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Autore: esmoi_pride    18/03/2017    3 recensioni
"Storie di Saab" è un medieval fantasy slash nato nel mondo di Pathfinder che racconta le vicende della famiglia imperiale dell'Alba di Saab, città devota al dio minore Saab e dalla recente fondazione, luogo di grandi promesse e di speranza. E' l'ideale se siete alla ricerca di drow poco ortodossi, elfi carini, slash andante e una misteriosa storia sulle origini del Dio e della sua città, da scoprire capitolo dopo capitolo.
E' una storia che si domanda cosa è giusto e cosa è sbagliato, e lo scopre attraverso le esperienze di Vilya Goldsmith, un ragazzo che non sa se potrà mai riuscire a diventare un uomo. Lo scoprirà proprio a Saab, città creata sotto antiche rovine secondo la missione di suo padre Azul: riunire la gente oppressa e discriminata in un solo popolo che guadagni forza e unità, e che accolga tutti quelli come loro. Intrecci tra molteplici personaggi mostreranno una città ricca di diversità, e le azioni di Vilya ci porteranno a chiederci quanto possa essere doppia la linea estrema dove le cose non sono più giuste, né sbagliate, e quanto spesso potremmo finire per percorrerla.
Genere: Dark, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Ciao ragazzi! Avviso che insieme alla pubblicazione di questo capitolo aggiornerò i precedenti con almeno un disegno per ognuno di essi. Se vi incuriosisce dategli pure un'occhiata! Buona lettura :)




 
Peldicenere.







So’o si fece attendere. Arrivò alla porta della biblioteca con dieci minuti di ritardo. Tutte le mattine a quell’ora aveva preso l’abitudine di approfittare della pausa dallo studio per vedersi con Vilya nella biblioteca e leggere un libro insieme. La mattina dopo la rivelazione di Vilya non era certo che si sarebbero visti, dal momento che So’o non gli rivolgeva la parola da allora, e So’o aveva deciso di ritardare per far soffrire il fratello maggiore.

Entrò nella biblioteca e cercò il drow. Si trovava, come sempre, al secondo tavolo di sinistra. I tavoli della biblioteca erano rettangolari, posti ai due lati della porta in una sola fila per lato, e davano le spalle alle pareti laterali della stanza, coperte dalle librerie. Vilya sembrò non accorgersi del mezzodrow. Era seduto al tavolo con il dorso del libro che poggiava su esso e sul proprio grembo. Aveva dei pantaloni neri, puliti, e la maglia color sabbia del giorno prima, che contrastava piacevolmente sulla pelle molto scura, dalle sfumature bluastre. Lo sguardo era basso sulle pagine e l’espressione tranquilla, forse un po’ desolata. Sembrava assorto nella lettura. So’o avanzò al tavolo e si sedette sulla panca di Vilya, accanto a lui, alla sua destra. Vilya però non batté ciglio.

Parimenti, So’o si mise composto e si aggiustò i vestiti con nonchalance. Oggi era più informale: portava uno smanicato di un grigio verdastro intessuto in una stoffa che rifletteva la luce in un modo simile al metallo, anche se non ugualmente appariscente. Le spalle e le braccia erano coperte da una specie di mantello con le maniche, leggero, lungo fino a metà coscia, grigio e di fattura umile, che gli stava largo al punto da scoprirgli una spalla abbronzata. I pantaloni verde slavato gli erano ricamati addosso e si fermavano prima delle caviglie, dove iniziavano dei sandali che ne mostravano i piedi mulatti.

Poggiò le mani sul bordo della panca di legno. Teneva gli occhi verdi bassi sul tavolo. Tono asciutto:

“Stavate insieme.”

Vilya annuì nel mezzo della propria lettura.

“Tu e papà.”

Vilya esitò un istante, poi annuì di nuovo, più piano. Sollevò le palpebre e guardò verso destra, dove aveva il fratellino. So’o fu meno pudico: si voltò per fissare dritto Vilya negli occhi, così da convincere il drow a incrociarlo.
Il Principe ne saggiò lo sguardo. Non vi lesse vergogna né imbarazzo.

“Perché.”

La domanda fu inaspettata. Vilya sollevò il mento e le sopracciglia.

“… beh, perché le persone si mettono insieme?” Rispose con un’altra domanda. La sua voce fu scossa da una risata ironica che gli veniva dalla gola mentre scuoteva il capo e gli rivolgeva un sorriso ilare. So’o corrugò la fronte, un poco indispettito, ma lo assecondò.

“Perché si piacciono e si vogliono bene.” Ipotizzò. Vilya chiuse le labbra e rincarò il sorriso in risposta. Tornò al suo libro. So’o continuava a interrogarlo con lo sguardo. Vilya scrutò le pagine, senza leggerle veramente. Si prese del tempo per rifletterci, poi prese un piccolo respiro dalla bocca e riprese.

“Ti sembrerà tutto molto chiaro, qui. Ci sono regole che ti dicono come dovresti comportarti, come dovresti sentirti, cosa dovresti fare.”

Si bloccò qualche secondo. So’o lo vide cercare le parole tra le pagine del libro, invano.

“Io sono cresciuto senza stelle che mi guidassero. Non ho mai saputo quale fosse la strada giusta. Prendevo la mia e la percorrevo tutta.” Fece una smorfia. Strofinò i pollici sulla carta delle pagine.

“Provavo qualcosa per mio padre. Mi interessava quello che pensavano gli altri? No.” Scosse il capo. “Sono stato io a cercarlo. L’ho convinto a farlo. Non credeva che fosse la cosa giusta. Per me, o per lui, per nessuno. Ma l’abbiamo fatta.”

So’o lesse una stilla di orgoglio nella sua voce. Scrutò ancora il suo profilo, in parte oscurato dalla chioma di folti capelli neri. Inclinò il capo.
“L’avete fatta perché vi amavate?”
“Provavamo un’attrazione speciale l’uno per l’altro.” Spiegò Vilya, sbattendo le palpebre, immerso nei ricordi. “Era intensa, unica. Un richiamo. Noi ci appartenevamo.” Vilya cercò gli occhi di So’o, come per cercare di farsi comprendere meglio. So’o esitò.

“… ora non è più così?”

Vilya scrollò presto il capo. Le mani riavvicinarono le pagine del libro tra loro e lo chiusero con dolcezza.

“Non sono più solo il suo bambino, e anche lui è cambiato. Non siamo più ciò che eravamo prima, non ci riconosciamo più. E va bene così.”

So’o si strinse nelle spalle mulatte, che si rivelavano tra la stoffa dello smanicato e quella del mantello. Teneva le mani poggiate sulla panca, tra le cosce, e aveva finito per sedersi scomposto, con la gamba sinistra poggiata sopra, voltato del tutto verso il profilo di Vilya, che riprese.

“È per questo che ci siamo separati.”

Voltò del tutto il viso scuro verso quello del fratellino.

“Voleva finirla.”

So’o sbatté le palpebre, interdetto.

“Non ti amava più?”

Di nuovo, Vilya si fece sfuggire uno sbuffo divertito e un ghigno beffardo, abbassando lo sguardo. So’o ebbe l’impressione di aver appena detto la cazzata più colossale che si potesse dire nell’intera galassia. Vilya negò con un cenno della testa.

“Voleva di meglio per me. Voleva che trovassi qualcuno con cui potevo creare qualcosa. Sapevamo entrambi che quello che avevamo non sarebbe andato da nessuna parte.”

So’o annuì piano. Abbassò lo sguardo. Aveva gli occhi ben aperti, e ogni tanto li sbatteva mentre cercava di capacitarsi di tutte quelle insolite informazioni. Scorse Vilya voltare di nuovo il viso verso di lui.

“Senti, non volevo incasinarti la testa. Mi dispiace.”

So’o scosse il capo. “No, sono stato io a chiedertelo. Volevo saperlo io.” Vilya attese qualche secondo prima di parlargli ancora.
“Ti sei pentito di aver chiesto?”
Il fratello minore ripeté il gesto di prima e poi alzò gli occhi limpidi nei suoi. Erano sfacciati in un modo disarmante.
“Adesso capisco molte cose.”
Vilya rifletté su quello che aveva detto e annuì piano.
“Quindi grazie.” Aggiunse So’o. Fece una smorfia. “Non eri obbligato.”
“No…” Si affrettò a dire il drow, scrollando impacciato il capo e sporgendosi in avanti – verso il tavolo “io… io voglio… dirtelo.”

So’o sollevò le sopracciglia, sorpreso. Uno strano sorriso si fece strada sul suo viso, non sapeva neanche perché. Infatti uscì fuori imbarazzato. Vilya condivise quel sentimento: abbassò il viso e lo sguardo per un momento, sorridendo a sua volta, e poi tornò a guardarlo. Quando So’o incrociò di nuovo i suoi occhi, erano commossi. Si accorse che c’era altro che Vilya sembrava volergli dire, ma lo teneva chiuso, timidamente, nella bocca. Allora si rese conto che probabilmente Vilya non parlava mai di quell’argomento, e che condividerlo con lui doveva averlo fatto stare bene. Si chiese quante persone, sapendolo, avrebbero o avevano guardato Vilya come se fosse una vittima o una bestia. Allora capì cos’era il modo in cui Vilya lo stava guardando. Gratitudine, felicità. Per essere stato compreso.

Appena So’o ebbe il tempo di accorgersene, Vilya si protese verso di lui sollevando le braccia come una enorme pantera che gli saliva addosso e gli cinse le braccia attorno al collo per stringerlo in un abbraccio. So’o si drizzò d’istinto.
“-Ugh.” Posò le mani sulla sua schiena mentre Vilya gli strofinava il muso tra i capelli dorati, nell’incavo del collo, e si stringeva contro di lui. Il mezzodrow avvolse le braccia attorno al suo busto e lo strinse piano. Sentiva il suo corpo caldo. Abbassò il viso e chiuse gli occhi, e si consolò per qualche momento nel tepore dell’abbraccio, mentre le altre sei persone nella biblioteca facevano di tutto per fingere che non stesse succedendo niente.




 
***






Il Principe si stava guardando allo specchio che aveva davanti. Lo specchio era parte del comodino di fronte al quale era seduto e rifletteva la sua figura da sopra i capelli fino alle costole. La pelle bronzea era rivelata dalla maglia grigia, che mostrava uno scollo largo ma per niente profondo, ad accarezzargli le clavicole, e si apriva subito dopo in due parentesi sulle spalle per mettere in mostra l’interezza dei suoi deltoidi aggraziati. Ogni tanto, nel tirare delle ciocche bionde, piegava indietro il capo per poi riportarlo dritto. Sbatteva le palpebre e aspettava in silenzio, lasciando che il padre gli sistemasse a dovere i capelli.

Poco lontano, accanto a loro, si trovava Vilya, seduto sul letto di So’o. Era a petto nudo – trattava la maglia regalatagli da Imesah come se fosse una giacca, indossandola per uscire – con la schiena poggiata alla parete e il resto del corpo morbidamente rilassato sul materasso, con i muscoli che serpeggiavano sulla pelle scura in pieghe sinuose. Un ginocchio era piegato e l’avambraccio dello stesso lato poggiava proprio su di esso. Nella mano portava una bottiglia di birra. Gli occhi erano puntati sul fratellino e sugli intrecci delle mani affusolate di suo padre.

Azul poggiava il piccolo petto sullo schienale della sedia su cui era seduto. Comodo e dritto con la schiena, pettinava e sistemava i capelli di So’o in trecce, che stava intrecciando a loro volta tra loro per formare alla fine due sole grandi trecce. La stanza era immersa in un piacevole silenzio, ogni tanto interrotto da un cinguettio esterno. La luce del primo pomeriggio filtrava dalla finestra. Il braccio longilineo di Azul si sporse oltre la spalla di So’o, che intuì la richiesta e prese delle forcine per porgerle al padre. Lui tornò a trafficare tra i suoi capelli. So’o abbassò lo sguardo.

Non aveva ancora detto a suo padre ciò che aveva scoperto la settimana prima. Avrebbe voluto parlargliene, ma il drow si era chiuso in un comportamento schivo dopo l’incubo della sera precedente e solo in quei giorni era tornato a frequentare i ragazzi e a rivolgergli la parola. Le rughe sulla sua faccia si erano rilassate e lo sguardo non li evitava più. Ogni tanto So’o lo vedeva fare così e aspettava che tornasse tutto normale. Come lo era, ad esempio, in quel momento. Diede un’occhiata a Vilya, che aveva attaccato le labbra scure alla bottiglia per prendere un sorso e lo ricambiò all’istante con uno sguardo eloquente. Sguardo che Azul non colse neanche per sbaglio, intento a terminare la complessa capigliatura. Infatti il padre gli tirò i capelli per costringerlo a tornare dritto con il viso.

“Non ti muovere, altrimenti non riuscirò a farlo bene.” Lo ammonì con la voce premurosa che gli riservava tipicamente – diversa dal tono freddo della settimana precedente. Parlava in drowish: quando la discussione riguardava solo loro tre, potevano permettersi di parlare nella loro lingua di origine. So’o tornò a guardarsi in faccia a lungo e quando vide Azul finire di arrotolare anche la seconda treccia attorno a se stessa, ad un lato della nuca di So’o, e fermarla con le forcine e una piccola rete, tirò un sospiro di sollievo. Che noia.

Azul si ritirò con la schiena ma teneva gli occhi ancora fissi sulla sua creazione e le mani a mezz’aria.
“Ecco, dovrebbe essere a posto.”
Vilya si smosse dal letto per alzarsi e poggiò la bottiglia su un comodino vicino al letto. So’o sollevò le mani per premersi un poco quei fagotti di capelli che aveva sulla sommità della nuca, ai lati. La sua frangetta, che tagliava il viso in modo perfetto e lambiva le sopracciglia piccole e bionde, era rimasta intoccata, ma tutto il resto era stato raccolto.
“Se lo tocchi non è un problema. Ho fermato le reti con le forcine.” Il padre si alzò dalla sedia e la spostò via, continuando a scrutare i capelli del figlio da più in alto. Poi si concesse un sorrisetto.
“Sei soddisfatto?”
So’o abbassò le mani e annuì. Anche lui parlò in drowish.
“Sì, grazie papà.”
Si negò il riflesso dello specchio per voltarsi verso di lui, che aveva una smorfia soddisfatta sul viso e si poggiava con una mano allo schienale della sua sedia. Lo vide portarsi una mano sul vitino stretto esaltato dai vestiti ricamati addosso.
“Hai ragione, ogni tanto si deve cambiare.”
“È un’ottima scusa per passare del tempo insieme.” Si intromise Vilya, nell’accento spigoloso della lingua di origine, camminando verso i due. Spostò i profondi occhi scuri dal Principe all’Imperatore, a cui rivelò un ghigno. “E per te un’ottima scusa per pettinare i capelli di tuo figlio.”
Il padre ricambiò il ghigno e assottigliò i grandi occhietti gialli in due fessure deliziate, sollevando il mento affilato. “Dovrò pure sfogarmi con qualcuno. I tuoi capelli sono crespi e non te li lasci intrecciare. Ho ripiegato sul fratello minore.”
Il primogenito scosse il capo esasperato, così da confermare le sue parole.
So’o osservava in silenzio le loro interazioni. Vilya gli scoccò un’altra occhiata eloquente e So’o capì di stare dando l’impressione di sapere-quello-che-sapeva-e-che-il-padre-non-sapeva-che-lui-sapesse, così abbassò lo sguardo. Con la mano sullo schienale Azul si spinse via da esso e vi si staccò.
“Allora vi aspetto stasera a cena. Non fate troppe sciocchezze mentre non vi guardo.”
“No, papà.”
“No, papà.”
Si ritrovarono a ripetere in coro i due fratelli. Si fissarono interdetti, e Azul inarcò le sopracciglia colpito.
“Wow. Ehm… siete davvero poco sospetti.” Borbottò sarcastico, ma rivolse loro uno dei suoi sorrisi deliziati, socchiudendo di nuovo gli occhietti. “A dopo, bambini.” Fece un occhiolino a Vilya, abbassò lo sguardo su So’o e si voltò.
“A dopo.”
“A stasera.”
Il padre richiuse la porta dietro di sé dopo averla superata, lasciandoli soli.

I due fratelli si guardarono di nuovo.
Quando So’o si alzò dalla sedia si trovò praticamente addosso a Vilya, con la maglia sottile che gli sfiorava il busto glabro. Incrociò intensamente il suo sguardo, a pochissima distanza dal suo. Poteva sentire il calore del suo respiro sul collo.
Piegò i lati delle labbra in un sorriso furbo.
Il fratello maggiore distese le labbra in un nuovo ghigno.
So’o sentì la mano calda di Vilya accarezzare la sua e stringerla dolcemente. Rispose alla stretta. Pressò i polpastrelli sulla sua pelle dall’emozione, strofinandoli sul dorso della mano scura. Questo fece sorridere maggiormente Vilya, che scrutava sognante i suoi occhi verdi.
“Sei pronto?”
Il fratellino annuì con veemenza, più volte, mantenendo lo sguardo eccitato nel suo.

“Bene.”

Vilya si staccò e prese il cappello dal comodino. Era un cappello di lana, morbido, nero. Lo sistemò sulla nuca di So’o in modo da nascondere le trecce e tutti i capelli a parte la frangetta. Lo tirò un poco verso il basso così che si afflosciasse dietro e controllò che fosse a posto. So’o si guardò allo specchio: sembrava completamente diverso. Il cappello gli dava un’aria più plebea, e sembrava che avesse i capelli cortissimi visto che non se ne vedevano, nascosti. Gli venne spostato il viso da Vilya che lo costrinse a guardarlo in faccia mentre gli truccava gli occhi con un accenno di kajal.
“Questo cambia lo sguardo. Non lo riconoscerà nessuno.” Gli spiegò. Si guardò di nuovo allo specchio dopo che Vilya lo lasciò andare e poté solo confermare le sue parole. Si voltò completamente verso lo specchio, le labbra dischiuse dalla meraviglia.
“Sono un’altra persona.”
“Lo sei.” Replicò Vilya tornando a lui e facendogli indossare un povero gilet di lana sottile, grigio scuro, con un cappuccio dietro. Anche lui si era rivestito, con la maglia color sabbia addosso. Lo fissò negli occhi verdi.
“Ti chiami Ssussun.”
“Ssussun.” Ripeté So’o, annuendo.
Vilya lo scrutò un’altra volta. Una mano gli sistemò ancora il cappello e scivolò sulla mascella dolce del ragazzo in una carezza fino al mento, e quel gesto sembrò provocargli il sorriso che si presentò sulle sue labbra. So’o ebbe l’impressione che Vilya stesse ammirando la sua bellezza. Si compiacque della cosa, vezzeggiato.
“Questo è il nostro piccolo segreto.”




 
***






Era ormai sera inoltrata. So’o seguiva la strada di porticati che lo avrebbe riportato alla sua stanza.
Era stata una giornata piena. Dopo essersi camuffato aveva eluso le guardie servendosi dei propri poteri e insieme a Vilya si era immerso nella folla del Mercato. Nella Piazza c’erano gli amici di Vilya. Ne ricordava qualcuno: i tre cugini mezzorchi, Dalia, Thursz e Rhaed, poi la curiosa halfling che si travestiva da uomo, Rulka, l’umano Sephir, con cui Vilya aveva litigato un paio di volte e che avevano dovuto separare perché non si prendessero a botte, e due strani elfi, Siss e Seos.
Aveva scoperto che erano gemelli. Lo avevano affiancato e avevano iniziato a fargli molte domande, come se lo avessero puntato. Per fortuna So’o non aveva niente da temere: Vilya era sempre nei paraggi ad assicurarsi che i due elfi non arrivassero a importunarlo. Quei ragazzi erano strani.
So’o sospirò contento ma stanco, arrivando al chiostro davanti la propria stanza. Avevano rischiato di arrivare tardi a cena, tanto si stavano divertendo. Imesah si sarebbe infuriato anche senza sapere quello che era veramente successo. Avevano giocato con il tiro alla fune, poi si erano arrampicati sul tetto di una taverna e avevano guardato il mercato dall’alto mentre il sole tramontava, con la musica dei suonatori che li raggiungeva dalle finestre del piano di sotto. A un certo punto un paio di umane avevano iniziato a ballare sul tetto e Vilya aveva trascinato So’o a fare la stessa cosa. Ovviamente, tra le risate del più piccolo, scivolarono e rischiarono di cadere e spezzarsi l’osso del collo. Anche ora che So’o ci rifletteva non gli sembrava niente di troppo brutto, come se la felicità che provava in quel momento non potesse venire offuscata neanche da quella minaccia.
Si strinse nelle spalle e si fermò alla sua porta. Per fortuna nessuno dei genitori aveva sospettato niente. Beh, certo… So’o lanciò un’occhiatina su, verso le stelle. Uno di loro sapeva tutto. Ma dagli sguardi ignari degli altri due, sembrava stare dalla sua parte. Il Principe si lasciò sfuggire un sorrisetto contento ed entrò nella stanza.

“Ah…”

Sospirò, stanco. Iniziò a spogliarsi, impaziente di levarsi di dosso i vestiti più ingombranti per indossarne di comodi. Abbandonò la parte superiore della tunica sul letto e prese i lembi inferiori della tunica per sollevarla e togliersela da sopra. La sistemò e la piegò su una sedia. Poi si levò i pantaloni e i sandali e, con il suo affusolato corpo nudo, andò in bagno a rinfrescarsi. Si sciolse la capigliatura intricata che aveva tenuto fino ad allora e si pettinò con cura i capelli, guardandosi allo specchio. Erano mossi per via delle trecce appena sbrogliate, ma immaginava che in qualche giorno sarebbero tornati del tutto lisci.

Tornò nella camera da letto e prese la maglia piegata sul cuscino. Era uno smanicato ocra scuro di fattura semplice. Aveva uno scollo a barca, due spacchi all’inizio delle anche, ai lati, e finiva oltre il bacino così da coprire quest’ultimo. So’o era sicuro che in alcune zone del continente quel vestito fosse usato per gli schiavi – non che questo gli creasse problemi. Sotto di esso mise delle mutande che però non si vedevano dallo spacco, visto che lo superavano.
Qualcuno poteva considerarlo un pigiama languido, ma So’o non si era mai posto il problema: la sua discendenza drow gli permetteva di scoprire la più alta percentuale di corpo possibile nella totale assenza di malizia. Era semplicemente la sua cultura. Un corpo scoperto indicava forza. E poi, gli piacevano i bei vestiti.

Si allisciò la maglia e si sedette finalmente quieto sul letto. Il vestito era maledettamente comodo, soprattutto rispetto a quello che indossava prima. Chiuse gli occhi e inspirò piano, con il sorriso sulle labbra, ripensando alle cose belle che aveva fatto quel giorno.

All’improvviso i nervi gli si tesero completamente senza avere neanche il tempo di capirne il motivo, tutti i capelli gli si rizzarono dalla nuca e sentì di trovarsi in grave pericolo.

Sgranò gli occhi e fissò davanti a sé: era paralizzato dalla propria stessa paura, che si insinuava sempre più a fondo dentro di lui. Dentro di sé qualcosa gli disse che doveva andarsene da quella stanza. Non sapeva perché, né cosa fosse a dirglielo, ma sapeva che qualcosa gli stava dicendo cosa avrebbe dovuto fare ed ebbe l’impulso innato di ascoltare quella voce. Si voltò dietro di sé in un gesto istintivo e scrutò tutti gli angoli della stanza senza trovare niente e nessuno. Indietreggiò sul letto finché non ne raggiunse la fine e si alzò sui piedi nudi per continuare a indietreggiare verso la porta.

Si allungò a una sedia per afferrare una veste scura, si voltò e corse alla porta per chiuderla subito dopo dietro di sé, poggiandovisi praticamente addosso. In uno scatto indietreggiò fino a sbattere con la schiena sulla colonna del porticato. La veste gli cadde di mano. Non sentiva suoni provenire dalla stanza, ma voleva allontanarsene il più possibile. Si accovacciò per recuperare la veste e poi si voltò e si incamminò con passo veloce oltre il chiostro. Senza fermarsi la indossò: la veste verde scuro gli copriva le braccia e le cosce, allungandosi fino ai polpacci, e gli permetteva di proteggersi dal fresco della notte. Non si fermò finché non raggiunse una porta, e lì bussò freneticamente con le nocche per poi guardarsi attorno spaventato.

Quando la porta si aprì, i suoi occhi ben aperti si piantarono sulla sagoma del fratello. Vilya era sorpreso di vederlo e probabilmente un po’ confuso. Vedere So’o così sconvolto lo allarmò.
“Devo entrare.” Ansimò So’o. Vilya indietreggiò subito e il fratello minore entrò nella stanza. Gli prese la porta dalle mani e la chiuse con un tonfo. Girò la chiave nella toppa. Sospirò di sollievo tra gli ansiti e anche allora cercò distanza con l’esterno, indietreggiando.
“So’o, cosa è successo?” So’o non aveva mai visto un’espressione così seria e apprensiva sul volto di Vilya. Il drow sembrò all’improvviso riguadagnare tutti gli anni che aveva.
“Non lo so. Non uscire. Non aprire la porta.” I polpacci inciamparono sul letto e il ragazzo si ritrovò a cadere all’indietro e sedersi sul materasso del fratello maggiore, che si avvicinò a lui.
“C’è qualcuno fuori la porta?”
Di nuovo So’o scosse il capo e insieme le spalle, facendo intuire a Vilya di non saperlo.
“Non aprire la porta.” Il tono era imperativo. Stranì Vilya, che drizzò il capo. So’o incrociò i suoi occhi: i propri erano determinati, categorici. Non avrebbe permesso a Vilya di obiettare. Vilya corrugò la fronte. Il mezzodrow abbassò lo sguardo sulle proprie mani che tremavano ancora, quasi impercettibilmente. Le strinse più volte cercando di calmarle.

“Va tutto bene. Siamo al sicuro.” Cercò di rassicurare il fratello maggiore. “Solo… stammi a sentire.”
“Ehm... va bene.” Il drow si avvicinò ancora e si sedette accanto al fratello. “Forse però dovremmo andare da Valentino, o da papà, e dirgli quello che sta succedendo.” So’o sbuffò sarcastico.
“E dirgli cosa? ‘Il Principe ha avuto paura di stare nella sua stessa stanza’?” Guardò il fratello, che gli diede ragione con la sua smorfia e si strinse nelle spalle guardando per terra. Tornò su di lui e gli sorrise.
“Puoi restare qui quanto vuoi.”

So’o si rilassò e ricambiò il sorriso. Si sporse verso di lui. Cercò il suo calore. Lo rilassava. Ora che era più calmo notò la maglia color vino rosso che Vilya aveva addosso. Era più leggera, doveva avergliela data Azul. Chiuse gli occhi mentre si crogiolava nel calore del fratello maggiore. Vilya lo accolse a sé, cingendogli il fianco con il braccio e facendogli poggiare la nuca sul proprio petto.
“Ora va meglio.” Mormorò Vilya a voce più bassa. Doveva aver constatato come So’o si fosse tranquillizzato. L’altra mano iniziò ad accarezzare i capelli biondi del ragazzo. Li pettinò piano, scorrendo sulla loro lunghezza e poi risistemandoglieli. Il minore fu colto da un grosso sbadiglio che gli provocò delle lacrimucce sulle palpebre.
“Vuoi andare a dormire?” Chiese la voce del drow. Il mezzodrow annuì e premette le mani sul petto ampio del fratello per staccarsi piano da lui.
Si accorse che i loro corpi erano molto vicini, ma questo non gli dava fastidio. Aveva imparato ad accogliere il fratello nel proprio spazio, e ormai quei gesti premurosi non gli erano insoliti. Gli piaceva essere così intimo con lui. Le sue braccia lo facevano sentire al sicuro, lui lo faceva sentire a proprio agio. Sapeva di non stare facendo niente di sbagliato, e gli era ormai evidente che l’affetto che Vilya provava per lui avrebbe impedito al fratello maggiore di alzare nuovamente le mani su di lui in un’accezione maliziosa. Il modo in cui Vilya era solito guardarlo sembrava dire lo stesso.

Andarono a lavarsi per poi tornare sul letto. So’o gattonò sul letto per primo e si accucciò ad un lato. Il letto era a una piazza e mezzo, con qualche compromesso si sarebbero trovati bene in due. Lasciò scivolare via la veste scura dalla pelle mulatta per rivelare la pelle nuda. Vilya si sedette accanto a lui e tirò su le coperte morbide e leggere, poi si sistemò più giù con il bacino e si stese. Appena il moro poggiò la nuca sul cuscino, So’o si rannicchiò di fianco e incastrò la faccia e le gambe contro il fianco del più grande, restandogli accanto. Strusciò il muso contro le sue costole, come un cagnolino. Vilya alzò la nuca per guardarlo. Lo coprì con la coperta e gli pettinò i capelli biondi in un gesto affettuoso prima di tornare a poggiare la testa sul cuscino e chiudere gli occhi.

Probabilmente Vilya stava cadendo nel dormiveglia quando So’o lo disturbò smuovendosi dalla sua posizione. Non soddisfatto si smosse per accogliere maggiormente Vilya, che prese un respiro rumoroso dalle narici, proprio come fanno le persone quando vengono svegliate. So’o si sporse per poggiare la guancia contro il suo petto. Era un ottimo cuscino. Poteva anche sentire il rilassante battito del suo cuore. Allungò un braccio e cinse le costole del più grande. Vilya era grosso rispetto al suo braccio. Poi alzò una gamba e posò la coscia nuda sulla sua pancia. In breve si era aggrappato al drow senza neanche chiedere permesso, usandolo come cuscino personale. Aprì gli occhi per vedere la faccia di Vilya. Stava sorridendo compiaciuto. La sua mano scura andò ad accarezzare il fianco del fratello minore con dolcezza. L’altro braccio era ormai sepolto sotto So’o e si piegò per cingergli le piccole spalle. Il calore di Vilya lo circondava. So’o si rilassò ancora di più e in poco tempo, conciliato dalle morbide carezze della mano di Vilya sulla spalla, cadde in un sonno profondo.






 
***






“Mi hai sbavato addosso.”
La maglia color sabbia di Vilya era piena di trucioli. Con il pugnale stava intagliando la lama di una spada di legno. Era seduto ad una delle casse della piccola arena che i ragazzi del Popolo si erano creati al limitare della Piazza del Mercato. So’o, accanto a lui, guardava davanti a sé Siss e Seos che facevano levitare Rulka con i loro primi incantesimi.
“Non ero padrone di me stesso in quel momento.”
“Avevo una macchia di bava enorme sulla mia seconda maglia.”
“Potevi comprarti altre maglie.”
“Non ho i soldi.”
“Potevi rubarti altre maglie, come fai con la frutta.” So’o si voltò verso di lui e guardò quello che stava facendo. “Poi ti ricordo che tuo padre è l’Imperatore. Basta che gli chiedi dei soldi.”
“Non sarebbero soldi miei.” Si giustificò Vilya. Era solo una scusa per non dargliela vinta.

So’o tornò a guardare i ragazzi.
Fortunatamente, qualsiasi cosa lo avesse spaventato quella sera, non era più tornata.
“Seos mi ha chiesto di andare a letto con lui.”
La frase del più piccolo fece sbuffare all’istante il fratello maggiore, divertito.
“Che gli hai detto?”
“Che non mi va.”
Vilya inarcò colpito le sopracciglia. Come se ce ne volesse, a rifiutare l’elfo. So’o fece ciondolare le gambe sulla cassa.
“Con chi andresti a letto?” Chiese il drow con leggerezza, concentrato ad intagliare il legno. So’o scosse il capo, altrettanto quieto.
“Con nessuno.”
Vilya sospirò e girò la spada per intagliarla sull’altro lato. “Tutti troppo brutti, lo so.”
So’o sbuffò divertito e sorrise.
“Tu con chi andresti a letto?”
“Vorrai dire con chi sono andato a letto.” Lo corresse Vilya. Si prese del tempo per creare un rilievo complesso sulla spada prima di rispondere. “I due elfi sono divertenti, ma non vanno presi sempre insieme perché diventano impegnativi.”
So’o inarcò le sopracciglia, un po’ sconvolto. Sbatté le palpebre. “Uhm… va bene.” Vilya rise al suo tono interdetto. So’o corrugò la fronte e proseguì.
“Hanno questa strana fissazione con i peni grossi…”
Fece ridere Vilya più forte.

“Comunque… sì, non mi piace nessuno.” Fece di nuovo il fratello minore, con tono più serio. “Pensavo che avrei cambiato opinione conoscendo altri ragazzi.”
“Forse dovresti conoscerli meglio.”
“Non mi va, non in quel senso.”
Vilya si strinse nelle spalle.
“Allora non farlo. Non deve piacerti qualcuno per forza.”
“Mh.” So’o annuì. “Preferisco dedicare il mio tempo agli studi e a capire come posso diventare una buona guida per il Popolo. Un giorno potrebbero sposarmi a una principessa per un accordo politico. Non sarebbe un problema, non me ne frega niente. Basta che non mi chieda di farci sesso.”
“Non credo che lei ne sarebbe felice.” Obiettò Vilya. “E poi non mi sembravi così riluttante quando ti ho portato io a vedere le stelle.”
“Ma tu sei troppo affascinante perché io possa resisterti.” Lo sfotté So’o. Vilya sorrise e zittì, intento a maneggiare il pugnale. So’o si smosse, si alzò in piedi sulle casse.

Davanti a sé poteva vedere tutta la Strada del Pirata serpeggiare dritta fino ad arrivare al Porto. Oltre la spiaggia e il molo si apriva un vasto oceano che lambiva l’orizzonte, nascosto dai palazzi. Davanti a lui niente frontiere né mura. Una brezza pomeridiana gli accarezzò il viso. Con la coda dell’occhio vide che Vilya lo aveva raggiunto e guardava nella sua stessa direzione.

Vilya aprì le braccia e restò in quella posizione a prendere il soffio del vento che gli scompigliava i vestiti, come un gabbiano che si fa trasportare dalla corrente. So’o fece lo stesso poco dopo. Rimasero come due scemi a godersi quella libertà, come se nessuno potesse toccarli. Sapevano che era una cosa stupida, ma non dissero niente.

Quando raggiunsero il giusto grado di imbarazzo abbassarono le braccia.
“È bello essere in due.” Ammise Vilya. Quelle parole riscaldarono il cuore del fratello minore.
“Vero.” Disse So’o.

Si voltò verso di lui e incontrò i suoi occhi blu che lo osservavano. Attraverso essi si potevano intuire i pensieri del drow. Era contento di essere lì con lui. So’o si sorprese del sorriso impacciato che si formò sul proprio viso, e che venne ricambiato da un fratello maggiore contento. Anche Vilya si voltò verso di lui e lo scrutò meglio. Spostava lo sguardo nei suoi occhi verdi. So’o si avvicinò a lui per guardarlo meglio. Non sapeva di preciso cosa tutto quello potesse sembrare da fuori. A lui non era estraneo. Una vicinanza del genere, quello scambio di sguardi. Era successo altre volte. Ma quella volta sembrava diverso. Vilya lo guardava in un modo diverso. E lui si sentiva caldo. Era una sensazione piacevole. Si sentiva felice, però… era strano. Si accorse in quel momento di essersi avvicinato molto al fratello. Stava studiando il suo viso come se fosse particolarmente bello, e Vilya stava facendo lo stesso. So’o aveva un sorriso lieve sulle labbra.

“Traaa rose e fioooor, naaaascee l’amoooor-”
La voce stonata di Seos li interruppe bruscamente. So’o si smosse dalla sua posizione e lanciò un’occhiata all’elfo, che si era avvicinato con le mani sui fianchi. Vilya incrociò le braccia e sollevò il mento, guardando dall’altra parte.
“Sei solo invidioso, Seos.” Sbottò il drow, voltandosi per guardare l’elfo.
Il visetto di So’o ghignò divertito. Seos rimase a guardare male Vilya per un poco prima di rivolgergli una linguaccia. So’o si sporse e afferrò il braccio di Vilya, e scendendo dalla cassa se lo tirò dietro. Con il ghigno ancora sulle labbra si strinse al bicipite del fratello maggiore che aveva finito per tenerlo a braccetto, poggiando la testa sulla sua spalla, e continuò a camminare per portarlo via.
Vilya spiò oltre l’altra spalla per vedere il fumo che usciva dalla testa di un Seos infuriato, che faceva di tutto per fingere di non importarsene nulla. Sbuffando, l’elfo si voltò e si incamminò dalla parte opposta.
So’o emise una risata cristallina. Infantile e divertita. Vilya tornò a lui per guardarlo giudizioso, per scherzo.
“Lo sai che sei una brutta persona, sì?”
So’o lo guardò con gli occhi socchiusi dal sorriso sulla sua faccia di ragazzaccio felice e annuì.










 
Schizzi di So'o.


 
   
 
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