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Autore: TheLoneDarkness    21/03/2017    2 recensioni
Il Sangue di Drago è ormai leggenda, Skyrim non è più quella di un tempo, l'orgoglio nord è sopito ormai, ma non distrutto. Saewen è una ragazza che vive a Solitude, sembrerebbe una comune ragazza, se non presentasse tratti tipici di Aldmeri e Nord. Sebbene la ragazza non sia una nord, trascorre molto tempo a immaginare le storie del passato, ascoltare leggende sul Sangue di Drago e a sembrare una nord. In un clima di tensione tra Impero e Thalmor, ribellioni e il ritorno di alcuni draghi, quale ruolo avrà questa fanciulla? E soprattutto, quale legame ha con Alduin e il Sangue di Drago?
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Si avvicinò di nuovo alla bandiera. Lei era nata trenta anni dopo gli eventi del sangue di drago e della guerra civile, dieci anni dopo la seconda guerra, perciò non aveva mai visto la Skyrim di un tempo, non conosceva le leggende e la cultura di quel paese, che gli Aldmeri avevano messo a tacere. Quello che conosceva, lo sapeva per aver ascoltato alcuni bardi nelle taverne, ma non era certo che quello che raccontavano fosse vero: ormai il sangue di drago era diventato una leggenda e le sue gesta erano state talmente cantate da essere in parte inventate.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alduin, Altri, Vilkas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Alla volta di Falkreath! -
 
 
 

Venduta a Siddgeir?
Saewen guardò lo jarl dal giovane aspetto del Falkreath. Sedeva comodo sulla sua poltrona, in una posizione che molti avrebbero ritenuto arrogante e irrispettosa. Era semisdraiato sulla poltrona a gambe accavallate, il gomito era posato sulla tavola, accanto al piatto di porcellana e aveva la testa appoggiata su una mano. Sembrava osservarla davvero interessato.
Saewen tremò. Non era una cosa da vera nord. Ma lei non era una nord. Non voleva andare con lui. Assolutamente no. cercò di reprimere le lacrime che stavano per uscire dai suoi occhi verdi. Avrebbe voluto correre via, ma era immobile, pietrificata. Possibile che Siddgeir l’avesse comprata? Non temeva che fosse una spia? Forse era troppo stupido per farlo, non aveva l’aria molto intelligente. Cosa ne voleva fare di lei.
Saewen non fece caso alla faccia stupita dello jarl, né ai volti intimiditi dei commensali che erano a Solitude da almeno una settimana per il ricevimento, o a quelli adirati dei Thalmor. Non fece caso alle fiammelle che si stavano spegnendo tutto ad un tratto e all’aria che si stava facendo improvvisamente calda e pesante, né fece caso alla strana alimentazione del fuoco del camino. Saewen era paralizzata dal suo terrore, incapace di muoversi o di controllarsi. Aveva gli occhi sbarrati e stava tremando. Quasi non udì le urla, né vide l’incendio che si stava diffondendo dal caminetto. Era come se il tempo si fosse fermato.
Si destò da quella sorta di torpore dettato dal terrore quando sentì dolore alla guancia sinistra e cadde per terra. Hùldaer era sopra di lei, le stava premendo il piede sullo stomaco, e aveva impugnato un pugnale. Il suo volto era un misto tra odio e terrore.
 “Immagino che io non possa ritrattare”, disse Siddgeir.
 “Immagino di no”, sibilò Hùldaer, mentre si accingeva a colpire la ragazza col pugnale.
 “Allora permettetemi di farvi notare che la fanciulla è di mia proprietà”
 “Non avete completato il pagamento”
Siddgeir lanciò una borsetta piena d’oro sul tavolo, in direzione di Mìrdan.
 “Era parte dell’oro del viaggio. Credo siano circa settecento pezzi d’oro”, disse Siddgeir, e Saewen capì che stava nascondendo qualcosa.
Mìrdan controllò le monete.
 “Adesso mi farebbe piacere che lasciaste in pace la mia serva”, disse Siddgeir.
Saewen si riprese e capì cosa era successo. Il suo sangue aldmero le permetteva di avere una riserva di magicka molto superiore rispetto alle altre razze, nonché delle capacità magiche sopra la media. Nessuno le aveva insegnato a lanciare incantesimi, ma era riuscita a imparare i rudimenti grazie alla lettura di alcuni libri. Tuttavia, a volte non riusciva a controllarsi e combinava dei disastri senza poterci fare nulla, come in quel momento.
Si alzò lentamente, sistemandosi la veste da serva. Guardò Siddgeir, spaventata. Sapeva che lo jarl era un tipo frivolo che lasciava ai suoi sottoposti il compito di amministrare le terre. Cosa volerne fare di lei, le pareva ovvio.
  “Fuori dal castello troverai una mia guardia fidata. Ha lo stemma del Falkreath impresso sull’armatura, non ti sbaglierai. Digli che ti mando io, spiegagli in breve cosa è successo, ti condurrà al nostro accampamento.”
Saewen dette un’ultima occhiata al Palazzo nel quale era cresciuta. Cosa le sarebbe accaduto, ora? Come le aveva detto Ayral, lei godeva di una vita diversa dagli altri servi, per esempio le era permesso di mangiare insieme a Mìrdan e Hùldaer, ma cosa sarebbe successo da quel momento in avanti?
Con un sospiro, Saewen si voltò di spalle e si avviò verso l’uscita. Aprì quel grande portone che tante volte aveva spalancato, con la consapevolezza che sarebbe stata l’ultima volta.
Si guardò intorno, era già sera e la città era illuminata dalla luce bluastra della luna e delle stelle. Al buio non riusciva a vedere bene.
 “Sei tu?”
Una voce le fece capire che i suoi sospetti riguardanti il fatto che la compravendita non fosse stata casuale, o meglio, che Siddgeir avesse già programmato il suo acquisto, iniziavano a rivelarsi fondati. Ma come poteva sapere di lei un uomo del Falkreath?
Si voltò in direzione della voce e vide un uomo alto e muscoloso, vestito di armatura a borchie. Lo stemma rappresentato dal cervo dalle corna ramificate che si abbracciavano tra loro era posto sul petto, all’altezza del cuore. L’uomo, che portava una corta barba nera e i lunghi capelli spessi e folti riuniti in una coda, la stava squadrando coi suoi occhi neri leggermente incavati. Portava attaccato alla cintura uno spadone d’acciaio, e sulle spalle un grande arco e una faretra.
Saewen aprì e chiuse la bocca, poi si ricordò di quello che le era stato ordinato.
 “Jarl Siddgeir mi ha detto di riferirvi che sarei venuta qui, perché lui mi ha…”, le si spezzarono le parole in bocca. D’un tratto non riuscì più a trattenere le lacrime, nemmeno per ubbidire a un ordine, arricciò le labbra che iniziarono a tremare, come anche il corpo, e non solo perché era freddo. Gli occhi le si inumidirono e fredde lacrime le solcarono le gote lisce e rosee.
 “Ho capito. Non ti preoccupare. Vieni, sta’ al mio fianco”
Piangendo, la ragazza lo seguì.
 “Sta’ tranquilla, non temere. Quando arriveremo, ti darò una coperta calda e potrai riposarti”.
Quando notò che Saewen non rispondeva, l’uomo continuò a parlare.
 “Il mio nome è Kiytald. Sono un generale dell’esercito del Falkreath, nonché guardia personale di jarl Siddgeir. Come ti chiami, signorina?”
 Saewen strinse le labbra.
 “Saewen”, sussurrò.
 “È un nome molto bello. Alquanto eufonico, a mio dire. Noi nord preferiamo suoni più duri”
 “Io sono una nord”, affermò Saewen, pur sapendo di avere detto una stupidaggine. Era cresciuta tra i Thalmor, e Hùldaer non era certo stato un esempio di persona buona e magnanima, come il maggior numero dei Thalmor. Così Saewen aveva iniziato ad osservare i nord, e a trovare affascinanti certi loro comportamenti.
Kiytald ridacchiò di cuore.
 “In tal caso, scusami, signorina. In effetti, Saewen è un nome da vera nord”
La ragazza si stupì delle parole dell’uomo: per la prima volta qualcuno non la aveva presa in giro. Guardò l’uomo mentre si incamminavano nella discesa che conduceva al fiume, e quasi si calmò.
 “Non sono mai stato a Solitude in tutti i miei cinquantaquattro anni della mia esistenza. È davvero una bella città”
Saewen sorrise.
 “Mi piace Castel Dour”, disse.
 “Il vecchio quartier generale degli Imperiali. Ritengo che noi del Falkreath siamo davvero fortunati ad essere sotto la loro protezione”
 “Probabilmente avete ragione”.
Erano arrivati all’accampamento. C’erano davvero poche tende, solo tre delle quali erano molto grandi.
Kiytald indicò alla ragazza la tenda centrale, dicendole che era la sua. Saewen vi entrò dentro, circospetta. Al centro c’era un giaciglio che pareva davvero molto comodo, sul quale erano ammassate alcune coperte. In un angolo, erano stati riuniti alcuni abiti, mentre sul lato destro c’erano alcuni viveri e bevande. Saewen si versò un bicchiere d’acqua, e iniziò a berlo lentamente. Si sedette davanti ad un piatto di insalata e si accarezzò i capelli. Questa era la prova che era stato tutto programmato, ma non poteva chiedere nulla allo Jarl. Mangiò lentamente l’insalata, poi si sdraiò sul giaciglio, sciogliendosi i capelli. Si accarezzò le orecchie che tanto odiava. Era per colpa loro che si trovava lì.
 
Per quanto ci avesse provato, quella notte non era riuscita a chiudere occhio. Perché Siddgeir l’aveva comprata? Cosa ne avrebbe fatto di lei?
Qualcuno aprì un poco l’entrata della tenda.
 “È ora di partire, signorina”
Saewen si stiracchiò, gettò da una parte le coperte e rovistò tra gli abiti perfettamente piegati che le erano stati dati la sera prima. Ne trovò uno abbastanza comodo, che era solo una veste di cuoio e un paio di pantaloni attillati neri. Si acconciò i capelli con due treccine ai lati della testa ed uscì. L’aria fresca le sferzò il volto: se alzava lo sguardo poteva vedere Solitude troneggiare dalla grande roccia su cui era stata edificata. Guardò in direzione di Castel Dour, e quasi le parve di vedere quella vecchia bandiera sventolare per lei un’ultima volta.
Abbassò lo sguardo e sussultò.
Siddgeir era davanti a lei. La prima cosa che la ragazza vide fu la tiara verde smeraldo che fungeva da corona, poi il volto severo ma frivolo, per quanto possa sembrare un ossimoro, e i capelli perfettamente lisciati e pettinati all’indietro. Accanto a lui c’era Kiytald, che la guardava con le muscolose braccia incrociate.
 “Come posso servirvi, signore?”, chiese Saewen con una nota di disagio.
 “Vedo che sei bene abituata. Per ora non mi servi a nulla, devi seguirci durante il viaggio. Sarà lungo, signorina. Arrivati a Falkreath ci divertiremo”
Saewen deglutì. Per un attimo pensò di fuggire, ma per andare dove?
Kiytald le si avvicinò.
 “Non fare caso alle parole di Siddgeir. È un tipo strano, ma non ha intenzione di fare quello che sembra. Ad ogni modo, tieni questi. Durante il viaggio ti serviranno”
Kiytald le porse una spada corta e un arco con faretra. Saewen accarezzò le frecce, ricordandosi di quando, da piccola, le rubava a suo fratellastro Corunir e si allenava con l’arco quando era certa di non essere vista. Questo però non la rendeva un’abile arciera.
Siddgeir, Kiytald e altri guerrieri salirono a cavallo e a Saewen venne detto di camminare affiancando Kiytald.
 “Il percorso più breve per arrivare a Falkreath”, disse Kiytald, “è passare per Rorikstead, costeggiare il lago Ilinalta procedere verso sud. Ho sentito voci di un accampamento proprio una volta attraversato questo fiume, uno un po’ più verso sud e uno vicino Rorikstread. Dopo, la strada dovrebbe essere sicura.”
Arrivarono al grande ponte di pietra caratterizzato dalla scultura del volto di un drago che aveva denominato il paese che si affacciava sul fiume nonché lo sesso ponte “Dragon’s Bridge”.
Mentre camminava accanto a Kiytald, faticando a mantenere il passo del cavaliere, la ragazza osservò l’imponente e dettagliata statua, che incuteva timore, quasi fossero al cospetto di un drago. Attraversarono il ponte, e Saewen non poteva staccare gli occhi di dosso da quel drago di pietra, come incantata. Era come se qualcosa la attraesse verso quel drago.
 “Ti piace?”, le chiese Kiytald.
 “Sì. L’avevo già visto altre volte, ma mai così da vicino. Mi piacerebbe ascoltare storie sui draghi e sui vecchi eroi nord”
 “Vedrai, nel Falkreath se ne raccontano a iosa, come anche nei territori sotto il dominio imperiale”
 “Sul serio?”, Saewen si voltò verso il soldato, col volto illuminato, “Non vedo l’ora di ascoltarle!”
 “Adesso facciamo attenzione. Qui vicino c’è un accampamento di banditi. Se siamo fortunati, riusciremo a evitarli”
Kyiytald lanciò alcuni ordini ai soldati. Saewen, dal canto suo, cercò di essere più silenziosa possibile. L’erba verde scura e il paesaggio roccioso avrebbero nel Falkreath lasciato spazio a una vegetazione più secca e a una frequente foschia. Saewen poteva solo immaginare quanti pericoli la attendessero durante il viaggio: banditi, scheletri, forse daedra. E lei sapeva di non saper fare a difendersi. Forse quel trucchetto imparato anni prima le sarebbe stato utile. Una volta aveva litigato con Corunir, e aveva iniziato a piangere, poi a urlare. Le era venuta in mente una strana parola, in una strana lingua, e la aveva urlata. Non sapeva perché, e non sapeva cosa fosse accaduto, ma le sue dita avevano iniziato a informicolarsi ed era fuoriuscito da lei un potere magico così grande da aver incendiato tutto ciò che aveva attorno. Da quell’episodio Hùldaer l’aveva sempre ritenuta pericolosa. Corunir, in effetti, aveva riportato varie escoriazioni e fu inutile dire che lei non sapeva cosa fosse successo e che non avrebbe voluto fare del male al fratellastro.
Proseguirono attraverso il sentiero lastricato: ormai Solitude non era più visibile all’orizzonte. Saewen si strinse nella pelliccia e guardò verso sinistra: il sentiero aveva una diramazione che conduceva ad un piccolo ponte di pietra che portava all’altra sponda del piccolo fiume, che nonostante le dimensioni aveva una potenza notevole: le sue onde si infrangevano sugli scogli che si affacciavano dal terreno, provocando enormi schizzi d’acqua che bagnarono anche il corpo di guardia dello Jarl. Saewen le osservò ammirata: era incredibile quanta forza avesse la natura. Non era mai uscita da Solitude, non aveva quindi mai visto paesaggi o natura, perciò rimase affascinata dalla potenza di quelle onde.
Proseguì a dritto, lanciando un’ultima occhiata al fiume. Ben presto toccò a loro attraversare un ponte, dal quale Saewen poté ammirare meglio lo spettacolo che aveva visto prima. Verso destra, invece, osservò le altissime montagne la cui unica flora erano grandi abeti che spiccavano verso l’alto. Aveva spesso osservato quelle montagne da Castel Dour, ma nella posizione in cui si trovava in quel momento erano molto più vicine e non si era mai resa conto che fossero così alte.
 “Bisognerà superarle?”, chiese distrattamente.
Kiytald emise una risata bonaria.
 “No, signorina. Noi le affiancheremo, la strada fino a Falkreath è costeggiata da montagne, ma non dovremmo mai valicarle”.
Svoltarono a destra dopo il ponte e proseguirono. Saewen notò che a Skyrim c’era più roccia che erba, pareva quasi un deserto roccioso. Stava appunto rimirando una cascata al di là del fiume, la cui acqua si riversava con grazia dal monte, quando vide alcune tende, posizionate proprio vicino alla cascata.
 “Un bel luogo per accamparsi”, commentò con una spiazzante ingenuità.
 “Quelli non sono viaggiatori. Sono banditi”, le spiegò Kiytald, “Ma non è nostro compito ucciderli. Noi siamo uomini del Falkreath, non di questo luogo”.
 “Ma vivete comunque a Skyrim, e quella gente farà del male ai viaggiatori!”, protestò Saewen, mordendosi poi la lingua. Le era stato insegnato di non contraddire i suoi superiori.
Kiytald parve riflettere.
 “Hai ragione. Ormai ci siamo quasi dimenticati che siamo tutti abitanti di Skyrim. Ma non abbiamo tempo di sistemare quei banditi. Andiamocene, prima che ci notino”
Continuarono il viaggio finché non scorsero degli strani edifici in legno fatti di passerelle e torri di vedetta proprio in un luogo tattico dopo una curva.
 “Accidenti. Banditi. Dovremmo distruggere questo accampamento”, disse Kiytald.
 “Andate, su. Altrimenti a che mi serve una guardia reale?”, si lamentò Siddgeir.
Kiytald dette alcuni ordini ai soldati, che lo seguirono. Cinque rimasero a guardia dello jarl insieme a Saewen. Osservò gli arcieri nascondersi dietro alcune rocce, mentre Kiytald avanzava furtivo. Ben presto scomparvero oltre le rocce, fuori dalla visuale della ragazza.
 “Cosa succederà adesso?”, chiese Saewen, preoccupata.
 “Sono soldati”, rispose Siddgeir, “Torneranno dopo aver ridotto i banditi a carcassa. Che noia! Non volevo dilungarmi nel viaggio! Se almeno avessimo percorso la strada di partenza!”
 “Perché non lo avete fatto?”, chiese Saewen.
 “Passare da Whiterun è un percorso troppo lungo, ma all’andata avevamo appuntamento lì”
Mentre Siddgeir si lamentava della lentezza dei soldati, dicendo che Kiytald era invecchiato, Saewen sgattaiolò via. Si nascose dietro una roccia sulla destra, in una posizione dalla quale poteva vedere tutto. Kiytald non aveva ancora attaccato: gli arcieri sulle passerelle facevano la ronda, attendendo qualche malcapitato. Se solo avessero saputo chi stava per incrociare la loro via! Saewen contò tre banditi di ronda: uno sul lato destro, uno su quello sinistro e uno centrale.
D’un tratto notò uno spostamento: un soldato era apparso accanto al bandito che la ragazza riusciva a vedere da quella posizione, poi ne vide altri irrompere. Tuttavia, il soldato che affrontava il bandito del lato destro pareva inesperto. Saewen lo vide cadere. Istintivamente la ragazza impugnò l’arco e una freccia. Strinse l’arma, la alzò e chiuse un occhio. Vide il bandito sollevare l’arma per dare il colpo di grazia al soldato. Saewen aveva pochi secondi per attaccare. Non sapeva perché lo stesse facendo: non si era mai pensata adatta alla guerra o ai conflitti, eppure il suo sangue stava ribollendo. Voleva combattere. Incoccò la freccia facendo molta tensione al filo, attese che il volto del bandito fosse in una buona posizione e scoccò la freccia. Essa volò sibilando e falciando l’aria, poi si conficcò nel cranio del bandito, che cadde per terra. Il soldato si rialzò in fretta e osservò in direzione di Saewen, che teneva ancora saldo l’arco nella destra.
Saewen tornò dallo jarl.
 “Sai che la disubbidienza viene punita?”, chiese lui, irritato.
Saewen guardò per terra.
 “La ragazza ha un’ottima mira. Ha ucciso il bandito proprio a destra di quella roccia!”, sentì gridare poco dopo.
Il soldato a cui aveva salvato la vita stava parlando animosamente con kiytald, che annuiva.
 “Interessante”, dice Siddgeir, “Allora probabilmente avevo ragione. Era tutto vero. Ho fatto bene ad ascoltarti, Kiytald, e a lasciarla fare”, disse Siddgeir.
Saewen non capì. Ma c’erano molte cose che non capiva.
Siddgeir dette l’ordine di proseguire e continuarono il viaggio.


NDA: Stavolta ho cercato di formattare bene il testo, riguardando l'altro capitolo ho notato che il font Arial si leggeva molto male a mio avviso. Volevo solo rendervi noto che per quanto concerne le descrizioni (non sono una persona molto descrittiva) ho usato il gioco. Prima di scrivere ho percorso col mio personaggio la strada che sto citando nella storia, e mi sono soffermata a guardare alcuni dettagli, quindi ciò che vedete nella storia dovrebbe corrispondere al reale paesaggio di Skyrim, magari con qualche eccezione (potrei in futuro aggiungere qualche accampamento di banditi in più, ad esempio). Alcuni incontri che Saewen farà saranno quelli del mio personaggio per rendere più veritiera la storia (ad esempio se percorrendo una data strada incontro un gigante, posso trascriverlo nel capitolo). Spero che tutto proceda per il meglio e che la storia sia di vostro gradimento. 

 
   
 
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