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Autore: Christine Enjolras    19/03/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Marius

La messa era appena terminata e Marius cercava di farsi largo tra la folla di fedeli che stavano uscendo dalla grande abbazia di Saint-Denis: la strada per raggiungere Place Victor Hugo oramai la aveva imparata e non aveva avuto problemi, quella mattina, ad andarci da solo. Una volta staccatosi dal grosso del gruppo di fedeli, Marius riuscì ad accendere il suo cellulare, concentrandosi sui numeri da premere per il suo pin senza rischiare di scontrarsi con qualcuno. Quando guardò lo schermo, notò che c’era una chiamata persa del nonno. Gli fece molto piacere vedere che aveva provato a contattarlo: lo avrebbe sicuramente richiamato lui dopo pranzo. Marius avrebbe voluto arrivare prima a casa: quella notte non aveva dormito molto e si sentiva piuttosto stanco.

Stava per entrare nella stretta Rue de la Boulangeri quando sentì una voce provenire da dietro le sue spalle: “Marius!” Il ragazzo si girò subito e il suo sguardo si posò su una ragazzina più bassa di lui che teneva in alto una mano per farsi notare. Indossava una salopette in jeans chiaro con una maglia a maniche lunghe bianca e portava i lunghi capelli neri raccolti in una coda alta molto morbida, tanto che alcune ciocche corte cadevano sul suo viso tondo.

“Éponine!” la riconobbe Marius quando la sorridente ragazza gli fu più vicina. “Buon giorno!”

“Che cosa fai da queste parti?”

“Ero… ero a messa. Non conosco bene la zona, quindi vengo qui visto che ci so arrivare…”

Éponine sgranò i piccoli occhi scuri e Marius iniziò a chiedersi se la sua risposta l’avesse sorpresa. “Davvero tu vai a messa?” chiese la ragazza dissipandogli ogni dubbio.

“Beh… sì…” affermò lui timidamente. “Ci andavo ogni domenica con papà e per me è importante…” Éponine rimase a fissare il ragazzo per un po’ senza dire nulla. Marius si imbarazzò un pochino, distolse lo sguardo, indirizzandolo in un imprecisato punto della bianca pavimentazione del piazzale. “Immagino che la cosa ti sembri strana... forse un po’… all’antica…”

“Un po’ strana sì…” ammise la ragazza, “ma in senso buono.” Marius riportò lo sguardo su di lei e la vide protesa leggermente in avanti con stampato sul viso un sorriso molto dolce. “Sono pochi i ragazzi della nostra età che ancora ci vanno.”

“E tu non… non sei tra quelli?”

Éponine sembrò un po’ divertita dalla domanda di Marius. Senza perdere il sorriso, gli rispose: “I miei genitori credono solo nel dio denaro! Sono piuttosto materialisti e non credono nella metafisica, perciò non andiamo mai a messa, nonostante io e i miei fratelli abbiamo ricevuto i sacramenti.”

“Oh… quindi tu non sei credente…”

“Oh no, non è questo” affermò la ragazza guardando la grande cattedrale. “Credo che ci sia qualcosa oltre la morte, ma non sono il tipo di persona che va a messa tutte le domeniche. Forse perché non l’ho mai fatto e non lo ritengo necessario.”

Marius, che stava ammirando l’imponente edificio gotico a sua volta, d’un tratto si accorse di essere osservato e si voltò verso Éponine. La tenerezza con cui la ragazza lo stava guardando lo rassicurò: rispose al sorriso e proseguì: “Ma allora che ci fai da queste parti di domenica?”

Éponine alzò le sopracciglia facendo un’espressione molto strana, tra l’esasperato e il divertito: Marius la trovò adatta ad illustrare il modo di dire ‘Rido per non piangere’. Aprì la borsetta a tracolla in pelle marrone che portava con sé e ne tirò fuori una lunga lista. Mostrandola a Marius, disse: “Commissioni dell’ultimo secondo per i miei.” Detto ciò, mise a posto la lista e, mostrandogli un sacchetto di plastica, aggiunse: “Ho già risolto con il pane. Stavo andando al supermercato a recuperare tutto il resto.”

“Non è un po’ troppa roba da portare da sola?” chiese Marius ricordando la lunghezza della lista.

“I miei sono fatti così: non pensano quanto sia sciocca e irrealizzabile una loro idea finché non la provano sulla loro pelle.” Nella sua mente, Marius riusciva già ad immaginare quella ragazza alta poco più di un metro e sessanta sommersa da grosse buste della spesa: trasportare a piedi tutte quelle borse avrebbe potuto risultare impossibile.

“Potrei darti una mano io.”

“Scherzi, vero?” disse subito Éponine sconvolta. “No, non serve! E poi non devi farlo tu. Voglio dire… sei un ospite!”

“Ma non mi dà alcun fastidio, davvero” controbattè Marius sorridendole. “Non riesco ad immaginarti mentre porti tutte quelle borse da sola. Permettimi di aiutarti.”

Forse Éponine si rese conto che Marius aveva ragione, perché, dopo che ebbe fissato un punto imprecisato nel vuoto per qualche istante, sorrise, si girò nuovamente verso di lui e disse: “D’accordo. Accetto volentieri la tua offerta. In effetti farcela da sola sarebbe difficile!”

 

Marius non sapeva che dietro la sua scuola c’era un piccolo supermercato: era in quel comune da un paio di settimane e ancora non lo aveva girato a dovere. Mentre spingeva il carrello e aiutava Éponine a recuperare i prodotti dagli scaffali alti, i due ragazzi chiaccheravano tranquillamente del più e del meno, di esperienze passate e anche di argomenti un po’ più personali. Marius si trovava molto a suo agio con lei: in quelle due settimane passate alla residenza studentesca, i due ragazzi si erano sempre fermati a chiacchierare e avevano iniziato a legare così, tra un incontro fugace e l’altro. Quando ritornava da scuola, Marius la trovava sempre al bancone della reception e si fermava a parlare con lei; gli era capitato di restare assieme a lei più a lungo degli altri ragazzi, mentre Courfeyrac portava Gavroche lontano da sua sorella. D’altonde Éponine per lui aveva sempre un grande sorriso e una parola gentile e parlare con lei era sempre piacevole.

“Manca solo il riso, giusto?” disse Marius avvicinandosi ad Éponine e guardando la lista che la ragazza teneva in mano. “Eccolo lassù.” Andò allo scaffale e si alzò sulle punte per prendere i pacchi di riso, sentendosi addosso lo sguardo di Éponine.

“Non credevo che uno degli ospiti della nostra residenza sarebbe mai venuto con me a fare la spesa” disse lei, probabilmente ancora incredula, con stampato sulle labbra un grande sorriso.

“Che c’è di strano?” le chiese Marius tornando al carrello e appoggiando i numerosi pacchi di riso.

“Beh, la maggior parte dei ragazzi che alloggiano da noi sono figli di ricconi di Parigi: ragazzi che è già tanto se sanno com’è fatta una cucina. Tu sei diverso.”

Marius rimase a guardarla senza sapere esattamente cosa dire. “Non saprei. A me sembrano tutti molto gentili e disponibili…”

“Sicuramente più di altri che ho incontrato” disse la ragazza iniziando a spingere il carrello, ma non riuscì a spostarlo.

“Ferma ferma! Lascia fare a me!” la fermò Marius prendendo il suo posto. Quel carrello era talmente pieno da risultare troppo pesante anche per lui: era la prima volta che faceva la spesa per la cucina di un ristorante e non pensava sarebbe stato tanto faticoso. Cercò di spingerlo, ma lo spostò di poco, scivolando sul lucido pavimento del supermercato. Sia lui che Éponine scoppiarono a ridere per ciò che era appena successo. “E tu volevi venire qui da sola?”

“Oh beh! Se è questo l’aiuto che puoi darmi…” disse la ragazza dai capelli neri lasciandosi sfuggire una risata.

Capendo lo scherzo, Marius, senza perdere il sorriso, si rizzò sulla schiena e le disse: “Ah ma davvero? Tu neanche sei riuscita a muovere il carrello!”

“Effettivamente…”

“Ho un’idea. Magari se ci mettiamo in due ce la facciamo.” Detto ciò Marius si tirò un po’ verso la sua sinistra, in modo che anche Éponine potesse prendere il carrello della spesa e, insieme, riuscirono a muoverlo, anche se con fatica.

“Questi sono i momenti in cui Bahorel farebbe comodo!” disse Éponine affaticata.

“Ecco:” ragionò Marius, sorridendo, “Bahorel non ce lo vedo a darti una mano.” Seguì un breve istante di silenzio, in cui il ragazzo lentigginoso ripensò a ciò che aveva appena detto. Poi aggiunse: “Ma non li conosco abbastanza bene per permettermi di giudicarli.”

“Non sei troppo lontano dalla realtà. Bahorel è un tipo piuttosto rude…”

“Lo pensavo anch’io” le confessò Marius sorridendo, iniziando a cercare una cassa con poca fila. “Ma con me è stato gentile. Lo sono stati tutti.”

“Sei stato fortunato: loro sono davvero speciali” ammise Éponine. “Li conosco da un po’, ormai, e sono sempre stati carini. Per alcuni ragazzi, io sono solo quella che lavora alla loro residenza. Loro, invece, mi hanno sempre trattato bene, nonostante tutto.”

“Allora perché trovi così strano che io ti stia aiutando?” In quel momento, i due ragazzi individuarono una cassa con poca gente e si misero in coda.

“Beh nessuno di loro si è mai messo ad aiutarmi a fare i letti o a fare la spesa” disse Éponine alzando la lista della spesa. “Te l’ho detto: sono molto gentili, ma molti di loro non hanno mai fatto nulla in casa. Prendi Courfeyrac: il padre è discendente di una famiglia di baroni. Hanno una villa grande e diversi domestici. Lui non ha mai fatto nulla in casa. Lo stesso vale anche per gli altri: appartengono tutti a famiglie molto ricche. Anche tu appartieni ad una famiglia ricca, eppure sei qui con me, ogni tanto trovo il letto rifatto, in camera tieni sempre tutto in ordine… è strano.”

Marius distolse lo sguardo da lei, abbassando i grandi occhi verdi verso il carrello. “Sai io… io non sono sempre stato ricco.”

“Che vuoi dire?” chiese la ragazza dai capelli neri iniziando a vuotare il carrello. Marius, troppo lontano dal nastro della cassa, le passava gli articoli ordinatamente.

“Fino all’inizio di questa estate, io non vivevo con mio nonno” iniziò a raccontarle. “Ho sempre vissuto con mio padre: lui mi ha cresciuto da solo. Quando ero piccolo ha avuto problemi di droga, ha dovuto abbandonare l’arma dei carabinieri e ha trovato posto come operaio. Il salario non era il massimo, ma ce la siamo sempre cavata piuttosto bene. Però, quando ero già alle medie, ha iniziato a fare più ore di lavoro in modo da portare a casa più soldi, quindi io cercavo di fare qualche mestiere in casa e alcune commissioni al posto suo: sai… per aiutarlo.”

“E...” iniziò Éponine approfittando del silenzio di Marius: sembrava incerta di ciò che stava per dire. “E perché adesso vivi con tuo nonno? Dov’è tuo padre?” Marius si rabbuì: quella era una ferita molto recente. Éponine rimase a fissarlo in silenzio immobile, quasi fosse preoccupata. “Se non ti va di parlarne non sei costretto…”

Per un attimo, il ragazzo pensò che sarebbe stato in silenzio. Tuttavia quando in aula ne aveva parlato ad Enjolras gli aveva fatto bene sfogarsi un po’, quindi prese coraggio e finì la spiegazione. “Un giorno, verso la fine di maggio, mio nonno materno si presentò a casa nostra: era la prima volta che lo vedevo. Quando mio padre tornò, scoprii che era stato lui a chiamare mio nonno perché venisse a conoscermi, perché la sua malattia stava peggiorando e i medici non gli davano molto tempo ancora da vivere…” Marius esitò un attimo: gli serviva una pausa per riprendere fiato e non permettere al groppo che gli si stava formando in gola di portarlo fino al pianto. Deglutì, quasi volesse mandare giù il magone, prese un bel respiro profondo e continuò: “In realtà il nonno era in collera con papà per aver portato mamma via da casa sua, ma essendo morti entrambi i genitori di mio padre, lui era rimasto l’unico tutore legale possibile. Quindi mio padre mi disse che sarei stato affidato a lui quando… ecco… quando sarebbe arrivato il momento, insomma… Ed eccomi qui.”

Éponine non disse nulla: il silenzio tra i due ragazzi era riempito solo dai ‘bip’ prodotti dalla cassa al passaggio dei prodotti e dal vociare della gente in sottofondo. Marius non riusciva a guardarla: iniziava a sentire una sensazione strana agli occhi, quasi le lacrime stessero per scendere. Prese un altro respiro e riuscì a contenersi. “Mi…” ruppe il silenzio Éponine. “Mi dispiace per tuo padre… Io non… non immaginavo che…”

“Non importa, davvero” disse Marius. “Certe cose non dipendono da noi. Io ho passato sedici anni bellissimi con lui e questo mi basta.” I suoi grandi occhi verdi iniziarono a vagare nel vuoto, quasi stesse fissando uno schermo in cui venivano proiettati tutti i suoi ricordi. “Lui si faceva sempre in quattro per me. Lo vedevo tornare stanchissimo la sera per le tante ore di lavoro, ma aveva sempre il sorriso stampato sulle labbra. Ricordo che, quando tornava a casa, si sedeva a tavola con me e, sorridendo, mi chiedeva com’era stata la giornata. Stava lì seduto anche ore ad ascoltarmi, a parlare con me: avrebbe voluto dormire, ma la sera era l’unico momento che avevamo per stare assieme. Era una persona meravigliosa: ho dei bellissimi ricordi di lui.”

“Doveva essere un buon padre…” commentò Éponine sorridendo dolcemente.

“Lo era... faceva di tutto per non farmi mancare nulla, nonostante fosse a pezzi… era malato, eppure io non me ne resi conto finchè non me lo disse apertamente. Sono molto fiero di essere figlio suo.”

“È una cosa molto dolce.”

“Sono 357 €, ragazzi” li riportò al presente la grassa cassiera: aveva una tale espressione che si vedeva che non voleva finire il turno. Éponine tirò fuori il portafogli dalla borsa e ne estrasse una carta di credito, porgendola alla signora rugosa.

 

Marius non riuscì a capire come arrivarono alla residenza carichi di borse pesantissime, ma in qualche modo ci riuscirono. Éponine lo fece passare dalla porta di servizio sul retro, in modo da arrivare direttamente in cucina: costeggiarono il bianco muro dell’esterno, fino ad arrivare a un cancelletto in ferro battuto scuro, posto tra la parete dell’edificio e un muro in mattoni. Éponine aprì il cancelletto e i due camminarono nella stretta via tra i due edifici fino ad una grande porta in legno chiaro. Quello era l’ingresso da cui Courfeyrac e Enjolras avevano visto madame Thénardier tagliare la coda al gatto: il ricordo di quel racconto fece rabbrividire Marius. I banconi metallici appoggiati al pavimento in piastrelle scure rendevano davvero sinistro quel luogo… o forse era solo la sua suggestione sapendo cosa accadeva laggiù. Ad un certo punto, apparve un donnina bassa, con dei capelli ricci disordinati palesemente tinti di biondo, con un trucco pesante che circondava i grandi occhi neri.

“Éponine! Dov’eri finita?!” disse la donna ad alta voce.

“Stavo facendo la spesa, mamma” affermò Éponine seccata. “Dove diavolo credevi che fossi?”

“Ci hai messo delle ore! Almeno hai preso tutto?” disse madame Thénardier, scrutando il contenuto delle buste.

“Sì, tutto, mamma.”

Ad un certo punto, la donna alzò lo sguardò e i suoi occhi incontrono quelli di Marius. All’inizio sembrò sorpresa, poi lo squadrò da capo a piedi e fece un sorriso strano. “E tu chi sei?”

“M-Marius Pontmercy, madame" si presentò lo studente chinando leggermente la testa. “Alloggio al primo piano.”

Nel sentire quelle parole, la signora sembrò turbata. “Hai portato un ospite qui?!” gridò alla figlia.

“Mi ha solo aiutato con la spesa…” cercò di giustificarsi esasperata la ragazza.

“RIPORTALO SUBITO DI LÀ! NON DOVREBBE STARE QUI!” gridò madame Thénardier indicando la porta. Époinine sussurrò qualcosa di simile a ‘Non me lo faccio ripetere due volte’, afferrò Marius per il polso e lo portò fuori, facendolo rientrare dalla porta principale.

Nella piccola hall all’ingresso c’erano alcuni ragazzi che chiaccheravano tranquillamente, seduti sulle poltroncine rosse, mentre dalla porta del ristorante uscivano i primi profumi del pranzo. Marius, nel sentire quegli odori squisiti, sentì brontolare il suo stomaco e, d’istinto, lanciò un’occhiata veloce al grande orologio a pendolo in legno scuro che si trovava vicino alla reception: segnava l’una e un quarto. Pensò che gli altri ragazzi avessero già mangiato a quell’ora, ma la cosa non gli dispiacque: in fin dei conti, era lui che aveva fatto tardi.

“Non so ancora come ringraziarti per il tuo aiuto!” gli disse Éponine una volta arrivata dietro al bancone. “Se non ci fossi stato tu avrei dovuto chiamare mio padre per farmi venire a prendere. Sarebbe stato un cinema convincerlo!”

“L’ho fatto volentieri, davvero.” Marius non fece quasi in tempo a pronunciare queste parole che sentì uno starnazzamento leggermente elettronico avvicinarsi dal piano superiore ad un ritmo veloce. Quel rumore lo conosceva fin troppo bene e, ancora prima di girarsi verso le scale, Marius iniziò a ridere pensando a chi, da lì a pochi secondi, si sarebbe sporto dal corrimano.

“Sei arrivato, finalmente!” gli disse ad alta voce Courfeyrac: sbucava appena dal muro che copriva la parte alta della stretta scala in legno, proprio un paio di gradini sotto ai tre a ventaglio.

“Ciao Courfeyrac” lo salutò Marius, sorridente.

“Grantaire!” disse a voce alta Courfeyrac, alzando lo sguardo verso la fine della scala. Nessuno rispose. “GRANTAIRE!”

“CHE C’È?” sentì rispondere Marius: conosceva abbastanza la voce di Grantaire da essere sicuro che fosse lui.

“È TORNATO IL FIGLIOL PRODIGO! BUTTA LA PASTA!”

“E ENJOLRAS?”

“COMBEFERRE DICE CHE È AL TELEFONO: CONOSCENDOLO NON CREDO CI VORRÀ MOLTO!”

“A proposito, Courfeyrac” lo chiamò Éponine, recuperando qualcosa da un cassetto con scritto ‘002’: Marius si accorse solo in quel momento che c’era un’alta cassettiera affianco allo scaffale su cui erano tenute le chiavi delle stanze. “Tuo padre ieri è passato con un pacchetto per te, solo che tu non c’eri, quindi l’ha lasciato a me e non ho avuto modo di dartelo.”

“Ah, grazie Éponine!” disse Courfeyrac correndo giù felice. Quando arrivò davanti alla reception, il ragazzo ricciolino recuperò il pacco rettangolare ricoperto da carta da imballaggio dalle mani di Éponine e disse: “Deve essersi ricordato che mi serviva il suo libro di diritto penale.”

“COURFEYRAC!” tuonò la voce di Bahorel dal piano superiore.

“SÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌ???”

“TOCCA A TE APPARECCHIARE OGGI! MUOVITI!”

“Ops… meglio che corro di sopra o quello mi apre il cranio in due” disse Courfeyrac salutando Éponine con la mano. Poi corse su per le scale con un sonoro starnazzare e disse a voce alta: “Sbrigati a salire, Marius!”

“Arrivo!” gli rispose il lentigginoso ragazzo quasi ridendo. Poi scosse la testa e, guardando verso la ragazza, le disse: “Beh… il dovere mi chiama. Magari ci vediamo dopo!”

“Mi trovi qui.”

 

Una volta che fu in cima alla scale, Marius pensò di passare in camera a darsi una rinfrescata. Buttò l’occhio nella sala trapezoidale e vide Courfeyrac trafficare con la tovaglia, quasi non ne avesse mai stesa una su un tavolo, mentre Joly, pazientemente, cercava di aiutarlo. Jehan e Combeferre leggevano in un angolo del divano accanto a Bahorel e Bossuet, intenti a seguire il telegiornale. Bossuet notò Marius e gli fece un cenno di saluto e un sorriso, al quale lui rispose, facendogli poi segno che sarebbe passato in camera prima di raggiungerli. Quando si voltò sentì la voce di Enjolras provenire dalla stanza 008: aveva un tono strano, quasi apatico, un po’ assente. Vide che la porta era aperta e, senza accorgersene, guardò dentro. Il biondo ragazzo era seduto sulla scrivania e, appoggiato alla finestra, guardava fuori; Marius vedeva nel riflesso sul vetro i suoi occhi persi nel vuoto. Aveva lo stesso sguardo che aveva quando, in aula, guardava verso l’esterno con la testa chissà dove.

“Sì, va tutto bene” sentì dire al suo amico con lo stesso tono di prima. Non si scompose nemmeno per un secondo: restava semplicemente immobile, ad ascoltare chi gli stava parlando dall’altra parte della cornetta, rispondendo giusto con un suono a bocca chiusa ogni tanto. Marius riusciva a sentire il suono di una voce femminile dall’altra parte della linea.

“Senti…” disse infine il ragazzo, ma non riuscì a proseguire. “Ascoltami un attimo, per favore” aggiunse poco dopo, leggermente spazientito. “Non credo di riuscire a venire per le vacanze… Sì, lo so da solo che la scuola è appena iniziata, ma… Fammi parlare!” Chiunque ci fosse dall’altra parte della linea, a Marius parve una donna piuttosto agitata, quasi irrequieta. Enjolras si voltò verso il muro, appoggiò la testa al vetro e, ad occhi chiusi, sospirò profondamente: sembrava sul punto dell’esasperazione nel restare ad ascoltare senza poter rispondere.

“Adesso ascoltami, per favore, ok?” disse prima di fare una breve pausa. “Ho dei professori che mi chiedono davvero molto, quest’anno. Preferisco restare qui a concentrarmi sui miei studi e… Sì… sì lo so che non ci vediamo praticamente da Pasqua, ma… Sì, sto bene, te l’ho già detto…” Marius era convinto di non aver mai visto Enjolras così esaurito da una conversazione: nemmeno Courfeyrac lo sfiniva a tal punto.

“Posso andarci per conto mio: c’è la fermata della metropolitana qui vicino…” riprese dopo una lunga pausa in cui parlò solo la donna al telefono. “Non è così grave se non ci ven… ma perché tanto loro verranno per te! A che serve che ci sia anche io?!” Ancora una pausa: Marius pensò che Enjolras stesse per esaurire la pazienza a giudicare da quanto era cambiato il tono della sua voce.

“Senti devo andare a mangiare… No, noi mangiamo sempre piuttosto tardi quando non siamo a scuola… Devi questionare anche questo adesso?!... Eh, ‘modera i toni’! Modera i toni un cazzo!” Seguì di nuovo un momento di silenzio, in cui Enjolras sospirò e si coprì gli occhi con la mano libera: sembrava sul punto di esplodere. Poi la spostò sulla guancia e rimase ad ascoltare ad occhi chiusi, spazientito. “Sì, lo so che non ti piace che io usi questo linguaggio, ma devo davvero andare… Sì, va bene, ne parlerò anche con lui… Ciao.” Enjolras allontanò il telefono dall’orecchio e, sospirando, chiuse la chiamata. Dopo di che, appoggiò il telefono accanto a sé, chiuse gli occhi e sul suo volto apparve una strana espressione, quasi stesse per piangere ma non volesse permetterselo. Marius non la vide troppo a lungo perché il biondo ragazzo tirò un ultimo sospiro e affondò la testa tra le braccia, tirandosi le ginocchia al petto; Marius non lo sentiva piangere, quindi immaginò che fosse riuscito a trattenersi e da quel poco che aveva imparato a conoscere di Enjolras, la cosa non lo sorprese minimamente. Vederlo in quello stato, però, lo sorprese: fino a quel momento Enjolras gli era sembrato sempre molto sicuro, forte, piuttosto sereno… La sua tristezza gli stava spezzando il cuore e sarebbe voluto entrare nella stanza per cercare di tirarlo su di morale.

“Non dovresti essere lì” sentì dire da una voce molto dolce dietro di sé. Marius si voltò e vide che Combeferre lo stava guardando con un’espressione severa stampata in volto.

Marius fu in imbarazzo: non si era nemmeno accorto di essere rimasto lì ad ascoltare e si sentiva tremendamente invadente. “Hai ragione… mi spiace…” fu l’unica cosa che gli venne da dire. Il ragazzo dai capelli biondo rame chiuse gli occhi e sospirò; poi guardò attraverso lo spiraglio aperto e la sua espressione mutò in uno sguardo triste e dolce assieme. Passò la mano dall’altra parte di Marius e chiuse la porta. Fatto ciò, fece cenno al ragazzo di dirigersi verso la sua stanza e i due vi entrarono. Marius si sedette sul suo letto mentre Combeferre guardò nel corridoio, come volesse essere certo che non ci fosse nessuno; dopo di che socchiuse la porta dietro di sé.

“Ti sarei molto grato se non dicessi a nessuno ciò che hai sentito” gli intimò Combeferre. “Lui non vorrebbe si sapesse.”

“Quindi tu sai tutto?” si sentì dire Marius.

“No, non tutto” confessò triste Combeferre. “Ma so con chi parlava, se era questo che volevi sapere.” Ammesso questo, abbassò lo sguardo e fece una piccola pausa prima di proseguire: “Non posso dirti ciò che succede. Ad Enjolras non diremo che hai ascoltato: credo che ne sarebbe furioso.”

Marius abbassò lo sguardo, chiedendosi come aveva potuto restare ad origliare per davvero. “Non so dirti quanto mi senta in colpa…”

“Lo immagino, non preoccuparti” disse Combeferre in tono dolce. “Ma non hai fatto nulla di grave, credimi. Solo che Enjolras è riservato: se venisse a sapere che per sbaglio hai sentito qualcosa, credo si chiuderebbe ancora di più in sé stesso... e non posso permetterlo. Noi due non diremo niente di quello che è appena successo a nessuno, ok? Ti chiedo solo di far finta di nulla… di nuovo.”

Marius guardò Combeferre per qualche istante: c’era qualcosa nel suo atteggiamento che lo portava a pensare che fosse preoccupato seriamente per Enjolras e che stesse cercando di proteggerlo in ogni modo da chissà cosa. Anche quel lunedì a scuola gli aveva dato quest’impressione. “Certo” disse sorridendo per rassicurarlo. “È il minimo che io possa fare. Puoi contare su di me… per tutto.”

Combeferre gli sorrise. Aprì la porta, uscì sul corridoio e, prima di andarsene, disse: “Grazie.”

   
 
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