre le sue labbra si muovevano canticchiando, e mentre le sue mani agili tagliuzzavano finemente un pomodoro.
Quella canzone gli metteva allegria. Tutte le canzoni stupide, latine o, beh, stupide e latine, gli mettevano il buonumore.
Lucil entrò in cucina, tutta contenta nel suo vestitino blu, e iniziò a ballare insieme al fratello maggiore.
« Ay, c'è "Soy Yo", Lance! Cantamela, cantamela! » esclamò agitando i lunghi capelli castani e muovendo le delicate braccia color caramello.
Lance posò il coltello che teneva in mano, posando gli occhi su di lei, guardandola un poco e scuotendo la testa... Prima di strapparsi di dosso il grembiulino, iniziando ad ondeggiare il busto snodato.
 
« Yo caí, me paré, caminé, me subí; me fui contra la corriente y también me perdí; fracasé, me encontré lo viví y aprendí ¡cuando más te pegas fuerte más profundo es el beat! » sì, Lance sapeva cantare. Sapeva cantare, ballare, suonare la chitarra, praticamente... Viveva per la musica. Amava ascoltarla, amava lasciarsi andare al ritmo latino, amava muovere agilmente le braccia e i fianchi, e prendere la sorellina per mano e insegnarle a muoversi, a cantare con scioltezza le veloci parole spagnole di quelle canzoni.
E Lucil rideva sempre tantissimo, tanto che Lance sentiva il cuore scaldarglisi nel petto.
Amava vederla felice, amava vederla ballare spensierata, innocente, ingenua, intoccata da qualsiasi preoccupazione.
 
« Y no te preocupes si no te aprueban, cuando te critiquen tu solo di... ¡Soy Yo! » la sorellina muoveva i fianchi con le braccia flesse al petto, mentre Lance, agitando il grembiulino, piegava le gambe scendendo con il bacino, ondeggiando agilmente, senza pensare a nulla.
Lance era sereno. Era sereno per davvero. Pensava solo alla musica, al profumo del sugo che stava preparando, alla risata e alla voce acuta della sorellina, alla madre che li guardava dalla sala da pranzo con un sorriso enorme dipinto sulle labbra.
 
Lance amava sentirti così.
Non gli era mai interessata la felicità: sapeva che essere felici era una fortuna di pochi. E la felicità, inoltre, non era uno stato duraturo. Era un istante, un piccolo spezzone di tempo estatico, una piccola frazione in cui solo la gioia pervadeva i sensi, e nient'altro. Ma durava poco.
Lance non voleva essere felice, perché sapeva che non sarebbe mai accaduto, o almeno non spesso. Aveva sempre avuto troppe preoccupazioni: la situazione economica critica, il dover accudire i fratelli più piccoli, il lavoro, lo stress, e ora anche la situazione che c'era con Keith era abbastanza tesa... Ma andava tutto bene.
Keith non voleva essere felice, lui voleva essere sereno. Voleva stare bene, avere tutto a posto, non pensare a nulla, o pensare poco.
Voleva ballare, voleva sapere che Keith era vivo e stava bene, e sapeva che fosse così, perché c'era Shiro con lui.
Era tutto a posto, e Lance non voleva smettere di ballare.
 
Poi, il telefono vibrò sul bancone della cucina. Era Keith, Keith lo stava chiamando. Lance sorrise, afferrando il telefono, e lasciando la sorellina a ballare da sola prima di correre in giardino per rispondere.
 
« Keith! »
« Hey, Lance... Mi sono svegliato poco fa, penso di aver dormito per due giorni di fila! »
« Sono felice di sentirti... Ti senti meglio? »
« Sì, sì, sto meglio. Domani mi rimandano all'orfanotrofio, ma per oggi vogliono tenermi ancora qui. Mi hanno dato delle pillole da prendere ogni tanto, ma ho rifiutato la consulenza psichiatrica. Penso che d'ora in poi starò meglio. »
 
Lance sorrideva, accarezzando con le punte delle dita tutti i fiori estivi e colorati nel proprio giardino.
Era felice da morire. Scosso e teso, ma non voleva pensarci. Voleva solo sentire la voce di Keith, sentirgli dire che stava bene, e che tutto si sarebbe sistemato.
 
« Ne sono felice, Keith... E invece- !Lucil! ¿Que estas haciendo?... ¡Ay, ay, un momento, ahora vengo! »
« ... Lance? »
« Perdonami, è mia sorella... Mi hai chiamato mentre stavamo cantando insieme, quindi mi sa che passerò la serata a cantare Shakira insieme a lei... »
« ... Ugh, povero te. »
« Povero me? Io amo Shakira! »
 
Lance non aveva mai sentito Keith ridere. Lo aveva chiamato solo due volte, e in quelle due volte Keith non aveva mai riso, aveva solo pianto.
Ma, a quelle parole, Keith rise. Rise sonoramente, rise tranquillo, e fu il suono più bello che Lance avesse mai sentito.
Il castano si sedette sul muretto accanto alla propria villetta, vicino ai tulipani, sorridendo felice sotto al cielo tinto dei colori del tramonto.
 
« Se non smetti di ridere canto Shakira anche a te, eh! »
« Oh, ti prego, risparmiamene... »
« Hah, non vuoi sentirmi?! »
« Magari canterai per me quando ci vedremo, huh? »
« Puoi giurarci che lo farò! »
« Solo... Non Shakira. »
 
Ed entrambi risero ancora. Entrambi erano tesi, erano entrambi scossi, ma erano anche entrambi felici.
 
« Hah, Keith... »
« Sì, Lance? »
« Sai... È agosto. »
« E quindi... Mancano due mesi. »
« Già. Mancano due mesi. »
« Già. »
« Sei con Shiro? »
« No, è uscito a prendere un caffè. Era stanco morto. »
« Posso... Chiamartici di nuovo? »
« Uh… S-Sì, certo che puoi… »
« Solo, ora devo preparare la cena che mi si sta bruciando il sugo, quindi… Ti scrivo dopo, va bene? Tu riposa, uh? »
« Sì, va bene… »
« Allora, a- uh… A dopo… Amore. »
« … »
« Keith? »
« Sì, no, sì, certo. A dopo. »
 
Lance riattaccò la chiamata, lasciandosi cadere in ginocchio sulla fresca erba del proprio giardinetto. Un sorriso enorme nacque sul proprio volto, un solco che gli andava da guancia a guancia, mentre teneva le mani premute sul viso.
Era felice da morire. Cioè, da vivere, a dire il vero, perché voleva vivere, voleva che Keith vivesse, e voleva essere felice con lui… Da vivo.
Rientrò in casa, infilandosi il telefono nell’elastico dei boxer mentre riprendeva il grembiulino che aveva lasciato cadere a terra prima di mettersi a ballare.
La radio stava passando “Manos Al Aire” di Nelly Furtado.
Lance socchiuse gli occhi mentre riprendeva a tagliuzzare i pomodori, unendoli al sughetto che aveva lasciato sbollentare nella padella.
 
« Y yo no tengo armas para enfrentarte, pongo mis manos, manos al aire… Sólo me importa amarte en cuerpo y alma, como era ayer…  »
« Tienes la voz de un angel, Lancey… » la madre lo stava osservando di nascosto, appoggiata allo stipite della porta della cucina.
Lance si voltò, sorridendole con le guance tutte rosse.
Ultimamente, nessuno in casa lo aveva visto felice. Aveva detto ai genitori di essere stanco per i vari lavori, ovviamente non aveva ancora detto a nessuno di loro di Keith e dei piani che aveva per la propria vita.
La madre, oh, Athalie si sarebbe arrabbiata, forse… Ma il padre lo avrebbe ucciso. Non perché gli piacesse un uomo, ma perché gli piacesse un coreano. Della Corea. E perché volesse andarlo a prendere. Ecco perché.
Quindi si limitò a sorridere e a ringraziarla con dolcezza, riprendendo a preparare la cena con estrema tranquillità.
Data anche dal fatto che avesse appena parlato con Keith.
E dal fatto che fosse ignaro che Lucil l’avesse sentito, mentre aveva chiamato Keith “Amore mio”.
 
 
15/08, Varadero, Cuba, ore 21:42
 
I giorni passarono, e tutto sembrò tornare al suo posto.
Lance aveva ripreso a lavorare dal padre e come babysitter, catsitter, qualsiasi cosa-sitter, in modo da arrotondare un po’ i guadagni per andare a Cuba. Ancora non aveva abbastanza soldi, ma… Li avrebbe avuti. Li avrebbe avuti presto.
Lance si sentiva bene.
Keith era tornato all’orfanotrofio, Shiro era sempre accanto a lui e lo teneva d’occhio, ma non ce n’era bisogno: era chiaro, dai messaggi che gli mandava, che stesse bene.
Non aveva mai più anche solo accennato ad ansie o attacchi di panico, anzi, a dire il vero spesso diceva a Lance che, mentre studiava, si trovava senza accorgersene a canticchiare Rihanna e i Black Eyed Peas (perché Lance lo costringeva ad ascoltare le loro canzoni, ecco perché). Lance, invece, aveva imparato ad apprezzare i My Chemical Romance (o i McChemical, come li chiamava lui). A dire il vero preferiva l’ultimo album, Danger Days, perché era “gay e allegro, non come gli altri che tendono all’omicidio”.
E ogni tanto, mentre annaffiava i fiori, si trovava a muovere i fianchi al ritmo di “Na Na Na”, facendo sorridere il piccolo Adrian, che lo guardava comodamente adagiato tra le braccia della madre.
Lance era sereno. Era sereno da giorni, e tutto in casa si era stabilizzato.
Non che avessero mai sentito la crisi economica, perché sì, non avevano un soldo, ma si avevano l’un l’altro. Lance aveva loro, così come loro avevano Lance. E alla famiglia McClain bastava una buona canzone alla radio per stare bene.
 
Lance era uscito con Dom, erano andati al Manzana Juice a festeggiare il fatto che Dom avesse finito di costruire la sua moto.
Non erano neppure le dieci, era vero, ma Lance non era uno che reggeva molto l’alcol in generale, quindi era già parecchio alticcio.
Dom lo prendeva in giro, gli diceva che non era un vero McClain perché era andato fuori di testa solo con un paio di cubalibre, ma quei maledetti cocktail erano parecchio carichi!
« Dai, Lance, ammettilo! Ammetti che non reggi un cazzo! »
« Lo ammetto! Lo ammetto, okay? Ma è così bello, e mi sento così bene… » esclamò il castano, accasciandosi malamente sul tavolino di legno.
Dom sorrise, portandosi alle labbra la cannuccia colorata che sgorgava dal suo tequila sunrise. Era vero, Dom era il più grande, ma lui e Lance erano legati in maniera speciale. Erano “partners in crime”, erano “hermanos” nel vero senso della parola.
« Lance, parli come una ragazzina. Rimettiti in sesto, fratello, la serata è ancora giovane! Magari sarà la volta buona che una ragazza ci starà, no? »
Lance sorrise ad occhi chiusi, alzando un poco le spalle. Una ragazza? Starci? Oh, ma a lui mica importava più, delle ragazze… Gli importava solo di Keith, e delle canzoni che passavano alla radio di quel pub.
« Non mi importa delle ragazze, io ho Keith. » sussurrò, tirandosi su con il busto con uno scatto che fece sobbalzare il fratello.
Forse era davvero troppo carico, quel cubalibre. Ma Lance non si pentì di aver pronunciato quelle parole. Era troppo brillo per farlo.
« Lancey…? Chi è Keith? » Dom lo guardò un po’ interdetto, ma non sembrava sorpreso. L’innocente viso di Lance mutò in un’espressione interrogativa.
« Keith? Keith è il mio ragazzo. Cioè, non proprio il mio ragazzo. Però lo amo. E penso che anche lui mi ami, ma non stiamo mica insieme! » la voce di Lance ondulava e cantilenava, facendo sorridere divertito il fratello maggiore.
Per un secondo, Lance pensò di chiedergli perché non ne fosse sorpreso. Ma se ne dimenticò il secondo subito dopo.
« Ay, il mio hermanito è innamorato di un ragazzo? Questa è nuova! Hai rinunciato alle chicas, hermano? » Dom rideva, rideva e rideva. Ma lui poteva permetterselo, perché lui di cocktail ne aveva già bevuti tre.
« Certo! Non era ovvio? Diòs, hermano, sono gay come un poggiolo. »
« Penso si dica “Sono fuori come un poggiolo”… » lo corresse Dom, un po’ confuso sulla terminologia, ma Lance lo interruppe immediatamente.
« Sì? Non importa, i poggioli sono gay, e io con loro! Che poi… » il castano sfilò il cocktail di mano al fratello, finendolo con pochi, lunghi sorsi « Non è che sono gay. Mi piace solo Keith. Lui è bello. »
Dom curvò il viso, non molto dispiaciuto per il cocktail, bensì interdetto dalle parole del fratellino. Nessuno dei due riusciva a seguire il filo della conversazione.
« E conoscerò ma questo Keith? »
« Sì, sì! Tra un mese e mezzo! Vado a prenderlo in Corea e torno. Perché lui è della Corea. Abita in Corea. E io lo vado a prenderlo. Ma non dirlo a mamà y papà, che altrimenti si arrabbiano. » lo ammonì Lance, e Dom annuì convinto.
« E come ci vai, in Corea? »
« In aereo. Perché ho lavorato tanto e ho tanti soldi, quindi vado in aereo. Cioè, non è che mi compro un aereo… Mi compro solo il biglietto. » Lance ci teneva a puntualizzare la cosa. Aveva bevuto decisamente troppo.
« … Non potresti comprare direttamente la Corea? » sussurrò Dom, e Lance ci pensò su prima di scuotere con energia la testolina coperta da tanti corti fili castani.
« No, no. In Corea non c’è Varadero. Mi prendo solo Keith e poi me ne vado. » stava pronunciando quelle parole con un’innocenza estrema, degna di un ragazzino innamorato ed estremamente sbronzo quale era lui.
« Ma non dirlo a papà y mamà, Dom! Questo è il nostro segreto! »
« Lo è. Starò zitto, zitto, zitto. »
Lance sciolse la rigidità delle proprie sopracciglia, rilassandole… E, come se nulla fosse stato, riprese a bere.
 
 
16/08, Varadero, Cuba, ore 02:12
 
02:12
“KEITH MI AMOR COMO ESTAS”
02:14
“… Co-cosa?”
02:15
“Devo insegnarti lo spagnolo!!! Come stai??”
02:15
“Sì, decisamente... Sembra la lingua di Satana.”
02:15
“Sto bene, Lance. E tu? Ti sei divertito?”
02:18
“Da morire!!! Ora sono appena arrivato a casa e mi sono messo a letto e non so come sto facendo a scrivere senza fare errori di ortografia ma penso si dover ringraziare il correttore automatico”
02:20
“Mi fai morire, quando sei ubriaco.”
02:23
“Lo dici come se accadesse spesso!!!”
02:23
“Amore, amore”
02:23
“Ti rendi conto di quanto poco manchi”
02:23
“Io ti porto via con me”
02:25
“Lance…”
02:25
“Hai ragione. Manca pochissimo.”
02:26
“Lo so!!! Manca tipo un mese!!! E io ho i soldi, Keith!!!”
02:27
“Ci crederò solo quando ti vedrò qui, mi dispiace.”
02:28
“Allora preparati gli occhi!!!”
02:29
Immagine inviata.
 
La testa di Lance girava in maniera esagerata. Era sdraiato a letto, ed era come se il mondo gli stesse ruotando attorno… E gli piaceva da morire. Ma riusciva solo a stare sdraiato sulla schiena, perché sentiva che se si fosse messo di fianco sarebbe sprofondato nel vuoto.
Quindi così, preso dall’euforia, si era scattato una foto alla luce della lampadina accanto al proprio letto.
Si era preso dall’alto. Era senza maglia, lievemente sudato a causa di quel maledetto caldo, con un braccio flesso e l’altro teso a reggere il telefono, e la mano del braccio flesso era accasciata sul proprio ventre ben segnato dalla ‘v’ degli addominali.
La foto si fermava al ventre, ma in ogni caso il bacino sarebbe stato coperto.
A dire il vero, Lance voleva solo mandargli una foto del proprio sorriso bianco e sereno, così, giusto per fargli vedere che fosse felice, in quel preciso istante.
Non era colpa propria, il fatto che il proprio corpo nudo fosse venuto nella foto.
 
02:32
“… Dio, Lance. Avvertimi.”
02:33
“Che ho fatto???”
02:33
“Sei… Scoperto.”
02:34
“Lo so! Fa caldo, a Cuba, sai???”
02:35
“No, intendo. Il tuo corpo”
02:35
“è”
02:35
“Perdonami, mi è partita la tastiera. Dicevo, hai un bel corpo.”
02:37
“Ho un bel corpo???”
02:38
“Sì. Molto bello.”
02:39
“Ti piacerà di più quando sarà sopra di te”
 
 
16/08, Seul, Corea del Sud, ore 17:40
 
Keith aveva deglutito sonoramente, seduto sulla poltroncina della propria scrivania, davanti a un paio di quaderni pieni di appunti che non erano più stati degnati della minima attenzione.
Quella foto di Lance lo aveva distrutto.
Fino a quel momento, aveva potuto vedere solo le sue clavicole.
Ma lì… Lì si vedeva ben di più. Si vedevano le sue braccia, il suo collo, il suo petto, i suoi addominali, la sua pelle ambrata… Il suo sorriso così meravigliosamente bianco. E per Keith quello era troppo. Perché era di buonumore, in quei giorni, lo era davvero, ora che pian piano si avvicinava il giorno in cui sarebbe uscito da lì.
E foto del genere, quelle non facevano altro che renderlo ancora più euforico.
E, con “euforico”, intendeva “eccitato”.
Perché, fino a quel momento, decine erano state le volte in cui, prima di andare a dormire, si infilava una mano nei pantaloncini pensando anche solo all’idea di Lance. Anche solo al suo collo o alle sue labbra.
Ma ora, davanti, aveva il suo corpo.
Seduto a gambe incrociate sulla poltroncina, si strinse tra le dita della mano l’inguine già bollente da prima.
Poi digitò la risposta.
 
“Dimmi perché dovrei crederti.”
 
Non l’avesse mai fatto.
 
 
17/08, Varadero, Cuba, ore 14:23
 
Le ultime ore, Lance le aveva passate ad autocommiserarsi. Perché questa era la propria dannazione: ubriacarsi, e poi ricordarsi tutto il giorno seguente.
E lui ricordava tutto. Ricordava ciò che aveva detto a Dom. Ma, soprattutto, ricordava ciò che era successo con Keith. E, anche se non l’avesse ricordato, c’erano i messaggi sulla conversazione a fare da testimoni.
Alla fine… La situazione era degenerata. Lance aveva, se non altro, avuto almeno la decenza di nascondersi sotto alle coperte prima di iniziare a gemere.
E i messaggi che aveva mandato a Keith… Dio, si vergognava da morire anche solo rileggendoli, ora.
“Toccati di più, pensa alle mie mani”
“Voglio prenderti quelle cosce e aprirle davanti a me”
“Sei così bello, voglio morderti ovunque”
Poi era giunto il peggio del peggio, alla fine, quando era quasi giunto al limite, e di quello si sarebbe pentito e vergognato fino al giorno della propria morte.
“Voglio fare l’amore con te finché non mi viene un infarto”
(Alla quale, per inciso, Keith, che era sobrio, aveva risposto “Anche io.”)
 
Ma, ora, c’era un’altra questione da risolvere.
C’era la questione di Dom, che da tutta la mattina gli lanciava occhiate su occhiate, segno che volesse parlare. Ma Lance… Non ne aveva le forze.
Sapeva di doverlo fare, ma come? Come avrebbe potuto spiegare una cosa del genere? Come avrebbe potuto chiedergli di tenere segreta la propria toccata e fuga in Corea del Sud, che si sarebbe svolta a distanza di un solo mese?
« Dom. Se lo dici ai nostri genitori, giuro che ti brucio l’officina. » così, ecco, così glielo avrebbe potuto chiedere. E così fece.
Dom, chiudendo la porta del garage dall’interno in modo che nessuno potesse sentirli, si voltò, guardando il fratello.
« Lance, Lance, calmati. Lo sapevo già. Sapevo che tu avessi un fidanzato, o quello che è. » sussurrò… E Lance sgranò gli occhi.
Cosa? Come poteva saperlo? Lance non aveva mai detto nulla, aveva messo la password al cellulare, era sempre stato attento a non farsi sentire…
« Me l’ha detto Lucil. Ha detto che ti ha sentito parlare con un ragazzo, e che tu l’hai chiamato “amore mio”… Ma non l’ha detto a mamma e papà, non preoccuparti. »
Lance stava per scoppiare in lacrime dall’ansia.
Doveva ringraziare Lucil per averne parlato solo con Dom. E doveva anche gridarle un bel “Vedi di farti gli affari tuoi”. Ma sapeva di non averne il coraggio, non avrebbe mai fatto del male psicologico alla propria sorellina.
« Quindi… Per questo mi hai portato a bere? Volevi che ti raccontassi? » Dom annuì alla propria domanda, e Lance pestò il piede per terra. Non era arrabbiato, solo… Non aveva bisogno di sentirsi rimproverare da Dom. Non aveva bisogno di bastoni tra le ruote. Non aveva bisogno di-
« Se hai bisogno di aiuto, ho dei soldi da parte. Per i biglietti dell’aereo, intendo. Sono il fratello peggiore del mondo, ma… Se lo ami tanto da farti il culo al lavoro come non hai mai fatto prima, allora per me puoi anche vivere quest’avventura. Ma stai attento, okay? Perché se papà lo scoprisse ci caccerebbe di casa. »
Lance gli si fiondò addosso. Questo era ciò di cui aveva bisogno. Questo era ciò che avrebbe voluto sentirsi dire da lui.
« Sei il miglior hermano del mondo. »
 
Quanto a Keith… Ne parlarono. Oh, ne parlarono eccome, di ciò che era successo quella sera. Ma mai una volta venne fuori la parola “Scusa”, perché nessuno dei due poteva dire di aver mentito.
Era chiaro cosa volessero. Erano chiari i sentimenti che provavano, così come era chiara l’emozione dovuta al fatto che, presto, si sarebbero visti.
E Keith, soprattutto, aveva poco di che lamentarsi. Lance aveva paura che fosse rimasto stranito dai propri messaggi, ma lui gli aveva confidato che, quando il castano gli aveva detto di volergli aprire le cosce, aveva davvero aperto le cosce, sulla sua poltroncina, e che aveva dovuto copiare gli appunti su un altro foglio perché quello che era sul tavolo in quel momento si era sporcato tutto di liquido bianco.
Lance, a quelle sue parole, aveva sbattuto la testa contro un palo, perché le aveva lette mentre era andato a fare la spesa, e si era ritrovato a dover raccogliere arance e pacchi di pasta per ogni dove.
… Ma era sereno da morire. E non vedeva l’ora che accadesse di nuovo.
 
In ogni caso, mancava poco più di un mese.
Keith sarebbe uscito dall’orfanotrofio il primo di ottobre, e Lance aveva scoperto che i biglietti gli sarebbero costati più del previsto. Qualcosa come poco meno di cinquemila dollari americani. Alla notizia era sbiancato, era vero… Ma li aveva. Aveva i maledetti soldi. Anche grazie a Dom, ma li aveva. Cioè, gliene mancavano ancora un po’, ma li avrebbe avuti.
E i voli erano lunghissimi. Avrebbe dovuto fare cambi con l’aereo in qualsiasi caso, o a New York, o a Dallas o a San Francisco, o addirittura in Giappone.
E Lance non era mai neppure salito su uno skateboard, figurarsi su un aereo.
Era… Terrorizzato. Più quel giorno si avvicinava, più aveva paura. Paura di perdersi, di perdere l’aereo, di trovarsi senza soldi, di non trovare Keith… Stava andando alla cieca. E Lance non era una persona organizzata. Non trovava neppure le chiavi di casa in tasca, come diamine avrebbe viaggiato per la Corea del Sud senza neanche capire la lingua? Come sarebbe arrivato al collegio di Keith? Che moneta usavano, in Corea? Avrebbe avuto abbastanza soldi? E i propri genitori, oh, loro come avrebbero reagito, vedendosi arrivare un nuovo ragazzo in casa?
Lance si stava davvero muovendo nel buio. Non dormiva di notte per cercare di organizzare i propri pensieri.
 
Nel caso, beh… Si sarebbe fatto una vacanza a Seul.
   
 
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