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Autore: DreamerGiada_emip    18/03/2017    2 recensioni
Attenzione: questo libro è il sequel di Dark Angel, presente anch'esso sul mio profilo, se non si conosce la storia precedentemente nominata sconsiglio vivamente la lettura di questo sequel.
La bella Lilith viene costretta a una vita che non avrebbe mai nemmeno immaginato. Il suo nome, i suoi sogni, le sue perdite di controllo, il suo sangue la legano indissolubilmente a questo nuovo e oscuro regno. La ragazza non sa come uscire da questa situazione che non ha mai desiderato, vorrebbe ritornare in quella che considera la sua vera famiglia, ma un'ombra oscura la tiene incatenata.
Nella villa Sakamaki, i sei fratelli non sanno cosa fare, la loro preda è scomparsa tra le fiamme sotto i loro occhi. Soprattutto il giovane Subaru è alla disperata ricerca di quella che ormai considera la sua unica ragione di vita. È deciso a ritrovarla e riportarla a casa, per tenerla con sé al sicuro per sempre.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angel, Demon or Human?'
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Subaru’s P.O.V.
 
Cammino per i corridoi della scuola pensando alla discussione avuta con il professore. Tutte le informazioni ottenute riguardanti il sigillo mi offrono delle ipotesi che non mi piacciono per niente. Cosa può volere il Diavolo da Lilith? Non mi sembra una ragazza che si metterebbe a fare strani rituali per ottenere un patto con lui. Allora cosa? Non ha niente che potrebbe interessargli, a meno che non stia cercando una donna con una bellezza sconvolgente, una voce angelica e un’innata bravura nel suonare il pianoforte. Una ragazza che potrebbe far perdere la testa a qualunque uomo. Mi riscuoto da quei pensieri assolutamente inaccettabili. Svolto un angolo e mi ritrovo di fronte il gruppo di licantropi che mi hanno aggredito poco tempo fa.
 
«Ma guarda chi si rincontra» mi ringhia contro furioso. Sbuffo sonoramente e sollevo gli occhi al cielo. Non hanno niente da fare questi? Sempre a infastidire chi non dovrebbero?
 
«Senti, se proprio vuoi essere malmenato chiedi a qualcun altro, ora io ho altro a cui pensare» mi sposto di lato e lo aggiro.
 
«L’ho sempre detto che i vampiri sono dei codardi» gli sento dire. Mi blocco sul posto. La mia mascella si serra istantaneamente. Con la mia velocità sovrannaturale, mi pongo di fronte a lui e gli sferro un potente destro sulla mascella. Sento le sue ossa scricchiolare contro le mie nocche, un attimo prima che il suo corpo cada pesantemente a terra. Mostro un sorrisetto soddisfatto.
 
«Avresti ancora il coraggio di chiamarci codardi, lupacchiotto?» domando guardandolo dall’alto al basso con aria di superiorità. I suoi compagni lo aiutano ad alzarsi.
 
«Maledetto succhiasangue» ringhia infuriato, mentre si pulisce il rivolo di sangue che gli è sceso dall’angolo della bocca. Gli lancio un’ultima occhiata poi riprendo a camminare. Sento una forte presa sulla spalla, dita che mi affondano nella carne, mi costringe a voltarmi. È uno del suo gruppo.
 
«Non così in fretta» mi guarda con occhi colmi di rabbia. I licantropi sono molto istintivi, è facile farli infuriare. Con un movimento veloce del braccio mi libero dalla sua presa, poi prendo la sua testa tra le mani e gli assesto una poderosa ginocchiata sul viso. Sono certo di avergli rotto il naso. Con uno scatto repentino mi trasporto vicino a una porta d’uscita e li sfido uno a uno con lo sguardo, per poi uscire ad attenderli. Non sono certo tipo da scappare di fronte alle sfide e inoltre sarà un ottimo modo per alleviare la tensione, mi distrarrà dalla ricerca di Lilith. Quando escono hanno già assunto la loro forma di lupo. Sono in quattro. Mi preparo a un duello abbastanza duro. Li tengo tutti sott’occhio mentre mi circondano. Non voglio lasciare loro la prima mossa, quindi mi scaglio verso il lupo di fronte a me e lo allontano con un calcio sul muso ben assestato. Un suo compagno mi allontana da lui con una zampata lacerandomi la maglietta e la pelle. Ringhio istintivamente nella sua direzione non appena mi ristabilizzo sulle gambe. Mettono in atto un attacco incrociato. Quando sono a pochi metri da me, spicco un salto verso l’alto schivandoli, per poi dare un calcio alla schiena di uno di loro sfruttando la caduta. Lo sento guaire sotto di me.
 
«Tutto qui? È tutto qui quello che sapete fare? È ben misera cosa!» li schernisco balzando via dal lupo appena atterrato. Uno di loro ulula alla luna argentea per poi tornare a osservarmi con occhi spietati. Riprendiamo a combattere. È difficile. Devo sempre tenere d’occhio tutti e quattro e stare attento a non farmi cogliere di sorpresa. Uno di loro riesce ad azzannarmi dolorosamente il braccio sinistro. Le zanne penetrano nella carne lacerando il muscolo e facendo sgorgare il mio sangue. La fitta provocatami da quella ferita mi fa perdere per un secondo la concentrazione. Un’altra delle bestie, approfittando della mia momentanea distrazione, cerca di azzannarmi alla gola. Lo vedo spalancare le fauci a un soffio da me. L’istinto prevale sulla ragione facendomi reagire di riflesso. Con un calcio laterale devio la sua traiettoria, mentre un’irresistibile desiderio di sangue inizia a farmi bruciare la gola. Da troppo non bevo del sangue fresco, da troppo i miei canini non affondano nella carne della mia preda. La battaglia non migliora la situazione.
 
Lo scontro diventa sempre più furioso man mano che il tempo passa. Le forze mi iniziano a mancare e la velocità diminuisce vistosamente, ma non solo la mia. Uno dei lupi riesce ad atterrarmi, mi blocca le braccia al suolo con il suo peso. Le sue zanne sono a un soffio dal mio viso, impregnate del mio sangue. La sua zampa che preme sul profondo morso che mi è stato inferto in precedenza mi fa chiudere gli occhi per il dolore. Lo sento ringhiare di soddisfazione. Riapro gli occhi per incatenarli ai suoi ambrati da lupo.
 
«Cosa stai aspettando? Se devi mordermi fallo subito» ringhio dopo aver ritentato di liberarmi, senza successo. Non starò certo a chiedergli pietà.
 
«Subaru, possibile che tu non riesca a non cacciarti nei guai?» sento dire da una voce familiare, prima che il lupo venga scaraventato via da me violentemente. Salto immediatamente in piedi e accanto a me trovo Ayato.
 
«Non avevo certo bisogno del tuo aiuto» scrollo le spalle sbuffando. Lui solleva gli occhi al cielo, per poi mostrarmi uno dei suoi ghigni sfacciati.
 
«Orgoglioso come sempre» anche Raito si unisce alla mischia. Gli rivolgo un’occhiata veloce, ma vengo interrotto prima che possa controbattere, i lupi ci ringhiano contro minacciosi. Raito mi viene di fianco osservando attentamente i miei avversari.
 
«Vedete di concludere la faccenda in fretta, Subaru ha già dato abbastanza spettacolo» a quanto pare anche Reiji ci ha raggiunti qui. Mi volto a cercarlo e lo trovo accanto a un’altra limousine uguale a quella con cui sono venuto io. Lo fulmino con un’occhiata fiammeggiante. Attacchiamo i quattro lupi con una velocità sorprendente. L’intervento dei miei fratelli mi ha dato il tempo di recuperare le forze. Siamo perfettamente sincronizzati, anni di allenamento insieme hanno dato i loro frutti, riusciamo quindi ad abbattere i quattro lupi, già affaticati per la lotta condotta con me, in pochi minuti. Blocco l’ultimo lupo sotto di me con un piede appoggiato alla sua gola, mentre quello ansima.
 
«Patetico…» sussurro pulendomi il viso dalle macchie del mio e del loro sangue. Mi allontano dai loro corpi tremanti a terra che stanno tornando in forma umana ed arrivo di fronte a Reiji fissando il mio sguardo nel suo. Iniziamo una sfida silenziosa fatto di fulmini e saette sprizzati dagli occhi. È perfettamente consapevole del fatto che io non sopporti i rimproveri, ma io so altrettanto bene che lui non può farne a meno. Dopo svariati secondi, distolgo lo sguardo ed entro in macchina sedendomi a braccia conserte e con gli occhi chiusi. Sento che anche gli altri entrano in auto per poi partire. Il silenzio è smorzato solamente dl motore della limousine, almeno finché Reiji non decide che è giunta l’ora della ramanzina.
 
«Dovevi proprio venire qui ad attaccare briga?»  chiede con voce scocciata. Non gli rispondo, ho la testa altrove e le sue domande mi infastidiscono solamente. Ci sarà un modo per raggiungere quella ragazza all’inferno e riportarla in casa, magari con lo stesso simbolo lasciato in casa nostra. Chissà se Lucifero farà resistenza. «Subaru, è maleducazione non rispondere a una domanda, ti pregherei di guardarmi negli occhi e darmi una risposta» Reiji insiste. Sbuffo sonoramente e apro gli occhi fulminandolo con un’occhiata bruciante. Possibile che non riesca mai a smettere di blaterare?
 
«Non sono venuto qui per attaccare briga, quel gruppetto di cani rognosi aveva solo voglia di essere malmenato un po’, sono venuto qui in cerca di informazioni» rispondo alterato fissando il mio sguardo nel suo per accontentarlo finalmente.
 
«E quello che hai scoperto vale la cattiva luce che hai gettato addosso al nome Sakamaki?» esclama mettendosi a posto gli occhiali sul naso. Sbuffo.
 
«Non ho messo in cattiva luce nessuno, abbiamo solo ribadito il nostro comando» rispondo con non curanza. Scaccio l’argomento con un gesto della mano. «Inoltre, non sono affari tuoi quello che faccio» ringhio iniziando a stufarmi del suo insopportabile comportamento da damerino.
 
«Sono affari miei e di tutti noi» controbatte a sua volta. Concentro i miei occhi nei suoi. Sarò anche il più giovane, ma non mi faccio comandare a bacchetta da mio fratello maggiore. La mia mano si chiude a pugno esponendo la mia irritazione. In questo momento lei si sarebbe messa in mezzo per bloccarci ed evitarci le solite litigate furiose.
 
«Il simbolo lasciato sul pavimento rappresenta il Diavolo» dico cambiando totalmente argomento. Vedo ognuno di loro osservarmi con curiosità. Reiji aggrotta la fronte dubbioso.
 
«Come fai a saperlo?» mi chiede accavallando le gambe con la sua solita ostentata compostezza.
 
«Il professore di rune antiche è finalmente servito a qualcosa» dico con una smorfia di disgusto. A nessuno è mai interessata veramente la sua folle materia, per di più è una creatura troppo misteriosa e sconosciuta da ispirare fiducia. Reiji ignora il mio insulto.
 
«Quindi, la mia preda sarebbe all’Inferno in questo momento?» Ayato prende la parola. Gli rivolgo un’occhiata bruciante e serro la mascella. Ancora si ostina a definirla sua?
 
«Secondo quello che mi è stato detto, sì» confermo decidendo di cercare di ignorare quella sgradevole sensazione che mi opprime il petto dall’attimo in cui l’ha definita sua.
 
«Molto bene, almeno abbiamo un primo indizio, meglio di niente» Raito solleva le spalle con quel suo solito sorrisetto irritante. Ignoro le sue parole e mi concentro su Reiji che si è portato due dita vicino al mento riflettendo. Tiene lo sguardo puntato chissà dove.
 
«Cosa pensi di fare?» gli chiedo dopo qualche attimo di completo silenzio. Lui non mi risponde. Lo lascio pensare e mi concentro sul mio braccio ferito. Il morso di un licantropo rallenta abbondantemente il processo di guarigione di noi vampiri. La ferita gronda ancora sangue e mi provoca una fitta ogni tanto, ma è sopportabile.
 
«È ovvio che dobbiamo riportare l’umana sotto il nostro controllo» se ne esce a un certo punto Reiji con questa frase. Il mio corpo scatta in automatico.
 
«Ha un nome!» gli urlo contro con furia. Tutti gli sguardi si concentrano su di me stupiti. I miei occhi lanciano lampi di rabbia. Che mi salta in testa? Sento la macchina fermarsi, in un attimo esco dalla limousine e mi fiondo in casa con la mia velocità sovrannaturale. Arrivo in camera mia sbattendomi la porta alle spalle. Mi appoggio con la schiena alla porta. Devo calmarmi. L’astinenza del suo sangue mi sta dando alla testa. Scivolo contro il legno della porta e mi siedo per terra appoggiando la testa indietro. Chiudo gli occhi. In quell’attimo, una miriade di immagini e ricordi mi affollano la mente. La sensazione della sua pelle morbida contro le mie labbra si ripercuote su di me. I suoi occhi che mi osservano curiosi. I suoi sorrisi di malizia, ironia e scherno. La sua risata. Il battito forte e ritmico del suo cuore ancora pieno di vita. Appoggio una mano sul mio petto risentendo ancora una volta il tenebroso silenzio della morte. Siamo così diversi. Troppo diversi.
   
 
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