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Autore: Urban BlackWolf    21/03/2017    0 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il trillo del diavolo

 

 

Michiru sorrise guardando l'archetto. Ohi ohi Kaiou, sei proprio nei guai., si disse tornando a respirare correttamente.

Passati tre giorni da quando aveva fatto suonare il violino di Alexios per la prima volta. era ormai chiaro che riprendere a fare musica non sarebbe stata cosa facile, anzi. Le mani di un'adulta, con articolazioni per nulla esercitate, non avrebbero mai promesso risultati neanche lontanamente comparabili a quello che la perfezionista Michiru definiva decenza. Per non parlare della respirazione, completamente errata, priva di armonica assonanza con lo strumento. Solo l'intuito, nonostante tutto, era rimasto quello di un talento e sembrava l'unico a poterle dare il coraggio di continuare quella follia. Non aveva infatti trovato alcun problema nel far lavorare la mano destra come se fosse stata la sinistra. Ma per il resto. Era indiscutibilmente nei guai. Guai grossi. Si, perché aveva capito che riprendere non sarebbe giovato solo a lei, ma anche al suo rapporto con Haruka e con il mondo intero.

Rintanata sul fondo della vasca che ormai era diventato il suo rifugio artistico, sia pittorico che musicale, Michiru provò nuovamente la scala, non riuscendo però a tenere correttamente le ultime due note. Stringendo la mascella staccò immediatamente il crine dalle corde allontanando il violino dal mento. Come gran parte dei musicisti infatti, era sempre stata convinta che lo strumento “avvertisse” le influenze negative di colui o colei che lo stava suonando e Michiru, in quel preciso istante di negatività ne stava emanando parecchia.

“Non è colpa tua.” Sussurrò al legno sospirando al ricordo del sogno che aveva fatto la notte precedente.

“Se soltanto avessi potuto impugnarti allora...”

Quella serie di vivissime immagini che al risveglio l'avevano spinta a scendere nuovamente nel cavedio della vasca per esercitarsi, riemersero e chiudendo gli occhi riuscì a ricordare persino la musica che in quel sogno stava eseguendo. Giuseppe Tartini, sonata per violino in sol minore, un brano che ad orecchio inesperto sarebbe potuto apparire come una serie di virtuosismi di trascendentale freschezza come molti altri dello stesso periodo, ma che in realtà racchiudeva nelle sue note una difficoltà senza pari. E lei in quel sogno lo stava eseguendo davanti ad un pubblico ben ferrato in materia e pronto ad ogni genere di lodi o di critiche.

Non era un sogno sognato, ma come spesso le stava accadendo, un ricordo vero e proprio, perché una Michiru quindicenne, ormai veterana della classica, era riuscita realmente ad eseguire il così detto trillo del diavolo e lo aveva fatto con maestria e fatica, impegno, concentrazione e sudore. In quell'occasione aveva toccato il vertice della sua preparazione artistica. La madre, il padre, i conoscenti, i critici, incluso il suo insegnante, non erano stati avari di complimenti dopo quella prova e finalmente anche Flora Kaiou era stata veramente orgogliosa di lei.

Amore mio – le aveva detto – io stessa non avrei saputo fare di meglio. Sei stata superba.” E a quelle parole era seguito un abbraccio spontaneo che aveva riempito il cuore della figlia più degli scroscianti applausi che erano fioccati per minuti all'interno della piccola sala da concerti.

“Credo proprio che quello sia stato uno dei pochi complimenti che mia madre mi abbia mai fatto.” Rivelò allo strumento parlandogli come ad un amico.

Anche quella di parlare di se ad un violino che per lei era sempre stato un simbolo, poteva dirsi una terapia curativa.

“Accidenti se ero brava. Altro che cercare di eseguire una scala musicale con la mano destra.” E risuonò nella vasca una leggera risata triste.

“Beh Michi, cosa ti aspettavi? Vorresti forse stipulare un patto con l'inquilino dei piani bassi come diceva di aver fatto il Maestro Tartini? Allora si che torneresti ad essere quella di una volta.” Una nuova risata, questa volta divertita, all'indirizzo di quell'infantile quanto blasfemo capriccio.

Michiru guardò il muro bianco che avrebbe dovuto accogliere il murales al quale stava ancora lavorando. Anche quello andava a rilento, ma almeno l'arte grafica contenuta nella destra stava tornando. Almeno da quel punto di vista poteva consolarsi.

“Mi sento sola.” Dichiarò stentorea spostando le iridi cobalto nuovamente sul violino.

“Voglio sentirla.” Decise fregandosene dell'ora.

Inginocchiandosi ripose amorevolmente lo strumento nella custodia ed uscendo dal cavedio si diresse all'esterno estraendo il cellulare dalla tasca della gonna.

 

 

Henry Smaitter guardò la luce rossa del telefono a muro dell'officina lampeggiare e scocciatissimo andò a rispondere pensando subito a qualche rogna saltata fuori dagli uffici. Zigzagando tra i macchinari raggiunse l'apparecchio puntando fieramente lo sguardo ai tecnici alacremente impegnati nel lavoro mattutino. Alzando la cornetta rispose brutalmente con un che c'è, aspettandosi il solito “passa carte”. Invece dovette ricredersi e non appena riconosciuta la voce della sua interlocutrice, addolcì di colpo il timbro e la postura militaresca che lo contraddistingueva in ogni occasione.

“Michiru? O benedetta figliola, da quanto tempo. Tutto bene?”

“Buongiorno Capo Smaitter. Si, tutto bene e lei? - E ad un'affermazione positiva continuò chiedendo di Haruka. - Mi perdoni se disturbo, ma il nostro puledro di fanteria è li con lei per caso?”

Lo sentì ridere capendo di aver fatto centro. Aveva provato a chiamarla in ufficio, ma non avendola trovata aveva puntato decisa sul secondo luogo dove la sua compagna poteva trovarsi a metà mattina di un giorno lavorativo.

“E dove vuoi che sia quella zuccona. Ora te la passo. Spero di vederti presto per un caffè.” Affermò spontaneamente non immaginandosi certo che la donna non si trovasse a Bellinzona.

“Non mancherò. Arrivederci.” Ed attese mentre sentiva dalla parte opposta la voce dell'uomo urlare il nome di Tenou.

“Cosa?!” Haruka si tolse le cuffie antirumore gridando a sua volta per sovrastare il gracchiare di un tornio elettronico mentre lui, sbracciandosi per attirare la sua attenzione, le mostrava la cornetta facendole cenno di raggiungerlo.

O che palle. Cos'altro vogliono dall'amministrazione?! Si disse avendo già ricevuto un paio di solleciti mattutini per questioni burocratiche legate alla sua bella multa non ancora saldata.

Guarda un po' se devo cacciare fuori mille franchi per avere appiccicato Patrik al muro. E se gli avessi dato un pugno in bocca cosa mi avrebbero fatto? Sfilandosi i guanti in lattice e slacciandosi il colletto rosso della tuta da lavoro, continuò a lunghe falcate fino ad afferrare la cornetta dalle mani dell'uomo.

“Non fare quella faccia. E' la tua donna.” Avvertì l'uomo lasciandole la cornetta per tornare al lavoro.

Guardandola accigliata la bionda se la portò all'orecchio attendendo qualche secondo.

“... Ruka?”

Nonostante fosse passato il suo compleanno, era dalla sera della festa del Porto Grande che non si sentivano. Qualche messaggino, ma nulla più. Il giorno prima Haruka l'aveva avvertita con un paio di righe di essere tornata in possesso del suo Iphone e che da quel momento in poi, complice il fatto che Giovanna era ripartita per Roma per un lavoretto, sarebbe stata nuovamente raggiungibile. Ma Kaiou non aveva chiamato. Ora perché la disturbava al lavoro sapendo quanto questo la facesse uscire fuori dai gangheri?

“Michi, tutto bene?” Le concesse sentendosi irritata.

“Si, tutto bene. Volevo solo sentirti. Lo so che non dovrei farlo quando sei in officina, ma...”

“Ma?” L'interruppe provando un brivido lungo la schiena. Era forse accaduto qualcosa tra lei e quell'altra?

“Mi mancavi.”

“Ti mancavo...” Ripeté appoggiando la schiena al muro cercando di non essere troppo sarcastica. Ecco montare nuovamente il mostro dagli occhi verdi.

Era anche troppo ovvio che quelle battute nascondessero un disagio nella bionda e Michiru dovette far uso di tutto il suo diplomatico sangue freddo per continuare quella conversazione. “Ho ricevuto il tuo regalo. Grazie, sono splendide.”

“Di nulla. Come stai?”

La compagna guardò prima il mare ora disteso davanti a lei, poi la custodia che stava stringendo nella mano sinistra e sospirando disse un semplice bene per nulla convinto. Come andava? Sapeva davvero rispondere? Sentiva realmente di stare guarendo grazie a quel viaggio?

“Ne sei sicura?”

“No. Non lo so Ruka. In certi momenti mi sembra di aver fatto passi da gigante ed essere pronta a tornare. Altri... mi sento come se non avessi neanche iniziato.” E con quella frase alla bionda fu chiaro che non c'erano novità in vista ed il tempo nel quale la loro vita in comune avrebbe ripreso la normalità era ancora lontano.

Haruka cercò allora di addolcirsi. Non era giusto abbatterla ancora di più di quanto non lo fosse già.

“E' più dura di quel che credevi, vero?”

“...Già.” Ammise mettendosi seduta su uno dei muretti di sostruzione che segnavano il vialetto che portava alla spiaggia.

“Tieni duro, amore.”

Nel sentire la parola amore, Michiru poggiò la custodia a terra mettendosi la mano sul viso cercando di non scoppiare a piangere.

“Voglio tornare a casa, mi manchi da morire.” E le tremò la voce.

La bionda guardò apatica l'ambiente apparentemente caotico dell'officina Ducati. Computer, pezzi di ricambio, ruote, cerchioni; il suo mondo, il pianeta Tenou, la carriera che aveva scelto e che, grazie al cielo era stata chiamata dal destino e dalla fortuna, a vivere. Tutto inutile senza la sua dea. Tutto incolore. Tutto privo di sostanza.

“Michi... non mollare. Non puoi abbandonare tutto ora. Posso solo immaginare quanto sia difficile, ma non arrenderti. Lo so che non ti sto dando un aiuto concreto, semmai sto facendo tutto l'opposto, ma...”

“Non addossarti colpe che non hai Haruka. E' stata mia la scelta di partire e non mi sono neanche presa la briga di metterti a conoscenza di quello che stavo provando, che mi stava succedendo.”

“E' che sono... gelosa. Lo sai che è un mio limite, come sai che sono una persona che non ama rimanere in disparte. Ma in effetti il tuo disagio interiore riguarda la tua vita prima di noi, ed anche se volessi..., non credo che saprei esserti d'aiuto.”

“Sei gelosa di Khloe?”

“... Si - Sospirò - ma non solo perché è la tua ex, ma anche e soprattutto perché può starti accanto. Lei c'era quando tuo padre ha iniziato ad avere le crisi. C'era quando hai dovuto smettere di suonare. Può capirti. Può aiutarti. Scusa, sono un'idiota.”

Un'autocritica che la Tenou di un paio di anni prima avrebbe pensato, ma mai confessato, neanche alla sua donna. La sofferenza, la solitudine, la lotta che aveva dovuto affrontare per sopravvivere, l'avevano maturata e resa molto più empatica di quanto non fosse in precedenza.

Michiru sorrise strofinandosi gli occhi. “Ti ho già detto di stare tranquilla. Il passato è passato e poi non è Khloe che mi sta aiutando, ma Ami. E' lei il mio medico.”

Immettendo rumorosamente aria nei polmoni, il cavallino di fanteria sorrise dando vita all'ennesimo momento catartico di quelle interminabili giornate senza la compagna. “Michiru... Ti amo. - Ammise vergognandosi come sempre. - Come sono diventata banale.” Disse sentendola ridere piano.

“Sei un angelo. Sei il mio angelo.”

“Lascia che il tuo angelo torni al lavoro o il Capo Smaitter le urlerà contro per l'ennesima volta.”

“Ok. Ci sentiamo questa sera?” Chiese speranzosa.

“... Certo. Ciao Michi mia.”

“Ruka... Ti amo.”

 

 

Quando aprì la porta di casa l'accolse un ambiente freddo. Strano, perché quell'appartamento fin dal loro trasloco, aveva sempre emanato calore e senso di famiglia. Accendendo la luce del corridoio poggiò sbuffando la sua borsa da lavoro ai piedi della consolle, iniziando a sbottonarsi il giaccone per sfilarsi poi svogliatamente le scarpe. Era stanca. Era abbattuta. Una vera e propria giornata nata e vissuta sotto il segno carmico della schifezza cosmica. Mille franchi buttati nel gabinetto, la carena che proprio non voleva sentir ragioni di migliorare sfalsando algoritmi ogni tre per due e Stefano che aveva preso a farle capire quanto gli interessasse Giovanna.

Le uniche cose positive erano che aveva e avrebbe sentito Michiru, che finalmente si era disfatta del tutore riprendendo dal parcheggio Ducati la sua Mazda abbandonata dal giorno della caduta, ed il sapere che non avrebbe avuto quella scassa pifferi di Giovanna tra i piedi. Per quella sera niente nuoto, niente bevute di cloro, niente sorelle maggiori appiccicose schiave della sindrome dell'abbandono da “coccolare” e pronte, nascoste nell'ombra, a mollar ceffoni su poveri muscoli indolenziti da esercizi idioti. Che meraviglia! Doccia, maglia pulita, tuta, felpa, telegiornale, cena ed un fichissimo horror. Haruka Tenou voleva proprio gustarsela quella pace.

Così fece ed una volta arrivata davanti ai fornelli, in tutta coscienza iniziò a chiedersi se realmente avesse dovuto continuare a seguire la dieta o iniziare a fregarsene alla grandissima.

“Beh, ormai è nella pattumiera e non...” Ed invece eccola li, sul frigo, trascritta in bella calligrafia e piantata sotto la calamita come una bandiera sul pizzo di un'ottomila.

Rapida la prese staccandola dall'anta. “L'hai ricopiata?! Ma sei fuori?!” Abbaiò come se l'artefice di quell'assurdità fosse ancora al suo fianco.

In ultima battuta un appuntino scritto in piccolo le fece saltare la vena del collo; non fare la cazzona che poi Kurzh ti bastona. Baci, baci, G.

“Baci, baci?! Ma vuoi scherzare?!”

Guardò il foglio con stizza pronta ad aprire la pattumiera, ma poi lo rimise al suo posto stringendo le labbra. Neanche sua madre era mai stata tanto fastidiosa. Solo Michiru faceva di peggio, ma almeno la notte sapeva come farsi “perdonare”.

Grugnendo peggio di un muflone accaldato, Haruka si preparò da mangiare, si concesse una birra e si piazzò davanti al televisore fino alla fine dell'horror in bianco e nero che aveva deciso di guardarsi.

Porca miseria, non è la stessa cosa. Confessò a se stessa mentre scorrevano i titoli di coda. Ma che cavolo mi prende?!

Anche se stanca non aveva sonno e continuare a star ferma come una deficiente davanti allo schermo l'avrebbe intristita. Vista l'ora prese l'Iphone componendo il numero della compagna. Un paio di squilli e la sua voce calda tornò a cullarle lo spirito inquieto. Parlarono per quasi un'ora, di tutto, come non capitava ormai da tanto, troppo tempo e risero anche, fino a quando, sentendosi finalmente pronta al riposo, Michiru non la salutò dolcemente.

“Notte Ruka.”

“Notte Michi. Stai tranquilla, ok?!”

“Si amore. A... Ruka, chiamala se ti senti. Non fare l'orgogliosa come al tuo solito.”

“Ti riferisci a Giovanna?...”

"E a chi se no?!"

"So vivere da sola, sai!?" Rispose quasi stizzita.

"Non è per questo..."

"Mmmmm... A domani..."

"A domani."

E nuovamente la casa tornò ad essere “vuota”. Haruka non aveva mai fatto mistero con nessuno di amare la solitudine, ma ormai, dopo anni di convivenza, non poteva più considerarla un'alleata, bensì un'estranea. Non avendo mai avuto amiche intime fino all'arrivo di Michiru, non si era potuta godere la sensazione di complicità di un così profondo legame, dovendo aspettare anni prima di comprendere cosa significasse per una donna quel tipo di rapporto. La sua dea era diventata non soltanto la sua compagna e la sua amante, ma anche la sua migliore amica e ad Haruka stava benissimo così. Ma in quella sera di pioggerella persistente, dove per qualche scherzo bio climatico o effetto serra casalingo, le prime uova di zanzara avevano deciso di schiudersi andando a saziarsi delle sue braccia, complice il periodo di stress ed il tempo passato insieme, si rese conto infastidita da morire che nelle sue giornate, nel suo spirito e nei suoi pensieri, da qualche tempo aveva preso a sfarfallare anche un'altra figura femminile, entratale silenziosamente sottopelle e della quale sentiva l'assenza.

“Ma dai Tenou! Non è la prima volta che rimani da sola. Cosa ti manca, la compagna di giochi? Andiamo!”

Cercò di spronarsi alzandosi e mettendosi a fare i piatti nonostante la lavapiatti fosse praticamente vuota. Poi toccò alla cucina, pulita e riordinata per bene. Poi sotto le lenzuola per attendere il sonno, poi sopra, poi sotto nuovamente. Poi fuori per andare a prendersi dell'acqua. Poi sotto. Poi...

“O basta!” Abbaio' inferocita al soffitto afferrando il cellulare e componendo il suo numero. Alcuni squilli e rispose.

“Tenou, nostalgia della tua sorellona?”

“Ma vaffan...” Chiusa la telefonata e Iphone nascosto fra le lenzuola.

Cinque secondi e l’apparecchio vibrò. “ Che vuoi!?”

“Che vuoi tu!?”

“Ho sbagliato, non scodinzolare.” Si difese unghie e denti.

“Troppe lettere tra la G e la M. Patetica.”

Giovanna avvertì nuovamente la linea interrompersi. Ghignò richiamando.

Altri tre secondi e la stanza dell'appartamento di Bellinzona s'illuminò a giorno grazie allo schermo. Haruka rispose sentendo l'altra gioviale e velatamente soddisfatta.

“Vogliamo continuare per tutta la notte?” Chiese la maggiore divertita.

“Non prendermi per il culo Aulis. Chiaro?”

“D'accordo... Di grazia... allora, che volevi?”

Presa in contropiede Tenou non seppe che dirle. Iniziò ad annaspare come se fosse stata in vasca, accampando scuse deliranti prive di capo, coda e tutto quello che in genere sta nel mezzo, ed una volta finita quell'assurda arringa difensiva, le venne in mente la lista della dieta e giù improperi sul fatti gli affari tuoi!

“Fammi capire bene, mi stai chiamando a quest'ora indecente solo per rompermi l'anima per aver trascritto una dieta?”

“Perché non ti sembra una motivazione sufficiente?”

“No, proprio per niente.”

Silenzio.

“Ruka?”

“Mmmm...”

O Dio, nuovamente quell'atteggiamento tipicamente maschile del devi capire tu i miei silenzi, perché io proprio non intendo aprire bocca. “Te lo dico subito Ruka, non ho ancora il potere di comprendere i tuoi grugniti. Va tutto bene? Michi?”

“Michi sta.” Rispose mettendosi comoda sul cuscino.

Sta come!?” Chiese Giovanna facendo altrettanto rannicchiandosi nel suo letto.

Scoprendosi sorprendentemente loquace, la bionda iniziò a raccontarle alcuni dettagli della telefonata che aveva avuto con la compagna un'oretta prima, spiegandole come il processo di “guarigione” stesse avendo continue evoluzioni, ma come la stessa Michiru non riuscisse ad inquadrare quella situazione e come il tutto risultasse per le due dannatamente, faticosamente e perversamente lento. In più le parlò di Khloe e nel farlo se ne stupirono entrambe. Erano cose talmente personali. Alla fine di quello stranissimo, improvviso, ma per la bionda, necessario monologo, quest'ultima attese i pensieri dell'altra.

“Ho capito. Devo ammettere che non credevo fosse un problema psicologico di tale portata. Michiru deve stare facendo un grandissimo sforzo per cercare di risolverlo, ma credo che sia normale che si senta confusa e combattuta tra la voglia di tornare da te e la necessità di rimanere ad Atene, a maggior ragione se ha trovato una brava psicologa. Certo anche tu devi sentirti proprio come se fossi immersa in un otre di cacca, Ruka.”

“Già, il più calzante degli eufemismi.”

“Poi quella Khloe. Per come sono fatta io, gelosa come un toro, a vedermi con le mani legate fissa al pensiero che la mia donna viva accanto alla sua prima fiamma, darei di matto. Troppo calma stai.”

Haruka sbuffò grattandosi la testa. Non era quello il punto o non lo era del tutto. “Giò, non mi fotte se Khloe le da noia. Michiru è grande e grossa per tenerla a bada. - Mentì, perché un po' di timore comunque continuava ad averlo. - Il fatto è che sono cementata qui e non posso fare niente per aiutarla. Questa cosa mi fa uscire fuori dai gangheri.”

“Lo immagino. E' orrendo quando la persona che ami è costretta a giocarsi una partita tanto importante senza che tu possa intervenire.”

“Giò...” Sibilò dopo qualche secondo.

“Dimmi.”

“Quando stavo in intensiva anche Michi ha provato la stessa cosa.” Ammise.

L'altra confermò avvertendo nella voce della sorella la nodosità della tristezza. “Si Ruka, lo so. Quando ti sei trovata a lottare tra la vita e la morte ha provato un sentimento simile. Si sentiva impotente. Totalmente ed umanamente impotente. E sola, come credo ti senta tu in questo momento.” Osò.

Ed al ricordo di quella notte di speranza, morte, fughe e lacrime, Giovanna avvertì un brivido ghiacciato risalirle la colonna. Lei stessa si era sentita soffocare dall'angoscia, pur non capendo ancora quali sentimenti provasse per colei che aveva appena scoperto essere sua sorella minore. C'era da star male nell'immaginare la lacerazione emozionale che Michiru aveva vissuto. Bloccata sotto la mannaia di un countdown che avrebbe potuto dividerla per sempre dal suo amore.

“E se fosse stata anche colpa mia?”

“Colpa di cosa Ruka?”

“Si... Vedi... - La bionda aveva cercato in tutti i modi di dimenticarsi di quell'anno maledetto nel quale aveva dovuto per forza di cose delegare alla compagna gran parte delle incombenze domestiche e lavorative, spingendola a parlare con medici e farmacisti, caricandola in maniera eccessiva di pensieri e preoccupazioni. - Quando senti di stare perdendo la battaglia più importante della tua vita, beh, diciamo che le prime persone a risentirne sono quelle che ti sono piu' vicine. Sia dal punto di vista fisico che da quello emotivo. Ho cercato di fare del mio meglio, ma molte volte, quando provavo dolore, angoscia, o... paura, non sono riuscita a controllare i nervi. Non ho mai sopportato l'impotenza e quella dannata malattia mi faceva sentire menomata. Michiru ha spesso dovuto assorbire le mie sfuriate e più lei cercava di starmi vicina, di sorreggermi e più io tendevo ad allontanarla. Quando me ne rendevo conto cercavo di darmi una controllata, ma a volte... E' stato un periodo brutto Giovanna. Davvero.” Un'ammissione limpida. Un'ammissione di responsabilità che spesso aveva fatto anche con la compagna, trovando immediatamente il conforto del “perdono”.

All'ascolto di quelle parole, il timbro della più grande si fece improvvisamente duro e profondo. “Non darti la croce addosso Haruka. Quello che hai fatto è perfettamente normale, umano e scusabile, ed è una cosa che purtroppo capita quando si vivono sofferenze come la malattia. Non credo però che sia stato questo ad incrementare la vulnerabilità di Michiru. Penso invece che abbia giocato un ruolo importante la mancanza di altre figure famigliari con le quali condividere quell'ansia. Ruka, non è del tutto normale che una donna che stia affrontando quello che ha affrontato lei, si appoggi ad un'altra che le è totalmente estranea come lo ero io.”

La bionda si rigirò nel letto posando la guancia sul cuscino della compagna. Lei aveva fatto lo stesso attaccandosi ad un bambino di dodici anni, considerandolo quasi come il suo migliore amico.

“Credi che se avessimo avuto entrambe una famiglia, Michiru avrebbe vissuto tutta quell'esperienza in maniera meno pesante?” Chiese e Giovanna confermò sicura il suo punto di vista.

“L'avrebbe vissuta più serenamente lei, come l'avresti fatto tu. Avreste avuto una valvola di sfogo e degli appoggi che sono mancati ad entrambe. La famiglia e gli amici sono le ancore della nostra esistenza. E' difficile farcela altrimenti. Ho capito che ad affrontare quella situazione eravate sole non soltanto perché accanto a voi non c'era mai nessuno, ma anche perché dopo il trapianto, Michiru mi ha chiesto espressamente di rimanere ancora un po' a Zurigo, ammettendo di sentirsi più sicura nell'avermi vicino. E ti ripeto che è strano visto che allora ci conoscevamo da neanche un paio di mesi.”

Dopo quella frase tra le due sorelle cadde il silenzio mentre ognuna delle due ripercorreva mentalmente quegli ultimi giorni d'estate, quando Haruka aveva deciso di provare a riprendersi la vita che stava per perdere.

“E ora?” Chiese piano la bionda coprendosi gli occhi con l'avambraccio.

“E ora niente Ruka. Quel periodo è passato, così com'è passato lo stress che avete accumulato. Mi permetto solo di suggerirti di provare a starle accanto senza pretendere da lei cose che ora non sente di riuscire a darti, come la vicinanza di spirito o la presenza fisica. Cerca di essere un po' più come generalmente è lei, ed un po’ meno come generalmente sei tu.”

Sorprendentemente la bionda non si offese a quella mezza critica, anzi arrivo' addirittura a ringraziarla.

“Credevo mi ci avresti mandato....”

“Non sono tanto infantile Giovanna. Tu credi che io non ti ascolti mai, ma non è così.”

L'altra prese la palla al volo come un cucciolo su un prato e volendo stemperare i toni, iniziò a lodarsi per la sua bravura.

“Sono proprio una big sister spacca culi. Ammettilo, ti ho stupita Tenou!”

“Stai scodinzolando un po' troppo Aulis.”

“Credo proprio di si e... mi piace da matti!”

“Contenta tu...”

“Haruka…”

“Eh…”

“Domani però torni in vasca…”

 

 

In breve arrivò la fine di marzo e la primavera ateniese iniziò ad esplodere in tutto il suo scintillante fulgore. Le piante, gli alberi, i prati, tutto sembrava stare prendendosi la libertà di ammantarsi delle più svariate tonalità di verde. Le giornate si stavano allungando e l'aria era sempre più calda, tanto che le escursioni in barca di Khloe con i primi turisti, avevano iniziato a farsi più assidue e prolungate e la sua presenza al Re del mare, meno frequente. Questo aveva portato Michiru a dedicarsi al murales, ai suoi esercizi serali con il violino e ai compiti che Ami continuava a darle giornalmente, senza doversi “guardare troppo le spalle”. Anche il medico aveva allungato le sue sedute con la donna, decidendo coscientemente di spostare di una sessione la discussione della sua tesi di specializzazione, per potersi così concentrare sull'ultimo nodo che la psiche della straniera proprio non voleva sciogliere. Michiru si stava impuntando apparendo più un asino lungo il selciato di una fiera di paese che una donna adulta. Ogni santa volta che si affrontava il discorso farmaci, si chiudeva a riccio e la cosa che inteneriva maggiormente, era che non lo faceva affatto con coscienza, anzi, sembrava più un riflesso condizionato che una cosa voluta. Se così non fosse stato la specializzanda avrebbe mollato la partita già molti giorni prima.

Ogni scusa stava diventando buona per eludere le domande in merito all'ostinazione che aveva nel non volersi servire dei canonici farmaci per dormire, ed Ami doveva ogni volta far forza sulla sua indole riflessiva per evitare di usare con Michiru un grimaldello troppo violento. E si che le sarebbe servito maggior aiuto per dormire, perché comunque, anche se non violenti come prima, di incubi ne aveva, ed il sonno, quello ristoratore, curativo, non la cullava. Ma nulla, su quella strada la cocciuta Kaiou proprio non voleva camminare, preferendo impegnarsi giornalmente in mille cose pur di arrivare a sera esausta e crollare qualche ora per poi ricominciare all'alba, tutto da capo.

Ed Ami aspettava paziente come un pescatore sulla riva del mare. Aspettava che fosse pronta, che arrivasse al limite, al punto di snervamento, di rottura, che fosse lei a sentire la necessità di aprirsi, il che non era assolutamente cosa facile e nonostante la stessa Michiru avesse compreso che quella era l'ultima matassa maligna che le opprimeva la mente e l'impediva di tornare a casa, la voglia di rivedere la sua compagna non era altrettanto forte se paragonata alla paura di ricordare il perché di quell'ostinazione. E più questo tira e molla tra le due proseguiva, più Ami aveva il timore che al momento della verità l'onda d'urto sarebbe stata violenta. Doveva tenersi pronta anche a questo.

Così intanto che Michiru lavorava al murales, aumentando giorno dopo giorno la forbice del così detto periodo di pace prima della tempesta, la specializzanda le gironzolava intorno con fare discreto, pronta al maremoto che prima o poi avrebbe spazzato le coste del Pireo. Così accadde che in un primo pomeriggio assolato di metà settimana, mentre la straniera se ne stava sul suo trabattello con pennelli e tavolozza tra le mani, Ami entrò nel locale delle piscine stringendo un quotidiano tra le mani.

“Michi hai letto le ultime?” Chiese vedendola voltarsi nella sua direzione. Lo sguardo stanco, ma soddisfatto.

Che cos'hai dentro se neanche la pittura riesce a lenirti l'anima pur amandola così tanto? Si disse mentre apriva la pagina degli spettacoli alzandola così che potesse leggerne il titolo. Gli occhi di Michiru corsero sul carattere scritto in grassetto mentre una ruga prendeva a solcarle la fronte.

La grande Flora Kaiou in visita ad Atene per un trittico di concerti nella capitale.” Lesse a voce alta posando poi lentamente tavolozza e pennello sull'acciaio del pianale.

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco… l'ultima frase mi è venuta adesso, di getto, senza permesso. Bene e ora che diamine c'entra la madre di Michiru? Non so cosa rispondervi. Veramente. Sono giorni che penso a come finire questo capitolo e ora, alle 19 di una sera come tante, mi entra nella testa questa donna, che poi non farà altro che allungare la storia ed incasinarmi i “piani” che a grandi linee volevo seguire per concluderla. Non è colpa mia. Parola.... Che poi, povera, l'ho dipinta come un'arpia bastarda, madre scellerata, dittatrice occulta, regina di tutti i mali. D'accordo, non si è comportata tanto da madre amorevole, ma per aver tirato su una brava ragazza come Michi qualche cosa di buono deve pur averlo, no?!

Intanto Giò ed Haru stanno istaurando un legame di “odio, amore” tipico di tutte le sorelle del mondo, il che mi fa sorridere e divertire da matti. Uso molto Giovanna per alleggerire le tensioni. Ha un carattere testardo ed ostinato, proprio come Haruka, ma è dotata di un grande senso dell'umorismo che credo sia il suo punto di forza.

Attenzione a Khloe. Devo renderla un po' più partecipe all'interno della storia. Per ora l'ho presentata solo come una scassa famiglie. Ma forse lo è? Mah….

Un inciso su Giuseppe Tartini (1692 - 1770) ed il suo Trillo del diavolo: probabilmente, a tutt'oggi ancora il brano più difficile per un solista di violino mai composto nella storia della musica. Immaginatevi Kaiou che lo suona e poi non ditemi che non vi ha messo i brividi.

A prestissimo Wolf.

   
 
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