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Autore: KamiKumi    19/03/2017    4 recensioni
Emily Mayton è una giovane ragazza in carriera:
Eccelle nel suo lavoro dei sogni.
La sua migliore amica è una pazza scatenata su cui si può sempre fare affidamento.
Il suo fidanzato da cinque anni è perfetto in tutto.. fuorchè tra le lenzuola.
Tuttavia la sua vita cambia radicalmente all'incontro col focoso Duke Worten. Un'attrazione magnetica che si trascinerà fin nel suo ufficio.
Un triangolo d'amore e negazione.
Ogni certezza svanisce quando inizia la passione.
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ed ecco a voi la storia di come mi sono ritrovata qui, su questa poltrona, in questo salotto pieno di lattine di birra vuote, con puzza di stantio e cadavere nell'aria; lo stesso odore di cadavere che potrebbe provenire da me che mi sono atrofizzata in posizione fetale avvolta in questa coperta di flanella da giorni interi, nonostante, sono piuttosto certa, fuori ci siano piú di venti gradi. Non saprei, onestamente non esco da qui da un po’. Resto seduta a guardare questa presentatrice, ed il suo seno rifatto, sorridere smagliante alle telecamere, a staccare le linguette dalle lattine di birra contandone le lettere ed infine piangermi addosso quando tra le dita mi rimane la lettera D.

È questa la mia storia, è cosí che sono arrivata a perdere ogni cosa: l'amicizia con Brenda, con cui non ho piú parlato dopo la nostra litigata; la parola di Kyle, che mi salutava a stento l'ultima volta che sono stata in ufficio; perderó il lavoro probabilmente se continuo a non presentarmi; ho perso il mio ragazzo, per averlo tradito ed avergli spezzato il cuore dopo aver appreso che il sesso è una componente fondamentale per un rapporto sano dopo aver incontrato Duke. E poi Duke. Ho perso anche lui.

 

Dopo quella notte, quella meravigliosa notte, me ne sono andata in preda ai rimorsi di coscienza e ferita, con la convinzione di essere stata solo una ragazza di passaggio. Me ne sono andata di nuovo quando il giorno dopo, nel suo ufficio, ha confessato di essere innamorato di me e l'ultima cosa che ho visto di lui sono stati gli occhi cupi sotto le sopracciglia curve in un'espressione ferita. Ho letto il dolore nelle sue iridi azzurre e comunque me ne sono andata.

 

Perchè l'ho fatto? Per cercare di salvare un rapporto affondato ormai da anni. Per spezzare il cuore a colui che mi conosceva meglio di chiunque altro e che, per il rimorso, non riuscivo nemmeno a guardare in faccia.

Mi sono comportata da stupida egoista, ne sono consapevole. È per questo motivo che sono qui, e mentre mi crogiolo nella mia stessa autocommiserazione mi addormento, ubriaca di birra scadente nello squallore e nel caos che è diventata la mia vita.


 

Mi risveglio quando la mia colonna vertebrale non riesce piú a tollerare di rimanere in quella posizione. Mi fanno male le ossa, ho la bocca impastata e mi bruciano gli occhi. Avrei davvero bisogno di una doccia calda, ma il solo pensiero di spostarmi di qui per un motivo diverso dall'andare a prendere altro alcol dal frigo mi causa uno sforzo immenso. 

Oltretutto sarebbe uno sforzo che non dovrei nemmeno compiere, perchè ho prosciugato ogni risorsa alcolica presente in questo appartamento e l'ho fatto proprio da qui, portando la cassa di birra ai piedi della poltrona all’inizio della settimana, prima di stabilirmici e metterci radici.

Prendo l'ultima rimasta e la apro accendendo la tv col telecomando, per dedicarmi all'unica attivitá che sono disposta a svolgere: l'attenta visione dei programmi spazzatura.

Con mia sorpresa, però sullo schermo vedo comparire J.D. ed Elliot Reid discutere davanti ad un tavolino. Ricordo l’episodio, l’ho visto infinite volte: parlano della propria relazione, di come per codardia continuino a rifiutare il fatto che si amano e dovrebbero stare insieme. Tra i bla bla bla delle parole pronunciate e ripetute cosí tante volte, entrambi hanno paura di rimanere feriti preferendo rinunciare in partenza, piuttosto che fallire l'ennesimo tentativo. 

 

Ripenso alla mia, di codardia. A come, per paura di far soffrire Nate abbia rimandato l'inevitabile facendolo poi stare peggio di quanto meritasse. 

Penso a Duke che invece ha avuto il coraggio di sbattermi in faccia ciò che prova, che mi ama. 

E poi penso a me, che me ne sono stupidamente andata per paura e quando poi ho fatto la cosa giusta ho inevitabilmente fatto un enorme casino degno di me.

 

Ora sono qui a piangere su me stessa, leccando le mie ferite, con la paura di rialzarmi ed andare da Duke e dirgli che, maledizione anche io lo amo! Lo amo piú di quanto avrei pensato di essere capace di amare. Eppure resto qui, a temere il suo rifiuto dopo avergli voltato le spalle con Gotta go on my way in sottofondo. Si, esatto, altro che Let her go, No promises o qualsiasi altra cazzata depressa. Non c'è canzone piú triste del duetto di Troy e Gabriella in High school musical 2, quando lei lo lascia perché non è più il Troy di cui si è innamorata. È stato straziante allo stesso modo andarsene via.

Osservo inerme le immagini scorrere sullo schermo, ed è cosí fino a quando la voce tuonante del Dr. Kelso si fa spazio nella mia mente richiamando la mia attenzione, insieme a quella dei due protagonisti della scena.

Dice: Guardate nei vostri cuori e fate ciò che vi rende felici.

 

E lascio che le parole del buon vecchio Ken Jenkins mi facciano riflettere. Dovrei guardare nel mio cuore quindi? 

No, non ne ho bisogno, so giá cosa troverei, o chi troverei: Duke sarebbe li ad analizzarmi col suo profondo sguardo attento, col suo sorrisetto sulle labbra. Sarebbe a braccia conserte, in piedi a gambe divaricate e schiena dritta. Sarebbe li e mi saluterebbe con un'occhiolino, proprio come ha fatto ogni giorno in queste ultime settimane. 

Mi rifiuto di farlo e limito il mio sguardo alla panoramica del mio salotto (che ora come ora darebbe l'impressione che un barbone alcolizzato un po' semi-morto ci abbia messo radici), perchè se guardassi dentro di me i suoi occhi sarebbero li ad aspettarmi, tristi e rabbiosi ed io non riuscirei a sopportarne l'intensità. 

Eppure di cosa ho paura? Di sentirmi rifiutata perchè ho impiegato troppo tempo a capire che è lui l'uomo con cui sarei dovuta stare? Alzarmi ed agire sarebbe davvero peggio che rimanere qui ad ammuffire su me stessa? 

Probabilmente dovrei raccogliere il mio coraggio e seguire il consiglio del Dr. Kelso.

E allora sapete cosa faccio?

 

Abbasso lo sguardo sulla lattina di birra che tengo tra le mani, me la rigiro un po' tra le dita ed infine, dopo un'attenta analisi, come se mi fossi risvegliata, tutto d'un tratto la scaglio con forza sul pavimento. Vedo l'alluminio schiantarsi contro il parquet, accartocciandosi in un tonfo sordo e probabilmente lasciando un gran bel segno sul legno. Il liquido esplode in grandi schizzi macchiando i mobili, infine si espande velocemente per il mio salotto.

Con buone probabilitá la mia è stata una mossa stupida, che dite? Avrei potuto semplicemente appoggiarla sul tavolino, magari con un po' di forza per ribadire e segnare la decisione appena presa: reagiró, mi alzeró, uscirò da qui e lo cercherò.

Ma prima è il caso che ripulisca il casino che ho combinato in questa settimana di ozio, disagio e alcolismo.

Metto in pausa l'episodio di Scrubs trasmesso in televisione e proprio in quell'istante dalla porta giungono dei forti e sordi colpi, seguiti dalle urla di una voce a me familiare.
 

«Emily! Emily apri questa cazzo di porta, subito!» Le urla di Brenda sono una ventata d'aria fresca. 

Vado all'ingresso e prendo le chiavi per aprire la porta, scoprendo poi che in realtá è sempre stata aperta. Per una settimana. Ok, beh, per fortuna sono incolume e nessun ladro mi ha derubata e nessun serial killer uccisa.

Quando me la ritrovo davanti i suoi grandi occhi castani sono lucidi e preoccupati. Mi salta addosso e mi stringe forte, tanto da togliermi il fiato. Ricambio all’abbraccio immergendo la faccia tra i suoi capelli. Mi è mancata così tanto, arriva proprio al momento giusto: è un’altra delle persone a cui devo chiedere perdono per il casino che ho combinato e che sono diventata.

«Emily, ero così fottutamente preoccupata per te!» Mi urla praticamente in faccia una volta sciolta la sua presa, però continua a tenere le mani ben salde sulle mie spalle esaminandomi attentamente. Non ho ancora avuto occasione di guardarmi allo specchio, ma posso immaginare in che condizioni mi ritrovo a giudicare dall’apprensione che traspare dal suo sguardo. Seriamente ragazzi, ma cosa stavo facendo della mia vita? 

«Perché il tuo telefono era spento? Ti ho chiamata un milione di volte oggi!» Sembra sull’orlo di una crisi isterica mentre mi trascina dentro casa, e solo ora ho l’occasione di notare la presenza di un’altra persona venuta qui insieme alla mia migliore amica. «All’inizio non volevo stare ad ascoltarlo, ma quando alla fine Kyle mi ha urlato in faccia che non ti facevi vedere al lavoro da una settimana mi sono preoccupata! In più la stupida voce della tua segreteria telefonica mi stava mandando fuori di testa!» Parla così velocemente che quasi non riesco a seguire il discorso ed assimilare il significato delle sue parole, riesco però a voltarmi verso Kyle e sorridergli, ringraziandolo commossa. Ho rischiato di mandare all’aria il suo rapporto con Brenda, ben sapendo quanto lei sia restia dal fidarsi di qualcuno. Eppure si è preoccupato per me, le ha parlato di me e l’ha portata da me. Ora a mia migliore amica è qui, mi sta di fronte nonostante le crudeltà dettele, nonostante il mio non saper tenere la bocca chiusa. È qui per me e mi è mancata dannatamente tanto. Ha fatto irruzione in casa mia dopo il mio periodo di isolamento con la stessa preoccupazione di una sorella maggiore. 

Interrompo la sua parlantina incessante, perché devo dirglielo: «Scusa, Brenda.» Comincio seria «Mi dispiace per ciò che ti ho detto. Non avrei dovuto, avrei dovuto aspettare che mi parlassi tu, rispettando i tuoi tempi.» Mi volto verso il mio collega, e amico, Kyle «E scusami anche tu. Non mi sarei dovuta lasciare sfuggire la tua rivelazione.» Ora mi rivolgo a entrambi mentre intreccio le dita delle mani l’una all’altra in maniera nervosa «Ho combinato un casino. Brenda, avevi ragione su di me. Ero così accecata dalla paura di andare avanti da non riuscire a capire che tutto intorno a me stesse cambiando, io stessa compresa, solo che non ero in grado di ammetterlo.»

Prima che possa riattaccare a parlare è Brenda a farlo «Emy, abbiamo sbagliato entrambe. Abbiamo fatto una scenata degne di due bambine, ma ciò che ci siamo dette era assolutamente vero. Tant’è che…» fa qualche passo verso Kyle per raggiungerlo ed afferrarne la sua mano per stringerla tra le proprie. Lui le sorride felice, lei ricambia timida, prima di tornare a rivolgersi a me. «Mi hai aperto gli occhi. Tutto ciò che mi hai detto era giustissimo e, anche se ci ho messo un paio di giorni, ho capito che dovevo dare a Kyle una possibilità.» Mi sorride ed io sono felice sapendo che finalmente si sia decisa a provare a fidarsi di nuovo di qualcuno. 

Tuttavia se non fossi stato tanto cocciuta e codarda ora anche io lo sarei.

Non avrei fatto soffrire tanto Nate, avrei confessato i miei sentimenti a Duke e non mi sarei ritirata nel mio antro di solitudine ed alcolismo, in cui sto per ricadere. Mi prendo il labbro tra i denti per non ricominciare a piangere e tornare nel circolo vizioso degli ultimi giorni, ma sto vacillando e Brenda se ne accorge.

«Ma cosa ti è successo, Emy?» Mi domanda avvicinandosi a me ed inoltrandosi nel salotto per andare alla finestra, aprire le tende, sollevare le tapparelle ed aprirla in modo da far circolare l’aria e l’odore di cadavere. Mi sembrava strano che non l’avesse notato nessuno… mi stupisco che non siate scappati voi stessi! «Questo posto è un disastro, te compresa! E dov’è Nate?»

 

A sentire pronunciare quel nome sussulto ed inspiro forte, perché so di doverle delle spiegazioni. «Se n’è andato.» Rispondo, causando così il più totale sgomento sui volti dei miei due amici.

«In che senso?» Chiede incerta Brenda, anche se probabilmente ha capito ciò che intendo.

«Ci siamo lasciati.» Nella stanza cade il silenzio, interrotto ora solamente dai rumori del traffico provenienti dall’esterno.

«Mi dispiace, Emy-»

 

«No, non dirlo. Era giusto così, avrei dovuto farlo tempo fa.» Rispondo decisa, perché so che è vero. «Ora però devo andare da Duke, ho bisogno di parlare con lui. Subito. Ti spiegherò tutto andando da lui. Ho bisogno che mi diate uno strappo.» 

Si, devo andarci subito. Vedere i miei due più cari amici finalmente insieme mi ha fatto capire che devo smettere di sprecare tempo. Devo prendere in mano le redini della mia vita e dominarla; per questo devo dirgli che lo amo. Ma mentre sto cercando la mia borsa e mi sto infilando frettolosamente le scarpe, così da poter partire immediatamente Brenda mi blocca.

 

Annuisce «Ok, ma prima è il caso che ti rimetta in sesto. Odori di alcol e morte, sorella.» Mi sfotte senza nemmeno provare a contenersi, ma effettivamente ha ragione.

«Perché non vai a farti una doccia mentre noi ripuliamo un po’ questo caos?» Suggerisce Kyle. Un uomo coi fiocchi, l’ho sempre saputo.

Accetto subito l’offerta, al contrario di Brenda che protesta prima di lasciarsi convincere dal suo ragazzo con dei languidi baci. Distolgo lo sguardo con una fitta di invidia nel petto ed entro in doccia.

Ho una missione da compiere e devo darmi una mossa.


 

Mezz’ora dopo mi sento una persona nuova. È come se semplicemente lavandomi e riordinando l’appartamento avessi sistemato già una buona parte di ciò che è ora la mia vita: i pezzi del puzzle si stanno ricomponendo e ne manca solo uno affichè tutto combaci e sia perfetto ed ho intenzione di andare a prendermelo, senza tornare finchè l’avrò ottenuto. Aspettandomi, la nuova coppia ha approfittato della mia televisione facendo ricominciare l’episodio che stavo guardando prima del loro arrivo. Si conclude nel momento in cui usciamo di casa mostrando la scena in cui i due protagonisti si prendono per mano, guadagnandosi il lieto fine che meritano.




 

Durante il tragitto in auto aggiorno Brenda sugli avvenimenti tra una stillata e l’altra d’incitamento a Kyle per fargli premere con più forza sull’acceleratore e andare più veloce. Sono troppo impaziente, non posso aspettare un secondo di più. Devo vederlo subito.

La mia amica intanto ascolta la storia fino alla fine e, mentre Kyle resta in silenzio e si astiene dall’esprimere il proprio giudizio, Brenda non si trattiene affatto e non manca di rimproverarmi per il modo in cui ho gestito la situazione e per non averle dato ascolto, di sostenermi ripetendomi che Duke non mi rifiuterà e infine strillare quanto sia felice per me, per essere andata avanti e cambiato la mia vita senza lasciarmi trasportare dagli avvenimenti.

Avrei dovuto chiamarla prima, sono stata stupidamente orgogliosa. Diciamo che avrei anche dovuto accendere il telefono e magari avvisare l’ufficio che sarei stata a casa per un po’ di tempo, piuttosto che svanire semplicemente nel nulla. Vi chiedete il perché? Beh, perché quando l’ho finalmente riacceso avevo così tanti messaggi in segreteria, così tanti messaggi ed e-mail che il poveretto si è dovuto riavviare da solo per l’eccessivo carico di attività in contemporanea.

 

Quando finalmente arriviamo sotto al suo condominio non aspetto nemmeno che Kyle spenga il motore ed inserisca il freno a mano: apro la portiera e balzo giù dal mio sedile correndo verso le scale condominiali che hanno il portone stranamente spalancato.

Salgo i gradini di corsa, grazie al fatto che ho deciso di indossare un paio di scarpe senza il tacco. I jeans che indosso non mi calzano più in maniera perfetta, bevendo solamente e nutrendomi praticamente di aria ho perso tre chili, per cui volendo potrei persino fare una ruota e un triplo salto mortale grazie alla scattante agilità che mi permettono di avere. 

Sono finalmente davanti alla sua porta mentre sento i miei due amici inveire contro di me e pregarmi di aspettarli correndo per raggiungermi. Ma non sento le loro voci, perché il battito del mio cuore è l’unico suono che le mie orecchie riescano a percepire. Sono troppo emozionata: lui è dietro a questa porta. Devo vederlo. 

Inspiro profondamente, poi espiro. Mi passo le dita tra i capelli per sistemarli, stiro coi palmi delle mani delle pieghe immaginarie sulla maglietta perfettamente stirata e nel frattempo Kyle e Brenda mi hanno raggiunta.

«Allora?» Mi incita lei «Si può sapere cosa stai aspettando!?»

«Taci!» La rimprovero, dopodichè prendo un ultimo profondo respiro.

Ci siamo.

Alzo il braccio e con le nocche busso tre volte sulla porta dell’appartamento silenzioso di Duke.

Tutti e tre tratteniamo il respiro rimanendo in attesa.
 

Conto i secondi che passano: uno, due, tre, quattro… Dodici, tredici, quattordici… Ventidue, ventitrè, ventiquattro. Ok, che succede? 

Busso di nuovo, con più forza questa volta, ed oso chiamare il suo nome.

«Duke! Duke, sono io: Emily! Devo parlarti!»

Nessuna risposta. Continuo a bussare, ogni volta con più insistenza mentre i miei accompagnatori si scambiano un’occhiata preoccupata.

«Magari è sotto la doccia.» Ipotizza Kyle, ma il suo tono di voce lascia intendere che nemmeno lui ci crede.

«Duke! Apri questa  dannata porta!» Urlo ormai fuori di testa, trattenendo a stento le  lacrime.

«Magari è uscito. Non si potrebbe provare a chiedere ai vicini di casa?» Questa volta è Brenda a parlare e, quando mi giro a guardarla, la trovo ad indicare col pollice la porta degli anziani signori che abitano proprio accanto a lui e con cui Duke è in buoni rapporti, stando a quanto mi ha raccontato.

 

Non ci penso di volte e passo a tormentare la loro porta. Resto in attesa con impazienza e poi, finalmente, una minuta anziana signora compare di fronte a me.

«Salve signorina, cosa posso fare per lei?» Mi domanda con voce circospetta, probabilmente perché è la prima volta che mi vede e pochi istanti fa strillavo sul pianerottolo del suo vicino di casa. Non mi lascio scoraggiare e mi sbrigo a rispondere tendendole la mia mano.

«Sono Emily Mayton.» L’afferra e la stringe.

«Io sono la Signora Patterson.» 

«Molto piacere, Signora Patterson.» Deglutisco tesa prima di continuare a parlare e porle la domanda che mi ha portata a bussare alla sua porta. «Sto cercando Duke, il suo vicino di casa. Sa per caso dove potrei trovarlo? Ho bisogno di parlargli con urgenza.»

Immediatamente lo sguardo della signora si addolcisce e allo stesso tempo si rattrista allarmandomi. «Oh, il caro Duke…» La sua voce si abbassa e insieme anche la sua guardia, ora sembra più disposta ad aiutarmi. In realtà la sua reazione non mi rassicura per niente; mi ritrovo ad essere più tesa di una corda di violino. «Il povero ragazzo è dovuto partire per l’Italia. Purtroppo c’è stato un lutto nella sua famiglia ed è proprio dovuto andare. Mi ha lasciato la sua gatta da accudire fino al suo ritorno. Povero ragazzo…»

Quando finisce di parlare io non posso rispondere, perché sono paralizzata dalla notizia. In Italia? Un lutto? Di chi si tratta? Tra quanto tornerà? Era legato a questa persona? Un milione di domande mi passano per la mente, la paranoia si fa strada nelle mie vene circolando per tutto il corpo, facendomi rabbrividire, impedendomi di esprimere una frase di senso compiuto.

Alla fine è Brenda a farsi avanti al posto mio «Sa per caso quando tornerà?»

«Oh, è partito cinque giorni fa, ma non ho alcuna idea di quando farà ritorno. Il povero ragazzo era a pezzi già di per se, non è stata affatto una buona notizia per lui.»

Quelle parole mi danno il colpo di grazia facendomi salire un groppo in gola “È colpa mia.”

Segue un attimo di silenzio imbarazzato, in cui nessuno ha bene idea di cosa dire, fino al momento in cui il suono di un campanellino trilla nell’aria. Pochi istanti dopo ecco che Josie fa capolino da dietro le gambette della Signora Patterson. Vedere il suo musetto fa sorgere sul mio viso un sorriso spontaneo. 

La signora cerca di farla rientrare in casa, per paura che possa scappare, ma la fermo «La prego, posso solo accarezzarla?»

«Non è una gatta che si lascia facilmente avvicinare.» Mi avvisa «Non vorrei la graffiasse, stia attenta.» Mi spiega premurosa l’anziana, ma io mi sto già inginocchiando per posare le dita sul suo candido e morbido pelo bianco.

«Ciao, Josie.» La saluto «Dov’è sparito il tuo padrone?» Sospiro sconsolata continuando ad accarezzarla col cuore infranto e le speranze al vento.

La gatta miagola in risposta, come se volesse dirmi qualcosa, mentre si struscia di più contro la mia mano, avida di contatto.

Sorrido amareggiata prima di rimettermi in piedi, salutare la signora tanto gentile e disponibile ed andarmene da li in lacrime.  






 

Oh cazzo, siamo al 36esimo capitolo.
Oh cazzo, il prossimo sarà il penultimo.
Ho l'ansia: sono emozionatissima e non vedo l'ora di scriverlo, così come non vedo l'ora di leggere le vostre imprecazioni a seguito di questo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Fatemelo sapere!
Noi ci rivediamo presto!
Un bacione, KamiKumi

   
 
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