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Autore: Lena_Railgun    18/03/2017    1 recensioni
"Ivan mi stava aspettando: il suo sguardo da prima perso nel vuoto si posò su di me e mi sorrise.
-Bravissima Mary- mi disse evidentemente fiero di me. Si avvicinò e mi scompigliò i capelli mentre io abbassavo il capo.
-Grazie- feci teneramente. Non l'avevo notato, ma nella mano destra teneva un'orchidea.
-è..è per me?- chiesi sorpresa.
-No guarda, per mia cugina che abita Torino che evidentemente frequenta l'accademia. Certo che è per te- fece ironicamente alzando il sopracciglio.
Gli feci la linguaccia:
-Ma dai! Non serviva!- feci quando me la porse.
-Viene sempre dato un fiore a chi si esibisce no?- mi disse lui mettendo le mani in tasca.
-Dove l'hai tirata fuori questa?- chiese divertita.
-Da qualche film- disse lui alzando le spalle. Osservai l'orchidea e sorrisi:
-é...perfetta. È tutto perfetto- "
Marina Rinaldi è una ragazza di sedici anni, che lascerà la sua normale vita da liceale, per accettare una borsa di studio per un'accademia di musica a Firenze. Per fare ciò, verrà ospitata da amici del padre, la famiglia Innocenti, con i loro due figli, Ivan e Celeste. Nonostante Ivan sembri molto diffidente, piano si avvicineranno molto. Cosa succederà tra i due?
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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18-TU VALI PIU' DI TUTTO
 
Ero bloccata per terra, spaventata. Le lacrime che avevo tanto tentato di reprimere non smettevano di uscire e rigarmi le guance.
-Ivan- singhiozzai, stringendo forte la collana con il mio nome.
Chiusi gli occhi e lo vidi disteso a terra, in una pozza di sangue.
-No!- urlai, alzandomi di scatto. Dovevo tornare a Firenze e subito. Corsi verso le quinte, tirando la pesante porta e mi ritrovai Aria davanti, con un sorriso che sfumò nel vedermi ridotta in quel modo.
-Marina, cos'è successo?-
La abbracciai forte, singhiozzando disperata- Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e vidi Berto preoccupato dietro di me.
-Rinaldi, ti senti male?- chiese preoccupato.
-Ivan..è stato investito- singhiozzai. Dire quelle parole faceva così male, e mi fece capire come fossi sveglia e che quella fosse la realtà.
Aria mi guardò sconvolta e mi strinse a lei più forte.
-Tesoro va...tutto bene- cercò di tranquillizzarmi ma era impossibile.
-No! Non va tutto bene! è in condizioni gravi e...- guardai Berto -Prof devo tornare a Firenze! Subito!-
-Marina...non posso lasciarti andare da sola, sei minorenne. E né io né la professoressa De Luci possiamo accompagnarti- tentò di spiegarmi.
-Non mi interessa! Lei non capisce, io non posso stare qui!- esclamai.
Berto si massaggiò le tempie.
-Marina io capisco cosa provi, ma sei sotto la mia protezione-
-Sappia..che io andrò lo stesso. Non mi interessa l'espulsione. Lui vale più di ogni cosa. E ora ha bisogno di me!- esclamai.
-Marina!- mi sgridò severo, ma capì che era inutile. Il mio sguardo era deciso e non intendevo mollare.
-Vado a parlare con Agata. Aria la porti a prendere un the?-
La mia amica annuì, e mi prese per un braccio, portandomi nel bar più vicino. Continuava a dirmi parole di conforto per infondermi coraggio, durante il breve tragitto, ma mi sentivo come un guscio vuoto, privo di anima. Il barista ci salutò cordialmente e si preoccupò nel vedermi con il trucco sciolto, gli occhi arrossati e lo sguardo assente, ma la cosa non mi importava. Mi sedetti al primo tavolo che trovai libero mentre Aria ordinava un the verde per me. Presi il telefono e tentai di contattare Serena o Daniele ma entrambi risultavano irraggiungibili.
-Marina- mi chiamò Aria .Vedrai che andrà tutto bene-
-Come fai a dirlo?- chiesi scettica, lanciandole un'occhiata trucida.
-Perché credere ti serve ora!- esclamò lei.
-No, mi serve essere lì con lui. E pregare lì con lui-
Aria mi guardò triste e tacque, capendo che non era il caso di continuare. Fissavo la tazza, senza un particolare interesse, ma subito bevetti un sorso che mi scaldò lievemente. Le mani tremavano per la tensione, tanto che facevo molta fatica a tenere la tazza in mano, per quanto era forte il tremolio. Presi il telefono, cercando di contattare nuovamente Daniele, ma senza successo. Sospirai rassegnata, e ripresi a fissare la tazza, mentre una forte nausea mi opprimeva, mi distruggeva lo stomaco. Affrontai le mani nei capelli, tentavo di ragionare ma il cuore non voleva ascoltare la parte razionale di me. Perché lui mi stava dicendo di alzarmi e prendere un treno. Aria si guardava intorno, il silenzio tra di noi non poteva essere colmato. Ad un tratto, alzai lo sguardo e la vidi porgermi una cuffietta.
-La musica è la tua cura Marina. è un'amica fedele che vuole starti vicina anche ora. Permettiglielo- mi disse, guardandomi. Accennai un sorriso e misi la cuffietta nell'orecchio. Le note di "Stairway to heaven" riuscivano sempre a tranquillizzarmi in qualche modo, e farmi ragionare come si deve. Era come se la musica potesse darmi concentrazione ma anche aiuto per farmi riflettere.
-Grazie Aria- mormorai con un lieve sorriso sulle labbra. Lei mi sorrise teneramente e mi prese le mani.
-Ci sono io con te Mary! Non dimenticarlo mai-
-Lo so è...che ho paura- un'altra lacrima mi rigò il volto e la asciugai in fretta con il polso.
All'improvviso, vidi Federico camminare frettolosamente verso di noi, prima che Aria potesse rispondermi.  Lo guardai perplessa, mentre si avvicinò a noi e mi porse la mano:
-Marina andiamo!-
Lo guardai confusa.
-Ti porto a Firenze!- mi disse deciso. Il mio sguardo confuso si posò prima su Aria, e poi nuovamente su Federico.
-Non scherzare- dissi tremando.
-Marina, io e Kevin siamo gli unici ad aver perso un anno e maggiorenne, ora come ora, sono solo io. Quindi alzati che andiamo!- la sua mano era ancora rivolta verso di me. La afferrai senza esitare.
-Aria, grazie...ti chiamo appena arrivo. Scusati con le ragazze da parte mia-
La mia amica annuì, dandomi un bacio sulla guancia. Corsi insieme a Federico fuori alla ricerca di un taxi. Non appena lo trovammo, salimmo chiedendo di portarci in stazione centrale, e mi appoggiai al sedile non appena partì.
Guardai Federico ed accennai un sorriso.
-Grazie per accompagnarmi- gli dissi, davvero grata per quello che stava facendo per me. Lui mi sorrise.
-Ordini di Berto, non preoccuparti- mi guardò un po', esitando leggermente -Mi dispiace Marina...si riprenderà, non temere-
Scostai lo sguardo e lo rivolsi verso la notte milanese che vedevo scorrere dal finestrino -è ciò che spero e per cui prego-
Erano ormai le otto passate quando riuscimmo a salire sul treno per Verona. Faceva freddo, lo sentivo nelle mie ossa, a causa dell'abbigliamento leggero che avevo indosso dall'esibizione ma non mi importava: volevo arrivare a Firenze il prima possibile. Spostai il mio sguardo dal finestrino a Federico, seduto di fronte a me, e vidi che mi stava porgendo la sciarpa di lana che aveva avuto al collo fino a quel momento.
-Tieni- mi disse e io la afferrai timidamente. La indossai, tentando di avvolgermi in quel calore, sperando che si facesse largo tra il freddo.
-Grazie- mormorai.
-Ho avvisato il capotreno, la coincidenza per Bologna ci aspetterà. Ho avvisato che era un emergenza-
Non dissi nulla ma annuii. Ero troppo stanca e scossa per parlare. Sarebbe stato un viaggio angosciante, pieno di cambi e di impazienza. E, arrivati a Bologna, dovevamo cercare un qualche autobus notturno per non passare la notte in quella stazione orribile. Federico mi diceva di non preoccuparmi, che ci avrebbe pensato lui, ma non riuscivo a tranquillizzarmi.
-Come ti senti?- mi chiese Federico ad un tratto.
-Perché mi fate tutti la stessa identica domanda? Non è ovvio?- sbottai adirata. Lo fissai per un po', l'acidità della frase appena sputata ancora in bocca. Abbassai lo sguardo mortificata.
-Scusami, non volevo risponderti male. è solo che...da quando siamo in pausa, odio quella domanda. é difficile ammettere quanto sto male senza di lui. Sto dannatamente male- accentuai la risposta con quella sorta di imprecazione detta solo nella mia mente, ma probabilmente chiara a molte persone che mi erano state accanto. Era difficile sciogliere quella maschera di indifferenza dietro la quale mi ero nascosta.
Federico scosse il capo.
-Posso immaginarlo e mi dispiace così tanto. é una domanda così banale  e scontata, solitamente detta per cortesia...eppure può fare davvero molto male-
Annuii concordando con lui.
-Aspetto solo il giorno in cui potrò rispondere sinceramente- confessai, appoggiando la testa al finestrino, lasciandomi cullare dal movimento oscillatorio del treno.
Scendemmo a Verona verso le nove e un quarto e sentivo già in me quell'aria veneta, l'aria della mia patria farsi vicina, ma dovevo correre per lasciarla dietro di me. Salimmo velocemente nel treno diretto a Bologna, che ci stava aspettando. Ringraziammo il capotreno e partimmo, macinando chilometri.
-Come faremo non appena arrivati a Bologna?- chiesi, nuovamente, con tono assonnato.
-Un amico di mio padre gestisce il trasporto notturno in autobus extra urbano. L'ho chiamato e ha detto che ci darà un passaggio lui. Per mezzanotte saremo a Firenze-
Sorrisi rincuorata.
-Federico...grazie. Per essere qui nonostante tutto.-
-Sono un tuo compagno di classe Mary. E non torni a casa per un semplice capriccio ma per qualcosa di davvero importante. Ed è giusto così-
-Lo so ma..non eri tenuto a farlo. Eppure sei qui- Era lampante come lui provasse ancora quel tipo di interesse per me, ma sembrava davvero sincero e gli sarei sempre stata grata. Mi chiese cosa sarebbe successo se fosse riuscito a farmi innamorare di lui. Avrei evitato quella sofferenza no? Ma...sarei stata la persona che ero in quel momento?
-Va bene così Marina. Solo devi farmi un favore- mi disse con tono serio, che quasi mi fece preoccupare.
-Certo-
-Non permettergli di farti soffrire così ancora- Il suo sguardo serio era fisso suoi miei occhi, e mi fece quasi sorridere. Se avessi potuto, lo avrei fatto molto tempo prima, ma non glielo dissi. -Quando si tratta di lui, è tutto complicato- dissi -è tutto diverso e io sono diversa-
-Sei innamorata-
-Innamorata persa- commentai quasi con ironia. Federico non rispose più ma prese a fissare fuori, lo sguardo stanco perso nel vuoto. Risposi a qualche messaggio delle ragazze, prima di chiudere gli occhi per quelli che mi sembravano pochi minuti. Li riaprii quando mi sentii scrollare lievemente.
-Siamo arrivati-mi comunicò Federico. Mi stiracchiai lievemente e sbadigliai, prima di scendere dal treno. Bologna era ancora una volta immersa nella nebbia e nell'umidità intrisa dallo smog e sporco. Tremante, seguii Federico verso il piazzale fuori dalla stazione, il cuore palpitante per la paura.
-Stammi vicina- disse Federico, notando la mia inquietudine ed io annuii, facendomi forza e ripetendomi che mancava davvero un ultimo sforzo. Lo sguardo di Federico si illuminò nel vedere un autobus arrivare. Mi fece cenno di seguirlo. Camminammo velocemente fino a raggiungere la vettura che, nel frattempo, aveva aperto le porte. Salimmo i gradini e vidi un uomo di mezz'età alla guida, vestito con una felpa blu sotto ad un giubbotto pesante, un po' rovinato, e da dei jeans scuri. Rivolse il suo sguardo verso di noi, uno sguardo frizzante, gli occhi color nocciola vispi nonostante l'ora.
-Ciao Federico! Tutto apposto?- si alzò e strinse la mano al mio amico, che gli sorrise riconoscente.
-Tutto bene grazie! E grazie per riportarci a Firenze-
L'uomo sorrise -Non preoccuparti. Dovere- scostò lo sguardo da Federico e lo rivolse a me.
-Tu sei Marina vero?- ed io annuii.
-Io sono Massimo- e mi porse la mano, che strinsi timidamente.
-La ringrazio di cuore per quello che sta facendo- mormorai, accennando un sorriso stanco.
-Non preoccuparti signorina. Andate a sedervi-
Non me lo feci ripetere, e mi sedetti dietro al posto di giuda, con le cuffiette nelle orecchie che tentavano di rilassarmi, ma sapevo che era impossibile, non in quel momento dove dominava l'ansia. Durante il viaggio tentai di dormire almeno un po', ma più ci avvicinavamo, più avevo paura. Paura di scoprire cos'era successo, di vederlo disteso in un letto all'ospedale...di sapere come stava. Sfrecciavamo per l'autostrada, ma mi sembrava stessimo andando sempre più lenti, come se non fossimo mai arrivati a destinazione, come se il mondo fosse andato avanti senza di noi. Guardavo le luci dei lampioni che tentavano di farsi largo tra le nebbia. Daniele non mi aveva richiamata e continuavo a fissare il display del telefono sospirando. Non appena riconobbi il paesaggio di Firenze, sentii l'ansia farsi presente in me in modo molto più forte rispetto a prima. Massimo accostò davanti alle porte dell'ospedale di Firenze e il mio cuore prese a battere sempre più forte. Non appena appoggiò le mani sulla leva che fece aprire automaticamente le porte con uno sbuffo, le mie gambe si alzarono senza che io glielo comandassi.
-Grazie di tutto davvero. Io...devo correre- feci, parlando quasi troppo velocemente.
Federico si avvicinò a me e mi strinse forte.
-Andrà tutto bene!- mi disse sorridendo.
-Cosa farai tu?- chiesi, un po' imbarazzata per quel contatto.
-Domattina tornerò a Milano. Per ora vado a casa a riposare-
-Buon riposo- dissi con un sorriso.
-Ciao signorina, stai attenta- Massimo mi fece l'occhiolino.
-Certo! Grazie ancora una volta- feci un cenno con la mano e scesi dall'autobus. Strinsi la cinghia della borsa e mi incamminai verso l'ingresso. Nella sala d'aspetto c'era ancora qualche paziente che, evidentemente, aspettava una qualche visita d'emergenza. Mi guardai attorno, cercando un'infermiera a cui poter chiedere informazioni. Sembrava tutto così tranquillo, per quanto dentro di me, invece, ci fosse un caos tremendo. Intravidi con la coda dell'occhio la piantina dell'ospedale, e mi avvicinai. I piani per i ricoveri erano molti, ma decisi di non scoraggiarmi e di partire dal terzo, non avendo idea di dove potessero aver ricoverato Ivan. Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, notai un banco di accoglienza. Timidamente, mi avvicinai all'infermiera in turno e mi schiarii la voce.
-M..mi scusi, saprebbe dirmi dov'è ricoverato Ivan Innocenti?-
L'infermiera alzò lo sguardo stanco e mi sorrise.
-é ricoverato nella stanza 327 ma...è tardi signorina, l'orario di visita è finito da un pezzo-
-Lo so è che...sono tornata da Milano non appena ho saputo e...-
L'infermiera mi squadrò e notò la stanchezza nei miei occhi. Avevo ancora la sciarpa di Federico stretta al mio corpo infreddolito.
-Devi essere esausta. Vuoi davvero rimanere qui?- mi chiese preoccupata.
-Non si preoccupi per me. Lui...come sta?- posi la fatidica domanda di cui avevo paura.
-Il trauma cranico è abbastanza grave e...è entrato in coma-
Quelle parole mi uccisero. Sentii le gambe tremare e cedere.
-Si...si risveglierà?- chiesi con un filo di voce.
-è probabile di sì. Abbiamo avuto casi molto peggiori-
Sospirai, un minimo rincuorata, per quanto il terrore che da sveglio sarebbero potute sorgere complicazioni, continuava a tormentarmi.
-La ringrazio- feci un inchino e mi diressi verso quella stanza. Quando vidi il cartellino con scritto 327 inciso in oro, mi fermai. Sapevo che non potevo entrare, ma il desiderio di vederlo era troppo forte. Afferrai la maniglia ed inspirai profondamente. Lentamente la tirai giù ed aprii la porta. La stanza era totalmente buia, tranne che per le luci degli apparecchi medici in funzione. Chiusi la porta dietro di me e mi avvicinai silenziosamente. Due letti erano presenti nella stanza, ma solo uno non era vuoto. Con il cuore in gola, mi avvicinai e i miei occhi, finalmente, si abituarono al buio e così lo vidi. Disteso con un camice indosso, sembrava un angelo a cui avevano tarpato le ali. Vedere la mascherina su bocca e naso per farlo respirare. l'ago della flebo sul suo braccio, che lo nutriva, e varie ventose che registravano il suo battito cardiaco, mi fecero capire come quella fosse la realtà in cui ero immersa. Mi inginocchiai vicino al suo letto e lo guardai più da vicino. Le mie dita tremavano, come se, sfiorandolo, avessi potuto fargli del male.
-Ciao Ivan.,,sono tornata- sussurrai, convinta che potesse sentirmi. La mia voce prese a tremare proprio come le dita della mia mano. Subito ritirai la mano e la congiunsi con l'altra, vicino al petto.
-Tu sei forte...io lo so. Nulla può scalfirti- mormorai. La stanchezza cominciò a farsi sentire e approfittai del letto vuoto per coricarmi. Era tutto così freddo e strano ma ero troppo esausta per pensarci, e riuscii ad addormentarmi subito. Caddi in un sonno agitato, dominato da incubi, sangue e figure confuse. La vibrazione del telefono mi strappò da quei sogni confusi. Mi alzai di scatto e lo presi dalla borsa.
-Pronto?- biascicai.
-Marina?- riconobbi la voce di Daniele dall'altro capo della cornetta.
-Daniele! Ho tentato di contattarti tutta ieri sera!- esclamai, tentando di tenere basso il tono di voce.
-Scusami, mi era morto il telefono. Ascolta hai...-
-So tutto- confermai, interrompendolo. -Com'è successo?- chiesi, appoggiando la schiena al muro.
-Ieri Ivan era strano...qualcosa lo turbava, era evidente. Per tutta la giornata la sua mente era assente. Avevamo rientro ieri, ma ci siamo fermati a chiacchierare ed erano le cinque quando stavamo tornando a casa. Lui disse che voleva camminare un po' prima di prendere il bus. E...non si era accorto che...- Daniele deglutì, non riuscì più a continuare e io non volevo sforzarlo. Avevo capito ciò che doveva provare.
-è stata colpa mia- sussurrai con un filo di voce.
-Cosa dici Marina? Come puoi..-
-Abbiamo litigato il giorno prima- feci-Io...non credevo...io..-
Era stata davvero colpa mia? Quelle mie parole erano entrate nella sua mente a tal punto?
-Marina non fartene una colpa! Un litigio capita, soprattutto con il casino tra di voi. Tu non centri!- per quanto Daniele tentasse di sollevarmi il morale, di consolarmi, sentivo comunque qualcosa dentro di me, che mi sussurrava che ero davvero responsabile.
-Concentrati sul concorso Mary-
-Non sono a Milano- affermai-Sono qua a Firenze..in ospedale nella stanza di Ivan-
-Tu...cosa?-
-Sono tornata appena ho potuto- risposi.
-Marina...sei..-
-Innamorata, Daniele!- lo interruppi di nuovo -E non potevo rimanere lì ad esibirmi, a fingermi perfetta su un palcoscenico. Non con lui qui-
Sentii silenzio dall'altro capo, e poi un lieve sospiro.
-Sei una brava ragazza Marina. Vedrai che andrà tutto bene-
Giocherellai con i capelli:
-Lo spero...-sopirai e guardai Ivan di fianco a me.
-Vado a scuola, aggiornami su qualunque cosa- mi disse Daniele e io annuii.
-Certamente. Buona mattinata.- e riagganciai. Fissai Ivan ancora per un po' prima di alzarmi dal letto e dargli una lieve carezza sul viso.
-Buongiorno- mormorai. Presi la mia borsa ed uscii dalla stanza, guardandomi intorno con circospezione, prima di sedermi in una delle sedie di plastica li vicino. Mancava poco all'inizio dell'orario di visita e ormai, aspettare non mi causava impazienza come un tempo. Con la poca batteria rimasta, chiamai Aria. Picchiettai sulle gambe mentre ascoltavo gli squilli dall'altro capo della cornetta, aspettando di sentire la voce squillante della mia amica.
-Ehi Mary!- sentii il suo tono preoccupato e subito cercai di sembrare tranquilla.
-Ciao Aria! Come vanno le cose?-
-Insomma! Siamo tutti preoccupati per te!- mi rispose e mi scappò un sorriso, quasi lieta che qualcuno si preoccupasse per me.
-Sto bene- feci -SOno stanca più che altro. Ho passato la notte in ospedale dormendo clandestinamente nella camera dove lui è ricoverato-
-Marina tu sei pazza!- esclamò Aria, quasi sgridandomi.
-Sì lo sono. Sono diventata pazza a causa sua- affermai.
-Marina...io capisco ciò che provi. Ma lui non merita tutto ciò che stai facendo-
-Pretendi che io mi esibisca fingendo che tutto vada bene mentre lui è qui, in coma?- sibilai, con fin troppa cattiveria. Sentii Aria sospirare, probabilmente alla ricerca delle parole giuste da usare. Sapeva quanto fossi testarda.
-Riposati tesoro- disse con un tono dolcissimo. Non potevo avercela con lei, era la mia migliore amica e quindi sorrisi, e mi addolcii anche io.
-E voi date il meglio-
-Quello sempre. E lo faremo anche per te-
-Grazie- mormorai -Ci sentiamo presto-
Riagganciai e fissai il telefono per un po' finché non sentii dei passi. L'infermiera della sera precedente si avvicinò e mi guardò perplessa.
-Sei qui...da ieri sera?- mi chiese ed io annuii.
-Ma starai morendo di fame!- esclamò.
-Nemmeno troppo- feci, accennando un sorriso. Ero troppo in ansia per riuscire a mangiare.
-Vieni- aprì la porta della stanza di Ivan e la seguii. Aprì le serrande mentre io guardavo il mio angelo addormentato. L'infermiera uscì dalla stanza e tornò poco dopo con un vassoio sopra ad un carrello bianco. Mi porse un piatto con qualche biscotto e una tazza di the e mi invitò a sedermi. Accettai di buon grado e bevetti un sorso di the, mentre l'infermiera cambiava i liquidi nelle flebo di Ivan. Io la guardavo armeggiare, esprimendo tra me e me una preghiera perché lui stesse bene.
-Come ti chiami?- mi chiese ad un tratto.
-Marina- feci, dopo aver finito di masticare un biscotto secco.
-Io sono Manuela- mi disse avvicinandosi a me.
-Piacere- feci porgendole educatamente la mano che lei strinse.
-Devi voler molto bene a Ivan, se sei corsa da Milano fino a qui- osservò, versandosi del caffé in una tazzina.
-Sono la sua ragazza- dissi, tenendo lo sguardo fisso sul poco the rimasto -Cioè...lo ero. Siamo in pausa- mormorai, mordendomi il labbro.
-è ancora più ammirevole- commentò Manuela. -Nonostante tutto, sei qui-
Sospirai -Abbiamo preso a litigare, a non comunicare e ne abbiamo passate di tutte i colori ma...non potevo rimanere lì-
-Lo ami molto vero?- mi chiese Manuela.
-Dovrei odiarlo ma non ci riesco...è stato il mio primo vero amore- dissi, accennando un sorriso carico di nostalgia. Insieme ad essa, però, c'era molta amarezza. Quella sensazione di come un anno fosse già volato, senza che io fossi riuscita a godermi con il cuore tutti quei momenti passati.
Manuela mi guardò con un po' di tristezza mentre sorseggiava il suo caffè in silenzio.
-Non appena si sveglierà, devi parlargli. Perché ragazze come te è raro trovarle-
Sorrisi per la sua gentilezza ma io sapevo che, non appena si sarebbe svegliato, avremmo solo chiuso definitivamente. Ma, nonostante tale consapevolezza, non riuscivo ad allontanarmi da lui. Finimmo silenziosamente la colazione e osservai Manuela sparecchiare ed aprire la porta mentre lo tirava verso di sé. La ringraziai prima di sparire nel corridoio bianco dell'ospedale. Presi una sedia e mi sedetti vicino al letto di Ivan. La luce, ormai, aveva invaso la stanza e potei notare come fosse tremendamente pallido  e pieno di graffi il suo volto. Gli strinsi lievemente la mano tiepida, rimanendo in religioso silenzio.
-Marina?-
Mi voltai nel sentire quella voce così sorpresa e vidi Serena sulla soglia, sbalordita nel vedermi lì.
-Ciao- feci, accennando un sorriso.
-Cosa fai qui?-
Sospirai:
-Non potevo restare a Milano. Non con lui qui.- dissi, guardandola negli occhi.
Serena sospirò -Chi te lo ha detto?- mi chiese con tono serio.
-Tu non volevi che io lo sapessi?- chiesi a mia volta, accigliata.
-Non volevo rovinare la settimana del concorso! Ti sei impegnata così tanto!-
-Non è importante! La sua vita conta molto di più di un concorso-
-è ovvio Marina! Solo...non avrei mai creduto che tu potessi tornare nel bel mezzo della notte...indossi ancora gli abiti con cui ti sei esibita giusto?- mi chiese, squadrandomi, ed io annuii. Si avvicinò e mi diede una carezza sulla spalla. -Sei coraggiosa Marina...sei una ragazza incredibile- mi diede un lieve bacio sulla nuca -Ma vai a casa a dormire un po'-.
-Non serve- protestai, ma dovevo darle pienamente ragione: ero esausta.
-Se hai un po' di pazienza, ti porto a casa io- mi disse.
-Non preoccuparti, fai con comodo- dissi sedendomi.
La vidi avvicinarsi tristemente al figlio e gli diede una lieve carezza, con sguardo quasi vuoto.
-Ciao amore- gli sussurrò. Prese da una borsetta, un mezzo di fiori che non avevo mai visto.
-Che fiori sono?- chiese, dunque, curiosa.
Serena li sistemò nel vaso con cura e mi rispose, ma senza guardarmi.
-Sono fiori di musco- mi rispose -Sono l'emblema dell'amore materno-
Tacqui e la osservai in religioso silenzio. Non potevo fare a meno di pensare che, se non fossi andata da lui il giorno prima, se avessi semplicemente buttato via quei biscotti, lui non sarebbe in quella situazione.
-Marina, possiamo andare- mi disse Serena, facendomi riemergere dai miei pensieri. Io annuii e presi la mia borsa, abbandonata sul pavimento. Serena mi guardò perplessa.
-Marina ma...le tue valigie?-
-Sono a Milano. Non ho fatto in tempo a prenderle- le spiegai -Aria e le ragazze me le porteranno giù- feci.
-Marina, non posso crederci che tu abbia fatto questo  solo per tornare qui, senza perdere tempo-
Guardai Ivan -E, invece, l'ho fatto sul serio-
Serena mi riportò a casa e salii le scale come uno zombie. Nel vedere la porta aperte della aperta della stanza di Ivan, il cuore mi si strinse. Mi morsi un labbro, in lotta con me stessa, ma seguii una qualche vocina dentro di me, ed entrai. Il letto ero sfatto ed erano appoggiati i vestiti di quel maledetto giorno. Mi avvicinai e i sfiorai lentamente: probabilmente, Serena non aveva avuto la forza di lavarli o, semplicemente, gettarli via.
Rivolsi lo sguardo altrove e notai il suo zaino appoggiato alla scrivania e, un minuscolo pensiero mi tartassò. Vergognandomi, presi a frugare fino a trovare il suo cellulare. Me lo rigirai tra le mani e, infine, lo sbloccai. La foto di sblocco lo ritraeva insieme al gruppo di teatro. Trascinai il dito fino a far comparire la home, dove come sfondo aveva sostituito una nostra foto con una di un tramonto meraviglioso, che però, riconobbi come la foto che scattò una sera quando andammo a Jesolo con la mia famiglia. Deglutii e cercai la chat di messaggi con Rosalba. Gli ultimi messaggi risalivano a quella domenica.
"Grazie per la chiacchierata di oggi" aveva scritto lei.
"Non preoccuparti, sai che ci sono per te"
"Tu stai bene?"
"Potrei stare decisamente meglio. Ma forse sono io uno stupido. Buona notte"
"è lei che non capisce Ivan. Notte"
 
Dedussi che la "lei", fossi io. Cos'era che non capivo? Cosa stava succedendo? Un forte mal di testa mi stava tartassando, a causa della mancanza di sonno, quindi decisi di lasciar perdere e andare a concedermi un po' di riposo. Mi buttai sul letto, distrutta, e crollai tra sogni assurdi pieni di angoscia.
Mi svegliai di scatto, intontita e scombussolata, nel buio della mia stanza. Tastai sul comodino ed accesi la lampada. Il mio telefono lampeggiava ossessivamente ma lo ignorai e scesi le scale. Guardai l'ora, e notai come fossero ormai le quattro del pomeriggio, e in casa dominava il silenzio. Accesi la luce in cucina e mi misi a prepararmi un the, con lentezza. Mentre aspettavo l'ebollizione dell'acqua, guardai la casa con occhi diversi. Come potevano sentirsi tutti nel sapere in quelle condizioni un loro familiare? Pensavo,soprattutto, a Serena e la cosa mi spezzava il cuore. Soprattutto, pensando che fosse colpa mia, e non  potevo smetterla di pensare a ciò. Misi il the in infusione e corsi a prendere il telefono in camera mia. Mi sedetti sul bordo del letto e composi il numero di Daniele, mentre battevo impazientemente le dita sul comodino, fino a quando non sentii la sua voce.
-Ehi Mary-
-Daniele, ciao, scusa se ti disturbo- dissi subito, sentendomi in colpa.
-Non preoccuparti- era sincero, lo capii dal suo tono, e gli fui davvero tanto grata. -Dimmi pure-
-Senti...hai fatto caso a come Ivan e Rosalba fossero molto uniti in questo periodo?- chiesi. Di per sé, era una domanda retorica, era impossibile non farci caso e, infatti, la risposta di Daniele fu affermativa.
-Sai il perché? Cioè...ecco...ho dato un'occhiata all'ultima conversazione tra loro due e...Rosalba ha detto che "lei non capisce". Sono io quella lei vero?-
-Marina, non sta bene curiosare nei telefoni degli altri!- mi sgridò, e aveva ragione, mi sentivo una persona orribile.
-Lo so- feci mortificata -Non so cosa mi sia preso.-
Sentii Daniele sospirare -Da un lato ti capisco moltissimo- mi confessò.
-Con Erica credo farei lo stesso. Comunque, bhe penso di sì, stavano parlando di te. Mi hai detto che avevate litigato quel giorno no?-
-Sì- confermai -Ma...cos'è che non capisco?-
-Marina mi dispiace...io non so cosa intendessero dire- mi disse con una velata tristezza.
-Non preoccuparti- mi affrettai a dire -è solo che...sembrava così triste in quelle risposte che continuo a pensare che sia davvero colpa mia- mormorai.
-Non è stata colpa tua!- esclamò, arrabbiato che continuassi a dirlo.
-Marina, lui si riprenderà. E allora, voi potrete chiarirvi una volta per tutte- riprese poi, quasi tentando di trasmettermi la sua determinazione.
-mi basterebbe anche solo che si riprendesse e stesse bene. Il resto non mi importa-
Ero sicura che, in quel momento, stesse sorridendo; un sorriso carico di comprensione che dedicava spesso al suo amico.
-Lo ami molto, vero?-
-Lo sai- feci decisa -Non importa cosa succederà andando avanti. Lui è stato il mio primo amore, e sarà sempre importante per me- affermai.
-Anche per lui tu sei importante Marina, non scordarlo mai-.
Sentire quelle parole fu importante, forse perché avevo bisogno di sentirle. Perché non le avevo sentite vere in quei mesi, e non ci avevo creduto.
-Grazie Daniele, grazie di cuore- mormorai, davvero grata.
-Di nulla Mary. Ora ti saluto, ci sentiamo presto-
-Certo, scusami per il disturbo, ciao- e riagganciai.
Mi distesi sul letto per un po', fissando il vuoto con una miriade di pensieri nella mente, ma tra tutti, tornare in ospedale si fece strada. Bevetti il the in fretta, presi borsa e cappotto al volo, e corsi verso la fermata del bus. Con la musica che mi faceva compagnia, da brava amica che non mi abbandona mai, mi diressi fino a Firenze per quanto la stanchezza mi urlasse di tornare a casa e riposare ancora. Scesi alla fermata del bus più vicina all'ospedale e, infreddolita, camminai tirando lievemente su la sciarpa. Quando l'edificio fu dinanzi a me, aumentai il passo. Salutai cordialmente  Manuela, che era di turno al bancone di accoglienza.
-Marina!- mi guardò sorpresa, ma io le sorrisi.
-Ho dormito fino ad ora, sto bene, non preoccuparti- le dissi, felice che si fosse preoccupata per me. Mi sorrise e mi fece un cenno con il capo.
-Sono venute anche la madre e la sorella oggi- mi informò. Dopo averla salutata, salii le scale verso quella stanza che avrei imparato ad odiare con tutto il cuore.
Il corridoio percorso da luci al neon era molto trafficato a quell'ora, il via vai costante di infermiere e persone, mi fece capire che ero nel pieno orario di visite. Sbadigliai e mi incamminai verso la stanza 327. Mi affacciai sulla soglia e vidi Serena parlare con il medico, e Celeste seduta vicino al fratello, gli occhi tristi. Entrai, un po' titubante, mormorando un "permesso" poco convinto. Serena mi guardò e mi sorrise, facendo un lieve cenno con la mano, per poi tornare a parlare con il dottore, uscendo fuori dalla stanza. Celeste alzò la testa e il suo sguardo si illuminò almeno un po'.
-Ciao Marina!- mi salutò con un cenno e un piccolo sorriso appena accennato.
-Ciao piccola mia-  le risposi e mi avvicinai al letto, sfiorando la sedia su cui era seduta Celeste.
-Ciao Ivan- mormorai, sfiorando il lembo delle lenzuola. Diedi un lieve bacio sulla fronte a Celeste, per tentare di impedire che troppa tristezza si impossessasse di me, come ad aggrapparmi alla serenità che, solitamente, era tipica sua.
-Come stai?- le chiesi.
-Distrutta. Esattamente come stai tu- mormorò prima di buttarsi tra le mie braccia, facendo barcollare la sedia. Le accarezzai teneramente la nuca ma non dissi nulla, quella sua frase mi aveva colpita per la profonda verità che conteneva. Distrutta. Sì, mi sentivo esattamente in quel modo. Distrutta, disperata, mortificata e devastata. Perché? Perché la mia testa non faceva altro che focalizzarsi su di lui?
-Si riprenderà- le dissi, con un sorriso che tentava di infonderle sicurezza.
-Andrà tutto bene-
-Come fai a dirlo?- mormorò lei, mentre una lacrima le rigava la guancia.
-Perché...Ivan è come un temporale improvviso, come una bella notizia durante una giornata storta, come un gesto gentile da chi non ti aspetti. è imprevedibile. Ed è forte, proprio come te. Tu lo sai Celeste, sì risveglierà. Credici, e vedrai che accadrà-
La piccola Innocenti mi guardò, gli occhi pieni di lacrime, ma un sorriso le sfuggì dalle labbra. Annuì e si voltò a guardare il fratello, sfiorandogli la mano.
-Andrà tutto bene- continuai a mormorare. Volevo crederci così tanto, che abbracciarmi a quel pensiero, era l'unica cosa da fare. Rimanemmo così per un po', abbracciate a tentare di consolarci a vicenda con qualche racconto in confidenza. Mi voltai quando sentii la porta aprirsi, e vidi Serena rientrare, con sguardo inquieto e le mani tremanti. Mi avvicinai a lei preoccupata.
-Serena, cosa succede?- chiesi preoccupata. Non volevo bugie, non volevo semplici "va tutto bene, ma la cruda verità.
-Ivan...potrebbe aver perso la memoria- ci comunicò. Sentii la testa girare e la gola secca. Sbigottita. Devastata. Cercai di connettere bene ciò che avevo appena sentito. Ivan avrebbe potuto svegliarsi ed aver dimenticato tutta la sua vita.
-è solo una possibilità ma...-
-Andrà tutto bene mamma- le dissi, ma la mia voce tremava troppo perché le mie parole potessero infondere coraggio.
Serena abbracciò forte sia me che Celeste, che rimasta leggermente in disparte, non aveva capito bene cosa fosse successo. Mi immersi in quel calore, per quanto dentro di me, sentissi tanto freddo.
Rimanemmo in ospedale per un altro po' prima di tornare a casa, in un viaggio di ritorno in completo silenzio. Salii lentamente le scale fino alla mia stanza, chiudendo la porta dietro di me. Mi avvicinai alla tastiera con un'improvvisa voglia di soffocare tutto ciò che provavo nella musica. Mi sedetti sullo sgabello e presi a suonare con una profonda tristezza le note date dal mio cuore. Tremavo dentro di me, la tristezza mi avvolgeva come se avesse sempre fatto parte di me. Eppure, mentre le mie dita si muovevano agilmente tra i tasti, mi sentii come se ci fosse davvero speranza; era come se la musica stesse tentando di farsi largo tra la tristezza che era non solo in me, ma anche in tutta la casa. E, solo alla fine, un lieve sorriso sfuggì dalle mie labbra.
 
He said, "Let's get out of this town.
Drive out of the city, away from the crowds."
I thought heaven can't help me now.
Nothing lasts forever, but this is gonna take me down
He's so tall and handsome as hell
He's so bad but he does it so well
I can see the end as it begins
My one condition is

Say you'll remember me
Standing in a nice dress,
Staring at the sunset, babe
Red lips and rosy cheeks
Say you'll see me again
Even if it's just in your
Wildest dreams, ah-ha oh,
Wildest dreams, ah-ha oh.

I said, "No one has to know what we do."
His hands are in my hair, his clothes are in my room
And his voice is a familiar sound,
Nothing lasts forever but this is getting good now
He's so tall and handsome as hell
He's so bad but he does it so well
And when we've had our very last kiss
My last request is

Say you'll remember me
Standing in a nice dress,
Staring at the sunset, babe
Red lips and rosy cheeks
Say you'll see me again
Even if it's just in your
Wildest dreams, ah-ha oh,
Wildest dreams, ah-ha oh.

You see me in hindsight
Tangled up with you all night
Burning it down
Someday when you leave me
I bet these memories
Follow you around

Say you'll remember me
Standing in a nice dress,
Staring at the sunset, babe
Red lips and rosy cheeks
Say you'll see me again
Even if it's just pretend

Say you'll remember me
Standing in a nice dress,
Staring at the sunset, babe
Red lips and rosy cheeks
Say you'll see me again
Even if it's just in your

Wildest dreams
 
 
 
Era una di quelle canzoni che mi ricordava l'autunno, i colori e quei tramonti meravigliosi che osservavo sempre dalla mia camera. Nella mia mente, la figura di Ivan comparve, e lo immaginai mentre mi stringeva forte a sè, mi annusava lievemente strusciando il naso sul mio collo, mentre mi baciava. Smisi di suonare di scatto, e aprii gli occhi di scatto. Mi alzai ed aprii la finestra per uscire nel balcone. Guardai il cielo scuro di quella sera di febbraio, le luci deboli dei lampioni illuminavano il quartiere. Chiusi nuovamente gli occhi e mi appoggiai alla ringhiera.
-Dimmi che non ti dimenticherai di me- mormorai
 
-Non ci credo!-
Era passata la settimana del concorso e quel lunedì ero entrata in classe molto timidamente ma, non appena vidi il sorriso di Aria, corsi ad abbracciarla. Sedute sopra ai nostri banchi, Aria mi raccontò del concorso, e mi informò di come, con la nostra esibizione con "Look back in Anger", vincemmo il secondo premio come miglior gruppo. Esultai ed abbracciai la
mia amica.
-è tutto merito vostro- dissi con un sorriso sincero -Grazie..-
-Merito nostro! Di tutte noi, piccola Mary- mi corresse, dandomi una dolce carezza.
-Però...senza di voi non sarei mai riuscita a cantare- mormorai, con lo sguardo puntato verso i suoi occhi. Aria emise un urletto tipico suo, ributtandosi tra le mie braccia. Poi, si sporse verso il suo zaino, ed estrasse una medaglia, che mi mise al collo.
-Ti voglio bene piccola Marina- mi disse, mentre me la metteva.
-Marina!- Elisa entrò in classe e si fiondò ad abbracciarmi come non aveva mai fatto, ed ero davvero felice e quasi lusingata di tutto quell'affetto, che mi sembrava irreale.
-Come stai?- mi chiese con sguardo serio.
-Insomma- tornai seria a quella domanda. Ero stata tutti i giorni in ospedale, ma non c'era nessuna novità. -Potrebbe aver perso la memoria e..ho paura- mormorai. Le mie amiche mi guardarono senza dire nulla, ma mi accarezzavano, tentando di farmi rilassare e stare bene. E, per quanto fosse impossibile, apprezzai molto ogni loro gesto e gentilezza nei miei confronti. Mi stavano vicine anche quando, all'uscita da scuola, incrociavo per sbaglio. Vederla mi metteva una gran rabbia e stringevo forte le nocche, fino a farle diventare bianche.
Passavo la maggior parte dei pomeriggi in ospedale, incontrando compagni di classe e di teatro di Ivan che, a quanto pare, mi conoscevano almeno per sentito dire. Alcuni mi sorridevano , altri mi lanciavano sguardi che facevo fatica a decifrare.
Ogni qual volta veniva Rosalba (troppo spesso per i miei gusti), per mia fortuna c'era Celeste a salvarmi, perché da sola con lei non avrei mai potuto farcela. Mi ritrovai per un mese e mezzo a studiare in ospedale, passavo lì ogni momento libero, nella speranza di poter rivedere quegli occhi grigi. Anche quel giorno ero lì insieme a Serena, entrambe sedute su due sgabelli accanto al letto. Tentavo di studiare storia della musica per il giorno dopo, e mentre lo facevo, mi mordevo un'unghia, nervosa.
-Vado a prendere il caffé- disse Serena, rompendo il silenzio tra noi. -Ne vuoi uno?- mi chiese alzandosi, ma io declinai l'offerta. Quando fu uscita, spostai nuovamente lo sguardo su Ivan.
-Ti prego Ivan- mormorai, stringendo con le mani tremanti la sua, tiepida e morbida.
-Svegliati...non puoi abbandonare tutto così. Non voglio, non posso sopportare di vederci ancora in questo stato. Anche se le cose tra noi tra noi due non si risolveranno...io voglio ancora sentire la tua voce, vedere i tuoi occhi.-
Portai la sua mano alla mia bocca, la strofinai sulla mia guancia con tenerezza e, l'unico pensiero che avevo in quel momento fu "Ti prego, torna da me". E poi, sentii un lieve movimento tra le mie mani: dita affusolate si mossero lentamente, rispondendo alle mie carezze ed accarezzandomi a loro volta. Aprii gli occhi di scatto, che avevo chiuso per riflesso, il cuore martellante nel petto che stava per esplodere. Lentamente, le sue palpebre si alzarono, mostrandomi i suoi occhi grigi, di cui sarei sempre stata innamorata. Di scatto, quasi inciampando, corsi fuori verso la macchinetta di caffè di quel piano.
-Serena!- urlai, ignorando gli sguardi trucidi delle persone nel corridoio.
-Si è svegliato!- esclamai, non appena si voltò verso di me. Mi guardò scioccata, gli occhi che brillavano, lucidi per le lacrime. Camminò in fretta verso la stanza del figlio mentre io andavo a chiamare il medico che si era preso cura di lui, che mi seguii velocemente, entrando nella maledetta stanza 327. Lui era ancora disteso, ma i suoi occhi erano colmi di paura e guazzavano ovunque, alla ricerca di risposte.
-Ivan!- esclamò Serena, mentre le lacrime continuavano ad uscire dai suoi occhi. Lui la guardò, lo sguardo un po' confuso.
-La mia testa!- gemette -Cos'è successo?-
-Hai avuto un incidente- disse Serena, avvicinandosi al letto -Ti ricordi come ti chiami e chi sono io?-
A quella domanda, trattenni il fiato. Ivan guardò Serena un po' perplesso.
-Ma che domande fai mamma! Sono Ivan Innocenti- fece lui, ma subito si chinò, tenendo la testa tra le mani.
-Dobbiamo visitarlo ed è meglio non sforzarlo. è meglio se uscite- disse il dottore, e noi annuimmo. Io non ero ancora riuscita a dire una parola. Ero così felice che si fosse finalmente svegliato e che la sua memoria- almeno apparentemente. fosse integra, che non riuscivo  a parlare. Uscii dalla stanza, ma gli rivolsi uno sguardo fugace. Il mio cuore perse un battito, quando i nostri occhi si incontrarono. E, velocemente, mi girai per piangere in libertà.
-Marina?- Serena mi accarezzò dolcemente la schiena. -Va tutto bene- mi disse mentre un'ennesima lacrima mi rigava il volto. Annuii, accennando un sorriso.
-Vado a prendermi un the- dissi, asciugandomi le lacrime. Mi alzai, stringendo il portamonete in mano, la testa bassa e le lacrime solitarie,che tentavano ancora di scendere dai miei occhi. Le asciugai con rabbia, e avanzai verso le macchinette, selezionando un the, con in mente l'idea che potesse farmi stare meglio. Quando mi voltai con il bicchierino in mano, incrociai lo sguardo di Daniele. Vedendomi con gli occhi rossi e gonfi, si avvicinò preoccupato.
-Si è svegliato Dani- gli comunicai, mentre nuova lacrime scorrevano sul mio volto.
-Oh mio Dio- Daniele mi abbracciò, appoggiando il capo sulla mia spalla.
-Come sta?- mi chiese, guardandomi serio.
-Sembrerebbe tutto bene ma...non saprei.
-Ehi!- Daniele mi diede una lieve carezza -Starà bene, andrà tutto bene!-
-Spero-
Tornammo verso la stanza di Ivan, mentre sorseggiavo il the lentamente.
-Ciao Daniele- Serena lo salutò con un cenno e un mezzo sorriso.
-Ciao Serena...come sta?-
-Lo stanno ancora visitando- rispose lei. Ci sedemmo entrambi in silenzio, per quelle che a me sembrarono ore. Quando, finalmente, la porta si aprì, scattammo tutti e tre in piedi, aspettando il verdetto. Il  dottore ci guardò e sorrise.
-è sano come un pesce! è stato davvero fortunato. Dovrà restare qui ancora per una settimana, è un po' confuso e un braccio si è rotto durante la caduta.- ci spiegò. Sentendo che stava bene, mi sentii incredibilmente più leggera.
-Andate pure a trovarlo, ma non sforzatelo, e state pochi minuti!- ci disse il dottore, con sguardo serio. E, mentre diceva questa frase, dentro di me c'era un groviglio di emozioni. Ero così felice che stesse bene, ma non riuscivo a parlarci, a guardarlo negli occhi come nulla fosse.
-Io...vado a casa- mormorai, e senza aspettare risposta, corsi via, verso la fermata del bus.
Non riuscii più ad andare a trovarlo in quella settimana. Non sapevo cosa dire, come comportarmi con lui. Passavo le giornate a sforzarmi di fare qualcosa, a concentrarmi  sulla scuola, per tornare a dare il meglio di me ed alzare la media dei miei volti. Ma la mia mente tornava sempre da lui. Era ancora una volta, una dura lotta con me stessa.
Dopo quella settimana passata in una sottospecie di limbo, arrivò il giorno della sua dimissione. Quel giorno decisi di venire anche io, ma rimasi in auto, mentre Serena entrò per l'ultima volta in quella stanza. Accennai un lieve sorriso quando entrò in auto, ma spostai subito lo sguardo per terra. Fu una fortuna che Celeste fosse in mezzo a noi due, perché non sarei riuscita a stare vicino a lui, senza toccarlo, abbracciarlo. Celeste abbracciò subito teneramente il fratello, che la accarezzò sorridendo. Fu lei che tenne vivo il viaggio, era sempre così allegra e riusciva a contagiarci, in qualche modo. Arrivammo a casa e scendemmo dall'auto, e io continuavo a dirmi che dovevo parlare con Ivan. Sapevo che dovevo farlo. Ma, non appena stavamo per entrare in casa, una voce chiamò Ivan, il quale si voltò, e vide una Rosalba in lacrime. Le sorrise e andò verso di lei, fuori dal cancello. Lei si buttò tra le sue braccia, singhiozzando, mentre lui le accarezzava lentamente la schiena, dicendole che era tutto apposto. Mi morsi un labbro nel vedere quella scena, e mi voltai, entrando in casa e salendo in camera mia, chiudendo velocemente la porta alle mie spalle. Mi buttai sul letto, gli occhi chiusi e un dolore al petto, il mio cuore sempre più in frantumi. Non ricordo quanto tempo passò, ma aprii gli occhi di scatto, quando sentii qualcuno bussare alla porta. Mi irrigidii quando vidi Ivan entrare in camera mia,e il mio cuore accelerò maggiormente i battiti, quando lo vidi sedersi sul bordo del mio letto.
Mi sedetti a mia volta, a gambe incrociate, ma lo sguardo fisso per terra.
-Mamma ha detto che sei tornata da Milano da sola, appena saputo dell'incidente-
Sussultai nel sentire la sua voce rivolgersi a me dopo così tanto tempo.
Annuii lentamente, lo sguardo ancora puntato a terra.
-Perché?- mi chiese lui.
Già, perché? Mi morsi un labbro.
-Come potevo stare lì, mentre tu eri stato investito?- chiesi con rabbia.
-Ed è sempre per questo che sei venuta a trovarmi tutti i giorni? Anche per molte ore?-
Il mio sguardo rimase fisso sul pavimento, non riuscivo a rispondere e nemmeno a guardarlo. Sentii le sue dita sollevarmi il mento, facendo pressione così da incatenare i nostri sguardi.
-Marina rispondimi!- mi ordinò lui.
-Cosa dovrei dirti Ivan?- sbraitai io -Tu pensi davvero che io ti abbia dimenticato così? Che abbia smesso di pensarti, di stare male per te?- ancora una volta, le lacrime cominciarono ad uscire dagli occhi, rigandomi le guance, senza che io potessi fare nulla.
-Non ti ho mai vista piangere- mormorò- Lentamente, mi asciugò le lacrime con le dita, ma le lacrime non volevano smetterla di uscire da miei occhi.
-Fa male cavolo! Fa male vederti sempre in compagnia di Rosalba, il vostro rapporto così bello e pieno di complicità. Vederla tra le tue braccia mi uccide!- urlai, singhiozzando.
Lui non disse nulla, ma continuò ad asciugarmi le lacrime e a starmi vicino, mentre, finalmente, potevo piangere liberamente, senza fingere di essere forte. Pensai a come, un tempo, ero stata capace di evitare le lacrime davanti agli altri. Da quando avevamo litigato, sentivo i miei occhi umidi troppo facilmente. Mi calmai lentamente, e presi un grande respiro.
-Ivan, io non so più cosa siamo. Se vuoi lasciarmi ufficialmente...fallo. Non ha più senso se...non mi ami più-
Ivan mi guardò serio.
-Davvero Marina credi alla cazzata che hai appena detto?-
Lo guardai, stupita dalle sue parole, e molto confusa.
-Spiegami come faccio a non pensarti più, a smettere di volerti, perché se c'è un modo, devi dirmelo! Non ho mai smesso per un singolo istante di amarti, stupida!-
Quelle parole urlate con rabbia entrarono in me, facendomi mancare un battito.
-Ivan...-
-Sai perché ero sempre da Rosalba? Perché mi stava insegnano a suonare il pianoforte, per poter cantare insieme a te!-
Di colpo, mi ricordai di quando avevo espresso il desiderio che lui cominciasse a suonare. Lui aveva fatto tutto per me. E io,a causa della mia insicurezza, ero stata diffidente e cieca, Rosalba aveva ragione: io non capivo.
-Lo hai fatto davvero per me?- sussurrai.
-Certo! Lo vuoi capire che io voglio solo te? Che con Rosalba non ho mai provato quello che provo con te? Sei sempre tu nella mia testa, io non posso più stare senza di te!- esclamò, mentre la sua mano prendeva la mia, e i nostri occhi si incontrarono, ritrovando quella profonda armonia, che da mesi mancava.
-Baciami allora- sussurrai.
Vidi come il suo viso si rilassò di colpo, metabolizzando ciò che avevo appena esclamato. Lentamente sorrise sornione, i suoi occhi si chiudere e si avvicinò lentamente a me. Sentii il suo fiato sulle mie labbra, le nostra mani erano strette in una salda presa e, finalmente, dopo incomprensioni, mesi freddi pieni di lacrime, tutto tornò come doveva essere. Non appena sentii le sue labbra sulle mie, subito il contatto mi fece fremere. Mi erano mancate da morire. Era come se non avessi davvero respirato in quei mesi. Subito presi a morderle, a succhiarle avidamente, e quando la sua lingua mi sfiorò le labbra, gli permisi di entrare e sfiorare la mia, per accarezzarsi, sentirsi. Ci staccammo ansanti, ma subito cercammo un nuovo contatto, più voraci che mai. Cercò di stendermi, ma il gesso gli impediva di reggersi bene sopra di me. Sorrisi maliziosa.
-Starò io sopra questa volta-
Lui rise, la sua meravigliosa risata che non sentivo da mesi. Si distese e potei mettermi a cavalcioni su di lui, per baciarlo, morderlo come non facevo da mesi.
-Ti amo- gli mormorai contro le sua labbra.
-Anche io scema...e scusami-
Scossi la testa -Scusami tu-
Ivan mi accarezzò il volto, e passò le dita tra i miei capelli.
-Ho bisogno di te Marina. Sei tutto ciò di cui ho bisogno.-
Lo strinsi forte a me. Quanto mi era mancato il suo profumo, il suo calore, il suo fiato sul mio collo.
-Vale lo stesso per me. Sono stati mesi duri perché tu non eri al mio fianco.-
-Non accadrà più- mi promise guardandomi negli occhi. Mi diede un bacio sulla fronte, e io socchiusi gli occhi, mentre in me dilagava una felicità che mi mancava da mesi. Sentire le sue mani accarezzarmi, vedere i suoi sorrisi tutti per me, baciarlo lentamente...mi fece capire quando avessi bisogno di lui per far filare tutti liscio.
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Ho aggiornato in ritardo, ma spero che questo capitolo valga l'attesa! è anche abbastanza lunghetto rispetto al solito (mi pare, almeno) Siamo a -4 capitoli dalla fine!! Che tristezza!
Un bacio
Lena
 
   
 
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