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Autore: queenjane    18/03/2017    2 recensioni
Alessio Romanov, erede al trono di Russia, vive alla Stavka, ovvero il quartier generale delle truppe con suo padre, lo Zar. E' il 1915, ha 11 anni, soffre di emofilia, ogni urto può essere fatale ma è curioso, avido di vita. Nonostante o forse per la prima guerra mondiale. Un suo incontro, un suo inopinato amico, il principe Andres Fuentes dal misterioso passato, più grande di lui, che racconterà storie, avventure e molto altro. Collegato a The Phoenix. Buona lettura. Dal capitolo 9;" In quella notte del luglio 1918, mentre il buio lo sommergeva, Alessio si trovò d’un tratto sopra un baio, a cavalcare il vento, come un antico guerriero, in una valle piena di luci e suoni e profumi, il vento portava il rombo delle onde, diede di sprone e il suo ultimo sospiro fu lieve come il mare quando muore a riva. ."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Era una parentesi, per ragioni inespresse Andres sapeva che lo Zar si fidava di Catherine e, per l’effetto di lui, affidando quanto aveva di più caro al mondo, ovvero il suo erede.
Lui e la ragazza avevano preso il  il ruolo ufficioso di “guardiani” dello zarevic, facendo spedizioni in ogni dove al Quartier Generale e nelle campagne circostanti.
Se doveva regnare, bene che vedesse come era la vita fuori dalle cancellate dorate della Corte, lo Zar ne aveva convenuto e il ragazzino risplendeva. Dopo, quando il suo mondo era ridotto a una stanza e a un letto, con finestre sbarrate poteva ricorrere alla memoria e sognare di essere altrove, sollevandosi dal  dolore e dalla noia .
D’altronde, aveva promesso di obbedire in tutto e per tutto, almeno a Catherine, (notiamo la diplomazia e la scappatoia, rideva Andres tra sè), di non fare capricci, non contestare, che se gli succedeva qualcosa lui, Fuentes finiva impiccato o fucilato, Catherine in convento, o viceversa.  
Non che ci contasse molto, sulla cieca obbedienza, salvo ricredersi, era cresciuto e maturato, gli veniva chiesto di dare retta e, se fuori, di non scappare, avvisare quando era stanco.
Agili e snelli, i narcisi svettavano fieri sui prati, araldi della primavera e lui non era da meno.
Segreto più, segreto meno, perché no?
Una manciata di occasioni, che si perdevano nelle trame del tempo, tesori perduti.
Immagini, frammenti, ricordi.
I treni lo affascinavano, non si stancava di chiedere il funzionamento e osservava binari e traversine e bulloni, domandando agli addetti ai lavori questo e quello.
La concentrazione con cui osservava un filo d’erba, una lumaca,  passando alle margherite.
 
Sia lui che Catherine cercavano di trattarlo come un ragazzino normale, ma era dura non cedere all’ansia, rammentava anche troppo bene la crisi di emofilia a cui aveva assistito nel dicembre precedente.
“Lui sarà il vostro erede, il vostro successore. Il più tardi possibile, mi auguro” Semplici, potenti, parole rivolte allo Zar. “Dovrà sapere sparare e cavalcare, per il suo stesso bene, e sapere come è il mondo fuori dalla Reggia Imperiale”In modo da non apparire debole, fragile.
 Bastava pensare all’anno 1914, nel mese di agosto, quando la Russia aveva dichiarato guerra, che, per una storta alla caviglia, non si reggeva in piedi, un cosacco della guardia lo aveva accompagnato in braccio alla chiesa di Mosca, per il tradizionale giuramento degli zar in caso di guerra. L’impressione era stata di pena e compatimento, era una fragile creatura, frutto dei lombi di una iettatrice, giunta al trono al seguito di una bara, che la zarina Alessandra, sua  madre si era sposata a pochi giorni di distanza della morte del suocero, l’avevano appellata la sposa in lutto.
 
Lo zarevic tirò una manciata di sassi, colpendo esatto una pigna che cadde.
Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato,  non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe giocato e si sarebbe goduto in pieno la vita.
A proposito di cavalli, aveva sfiancato sia lui che Catherine per poter fare un giro. Infatti, a settembre 1915 la ragazza aveva avuto l’idea geniale o idiota, a seconda dei punti di vista, di farlo montare in sella su un cavallo, andando al passo, e aveva avuto la fortuna che non gli fosse venuta una emorragia.
Ma se doveva imparare meglio ora che poi, se succedeva qualcosa a suo padre avrebbe regnato LUI, e non sarebbe stato il suo bene essere fragile e malato, si ritornava a quel punto.
E trattarlo come un bambino normale era una ben dura prova.
Ci pensò, mentre si buttavano nel fiume Dpener, per una nuotata.
L’angolo era tranquillo, con scarse correnti, faceva caldo e Andres aveva fatto lo stesso con i suoi fratelli.
Si tolse giubba e camicia, Alessio lo imitò, si tuffò e rise, schizzandolo d’acqua.
“Sai nuotare?”
“Un poco. Insegnami”
Passarono un pomeriggio tra scherzi e risate, Alessio rideva apprendendo i  vari stili, sbuffando quando Andres lo portava fuori, che aveva le mani raggrinzite per freddo e stanchezza, ma era come Andres.. Come un bambino normale, quindi non protestava.
“ E questo medaglione?”
“Cosa..”
“Che c’è.. “Pigro.
“Una foto di Isabel”Una ciocca di scuri e morbidi  capelli tra le valve, quelli di Isabel erano stati dorati come un campo di grano della Castiglia.
“L’ho sposata a 16 anni, ero solo un ragazzo, lei il mio primo amore, sai, era bellissima e la sua risata era dolce come musica. Era una amica di mia sorella Marianna.”
Alessio tacque, intuiva il suo dolore.
“Era bella”
“Era una persona buona”
Il passato, inesorabile, tornava, ma non poteva dirlo a quel bambino attento, a lui non sarebbe servito, per Andres era una tortura, i suoi occhi diventarono freddi come verde giada, due braci in una forgia.
Se avesse potuto gli avrebbe detto che Enrique, il primogenito, il suo cosiddetto fratello maggiore, era sempre stato uno scavezzacollo. La sua sola morale il piacere, il suo volere un dogma, andava a puttane e voleva l’amore, che constrasto. Lui, il primo, molestava le figlie dei contadini, dava il meglio di sé alle feste del paese. Al diavolo fossero o meno consenzienti, si ubriacava e attaccava scaramucce, millantava che un Fuentes doveva fare quello, giocava d’azzardo e perdeva, faceva finta di fare il servizio nell’esercito a Madrid e invece ..Era entrato in brutti giri.”
NO.
I Fuentes proteggono la loro gente, sono come i Pirenei, accoglienti, indelebili.
Era il mese di aprile 1901 quando Enrique giunse a casa, raccontò di avere contratto debiti di gioco che non poteva ripagare, che quella gente era pericolosa. Il loro  padre non volle sentire ragioni, suo il debito, suo il disonore, lo aveva avvisato, e lui aveva continuato, certo che lo avrebbe protetto. Aveva ragione ad avere timore, quei soggetti vennero a riscuotere il loro e passarono alle vie di fatto, appurato che nulla avrebbero avuto, venne incendiata una parte del castello. A scopo dimostrativo.  Il tempo era caldo e secco, per comune sfortuna, le fiamme si propagarono e Andres  accorse.
Lo avrebbe narrato in guisa di cronaca, coma a Catherine, come una notizia su un giornale, per stile e disperazione.
Aveva messo in salvo molte persone, le fiamme domate, pensava che Isabel fosse al sicuro, invece aveva inalato molto fumo, nelle sue condizioni un  dramma, che era incinta di più di sei mesi, quasi sette, ma lei era così. Buona, generosa. Suo padre era ed è il principe Fuentes, quella era la sua gente, cercò di non farli ardere vivi e..
"HO PENSATO A TUTTI TRANNE CHE A MIA MOGLIE, INCINTA” Una lacrima avrebbe danzato nei suoi occhi, da scostare con fastidio”Un parto in anticipo, ma a rischio, scelse di dare una possibilità al bambino. Era un maschio. Vi fu un inchiesta, un esame autoptico, il medico aveva avuto ragione, se salvava Isabel, il bambino era andato, viceversa  era morta lei, che era già messa male. E mia moglie scelse nostro figlio. XAVIER. XAVIER FUENTES. Nato e morto nel giro di una settimana, mio figlio.”
Le mani, posate sulla scura ciocca di capelli, tagliata a suo figlio prima della sepoltura. “Minuscolo e perfetto,  il mio piccolino. XAVIER FUENTES, come mio Padre, che ora riposa accanto a Isabel e mia madre, da allora fino alla fine del mondo.  E fosse nato anche solo di due settimane in più, avrebbe avuto la possibilità di salvarsi, lottò per una settimana, ma era troppo presto, era un Fuentes, un principe combattente che voleva vivere. Ed Enrique era sopravvissuto, millantava che era solo una tragedia. E l’ho odiato per non odiare me stesso, quando venni via gli avevo rotto un braccio e fatto saltare i denti, chiedeva il mio perdono.  Come no, io, cadetto, avevo protetto la mia gente, non protessi l’erede dalla mia furia, tacendo che avevo perduto mia moglie e mio figlio per .. Me ne sono andato per il mondo per non uccidere, Enrique e me stesso, quei due li trovai poi. E la Spagna è  di sicuro un posto migliore senza di loro.  “ Quello gli avrebbe detto ma la vita a Mogilev, da un lato, era stata un male per Alessio, le impressioni erano troppe e troppo eccitanti per come era delicato, era diventato troppo nervoso e frettoloso, la notte dormiva poco, non poteva raccontaglielo, sarebbe servito solo a rattristarlo .
“Andres” lo chiamò così, alla spagnola.
“Sì?”
“Stai bene?”
“Ora sì, tu?”
Un cenno vigoroso.
Avrebbero inventato qualcosa per i cavalli, ma quella sera Andres se lo issò sulle spalle, da quella altezza poteva dominare il mondo e gli chiese se era possibile afferrare la luna che era appena sorta e i suoi raggi.
Se Xavier fosse vissuto avrebbe potuto essere suo amico.
 
I padri che sopravvivono ai figli sono solo raggi di luna.
 
E Alessio quella sera si sentiva in cima al mondo, come un bambino normale, misurava la luna tra le mani e se la metteva in tasca.
 
   
 
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