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Autore: Makil_    21/03/2017    1 recensioni
"Sarebbe entrata nel bosco col capo alto, fiero, e lì avrebbe portato la giustizia bianca dei suoi poteri: avrebbe dato a Pancrazio il dono che la morte le aveva dato un tempo, giusto per vederlo soffrire come aveva sofferto lei. Giusto per vederlo morire, proprio come era morta lei. Sheyla moriva ogni giorno, ogni volta che il riflesso del suo volto impresso nelle acque o nel vetro di qualche ampolla le ricordava chi era diventata a causa di chi".
Storia partecipante al Contest "L'Aquila e il Falco" indetto da Jadis_ sul forum di efp.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                     Il ruggito del fumo 

 
Un piccolo focolare brulicava in una nicchia della parete di legno scuro, ed era l’unica luce in quel luogo di fumo ed ombre.
Il suono del fuoco risvegliò la donna-folletto dal suo sonno durato chissà quanto tempo. Si trovava in una casa dalla forma cilindrica e dal tetto a botte sostenuto da poderosi pilastri di legno. Tutt’attorno al suo letto di paglia e giunchi intrecciati si estendeva un pavimento di legno scurissimo, reso ancora più scuro dalla grigia aria malsana che avvolgeva il luogo.
Dovette strofinarsi per bene gli occhi prima di riuscire a capire dove fosse, ma infine fu consolata non poco dalla vista. Al centro della casa di legno sorgeva una spessa cattedra dello stesso colore, che nasceva come un tutt’uno con il pavimento stesso. Non c’erano finestre né porte, e l’unico ingresso era per via di una botola che collegava la casa all’entroterra. A Sheyla fu chiaro che si trattava di un albero, tipica dimora di ogni abitante del bosco. E quell’albero non le era neppure del tutto sconosciuto.
Si guardò un po’ attorno prima di mettersi seduta sul lettino, la testa dolente come se avesse ricevuto una martellata sul cranio. Il silenzio e la tensione erano palpabili nella casa.
Sentì scricchiolare il legno sotto ai suoi piedi quando fece per posarli per terra, e ciò bastò per far sì che tutti gli sguardi dei presenti si posassero su di lei. Una vocina non poco sconosciuta la fece sobbalzare nel letto.
«Vossignoria!» cinguettò la voce. «Abbiamo pregato affinché tu non morissi.»
Sheyla rise. “E come potrei morire di nuovo?”. Dall’enorme nube di fumo grigio che l’avvolgeva, la ghiandaia blu sbucò con una serie di giravolte e si tuffò nella luce del fuoco svolazzando tutt’attorno alla casa. Il suo corpicino piumato del blu delle acque del mare s’illuminò di gioia.
«Allora è vero» cinguettò «Sheyla è tornata. Vossignoria sta bene!»
«Posso assicurartelo» fece Sheyla «Come posso assicurarti che mi è stato dato del filo da torcere.»
Aglaia – questo era il nome della ghiandaia blu – fece una piroetta a mezz’aria e planò sul lettino.     
«Aireo!» pigolò più stridula che mai. «Il suo servizio è sempre stato così integerrimo nel bosco, tanto giusto ed affidabile che mi sono sempre chiesta come facesse a non sbagliare mai. Mi sbagliavo, anche lui è in grado di confondersi.»
«E di confondermi!» sbraitò Sheyla alzando la mano. «Si ostinava a dire che non fossi io la vera Sheyla.»
«Una cosa di cui ha fatto bene a dubitare.»
«Ah sì?» fece Sheyla. «Io non ho dubitato di lui, e ora non sto dubitando di te, Aglaia. Mi piacerebbe sapere che c’è della reciprocità in questo.»
Aglaia spalancò le ali. «Senza dubbio, vossignoria. Mi credi forse folle? Sono una ghiandaia, per mia fortuna, non un cervo. O forse la luce ti ha inebriata a tal punto da farti vedere più corna del normale?»
«Non più del necessario: vedo quelle che ci sono.»
La ghiandaia pigolò e chinò il capo.
«Che ci faccio qui?» chiese Sheyla desiderosa di sapere cosa le fosse successo. Ricordava ben poco dell’accaduto ed aveva memoria solamente dalla luce che l’aveva avvolta nel bosco.
«Oh, tempo al tempo, vossignoria. Dapprima c’è bisogno che tu beva questa». Aglaia piegò la zampetta di lato ed indicò una tazza di ceramica poggiata accanto al letto.
«Che cos’è?» chiese Sheyla. «Se c’è una cosa che ho imparato negli anni che mi sono stati concessi è di non bere ciò di cui non conosco con certezza l’origine ed il sapore.»
«Tempo al tempo» ripeté la ghiandaia. «Presto avrai le tue risposte. Ma adesso fa’ come ti dico.»
«Non se prima non l’assaggi anche tu» ribatté Sheyla.
«Io?» domandò Aglaia. «Credo davvero che la luce di Fronesio ti abbia accecata» la ghiandaia si diede una paio di colpi sul becco. «Se non ricordi, posso aiutarti a farlo. Vedi, noi uccelli abbiamo un becco… non una bocca vera e propria…»
«Bevilo, ho detto.»
«Vossignoria, non agitarti. Io non lo berrò, ma so chi potrà farlo per te». Aglaia spalancò le ali e planò in alto per andarsi a posare su una nicchia vuota sulla parete alta. Dal vortice di fumo che s’alzava al centro della stanza uscì una bestia dal manto nero come la notte. Sheyla riconobbe Elestoria, l’elegante pantera padrona della memoria e dei sogni.
«Spina d’Argento» mormorò a denti stretti la creatura, con una voce cupa e misteriosa. Un passo dopo l’altro, accompagnata dalla sua eleganza tenebrosa, la bestia si avvicinò. «Chi non muore si rivede.»
«E chi si rivede non è mai morto» ribatté Sheyla. «Una cosa che andrebbe comunicata anche ad Aireo.»
Elestoria si avvicinò con grazia al giaciglio di Sheyla e afferrò la sua coscia con gli artigli della zampa. «Aireo dice di sapere, ma in realtà non sa. Quel cervo ha perduto il senno allo stesso modo in cui tu hai perduto la vita». La pantera posò la zampa per terra. «Che ti è successo?»
«Ogni domanda avrà sempre e solo una risposta: Pancrazio. Elestoria, almeno tu, credi a ciò che sto per dire, ti scongiuro. Quel folletto è un mostro, un vero abominio della natura.»
«Va’ a dirlo a lui e ti dirà che i mostri non esistono nel bosco.»
«Lo farà con lo stesso disinteresse con cui mi hai fatto bere una fiala della morte istantanea?»
«Probabile di sì» mormorò Elestoria. «E probabile di no. Non ci è dato sapere cosa passi per la mente all’illustrissimo Signore dei Boschi.»
«Al diavolo tutti i suoi titoli! Ho giurato sui cieli e sulle stelle che io riavrò la mia vita, e lui avrà la sua morte. Nessuno potrà impedirmelo»
«E nessuno te lo impedirà» cinguettò Aglaia dall’alto. «Ma ora bevi!»
«Elestoria non ha ancora bevuto per me.»
La pantera gattonò fino alla tazza e bevve po’ il contenuto, assicurandosi che Sheyla la vedesse nel farlo. «È sicura, bevila e fa’ come ti è stato detto.»
«Non mi è ancora chiara una cosa. Che ci faccio qui?»
Calò un silenzio che bastò a Sheyla per avvertire i brusii di lamento della ghiandaia blu.
Elestoria fece qualche passo verso di lei, si avvicinò al suo giaciglio e si mise seduta. Il manto nero brillava assorbendo la luce fioca del fuocherello vicino.
«Fronesio ti ha salvata, Sheyla Spina d’Argento. Lo ha fatto ancora una volta». La pantera si mise composta per terra, la coda che ondeggiava delicatamente da un lato all’altro.
«Lui… lui… ha fatto questo per me?»
«E per chi, altrimenti?». Aglaia decollò sul dorso di Elestoria e si punzecchiò un paio di volte le penne col becco. «Lui sente e vede tutto. Sapeva che eri in pericolo, e sapeva che dovevi essere salvata.»
«Io l’ho visto… lassù nel vallo. Ha proiettato luce!» disse stupefatta Sheyla. «Non lo avevo mai visto allontanarsi da questo luogo.»
«Ci si annoia a restare sempre negli stessi posti. Lui aveva l’obbligo di accorrere in tuo aiuto.»
L’ultima volta che Sheyla aveva visto Fronesio era stata molti anni prima di morire nel bosco. Tutti lo consideravano il saggio del reame, la forza intellettiva della natura. La sua percezione superava persino la magia, e la sua abilità era tre volte maggiore di quella di un folletto. Fronesio era a tutti gli effetti un’anima. Come questa non parlava, a causa di un morbo che lo aveva colpito numerosi anni orsono, quando ancora Sheyla non era neppure un fagotto.
«Voglio vederlo» disse Sheyla. «Ho bisogno di parlargli. Lui saprà dirmi cosa fare. Voglio tornare a vivere, amici. Voglio tornare nel bosco.»
«Tempo al tempo» ribatté Aglaia più dura di una roccia. «Suvvia, bevi.»
Fu Elestoria ad avvicinarle la tazza con il muso. Sheyla si fece guardinga non appena riuscì ad afferrarla. Nessuno l’avrebbe tradita lì dentro, ne era certa. Conosceva Elestoria ed Aglaia da quando era poco più piccola e minuta di un arboscello di ciliegio, e loro erano stati i suoi compagni di gioco preferiti. Bevve il contenuto tutto d’un sorso, assicurandosi di non avvertirne né l’odore né il sapore.
«Dunque, ho bevuto.» disse Sheyla posando ai suoi piedi la tazza. Aglaia volò accanto alla sua mano e la beccò su un dito, che subito iniziò a sanguinare. «Cosa fai, Aglaia!?»
«Mi assicuro di star parlando con la vera Sheyla». Il sangue colò giù per il dito e lacrimò sul pavimento macchiandolo di rosso. «E ho il piacere di notare che è proprio così.»
«Come puoi dubitare di me?» domandò Sheyla sbadigliando.
Fu Elestoria a risponderle. «Dubitare di qualcuno è il primo passo per rendersi conto di potersi fidare». Fece un paio di passi delicati, attutiti dai cuscinetti sulla sua zampa. Posò una di queste sulla sua spalla e fece forza. Sheyla arretrò: le girava un po’ la testa.
«Portatemi da Fronesio.» comandò.
«Lui non è in casa al momento.» rispose secca la pantera. «Avrai modo di vederlo quando il sole sorgerà nel bosco e il cielo si macchierà di bianco.»
«Che vuol dire tutto ciò?»
«Aglaia non te lo ha detto: sarò io a farlo». Elestoria ruggì. «Il bosco è morto e Aireo cerca di tenere le ombre lontane. Da quando Sheyla ha tolto la sua spina d’argento dalle sue terre, le radici degli alberi si sono impoverite. Tu sei un’ombra ora, ecco perché Aireo voleva scacciarti.»
«Ma le ombre sono ben accette in questa casa» s’introdusse Aglaia svolazzando in tondo. «Loro risaltano nel bianco del fumo.»
Proprio come la morte” pensò Sheyla. «Cos’altro devo sapere?»       
«Tante, troppe cose.» disse Elestoria riassumendo la sua aria elegante. «Non basterebbe una vita per dirtele tutte.»
«È per questo che ne ho avute due.» ribatté Sheyla, la cui testa stava iniziando a dolere sempre più forte. Sbadigliò.
«Due!» fece Aglaia. «E due sono anche gli anni che hai passato lontana dal bosco! Le cose sono cambiate, vossignoria. Il tempo è una pala: più lo si lascia scorrere, più scava le nostre fosse. E la tua, di fossa, non si risanerà mai.»
«Mai?» domandò Sheyla perplessa. «Che intendi?»
Iniziò a girarle la testa. Vide un’ombra bianca in lontananza avvicinarsi sempre più verso di lei. Una sagoma di luce, perfettamente delineata su uno sfondo di ombre scure come una macchia di catrame. Aveva già visto quella figura, anni prima. Entrambi si conoscevano meglio di quanto si potesse chiedere. La morte era lì, stagliata di fronte a lei. Gli occhi simili a braci accese e le braccia saettanti come folgori.
Sheyla scosse il capo più volte. La pantera le saltò addosso con le fauci spalancate. L’ultima cosa che vide di Elestoria fu il bagliore turchese dei suoi occhi. D’improvviso la pantera fu nei suoi sogni.
 
***
 
Si risvegliò intontita e seduta su una morbida poltrona di paglia rinsecchita dall’arsura. Sopra e attorno a lei si ergeva una torre di fumo bianco, impregnata dell’odore del legno bruciato e dello sterco secco. In confronto all’aria della notte inspirata durante il rituale del rogo, quella era proprio disgustosa. Dovette trattenere i conati di vomito a lungo per potere capire da dove venisse quel puzzo malsano. Dalle spire di fumo che non permettevano di vedere nulla fuoriuscì Aglaia. La ghiandaia intonava un canto vorticando attorno al nugolo di vapore.
«Aglaia!» vociò Sheyla con la testa che doleva più che mai. «Ti ordino di ascoltarmi! Io… io…»
La cortina di fumo si spalancò e iniziò a distogliersi lentamente. Al centro della stanza rimase l’enorme cattedra che sorgeva al centro della stessa, del tutto spoglia e lesionata dal tempo. Sul suo dorso giaceva una donnola accoccolata su sé stessa, adagiata su un cuscino color porpora. Quella creatura era Fronesio, l’anima del bosco, il saggio tra i saggi, la luce delle ombre. Non appena apparve, il bagliore del sole fu parte della casa. La donnola emanava luce dagli occhi, immobili proprio come la creatura stessa.
Fronesio stava facendo ciò che faceva solitamente: se ne stava nella sua casa a fumare l’enorme bakook, una pipa quadrangolare oblunga forata in cinque punti sul dorso, che emetteva ruggiti, rombi e fumo grigio ogni volta che la creatura pensava. A giudicare dalla quantità di fumo che gravava sulla casa, la donnola doveva essere immersa nei suoi pensieri da ore.
Ai piedi della cattedra c’era Elestoria, seduta sulle zampe posteriori, intenta a leccare una delle sue zampe. Aglaia planò sulla cattedra e si fece spazio accanto al bakook di Fronesio.
«Mio signore». Sheyla chinò profondamente il capo, inspirò il fumo del bakook e incrociò le mani. Un rito che nessuno aveva mai scritto da nessuna parte, ma che tutti facevano obbligatoriamente quando andavano a proferire con il saggio Fronesio.
La creatura la guardò negli occhi ed inspirò del fumo. Produsse poi tre anelli grigi con il bakook. Aglaia, impettita al suo fianco, si apprestò a tradurre il messaggio. La ghiandaia era divenuta da anni le sue ali e la sua bocca, Elestoria le sue orecchie e le sue braccia
«Fronesio dice che vostra signora è benvenuta nella sua casa, e che sempre lo sarà finché resterà tale.»
Sheyla si bagnò le labbra con la lingua. Annuì lentamente.
La creatura fece altri due cerchi concentrici di fumo.
«Chiedete e avrete risposte» tradusse Aglaia. «Pensate e avrete domande.»
Sheyla abbassò nuovamente il capo e pensò ad una delle tante domande che l’assillavano.
«Ucciderò Pancrazio, questa volta?»
Nell’aria calò il silenzio. Il fumo separò un’altra volta la cattedra della donnola dalla poltrona di Sheyla.
«Ucciderete chi non vi ucciderà, ma non avete speranza contro chi vi ha già uccisa.» disse Aglaia.
Sheyla soppesò con cura le parole del saggio. Rilassò la tensione da cui si sentiva pervasa, socchiuse brevemente gli occhi.
«Quindi non potrò mai ucciderlo?»
Fronesio dipinse altri cerchi bianchi nell’aria. Il bakook gettò fuori tre anelli concatenati ed una figura perfettamente sferica.
Aglaia allargò le ali e le batté due volte. Le figure di fumo presero vita per un istante.
«L’aquila e il falco si azzuffano nel cielo, dice. Nessuno dei due può morire se l’altro continua a vivere.»
«Certo» fece Sheyla. «Ed è per questo che nessuno sopravvivrà». Poi gettò delle occhiate ad Elestoria, giusto per assicurarsi che la pantera fosse al suo posto. La creatura aveva gli occhi fissi verso una sola direzione, un solo punto; e quello non era Sheyla.
«Tornerò a vivere nel bosco?»
Il bakook prese vita, ruggì, plasmò vortici di fumo e vapori. Come dal comignolo di un camino appena accesso, dai cinque fori sorsero colonne di fumo bianco che si espansero verso ogni direzione.
«No» fece Aglaia. «E il bosco non potrà risorgere in te.»
Enigmi, altro non erano che enigmi! Sheyla lo sapeva fin troppo bene. Per quanta verità ci fosse in quelle parole, il linguaggio di Fronesio era sempre stato fin troppo criptico. Pancrazio soleva dire che non bastavano sette vite per decodificare un suo saluto. Sheyla sorrise al pensiero.“Ne avresti volute sette. Non ne potrai vivere a pieno neppure una! Dammi solo il tempo di ritrovarti e di te non lascerò neppure le ceneri.”
«Amerò mai un'altra creatura?» chiese Sheyla. Quella domanda le uscì dalle labbra quasi spontaneamente. Alle sue parole seguirono i giochi di fumo, alimentati dal fiato della donnola. Aglaia tradusse: «Avete vissuto per amare, non sperate di amare per vivere.»
«Non è necessario» rispose lei. «Io non vivrò più, è questo che hai detto. Ma nel tempo che rimane, forse, potrei uccidere tutti coloro che hanno avuto a che fare con la mia morte.»
Il bakook sibilò e le lingue di fumo si contorsero tre volte. Da tre fori fuoriuscirono tre figure pallide. Aglaia cinguettò.
«Il saggio chiede se mai lo ascolterai.»
«Ci proverò» fece Sheyla. «Ho sempre ascoltato i suoi consigli.»
«Il saggio aggiunge che non ti è dato togliere la vita chi te ne ha concessa una nuova.»
Sheyla si rabbuiò. «Una vita nuova?» domandò. «Avrei preferito morire piuttosto!». Poi sospirò profondamente e abbassò lo sguardo. La donnola era assopita nel fumo del bakook.
«Fronesio ti indicherà la luce verso cui proseguire, ma tu devi promettere che la seguirai.»
Sheyla incrociò le dita di entrambe le mani. Le sue orecchie appuntite si fecero tese, pronte ad ascoltare il saggio. Sei vortici di fumo grigiastro si sparsero sopra i loro capi. Il bakook tuonò.
«Non c’è luce nell’ombra in cui siete diretta, dice». Aglaia spalancò le ali e si grattò una penna blu col becco. «Aggiunge: il vostro sogno è avere un sogno, Sheyla. Elestoria ha visto.»
Elestoria strofinò il muso sulla cattedra, annusò l’aria e tornò composta per terra. La pantera era entrata nei suoi sogni dopo averle somministrato il sonnifero, aveva perlustrato gli angoli più remoti della sua coscienza e aveva attraversato i suoi ricordi. Un’abilità propria che Elestoria sapeva sfruttare pienamente in ogni occasione.
«Lui ti riconosce, Sheyla.» disse Aglaia. «E sempre lo farà, qualunque aspetto tu assuma. Se diverrai un uccello, lui vedrà. Se diverrai un leone, lui vedrà. Se diverrai un albero, lui vedrà. Smetterà di vedere solo quando sarai fumo e cenere.»
Sheyla abbassò il capo, lo alzò e pose un’altra domanda. «Non mi sembra di averlo notato prima. Mio signore, perché non sono stata salvata nello stesso modo quando era nel mondo degli uomini?»
Il bakook emise cupi rombi simili al ruggito di Elestoria. La casa tremò giusto un po’, poi venne avvolta dalla barriera di fumo e vapori.
«Tu non hai compiaciuto il saggio» disse Aglaia. «Lui dice che in quel mondo è conosciuto con un altro nome, con altre forme e con altre luci. Ma tu non hai saputo vederlo.»
Sheyla si fece guardinga, non del tutto soddisfatta della risposta.
«Sfiderò mai più la morte?»
Le parole furono presto seguite dai suoni cupi del bakook, ad ogni esalazione sempre più forti. L’odore della cenere avvolse completamente la stanza.
«Ogni giorno la morte e la vita ci pongono delle barriere, ogni giorno tutti gli individui sfidano la vita e sconfiggono la morte. Ma voi, Sheyla Spina d’Argento, voi non la sfiderete più. L’avete sfidata, l’avete vinta. E dopo una vittoria, segue sempre una sconfitta.»
«Quindi…» fece Sheyla. «Qualsiasi passo mi porterà alla tomba.»
Il bakook rintronò. Fu come se nella stanza stesse per levarsi un temporale. «Sì» ammise Aglaia tristemente. «Qualsiasi passo sarà per te morte.»
La pantera si rizzò sulle zampe posteriori e si fece dubbiosa.
«Come sarebbe a dire?» tuonò. «La morte di Sheyla porterà alla morte del bosco! Il suo legame tiene unite le creature e le piante. Se mai le dovesse accadere qualcosa, tutto andrebbe distrutto di nuovo e il bosco cadrebbe nel baratro della morte!»
Aglaia rivolse un rapido sguardo carico di rimproveri alla pantera.
Sheyla sospirò. L’aria l’entrò nei polmoni; fece come se non avesse sentito. «E sia» disse. «Se questo è, questo sarà. Se è ora che Sheyla Spina d’Argento muoia, allora che sia fatto. Ma con me verrà anche lui, Pancrazio. E con lui, anche il suo bosco, se è necessario.»
Si ritrovò a trattenere le lacrime di dolore senza neppure sapere per quale motivo stessero per sorgere. Elestoria si rimise sulle quattro zampe e puntò i suoi occhi su Sheyla.
«Aglaia, interrompi il legame.» ordinò alla ghiandaia. «Sheyla ha sentito fin troppo. E anch’io.»
La ghiandaia fece come gli era stato ordinato senza esitare. Vorticò attorno al fumo, inspirò l’aria rimasta, batté le ali più volte ed allontanò rapidamente ogni spiraglio di vapore grigio. Il bakook tornò silenzioso.
Sheyla trasalì. «Che succede ora?»
«Basta così.» mormorò la pantera. «Se è questo che volevi sentire, ben fatto. Ma sappi che io non ho alcuna intenzione di lasciarti andare a morire. Di mezzo c’è la purezza del bosco e di tutte le altre anime che lo abitano. Anni fa promisi a tua madre di difenderti dalle ombre, Sheyla Spina d’Argento, e, benché il tempo sia passato, io non verrò meno a questo incarico. Ho fatto altre promesse nel corso della mia vita: una a difesa delle creature del bosco, l’altra a difesa di Fronesio. Non permetterò che qualcuno gli faccia del male. Mi seguirai fino al reame dell’albero cuore.»
Sheyla fu colta dall’incredulità. «Come sarebbe a dire?»
«Tu andrai, se è questo che vuoi.» mugugnò. «E io sarò con te. Non voglio che il bosco si spenga quando tutto ciò sarà finito. Per cui, se per salvare la tua vita e quella sua la morte ha bisogno della mia, io gliela darò volentieri. Se devo morire, lo farò con dignità. Se devo lasciare i miei incarichi, allora lo farò tentando di rispettarli: i nostri doni non ci saranno utili quando il bosco morirà.»
Aglaia planò sul dorso della pantera. «Elestoria ha ragione. Ho ali, ma non potrò utilizzarle quando il bosco cadrà per terra. A che serve essere una ghiandaia se tutto ciò che posso fare è utilizzare le mie abilità per beccare e parlare? Se davvero fossi capace di qualcosa, io volerei tanto lontano da potermi mettere in salvo». Aglaia pigolò qualcosa. «E allora mi dico che se ho ali, le utilizzerò come tali. Volerò, Sheyla, e volerò per te.»
Sheyla sorrise, meravigliata non poco da quelle insolite parole. “Mi seguiranno, mi sosterranno. Vivremo per davvero, tutti, almeno per una notte.”
Aglaia si alzò in volo sopra ad entrambi i presenti. Batté le ali e si alzò verso il tetto. Da quella distanza, la sua voce fu quasi impercettibile.
«Per l’ultima volta, ascolterai le parole di Fronesio?»
Sheyla annuì. «Lo farò, certamente.»
«Ed è per questo che sbaglierai sempre». Aglaia planò sulla cattedra e roteò su se stessa prima di spalancare le proprie ali. Le piume bianche del petto si fusero con quelle blu. «Ascolta il tuo cuore, vossignoria; soltanto quello. È l’unico a poterti dire sempre chi sei e cosa vuoi.»
Sheyla guardò Elestoria e Aglaia. Li avrebbe portati a morire con sé, e insieme a loro avrebbe abbattuto persino il bosco e tutte le creature che lo abitavano. Avrebbe annientato anni ed anni di pace e prosperità, distrutto secoli di benessere, solo e soltanto per un desiderio di vendetta proprio, di cui il resto del mondo non era neppure a conoscenza. Avrebbe raso al suolo la sua casa e quella di tanti altri per l’egoistico piacere di vedere la sconfitta di Pancrazio.
Ma io ce l’ho un cuore?”.


Note d'autore:
Tante grazie a chi ha letto fin qui, alla mia commentatrice Law (ti apprezzo tantissimo!) e a tutti i silenziosi. Spero che questo penultimo capitolo vi sia piaciuto, ora che la storia inizia a procedere verso la sua conclusione. I due personaggi introdotti in questo capitolo - mi riferisco ad Aglaia e Elestoria - sono molto simbolici nella loro semplicità, e un po' tutto il capitolo si basa su una certa nota filosofica. Sheyla deve ritrovare sé stessa prima di poter ritrovare la via. Spero di aver reso bene quest'idea, per quanto in saggezza non sia affatto un granché. Al prossimo ed ultimo aggiornamento [martedì 28]!
Makil_
   
 
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