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Autore: Valpur    19/03/2017    1 recensioni
Quando, per accontentare una madre apprensiva, Fedra aveva accettato di partecipare a quel dannato Conclave non aveva messo in conto molte cose.
Per esempio di riuscire a evitare il maledetto cugino Frederick.
O di scoprire che le toccava salvare il mondo.
Da imbarazzo dei Trevelyan a Inquisitore il passo è più breve di quanto la goffa, testarda Fedra potesse ipotizzare. E lo percorrerà - non senza qualche bestemmia - con dei compagni inaspettati che le cambieranno la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inquisitore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Fedra emerse dall’Eluvian in quel luogo grigio che Morrigan aveva chiamato l’Incrocio, andando a sbattere contro la schiena corazzata di Cassandra.
“Dove siamo?”
“Non ha importanza, non ci rimarremo a lungo. Dunque... adesso…”
Si guardò intorno. L’aria era grigia come la ricordava, rovine sbiadite in lontananza e dozzine di Eluvian spezzati; Cole iniziò a tremare e si calcò il cappello in testa, coprendosi il viso con la tesa.
“Tranquillo, Cole, ce ne stiamo andando. Credimi”.”
“T-Ti prego, non mi piace stare qui…”
“Ci sono quasi, ci sono… ah! Eccolo!” e si mise a correre verso l’unico specchio acceso. “Entrate tutti, torniamo a Skyhold!”
Nessuno trovò da ridire. Uno dopo l’altro le sfilarono davanti e Fedra, rimasta per ultima, si voltò. Lo specchio da cui erano arrivati era nero. Spento. Corypheus non sarebbe passato di lì.
Con il peso caldo della vittoria nel cuore si tuffò nell’Eluvian e abbandonò quel luogo sospeso tra l’Oblio e la realtà.
Atterrò nel ripostiglio di Skyhold sollevando una nuvoletta di polvere e caracollò oltre Cassandra e quasi in braccio a una inserviente con le braccia cariche di stracci.
La ragazza sgranò gli occhi e li fissò senza proferir parola.
“Sì… ecco… siamo tornati. In parte”, disse Fedra. “Non stai per metterti a urlare, vero?”
“C-Ci p-proverò”, balbettò la ragazza.
“Fantastico. Ehm… grazie? Immagino. Puoi andare”.
Lo fece senza mai battere le palpebre e con le labbra contratte.
Non sarebbe stato facile da spiegare a Skyhold, ma per fortuna le Furie si rivelarono pronte ad ascoltare.
Quando Fedra emerse dal cortile, arruffata, coperta di sangue e con ogni muscolo che gridava per il dolore, Krem si precipitò giù dalle scale.
“Capo! Siete davvero voi? Una delle ragazze aveva detto che… che…”
Le si avvicinò e la prese per le spalle, scrutandola da vicino.
“Sembrate tutta intera, anche se siete tutta ammaccata. Cos’è successo? Il Toro sta arrivando, anche lui era preoccupato. Josephine dov’è?”
“Krem, sto bene. Credo, ho male dappertutto e… e…”
Il mercenario se la scostò di dosso e non la lasciò andare.
“Dove sono tutti gli altri?” Le sopracciglia si congiusero sopra agli occhi scuri mentre scrutava oltre la testa di Fedra e faceva la conta.
“L’esercito è ancora alle Selve Arboree e noi… ah, Krem, è abbastanza complicato da spiegare. Puoi chiamare il Toro e Solas, per favore? Sono sicura che seduti a un tavolo sarà tutto più facile”.
Non fu in grado di dire se la posizione seduta fosse o meno stata d’aiuto, ma nelle due ore successive, ancora incrostata di fango e sporcizia e con una stanchezza mortale che le strisciava per le ossa, Fedra spiegò tutto al Toro di Ferro e a Solas, pallido e avido di conoscere ogni dettaglio.
Qualcosa sul suo strano viso senza età sembrava cambiato, come se la sete di sapere lo consumasse nel profondo.

“Vuoi dire che mi sono perso di nuovo il drago? Ah, dimmi che non lo avete ammazzato, non me lo perdonerei mai!”
“Potrebbe essere ben peggio di così”. Solas, in piedi davanti alla finestra nella sala di guerra, non si voltò. “Hai detto che Corypheus si è… reincarnato?”
“Qualcosa del genere”. Fedra si prese la testa tra le mani e cercò di lottare contro lo sfinimento. Aveva raccontato ogni dettaglio e ci erano volute ore, con il cielo ormai buio e il sonno che lottava con la fame; rivisitare il ricordo del Custode Grigio che esplodeva come il bozzolo di un orrendo insetto non era il massimo prima di andare a dormire.
Solas si voltò di scatto e la fissò per un lungo istante.
“Non ho prove e si tratta solo di congetture. Hai fatto bene a lasciare Morrigan con le truppe, se ciò che hai raccontato è vero – e non ne dubito – il suo aiuto sarà essenziale per rendere più agevole il rientro dell’esercito. Ho urgente bisogno di parlarle… dopo la follia che ha fatto al Pozzo del Dolore non oso immaginare cosa potrebbe esserle accaduto”.
Era troppo da immagazzinare. Un a uno i compagni si allontanarono.
“Andiamo, ragazzino, mi sembri ancora scosso”. Varric si portò via Cole dandogli delle pacche sul braccio. “Hai bisogno di bere qualcosa”.
“Pensi che mi aiuterà?”
“Sei umano, adesso. Scommetto che un paio di bicchieri male non possono farti”. Il nano ammiccò a Fedra e sparì oltre la porta.
Cassandra uscì con Solas e il Toro, ma indugiò sulla soglia. Per un lungo attimo guardò Fedra mordicchiandosi il labbro, poi sbuffò.
“Bah. Può aspettare”, disse sibillina. “Riposati, Fedra, ne hai bisogno più di tutti noi.
Ultimo rimase Dorian. Fedra lo sbirciò attraverso i capelli sporchi che le spiovevano davanti al viso; non era in condizioni molto migliori di lei, con un labbro spaccato, il mento scuro di barba non fatta e i capelli pieni di foglie. In un altro momento quella sciatteria lo avrebbe mandato su tutte le furie, ma sembrava troppo stanco persino per quello. Si accucciò davanti a Fedra e le prese le mani.
“Come stai?”
“A pezzi. Non so se avrò le forze di arrivare fino al mio letto, ma… ehi! Non intendevo in senso letterale, mettimi giù!” Senza preavviso Dorian aveva sbuffato e l’aveva presa in braccio.
“Cullen non me lo perdonerebbe mai se ti lasciassi a dormire per terra”.
“Scherzavo, Dorian, riesco a camminare!”
Con un borbottio incomprensibile in Tevene la rimise in piedi.
“Immagino che ora l’unica cosa da fare sia aspettare notizie, vero?”
“Penso anche io”.
Uscirono dalla sala di guerra e Dorian la accompagnò effettivamente fino all’ingresso della sua camera.
“Sai, Fedra, stavo ripensando a quello che mi hai detto prima della battaglia e… mi permetti di essere patetico per un minuto?”
“Solo un minuto però, sto crollando dal sonno”.
“Ho una famiglia che definire agghiacciante è dir poco, ma qui ne ho trovata una che posso amare veramente. Ho sempre odiato essere figlio unico”.
Forse era la stanchezza, forse l’angoscia che la attanagliava in quella Skyhold così strana e vuota, ma era davvero ciò di cui aveva bisogno. Gli cinse la vita con le braccia e seppellì il naso nelle pieghe – assurdamente profumate nonostante tutto – della veste.
“E io ho sempre voluto avere un fratello maggiore”.
Dorian la tenne stretta per un attimo e Fedra lo sentì salutare con la mano un inserviente di passaggio.
“Dici che Cullen sarà geloso?”
“Di te e me? Non direi, ma ogni tanto vorrei che la smettessi di guardargli il culo quando passa. Quella è roba mia”.
“Ho gli occhi per guardare, Inquisitore, non farmene una colpa”. Si chinò a darle un bacio sulla testa e le aprì la porta. Fedra trovò la forza di sorridergli e si sentì meno sola mentre camminava nel buio fino al letto.
Quel che restava della notte svanì in un sonno senza sogni figlio dello sfinimento assoluto che lasciò Fedra, al risveglio, confusa e in preda a un vago malessere che non sapeva identificare.

Uno dei servitori le aveva lasciato una vasca piena d’acqua che scintillava nell’aria del mattino. Fedra vi si immerse, ogni parte del corpo che doleva, e quando si fu ripulita e rivestita riuscì a sentirsi un po’ meglio.
Durò giusto il tempo di scendere fino alla sala di guerra.

Quella volta non c’era Leliana a inviare corvi ai quattro angoli del continente, non aveva Josephine che sovrintendeva a dettagliati resoconti né un esercito su cui ragionare grazie alla mente strategica di Cullen.
C’erano solo lei e Cassandra, stanche e preoccupate, e niente che Fedra potesse fare sembrava essere d’aiuto nei tentativi della Cercatrice di pianificare le mosse successive.
“Senti, io di questa roba”, e colpì con l’indice una delle pedine sulla mappa, “non ci ho mai capito niente. Non sono Cullen!”
“Oh, c’è parecchio di lui in te, soprattutto ora”, bofonchiò Cassandra a denti stretti. Recuperò la pedina e la mise a posto. “Se solo ti concentrassi un po’…”
“Non abbiamo notizie, non abbiamo aggiornamenti. Non abbiamo niente se non la certezza – relativa, più che altro una speranza – che Corypheus non riesca a usare quel cazzo di Eluvian”. Si passò le mani tra i capelli e sbuffò. “Andraste cagna, non so cosa fare”.
Troppo tardi si morse la lingua. Chiuse gli occhi e si preparò al colpo.
Il pugno di Cassandra rimase a una spanna dal suo naso, con il viso della Cercatrice contratto dalla rabbia e da qualcos’altro di strano che Fedra non riuscì a identificare.
“Ritieniti… fortunata”, ringhiò. “Questa me la pagherai”. Lasciò ricadere la mano e se la batté contro la coscia. “Lasciamo perdere, forse hai ragione. Non sulla bestemmia, sia chiaro, ma… dobbiamo aspettare. Solo aspettare”.
E aspettarono. In quei lunghi giorni di fine estate, con le valli attorno a Skyhold che iniziavano a tingersi di un verde stanco e polveroso, Fedra passò le sue giornate sulle mura.
Ripensò a tutte le volte che Cullen l’aveva guardata cavalcare via e si chiese come aveva fatto a sopportarlo. Si sentiva male ogni volta che alzava gli occhi al cielo e scambiava un’aquila di passaggio per uno dei corvi di Leliana, ogni volta che le sembrava di intravedere un’ombra all’orizzonte tra i valichi montani.
Non erano ancora tornati. L’avrebbero mai fatto.
Cassandra non la lasciò mai. Anche quando Fedra cercava di allontanarla la Cercatrice sbuffava ma persisteva, con una pazienza inconsueta.
“Non voglio che tu stia da sola. Questa situazione non è normale per te, di solito sei tu che te ne vai e torni, stare ad aspettare non ti si addice”.
“Mi chiedo come faccia Cullen…”
“Si tiene occupato. E non credere comunque che sia molto diverso da te quando non ci sei: passa ore a scrutare la strada, fa i turni al posto delle sentinelle ed è genericamente intrattabile. È ancora presto per preoccuparsi, Fedra”.
Le pietre dei merli erano calde dell’ultimo sole del pomeriggio sotto le sue mani quando Fedra si sporse in avanti e guardò giù.
Presto, certo. Erano passati solo quattro giorni, e di sicuro non sarebbero riusciti a partire immediatamente… sempre che Corypheus non li avesse attaccati, sempre che non ci fosse stato un assalto da parte del drago o qualcosa di peggio.
Quei pensieri cupi le afflosciarono le spalle e Cassandra le sfregò la schiena con la mano.
“Ti stai tormentando. Non ti fa bene”.
“Ho un po’ l’impressione che mi trattiate tutti come se fossi malata. Ho un aspetto così terribile?”
Cassandra sollevò un sopracciglio e distolse lo sguardo.
“Hai un occhio nero, una guancia coperta di graffi, un paio di costole rotte e delle occhiaie che ti arrivano fino al mento. Hai avuto giorni migliori, senza contare che… ehi. E quello cos’è?”
Si staccò da lei e Fedra, con un brivido, ne seguì lo sguardo.
Quella volta non si sbagliava, era davvero un corvo. L’uccello planò basso su Skyhold e puntò dritto verso la torre di Leliana.
“Sono notizie, ecco cosa sono”, esalò Fedra. Diede una gran pacca alla spalla di Cassandra e partì di corsa, saltando a due a due i gradini che scendevano dalle mura e attraversando a balzi il cortile. Arrivò in cima alla torre di Leliana con il fiatone e un largo anticipo rispetto a Cassandra; il corvo era appollaiato sul davanzale e la guardava con i suoi malevoli occhietti neri.
Fedra esitò. Deglutì a fatica, fece un passo avanti e l’uccello fece schioccare il becco.
“Non cercare di cavarmi un occhio, ti scongiuro! Fai il bravo uccellino!”
Il corvo sbatté le vaste ali e le gracchiò in faccia tutto il suo disprezzo.
“Oh, andiamo! Non costringermi a… a cheidertelo per favore? A corromperti?”
Cassandra sbucò in cima alle scale e sbuffò. Senza un commento superò Fedra e afferrò il corvo da sopra, tenendolo immobile tra le dita nonostante le strida di protesta.
“E stai fermo, non sono la tua padrona che ti vizia e ti coccola. Molla quel messaggio e sparisci”. Gli staccò la pergamena dalla zampa e lo lanciò fuori dalla finestra, dove con un paio di strida indignate e un gran sbatacchiare di penne il corvo riprese il volo.
Nella fresca penombra della soffitta Fedra strappò il rotolo dalle dita di Cassandra e lo aprì.
La calligrafia di Josephine era un capolavoro di eleganza e praticità, proprio come lei. Il breve messaggio rassicurava sulla sorte dell’esercito – “Il comandante Cullen sta riportando le truppe a Skyhold; dopo l’assalto al tempio non ci sono state altre perdite” – e Fedra si lasciò cadere seduta a terra con una risata isterica.
Cassandra lesse più a fondo le paroel di Josephine e sospirò di sollievo.
“Hanno perso tempo a curare i feriti e a rimpolpare le scorte, ma non gli ci vorranno più di tre o quattro giorni. Stanno tornando a casa”.
Fedra sentì le lacrime salirle agli occhi e le maledisse – non era il momento, cosa le saltava in mente? – asciugandole rapida con il dorso della mano.
“Finirà mai quest’incubo?”
Cassandra si sedette di fianco a lei e insieme rimasero a guardare la polvere che danzava nei raggi di sole.
“Lo faremo finire, te lo prometto. Ora dobbiamo solo avere pazienza”.
La stima di Cassandra si era rivelata corretta.
Fedra dormì poco e male dopo l’arrivo del corvo, nonostante la stanchezza non l’abbandonasse mai del tutto, ma quando nel cuore della terza notte di attesa un corno cantò nel silenzio seppe cos asignificava.
Scalza, con una coperta gettata sulle spalle e in camicia da notte corse fuori dalla fortezza e fino alla porte, incurante del freddo e degli sguardi a dir poco perplessi dei soldati.
Si fermò a metà del ponte levatoio proprio mentre Cullen, Josephine e Leliana staccavano il grosso delle truppe.
Cullen la vide e sgranò gli occhi. Smontò di sella e le corse incontro senza far caso agli ordini gridati dalle sentinelle e al frastuono dell’esercito dietro di lui.
Fedra non si fermò. In un attimo si trovò sommersa in un abbraccio di pelo e braccia forti e calde, e poco importava che Cullen fosse sporco per il viaggio e arruffato e che ci fosse del sangue rappreso sulla sua camicia. Era lì, era vivo ed erano assieme.
La bocca di Cullen cercò la sua in un bacio che causò un’ovazione da parte della prima linea delle truppe e Fedra non riuscì a non ridere contro le labbra che la sfioravano.
“Tesoro, sono a casa”. La voce di Cullen vibrava divertita e Fedra sbuffò.
Un’ombra nera passò loro sopra alla testa e, con uno sbuffo, Morrigan riprese la sua forma al loro fianco.
“Adorabile. Ora però abbiamo qualcosa di urgente di cui parlare, se non vi dispiace”. C’era una strana eco nella voce della maga, qualcosa di antico e difficile da identificare.
Fedra si staccò bruscamente dall’abbraccio e tossicchiò.
“S-Sì, certo. Ehm… io…”
“Vai nella sala di guerra, ti raggiungiamo subito”. Leliana stava smontando da cavallo, seria ma con un sorriso nascosto negli occhi. Le fece l’occhiolino e Fedra, di colpo consapevole della camicia da notte e dei piedi nudi, cambiò colore.
“Vado. Subito”. Si avvolse meglio nella coperta e cercò di non correre, testa alta e spalle dritte. Come se non fosse corsa per Skyhold mezza nuda. Cassandra, che ne lfrattempo era scesa a sua volta e si stava allacciando la cintura, la guardò con fare rassegnato, si voltò e se ne andò scuotendo la testa.
“Sei senza speranze…”
Non rimase sola a lungo nella sala di guerra, anche se la compagnia della sua stessa eccitazione nel vedere Cullen – ma anche tutti gli altri! – sani e salvi era più che gradevole. Si sedette sul bordo del tavolo e lasciò penzolare i piedi scalzi e infreddoliti, salvo balzare giù con un sussulto all’arrivo di Morrigan e degli altri consiglieri.
Cullen le regalò un vasto sorriso. Non si poteva dire che la missione nelle Selve Arboree gli avesse fatto bene: aveva un profondo squarcio in via di guarigione sulla tempia e un labbro gonfio e spaccato, oltre che una ferita al braccio che sembrava essersi riaperta. Josephine lo superò scrollando la testa con disapprovazione.
“Ha insistito per cavalcare a marce forzate e guarda un po’, la ferita si è riaperta…”
“E’ solo un graffio, Josie, ma sei gentile a preoccuparti per me”.
Leliana e Josephine, per quando visibilmente stanche – pallide e con gli occhi cerchiati di scuro – erano incolumi e subito si misero in posizione, lanciandosi prima uno sguardo intenso che fece annuire seria l’Usignolo. Cullen posò un altro bacio sulle labbra di Fedra e qualcosa sembrò rilassarsi dentro di lui.
“Sono felice di annunciarti che abbiamo vinto, Inquisitore”, disse Morrigan. Ora che la guardava meglio Fedra si accorse che era l’unica a non mostrare segni di fatica.
“Quando – e lady Morrigan è stata fondamentale nel ricostruire i fatti – sei entrata nello specchio Corypheus e il suo arcidemone sono fuggiti”. Cullen si sfregò la nuca e fece spallucce con una smorfia di dolore. “Non so come mai”.
“Ciò che cercavano non era più nel tempio”, rispose Morrigan.
“Quindi è… sparito?” azzardò Josephine. Fedra avrebbe voluto condividere il suo ottimismo ma qualcosa le diceva che era fuori luogo.
Leliana camminò avanti e indietro davanti al tavolo.
“Ha subito di certo un altro duro colpo. Se è saggio Corypheus si nasconderà per ritrovare le forze per un prossimo attacco”. La stanchezza le segnava gli occhi, disegnando sottili rughe sulla pelle liscia. “Ah, vorrei tanto che potessimo dire di averlo sconfitto…”
Un singulto sfuggì dalle labbra di Morrigan e persino Leliana trasalì, guardandola preoccupata.
Cullen fu lesto a prenderla per il braccio e a sostenerla, ma la maga lo allontanò con un gesto; si prese la fronte nel palmo e scosse la testa.
“Non… non si nasconderà. Lui… no, non lui: il drago!” Alzò di scatto lo sguardo e le pupille erano spilli nelle iridi da falco. “Non è un arcidemone, non lo è mai stato: è solo un drago in cui Corypheus h ariversato parte del suo potere”.
“E questo cosa…” le parole di Fedra le si spensero in gola. C’era una luce soprannaturale sul viso di Morrigan e di colpo si ricordò di quanto era felice di non aver bevuto dal pozzo.
“La conoscenza del Vir’Abelasan è… è… ah, grazie per avermela concessa, Inquisitore! Ora so! Quel drago è il segreto per l’invincibilità di Corypheus: uccidiamolo e lo priveremo della sua capacità di saltare da un corpo all’altro. Potremo distruggerlo!”
“E queste cose dove le avresti imparate?” Nel tono di Leliana c’era un misto di sfiducia e vaga invidia, cui Morrigan rispose con un ghigno.
“Me le ha dette Mythal, insieme a qualche altro trucco che ci tornerà utile”.
“Ne parlate come se fosse una cosa da poco: Corypheus è una sfida di per sé, ma con il suo drago…” Cullen si sfregò gli occhi con pollice e indice.
“A quello penserò io. Quando verrà il momento vi chiedo di fidarmi di me un’ultima volta. O una prima, nel tuo caso”, e ammiccò a Leliana. Fece un mezzo inchino e se ne andò con un sorriso enigmatico sul volto, lasciando tutti a fissarla incerti.
Josephine nascose uno sbadiglio dietro alla cartelletta e si voltò verso il cielo notturno.
“Possiamo concederci del tempo per pianificare la prossima mossa. Nessuno degli esploratori ha trovato notizie del nemico, quindi è lecito aspettarci un attacco… ma non adesso”.
“Non adesso, per fortuna. Terrò d’occhio Morrigan, Fedra, perché non sono sicura che ci abbia detto tutta la verità”. Leliana roteò il collo e se lo massaggiò con la mano guantata.
“Di certo non è così, ma prima o poi vi racconterò più nel dettaglio cosa è successo al tempio di Mythal. Ora credo abbiate tutti bisogno di riposare, vero?”
Leliana e Josephine si diressero alla porta trascinando i piedi e Cullen le seguì.
“Buon Creatore, non ho la forza di attraversare il cortile e salire fino al mio letto. Mi troveranno addormentatao sulle scale…”
“Noi andiamo, buona notte!” esclamò con troppo entusiasmo Josephine. Prese Leliana sotto braccio e accelerò, lasciandoli soli in mezzo alla navata principale. Fedra non riuscì a non ridere.
“Serve che ti inviti o possiamo evitarci la formalità?” chiese indicando con un gesto della mano la porta che conduceva ai suoi alloggi. Cullen stese le braccia sopra alla testa e spalancò la bocca in uno sbadiglio da leone.
“Non posso garantirti di riuscire a restare sveglio il tempo di svestirmi”, bofonchiò battendo le palpebre. Fedra provò un sussulto di tenerezza e lo prese per il braccio.
“Per questa notte non approfitterò del povero, sfinito comandante Cullen. Andiamo”.
Cullen tenne fede alla sua parola e si accasciò sul letto dopo essere giusto riuscito a togliersi gli stivali. Era ingombrante, braccia e gambe allargate sul materasso che occupava quasi interamente, e ben lungi dall’essere pulito o presentabile. Fedra sospirò di piacere e si acciambellò contro il suo fianco.
Per quella notte erano al sicuro ed erano assieme. Il resto poteva aspettare.
Si svegliò intorpidita, debole per la nottata a metà e felice nel vedere Cullen rannicchiato all’altro capo del materasso, un bozzolo di coperte da cui sbucava la sommità della testa irta di riccioli scomposti. Felicità che durò il tempo di sentirlo tremare e ansimare piano.
Incubi. Come al solito. Ogni volta le spezzava il cuore vederlo così, ma almeno sapeva di poter fare la differenza; gli mise le mani sulla spalla e lo scrollò.
“Cullen, va tutto bene, svegliati”, gli sussurrò all’orecchio. Al secondo tentativo la sagoma massiccia sotto le sue mani si rilassò con uno sbuffo.
Il materasso sussultò quando Cullen si voltò sulla schiena e batté le palpebre nella luce del mattino.
“Scusa, non volevo…”
“… farmi preoccupare? Smettila, lo dici sempre”, e gli baciò la fronte. Era ancora vestito come il giorno prima e sapeva di cavallo, ma averlo accanto rendeva quel risveglio migliore di quelli degli ultimi giorni. Cullen si alzò stropicciandosi la faccia, goffo e con gli occhi gonfi.
“Faccio schifo e tutti mi vedranno uscire dalla tua camera”.
“E ti dà così fastidio? La parte sul fare schifo, intendo…”
Questo lo fece ridere. Si chinò a darle un rapido bacio a fior di labbra e cercò con scarsi risultati di ravviarsi all’indietro i capelli.
“Ho un esercito da rimettere in ordine, ma ti giuro che questa sera sarò pulito e… accidenti, Fedra, il tuo letto è più comodo del mio!”
Fedra ridacchiò nonostante quel vago malessere che non voleva andarsene e diede dei colpetti con la mano al materasso.

“Ho i miei privilegi, ma c’è spazio in abbondanza per tutti e due”.
Cullen le fece l’occhiolino tutto assonnato e sorrise mentre recuperava gli stivali e scendeva le scale.
C’era da fare, certo, ma Fedra non ne aveva molta voglia. Per qualche minuto rimase distesa a guardare il soffitto, la nausea che diventava fame, e alla fine si risolse a vestirsi e scendere.
La giornata passò lenta. Incrociò ilsoldato Jim che trotterellava alle calcagna di un Cullen di nuovo padrone di sé, pulito e in ordine, e gli sorrise, causando una vampata di rossore nel povero ragazzo.
Tutto sembrava tornato al posto giusto – avere gli amici a portata di mano, essere sicura che stessero bene era un premio senza prezzo, per lei.
Varric doveva pensarla più o meno allo stesso modo, perché quella sera, dopo una cena particolarmente noiosa passata a rimpinzarsi di costolette d’agnello sopra a una pila di rapporti da analizzare, le venne incontro mentre attraversava la navata.
“Eccoti qui, Carota! Ti stavamo cercando tutti!”
Fedra si guardò attorno. Doveva essere piuttosto tardi visto che in giro si vedeva solo un pugno di servitori. Si pulì uno sbaffo di sugo dal mento e sollevò le spalle.
“Cos’è successo questa volta?” Era pronta a preoccuparsi, ma l’espressione allegra del nano non minacciava cataclismi. Varric le mise un braccio attorno alla vita e la spinse con sé.
“Stavamo per cominciare senza di te, ma non sarebbe stata la stessa cosa”.
“Cominciare… cosa, Varric?”
Nessuna risposta. Varric la portò con sé oltre la porta più vicina – quella che era sicura conducesse alla cucina.
Dopo la scalinata in penombra e la dispensa buia, fitta dell’odore dei formaggi lasciati a stagionare e del fumo di legna, la luce gialla delle torce le ferì gli occhi. Fedra colse uno scorcio di travi basse e camino ruggente, tante figure attorno a un tavolo e poi dovette battere le palpebre.
“Eccoti qui! In elegante ritardo, oserei dire”. La voce di Dorian salì oltre un allegro brusio. Fedra ammiccò e li mise a fuoco.
Cullen inclinò la testa di lato e le sorrise, indicandole con un gesto galante della mano la sedia di fronte a lui. Gli avevano lasciato uno sgabello un po’ troppo basso ed era quasi comico vederlo sbucare dal bordo del tavolo.
“Un’idea di Varric, se ci tieni a saperlo. Ma non un’idea malvagia”. Cassandra le fece spazio e quasi finì in braccio a Dorian, che ridacchiò e le diede una spallata amichevole.
“Lo so, sono irresistibile”. Il prevedibile risultato fu un grugnito di disapprovazione, ma c’era un sorriso sulle labbra della Cercatrice. Fedra si sedette tra lei e Josephine, le mani eleganti che mischiavano rapide un mazzo di carte.
Il Toro di Ferro sbucò da dietro una fila di botti, le enormi braccia cariche di boccali. Si fece strada di fianco a Cullen e quasi lo ribaltò dallo sgabello nell’accomodarsi pesantemente al tavolo.
“Non si gioca a grazia malevola con la bocca asciutta”. Cole gli trotterellò dietro, una bracciata di bottiglie precaramente stretta al petto; Varric lo aiutò a posarle in mezzo al tavolo e si sedette vicino a lui, un sorriso da un orecchio all’altro.
Josephine aveva iniziato a dare le carte con gesti rapidi ed eleganti. Cole, appollaiato su una sedia troppo alta all’angolo del tavolo, le scrutò con aria assorta da sotto la testa del cappello.
“Lui ha una corona. E una spada. La sua testa non voleva nessuna delle due”, disse tenendo una carta molto vicina al naso.
“Non parlare con le figure, ragazzino: ti ho spiegato le regole” rise Varric.
“Scusate… scusate, cosa sarebbe tutto questo?” chiese Fedra. Il Toro riempì un boccale e glielo passò – Cassandra si corrucciò ma non fece commenti mentre Fedra vi seppelliva il naso.
“Una serata tra amici”. La risposta di Dorian fu semplice, diretta. Nessuna affettazione, solo la verità che gli inclinava le labbra in un sorriso gentile. Cullen annuì.
“Ne avevamo tutti bisogno, e tu più degli altri. Sai giocare a grazia malevola, no?”
Qualcosa di caldo sbocciò nel petto di Fedra e per un attimo riuscì solo a bere in silenzio.
Ne aveva bisogno eccome, e neanche se n’era resa conto. Mesi ad avere paura, mesi di tensione e attesa e morte… eppure erano ancora tutti lì. Non si era aspettata che Leliana o Solas partecipassero, men che meno Morrigan, eppure sapeva che li avrebbe trovati se avesse avuto bisogno di loro.
Gli occhi dorati di Cullen scintillarono, fissi nei suoi.
Lui sapeva. L’aveva vista cavalcare via troppe volte e aveva pregato per un suo ritorno, aveva anche lui trovato amici nel momento più oscuro e pericoloso.
Fedra ingoiò un sorso di vino e un nodo di lacrime e si leccò le labbra mentre un sorriso spontaneo e leggero come non ne aveva da tempo le fioriva sul volto.
“Avete sfidato la Trevelyan sbagliata. Ci sono taverne a Ostwick dove non mi lasciano neanche più entrare!”
Il Toro ruggì una risata e picchiò il pugno sul tavolo così forte da far sussultare i boccali.
“Questa non me l’aspettavo. Mi piace!”
Josephine finì di dare le carte e inclinò la testa di lato.
“Mai scommettere contro un’Antivana, Fedra. Potresti pentirtene”.
Tutti scoppiarono a ridere, a parte Cassandra che guardava minacciosa la mano di carte e brontolava sotto voce.
Josephine frugò nel borsello alla cintura e ne estrasse una manciata di monetine.
“Allora, signori, pronti a perdere in maniera umiliante?”
La sera diventò notte e le candele piantate sul tavolo si consumarono per metà.
Per la prima volta in tutta la sua vita Fedra si sentì del tutto a casa. Varric aveva raccontato una storia su un’irruzione a Chateau Haine cui aveva partecipato anche Hawke e per qualche minuto nella stanza ci fu solo il suono quasi ipnotico della sua voce. Era un narratore nato e Fedra rubò un’espressione rapita sul volto di Cassandra. Poi fu il turno di Cullen e di un aneddoto su un giovane Templare molto convinto di sé nonostante l’assenza di vestiti; forse era la tensione che l’abbandonava, forse aveva bevuto troppo, ma ascoltare le risate convulse e la voce spezzata dall’ilarità di Cullen mentre si sforzava di finire la storia la fece quasi cadere dalla sedia dal ridere.
Era perfetto.
Il Toro fece un altro giro di saccheggio delle cantine e Cassandra si portò via il boccale di Fedra.
“Per te basta così”.
“Ma non sono neanche un po’ brilla!”
“Meglio. Giochiamo, va bene?”
Le carte erano state una scusa per stare assieme, ma a fine partita Fedra ammirava con orgoglio la pila di monete di rame davanti a sé, poco più alta di quella di Josephine. Tutti gli altri erano a secco.
“Una degna avversaria, Inquisitore, devo rendertene atto. Saresti l’orgoglio di Antiva!”
“Non ci posso credere, non posso aver perso così male!” Cullen sollevò le braccia e le lasciò ricadere. “Voglio una rivincita!”
“E con che soldi? Mi sembri al verde, comandante”. Dorian si fece roteare una delle monete di Fedra tra le dita scure e la lanciò in aria.
Gli occhi di Cullen si strinsero in una feroce determinazione. Aveva bevuto parecchio e c’era uno scintillio nello sguardo che prometteva parecchie cose interessanti; fissò Fedra e contrasse la mandibola.
“Tutto per tutto, allora”. Si slacciò il mantello e lo appallottolò sul tavolo.
“Stai scommettendo i tuoi vestiti? Non dovresti, hai perso tutto fino a ora, rischieresti di rimanere…”
“Carte”. Il tono definitivo di Fedra interruppe Cole.
“Ricciolino, sei sicuro? Queste cose vanno a finire malissimo…”
“Hai sentito la signora, Josephine? Carte”.
L’alcol aveva richiesto un pagamento e un po’ tutti, a parte Fedra – costretta da Cassandra – e Cole avevano le guance rosse e la voce impastata.
“E carte siano, allora”. Le eleganti mani scure di Josephine raccolsero le carte e le passarono a Fedra. “Sei di mazzo”.
Non avrebbe dovuto farlo, era scorretto, meschino. Così divertente che quasi se ne sentì in colpa.
Fedra però non aveva passato l’adolescenza nelle peggiori bettole, scappando dal controllo dei suoi istitutori, senza imparare niente. Il mazzo guizzò tra le sue dita mentre lo mescolava con gesti un po’ trppo scenografici senza mai perdere di vista l’ultima carta.
Era un trucco banale, ma per chi non lo conosceva impossibile da identificare.
Diede le carte e non si stupì nel trovarsi in mano tre re.
Tutto come previsto.
Cullen si mordicchiò il labbro e sghignazzò.
“Allora, Inquisitore, cosa fai?”
Era un disastro a quel gioco, incapace di mantenere la faccia impassibile. Anche senza barare sarebbe stato un avversario fin troppo facile.
“Alzo. Due di rame”, e le spinse al centro del tavolo.
Da lì fu un massacro. Cullen perse una mano dietro l’altra… e un indumento dietro l’altro.
Fedra gli chiese più volte se voleva fermarsi e alla fine smise di truccare il mazzo. Si meritava almeno una chance! Niente da fare: Cullen insisteva per altre carte nella vanasperanza di recuperare qualcosa.
Almeno le braghe.
Almeno la dignità.
Alla fine se ne rimase nudo come un verme a fissare Fedra negli occhi con uno sguardo letale.
“Abbiamo cercato di dissuaderti”, disse Josephine tra uno sbuffo di risa e l’altro.
Dorian si sporse con noncuranza e sbirciò sotto al tavolo; l’occhiolino di congratulazioni che fece a Fedra non passò inosservato e Cassandra seppellì il viso tra le mani.
Era splendido, come sempre, oro e pelle candida arrossata dall’imbarazzo – e, a giudicare dalle dimensioni delle pupille, anche da qualcos’altro – e occhi che si bevevano i suoi.
“Divertita?”
“Qualcos’altro”, gli rispose in un soffio. Cullen strinse le labbra e allargò le narici per la frustrazione.
Non mi stai aiutando! Disse in silenzio muovendo solo le labbra.
Nessuno riusciva a rimanere serio e dietro il contegno di Cullen si agitava qualcosa di molto giovane e spensierato che Fedra non aveva mai visto prima. Che adorava.
Il Toro, che si era accasciato sul tavolo, grugnì e sollevò la testa pesante.
“Altro giro?”
“Meglio di no”, disse Cassandra. Si alzò e tenne lo sguardo ostinatamente lontnao da Cullen. “Andiamo, non voglio assistere alla parata della vergogna del nostro comandante fino alle caserme”.
“Be’, io sì!” disse Dorian con un gran sogghigno.
Uno dopo l’altro tutti si alzarono; Fedra rimase sola con Cullen e i suoi vestiti in disordine sul tavolo.
“Non posso…”
“No, sarebbe scorretto”. Gli fece la linguaccia e ricevette in cambio un brontolio in perfetto stile Cassandra. “Ma puoi salire da me. È più vicino e la tua mancanza div estiti sarebbe molto gradita”.
“Questa me la paghi!”
“Non vedo l’ora”. Cullen avvampò, cercò invano di coprirsi con le mani e corse via, strappando un coro di risate quando passò di fianco al resto del gruppo sulle scale.
Fedra scosse la testa e si arrotolò una ciocca dietro all’orecchio.
Ne aveva avuto bisogno, era vero, e nonostante fosse tardi e le bruciassero gli occhi per la stanchezza si sentiva carica e viva come non le capitava da troppi mesi.
Si chinò in avanti e spense le candele con un soffio, lasciando le monete sul tavolo. Un qualche sguattero avrebbe trovato una sorpresa ad attenderlo al mattino e la sua giornata sarebbe migliorata.
Quando si voltò però si accorse di non essere sola. Varric era appoggiato al camino, braccia conserte e un sorriso obliquo sul volto squadrato.
“E’ stata una tua idea, vero?” gli chiese piano.
“Non lo nego. Sai, sono felice che tu ti sia unita a noi, questa sera. A volte è facile scambiarti per l’Inquisitore…”
Fedra sollevò le sopracciglia e Varric scosse la testa.
“… e dimenticarsi che sei soprattutto Fedra”.
Ecco cos’era quel senso di leggerezza: per quelle poche, magnifiche ore non si era portata sulle spalle il peso del suo titolo. La gratitudine minacciò di farla scoppiare a piangere.
“Varric, grazie. Non so cosa ho fatto per meritarmi amici come voi ma… grazie”.
“A parte farti in quattro per salvare il mondo? Ah, non pensarci, Carota. Ora però vai a consolare quel povero ragazzo; quando tutto sarà finito dobbiamo farci un’altra partita, Ricciolino si merita di riguadagnarsi la sua dignità”. Le diede una manata sulla schiena e se ne andò fischiettando.
Fedra, anche se stanca e con gli occhi pesanti, era felice.
E per quella sera Cullen poteva fare a meno della sua dignità.

 

Quando Fedra si alzò il mattino successivo, sempre più stanca ma con un sorriso nell’osservare Cullen che si rivestiva ai piedi del letto, sentì qualcosa brillarle dentro.
Era solita paragonare l’amore per il suo comandante a una stella, ed era ancora così, ma dopo quell’ultima sera si rese conto che ormai dentro di lei c’era un firmamento di luce. Non era sola e quella rete di emozioni la sosteneva da quando aveva cominciato a tendersi, ormai quasi un anno prima, nelle viscere di Haven.
Bastò, per qualche tempo. L’attesa di notizie era più tollerabile da quando quella tensione interna le si era allentata, ma non durò a lungo.
Iniziarono ad arrivare corvi, messaggi neri come le ali che li portavano.
Nessuna notizia di Corypheus o del suo drago, ma pattuglie di Venatori che battevano le campagne, villaggi dati alle fiamme da Templari Rossi allo sbaraglio.
Tutto contribuiva a ricordarle che erano ancora in guerra. Fedra mandò le Furie a spazzare via le forze che minacciavano i profughi nelle Terre Centrali, e al loro ritorno persino Madre Giselle andò a stringere le mani graffiate e contuse del Toro, commossa per quello che in tutte le taverne venne cantato come eroismo senza pari.
Avrebbe dovuto esserne felice, ma quando vide Josephine correre incontro a Krem, un braccio al collo e l’altro sulle spalle di un compagno, e mordersi le labbra per non piangere si rese conto che erano ancora in pericolo. Tutti loro.
Il peso si aggravò giorno dopo giorno, una cappa nera che le sistringeva addosso e che divenne quasi insopportabile quando durante una notte insonne si ritrovò a camminare per i cortili di Skyhold, con l’aria fredda d’autunno che allontanava la nausea costante.
La penombra era morbida, interrotta solo dal bagliore della luna che disegnava forme di oscurità tra i rami degli alberi. Fedra non era riuscita a chiudere occhio, Cullen era stato impegnato fino a tardi con gli altri generali e lei si era ritrovata a girarsi e rigirarsi tra le coperte, incapace di calmarsi. Quella passeggiata notturna non stava aiutando. Troppi pensieri, paure che non la lasciavano stare e che le spezzavano anche il fisico. Si passò una mano sullo stomaco e svoltò oltre l’angolo, dove si fermò di colpo.
Sul pavimento davanti a lei una lama di luce gialla illuminava le pietre; Fedra la seguì fino a una porta socchiusa oltre cui giungeva una voce sommessa. Una voce ben nota.
“Nonostante tutto davanti a me sia tenebra il Creatore è la mia guida. Non rimarrò a vagare da solo sulle vie dell’Oltre”.
Qualcosa ebbe un sussulto nel profondo di Fedra. Si avvicinò in punta di piedi e socchiuse la porta.
Cullen era in ginocchio, circondato da candele, le mani giunte davanti alla fronte.

Si sentì di colpo fuori posto. Quello era troppo intimo persino per lei, ma non riuscì ad allontanarsi mentre un nodo di commozione le stringeva la gola.
“Poiché non c’è oscirutà nella luce del Creatore e nulla di ciò che Egli ha creato andrà perduto”. Un tremito nella voce, il battito d’ali di una farfalla. Fedra si coprì la bocca con la mano e strinse gli occhi contro quelle lacrime che ultimamente erano sempre pronte a traboccare.
Mai piaciuti gli dei. Mai avuto nessun interesse per chiunque quella statua dalle mani protese, abbracciata da tralci d’edera, rappresentasse. Eppure in quel momento, tra le fiammelle vibranti delle candele e l’aria che sapeva di pulito e di cera sciolta, qualcosa le toccò il cuore.
“Pensi che dovrei pregare anche io per te?” chiese prima di riuscire a fermarsi. Cullen si voltò con un mezzo sorriso.
“Prego per chi abbiamo perso”. Si alzò e si spazzolò le ginocchia, per nulla infastidito dalla sua presenza, ma quando alzò gli occhi su di lei Fedra vide le profondità della paura in fondo ai suoi occhi. “E per chi ho paura di perdere…”
“Paura? Tu?”
“Già. Ho… ho paura ogni giorno, ogni singolo istante della mia vita. Sarei un pazzo a non averla, dopo aver visto cosa Corypheus è in grado di fare”.
Fedra gli si avvicinò e gli sfiorò i capelli, sistemando un ricciolo ribelle sulla tempia. Provò a sorridergli ma senza successo.
“E io cos adevo dire? Sono molto meno coraggiosa di te…”
“Ormai è solo questione di tempo prima che Corypheus torni ad attaccare di nuovo. Dovremmo prepararci a qualsiasi evenienza e…” Cullen chiuse gli occhi e si premette la mano di Fedra contro la guancia. Aveva le sopracciglia contratte, un’espressione simile al tormento durante i suoi incubi. “Quando verrà il momento dovrai gettarti di nuovo sul suo cammino e… e che Andraste abbia pietà di me, io dovrò mandarti da lui”.
Un singhiozzo muto gli strozzò la voce e Fedra, incapace di respirare, si gettò contro di lui. Le braccia forti la avvolsero e una mano le afferrò i capelli sulla nuca, tenendola stretta contro il petto che si alzava e abbassava in fretta in un respiro affannato.
“Non riesco a pensarci, Cullen. Non ho mai avuto così tanto da perdere”. Si morse il labbro e cercò di soffocare un gemito di pura angoscia contro il pelo del mantello. Cullen tirò su col naso e le seppellì il viso tra i capelli.
“Qualunque cosa accada tu tornerai”, le ringhiò piano all’orecchio. “Non posso permettermi di pensare a un finale diverso”.
Rimasero a lungo in quell’abbraccio disperato e alla fine Fedra si scostò, asciugandosi gli occhi con il palmo della mano. Le scappò una mezza risata tremula.
“N-Non volevo farti preoccupare”.
Cullen le sistemò i capelli dietro alle orecchie e scosse il capo.
“Permettimelo, ogni tanto. Di solito lo fai tu”.
Appoggiò la fronte contro la sua; accarezzati dalla luce delle candele restarono fermi fino a che la marea della paura non si fu ritirata.
Ma non sparì mai del tutto.

 

Pochi giorni dopo, seduta sulla panca nella sala di guerra, tensione e paura tornarono tutte intere.
Cullen si chinò sulla mappa e la fissò, quasi disgustato.
“Almeno su questo siamo d’accordo: Corypheus va trovato prima che lui trovi noi. Skyhold può reggere un assedio, ma non ci tengo particolarmente a rischiare la vita della nostra gente per nulla”.
“Nessuna novità sulla sua base. L’abbiamo cercata in lungo e in largo senza nessun risultato”. Fedra si accartocciò la treccia nel pugno e la strattonò.
“Sì ma quel drago deve pur avere una… una tana, qualcosa del genere, da qualche parte! Non è un piccione!” Cullen tirò una manata a una delle pedine e sbuffò.

“Io dico di rivolgerci a Orzammar. Non abbiamo notizie da troppo tempo e se si fosse diretto verso le Vie Profonde…” Josephine si passò la piuma sotto il naso e sternutì. Leliana scosse la testa.
“Mi sembra improbabile, ma non dirò mai di no a un tentativo diplomatico”.
Fedra si accasciò un po’ di più contro il tavolo.
Avere Corypheus appollaiato sulla spalla non era per niente una prospettiva gradevole, ma sentirsi braccati senza avere la minima idea su quale minaccia li avrebbe colpiti e da dove era forse anche peggio. Mugugnò e si premette i pugni sulle orbite.
“Non ne posso più. Si può sapere dove si è andato a cacciare quello stronzo?”
Josephine sospirò.
“Potremmo provare a…”
Accadde all’improvviso. L’ancora sul palmo di Fedra pulsò in maniera brutale e le strappò un grido, ma prima ancora che potesse riaprire gli occhi un lampo immenso di luce verde invase la stanza.
Sollevò il viso con una smorfia e vide i tre consiglieri paralizzati dall’orrore sotto quella luminosità malsana.
All’improvviso Fedra rivisse l’incubo da cui Solas l’aveva strappata dopo il Conclave, la follia di Invidia e il puro terrore di fronte al varco, all’Oblio. Con la mano che lanciava saette e sfrigolava fino al gomito si alzò lentamente e andò alla finestra.
Non poteva respirare e un alone nero le si stringeva ai margini degli occhi; si aggrappò all’arco di pietra, fronte contro il vetro freddo, mentre l’orrore la invadeva.
Le nuvole in cielo si torsero e deformarono in spire, in un turbine folle attorno a un occhio splendente.
A un altro varco, identico a quello che era sbocciato sul Tempio delle Sacre Ceneri, proprio nello stesso punto.
“Ci ha trovati”, mormorò Cullen.
“Come ha fatto?” chiese Josephine. La voce le tremava e la cartelletta era per terra, i fogli sparsi dappertutto.
“E soprattutto perché?” Persino leliana non sembrava calma come al solito. Skyhold esplose di grida e panico e Fedra sentì le gambe cedere. Cadde in ginocchio e Cullen non la prese in tempo.
“Se… se non lo chiudiamo di nuovo…” La voce le uscì spezzata mentre stritolava le dita di Cullen nel rialzarsi.
“Ingoierà il mondo”.
Lo shock si depose su di loro, un peso letale da portare.
“Fedra, dobbiamo portare via questa gente. Devo…”
“Vai”, riuscì solo a dirgli, ancora appoggiata al muro. Cullen era esangue, pupille dilatate e muscoli contratti sulle mandibole.
Alzò lo sguardo verso il varco e marciò via sferragliando. Fedra non riuscì a seguirlo; vide solo lo sguardo che Leliana e Josephine si scambiarono, e quest’ultima fermare Cullen sulla soglia e dirgli qualcosa. Lui annuì e si chiuse la porta alle spalle, lasciandole sole.
“Devo farlo di nuovo. Non so se ne ho la forza” disse piano Fedra. Si sentiva sul punto di vomitare e non riusciva a guardarsi la mano sinistra.
Le smebrava di sentire di nuovo la tensione in ogni nervo, lo strappo mentre l’Oblio si fondeva con la sua carne e il velo si richiudeva.
Sapeva che questa volta non ce l’avrebbe fatta.
“Fedra, siediti”. La voce di Leliana non ammetteva repliche e lei era troppo sconvolta per opporsi. Si lasciò cadere sulla panca e guardò fuori, verso il nuovo gorgo nelle nuvole. Josephine le si sedette dall’altro lato e le prese la mano, nascondendo tra le sue dita macchiate d’inchiostro il marchio luminoso.
“Fedra, dobbiamo parlarti”.
“Cos’altro c’è? Io n-non credo che riuscirò a sopportare nient’altro”.
“Probabilmente no, ma avremmo dovuto dirtelo prima e adesso non possiamo più evitarlo”.
La porta si spalancò e andò a sbattere contro il muro, preannunciando l’arrivo di Cassandra, scarmigliata e con le guance rosse.
“Non provate neanche a pensare di mandarla contro quella cosa, non nelle sue condizioni!”
Leliana la fronteggiò e tese una mano.
“Cassandra, non abbiamo alternative. E poi lei non sa che…”
“Quali condizioni? Sono solo sconvolta come tutti noi per quella merda di buco verde nel cielo!”
Con un calcio Cassandra si chiuse la porta e il panico della fortezza alle spalle. Avanzò a lunghi passi fino alla panca e si accucciò a terra, ma Leliana cercò di fermarla con un gesto.
“Ti prego, cerca di avere un po’ di tatto, sono notizie delicate che…”
“Ma la volete finire? Cosa c’è di peggio che…”
Cassandra ringhiò.
“Sei incinta, ecco cosa c’è”.
“Tatto. Avevo detto di avere tatto”. Leliana sbuffò dal naso e alzò gli occhi al cielo.
Fedra sentì la bocca aprirsi lentamente e le mani di Josephine stringerla più forte.
“Siete diventate sceme tutte quante?”
“No, ma tu forse sì se in questi tre mesi e mezzo non te ne sei accorta!”
Cassandra si alzò e Fedra fece altrettanto, così di scatto da strapparsi dalla stretta di Josephine e far quasi ribaltare la panca.
“Ma sei impazzita, Cassandra? Mi sarei accorta se fossi stata… insomma, ci siamo capite”.
“Fedra, non conosco un modo più discreto per chiedertelo, ma sono settimane che salti il ciclo della luna”. La voce di Josephine era rotta, sull’orlo delle lacrime.
“Non diciamo cazzate! Io non…”
“Conta allora. Dimmi che abbiamo torto”. Leliana incrociò le braccia e la guardò dall’alto, implacabile ma con una tenerezza spaventata nello sguardo che non le aveva mai visto.
Fedra scosse la testa.
“Tutto questo è assurdo. Semplicemente assurdo, non ci si può aspettare che con tutto quello che sto passando il mio corpo funzioni come… come…”
“Dopo Adamant sei tornata e hai iniziato a essere strana. Cole… Cole se n’è accorto”. Cassandra deglutì rumorosamente e si morse il labbro. “Due Cuori”.
Le girava la testa. Non era possibile, il suo cervello e il suo cuore si rifiutavano anche solo di contemplare l’idea. Non lì, non in quel momento, con il cielo squarciato e il mondo che stava per finire.
Semplicemente no.
E poi una piccola voce le parlò all’orecchio. La sua coscienza.
Era vero e lei non ci aveva mai fatto caso. Non le era per niente spiaciuto risparmiarsi il fastidio dei crampi e degli sbalzi d’umore durante le infinite marce con le truppe e aveva avuto altro a cui pensare per far troppo caso al costante, sottile malessere degli ultimi tre mesi.
Tre mesi.
Il fiato le uscì dai polmoni e piccole esplosioni bianche le annebbiarono la vista. Si afferrò il basso ventre con le mani e barcollò, e un attimo dopo era di nuovo seduta con Cassandra che le teneva le braccia.
“Non sapevo come dirtelo. Non sapevamo come fare, in effetti, ma… Fedra, dovevi saperlo. Odio che sia dovuto succedere così”.
“Io… noi aspettiamo…”

“Avremmo dovuto parlartene prima, ma non è un discorso facile da fare. Perdonaci”, disse Josephine. Aveva gli occhi molto lucidi e le tremavano le labbra.
Fedra si piegò in avanti e oscillò avanti e indietro.
Incinta.
Lei.
Nel terrore abbietto del momento si fece strada il pensiero più sbagliato e dannoso che potesse venirle in mente.
Un bambino. Riccioli biondi, lentiggini sul naso.
“No!”
Gridò così forte da far trasalire Cassandra e la spinse via balzando in piedi. Iniziò a camminare avanti e indietro per la sala tirandosi i capelli.
Era fottuta. Non poteva permettersi di essere incinta in quel momento, era la cosa peggiore che potesse succederle – a parte Corypheus, e stava succedendo pure quello.
No, no, peggio: non sono solo incinta. Io e Cullen aspettiamo un figlio, è molto più grave.
Il varco andava chiuso, e anche in fretta. Non poteva aspettare e se non fosse stato per quella riunione tra donne sarebbe già stata a cavallo, volente o nolente.

Aveva a stento il coraggio di affrontare l’Oblio, in quel momento. L’idea di irrompere da Cullen durante la preparazione delle truppe era davvero eccessiva.
Si fermò e puntò il dito contro Cassandra.
“Era questo che volevi dirmi alle Selve Arboree”

“Sì. Non ci sono riuscita”.
Annuì una volta. Una freddezza a lei sconosciuta scese a coprirle i pensieri e cancellò la scintilla di gioia delirante scoccata alla comparsa di un viso tondo e sconosciuto che ancora non esisteva neanche, guance paffute e occhi blu. Via quel sogno, via quella prospettiva che tanto non si sarebbe mai realizzata. Fedra strinse i pugni e raddrizzò la schiena.
“Non deve saperlo. Cullen non deve saperlo in nessun caso”.
Leliana sembrava poco meno che inorridita.
“Come puoi tenerglielo nascosto? È suo diritto, è il padre di vostro figlio!”
Fedra si voltò verso di lei con i denti scoperti.
“E cosa pensi succederà se glielo dici adesso, con una minaccia impellente e Corypheus alla porta? Cosa farà se non cercare di tenermi al sicuro e condannarci tutti quanti?”
Josephine emise un verso strozzato e cercò di avvicinarsi.
“Ma il bambino…”
“Il bambino potrebbe non sopravvivere alla battaglia, certo, ma se non vado laggiù”, e indicò con una mano tremante il cielo sfregiato, “moriremo tutti di sicuro!”
Le lacrime le scendevano in torrenti sulle guance.
“Vi prego, fate che almeno questo non sia reale, almeno per un po’. Aiutatemi a portare questa colpa perché da sola non posso riuscirci”.
La voce le si spezzò in singhiozzi isterici e Cassandra la avvolse tra le braccia, dandole un brusco, quasi doloroso bacio sulla fronte.
“Odio tutto questo. Meritavate di meglio. Lo meritavamo tutti noi”.
Doveva tenere duro ancora una volta. Lei, che si era sentita quella fragile, quella mancante in tutto in quel gruppo di eroi e combattenti e strateghi. Lei che ora si scostava Cassandra dalle braccia e, tirando su brusca con il naso, le asciugava una lacrima dalla guancia sfregiata.
Sorella di scudo. Amica.
“Questa conversazione non è mai avvenuta”. Si voltò verso Leliana e Josephine, sotto choc quasi quanto lei e si morse il labbro. “Siete con me?”
“Fino alla fine, Inquisitore”, disse Leliana. E per la prima volta Fedra vide le lacrime negli occhi freddi dell’Usignolo.
Quelle parole non sarebbero mai uscite dalla sala di guerra, ma mentre Fedra superava la porta non poté che appoggiarsi furtivamente una mano sul ventre.
Perdonami, pensò forte, e nemmeno lei sapeva a chi stesse parlando.

   
 
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