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Autore: Eneri_Mess    21/03/2017    0 recensioni
Moira K. Nightingale è titolare e proprietaria dello studio Last Will and Testament. Chi deposita il proprio testamento presso di lei sa già che la fine è vicina e che avrà bisogno del suo aiuto per ottenere vendetta.
Non si tratta mai di urla deboli, fiacche o arrese all’inevitabile. Riecheggiano sempre in ogni angolo e in ogni fibra, disperate, inascoltate, ignorate; anche lì in quel maniero, nella quiete isolata della campagna, negli ettari del giardino, facendo uggiolare i cani da caccia nelle loro cucce.
[Tratto dalla trama di una Cena con Delitto realizzata da steno]
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cow-t, settima settimana, M8.
Prompt: sangue.
Parole: 764

 
 
A steno,
per realizzare queste fantastiche
Cene con Delitto.

Ad Alexiel Mihawk,
che ha interpretato Lionel Rice
con baffi ed entusiasmo. 

 
 

Un’altra famiglia, un altro testamento.

Moira K. Nightingale è fuori dalla porta, un uscio bloccato da più di una mera chiave girata. Sa da tempo che niente di tutto ciò dura più di uno o due minuti, ma la relatività è una legge fisica, e per quanto i secondi scorrano uguali a lei sembra sempre che ogni attimo si dilati a durare ore.

Non è lei a morire, non fisicamente. Ma ogni volta, lì dove la sua anima si assottiglia a un nuovo urlo di pietà, un mattone viene aggiunto al muro che la sta allontanando dal mondo, che la sta salvaguardando dall’essere smembrata interiormente dall’atrocità a cui può solo che assistere.

Chiude gli occhi quando avverte l’ultimo respiro della vittima.

Un’altra notte è volta al termine, anche se le luci dell’alba sono ancora lontane e i segreti continuano a cappeggiare un massacro di bugiardi.

Le occasioni in cui ha già visto il sangue scorrere in rivoletti sotto lo stipite, sentito le unghie del povero sfortunato grattare il legno della porta e scorticare la vernice nel chiedere aiuto, compassione, invocare la propria innocenza, ormai non le conta più.

Non si tratta mai di urla deboli, fiacche o arrese all’inevitabile. Riecheggiano sempre in ogni angolo e in ogni fibra, disperate, inascoltate, ignorate; anche lì in quel maniero, nella quiete isolata della campagna, negli ettari del giardino, facendo uggiolare i cani da caccia nelle loro cucce.

Moira ha sempre pensato che assistere all’ultimo gemito di un essere innocente ti farà sentire colpevole per tutta la vita. Nessuno tuttavia, al piano di sotto, ha ascoltato davvero. Nessuno sembra aver mai preso in considerazione nel baccano di discussioni, di accuse, di ragioni imposte, quelle urla.

Quando torna a guardare davanti a sé, ora che lì tutto tace un’altra volta, c’è un volto che la osserva. Trasparente, lattiginoso, brillante nel corridoio buio. Ha occhi spalancati che urlano al posto delle parole. È poco più di un’ombra bianca, un istante fermato nel tempo, nella morte.

“Non era lui” esala Jeremy Green e la voce sembra provenire da qualsiasi luogo in cui sono state seppellite e nascoste le sue spoglie mortali. Cupa e lugubre sono eufemismi da romanzo. C’è del dispiacere da qualche parte, Moira lo percepisce come ogni volta, ma la vendetta è un brivido che soppianta tutto il resto, mozzando il fiato, provocando la pelle d’oca, sentori di paure non meglio specificate e per questo ancora più spaventose.

Non è come avere la morte che scorre le dita nei tuoi capelli e ti sussurra i suoi progetti per te, mentre ti rassicura che ha perdonato i tuoi peccati e che in cambio ti elargirà un dono a suo dire prezioso, ma che per un essere umano è equiparabile a una condanna.

Quello che l’avvocato della Last Will and Testament avverte dal suo assistito spettrale è qualcosa a cui si è adeguata per abitudine e perché sa che continuerà a succedere finché non tirerà le cuoia. Anche se non smetterà mai davvero di rabbrividire, nonostante riesca a non riflettere più nell’espressione i sentimenti che quei bagni di sangue le provocano.  

Fronteggia Jeremy Green, defunto maggiordomo dei Mackenzie, scostandosi dalla parete e rimettendosi dritta. Ci sono quasi tre passi a separarli e il gelo dell’aldilà emanato dal fantasma è un veleno, un miasma dolciastro e intossicante. Come ogni cosa pericolosa ha la sua attrattiva, probabilmente uno dei motivi che spinge la gente a uccidere.

Non è stato Lionel Rice a uccidermi!

La voce ultraterrena rimbomba con enfasi in un fremito che fa lampeggiare le luci dell’immensa casa e scricchiolare le vetrine dei mobili. Dal piano di sotto si sentono i vivi inveire, annaspare nella consapevolezza che non si sono ancora liberati del fantasma che li sta perseguitando. Non ci sono lacrime per gli innocente, ma solo per se stessi e la paura di essere i prossimi.  

Moira ha smesso da tempo di chiedere ai fantasmi perché non prendano direttamente i loro assassini. Ha capito che non è giustizia che cercano. E che i vivi non pagano abbastanza per l’egoismo che sfoggiano.

Vorrebbe dire che le regole le stabilisce lei - un solo capro espiatorio a notte può considerarsi il veto di chi detiene le redini? - ma la realtà è che lei è solo la soglia limite per cui quel gioco di menzogne e sangue rimane in piedi.  

E come una porta che si chiude, si volta per tornare dabbasso, per comunicare quello che i pusillanimi già sanno, per sentire ancora le invettive sotto cui continueranno a celare la verità, che sia delle loro relazioni clandestine o dei loro sporchi segreti.




 
   
 
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