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Autore: BrownRabbit    22/03/2017    2 recensioni
"Skinny love" viene usato per indicare un tipo di relazione fra due persone innamorate, o che hanno una cotta l'una per l'altra da tanto tempo, ma sono troppo imbarazzate per esprimere i propri sentimenti. La relazione è "skinny" perché devono ancora esternare e spiegare ciò che provano. Non vi è comunicazione, per questo non si può definire davvero come relazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mezzanotte in punto, Skype.
Videochiamata.
«Questo è un bel casino.» Bucky si passò la mano sulla fronte mentre leggeva l’articolo linkatogli appena entrato nel gruppo già formato da Natasha, Clint, Bruce, Sam e l’altro James.
Era stata la rossa a vedere per prima la notizia perché era l’unica ad avere un gruppo scolastico su whatsapp tra i suoi amici. Aveva sempre maledetto la volta che si era fatta fregare da Jane ed aveva accettato di entrare nel gruppo organizzativo del ballo studentesco, ora si doveva ricredere. Era stato inoltrato lì il sito ed era abbastanza sicura che il telefono di Steve si stava illuminando ad intermittenza. Fortunatamente a quell’ora dormiva come un ghiro, loro dovevano solo decidere come organizzarsi la mattina dopo.
«Sapevo non essere una buona idea quella di andare via.» Bruce si grattò la guancia mentre faceva andare su e giù la gamba come se avesse un tic nervoso.
«Ehi, tu hai assecondato. Tutti avete assecondato.» Bucky incrociò le braccia al petto.
«Nessuno ti sta dando la colpa, amico.» Sam portò una mano in avanti per fargli segno di calmarsi.
«Concentriamoci sul perché abbiamo fatto la chiamata di gruppo, okay?» Natasha spostò lo sguardo dalle icone dei suoi amici a quelle dell’altro gruppo. «Come potrebbe prenderla Stark?»
Calò il silenzio per un minuto buono nel quale gli amici di Tony cercarono una risposta. Il primo a romperlo fu Rhodes con una leggera alzata di spalle.
«Potrebbe far finta di niente. Sapete, lasciare che le acque si calmino. Quante possibilità ci sono che vengano visti da soli ancora?»
«Una volta alla settimana, di Sabato pomeriggio.» Sbuffarono tutti, Bruce e Sam si lasciarono andare sulle rispettive scrivanie.
«Facciamo così: Nat domani mattina ti presenti a casa di Steve, io a casa di Tony. Vediamo come l’hanno presa ed aggiorniamo il gruppo che farò fra qualche minuto.» Tutti annuirono alle parole di Clint. «Ora è meglio andare a dormire, domani sarà una lunga giornata.» Si salutarono velocemente e chiusero le varie schermate.
Clint guardò per un’ultima volta l’articolo contornato di foto che ritraevano il suo amico e Steve Rogers in gesti in po’ troppo intimi per dei semplici amici. Arricciò le labbra e fece spallucce.
«Però starebbero bene insieme.» Poi chiuse definitivamente tutto, buttandosi nel letto.
 
 
 
Natasha era riuscita ad intercettare Margaret Rogers prima che chiudesse la porta, così entrò senza problemi nell’appartamento e si preoccupò di mettere su un’altra dose di caffè perché Peggy non ce l’aveva fatta e le sembrava che Steve fosse un attimo in ritardo. Qualcosa diceva a Nat che non era poi così in ritardo, quindi si diresse verso la camera dell’amico trovando la porta socchiusa.
«Rogie? Sono Nat, ti ho messo su il caffè.» Sentì i cigolii del letto seguiti dal passo di Steve, il quale aprì la porta sorridendole.
«Chissà come mai non sono stupito tu sia qui.» Romanoff arricciò le labbra di lato e fece spallucce. Colta in flagrante, almeno non doveva fare tanti giri per arrivare dritta al punto.
«Se vuoi oggi possiamo non andare a scuola.» Rogers uscì dalla camera e si diressero insieme verso la cucina dove presero una tazza a testa.
«Non ho intenzione di nascondermi Nat. Se qualcuno chiede, dico la verità.» La ragazza si era seduta su una sedia guardando il suo amico in parte alla moca con aria interrogativa. Questo inarcò un sopracciglio e scosse la testa.
«Davvero pensi che non te l’avrei detto?»
«Ci sarei rimasta molto molto male.» Risero entrambi, accompagnati dal rumore del caffè.
 
 
 
- Rogie l’ha presa con filosofia. Fra mezz’ora siamo a scuola.
- Stark mica tanto, e non intendo Tony.
Clint era stato accolto da Jarvis che gli aveva implorato di rimanere nel corridoio d’entrata, ma appena aveva sentito la voce di Stark senior un po’ troppo alta si era avviato alla ricerca dell’amico, entrando nella sala da pranzo senza preavviso.
I due si voltarono verso il nuovo arrivato, il quale incrociò gli occhi arrossati di Tony. Gli salì la voglia di prendere uno dei vassoi presenti sulla tavola e tirarlo addosso al padre, ma era abbastanza sicuro che sarebbe stato ufficialmente bandito da quella casa. 
«Scusate per l’intrusione, ma Tony rischia di fare tardi a scuola.» Howard lo guardò irritato, Clint doveva intervenire prima che dicesse qualcos’altro, che provasse a mandarlo via. «Rischia di intaccare la condotta, so che i migliori College ci tengono ad una buona condotta.»
Il ragazzo aveva ragione ed il signore lasciò andare il figlio con un gesto della mano.
Stark junior si alzò e prese la sua tracolla, avviandosi con passo veloce verso Clint che era già pronto ad uscire. Prima che potessero varcare la soglia, però, Howard doveva dire ancora una cosa.
«Ah, un’ultima cosa: dì pure a Steven che le lezioni del Sabato sono sospese, Anthony.» I due ragazzi si erano bloccati sulla soglia, Barton rivolto verso Tony e Tony rivolto verso il terreno. «Chiaro?»
L’interpellato si ritrovò a mandare giù la saliva cercando di scacciare il groppo che gli si era formato in gola, giusto per avere una voce abbastanza ferma. «Capito.» Poi sgusciò fuori seguito dall’altro ragazzo.
 
 
 
«Se vuoi possiamo non andare a scuola, Tony.» Questo fece un sorriso tirato.
«Certo, così poi chiamano mio padre ed è la volta buona che mi chiude a chiave il laboratorio.» Clint arricciò le labbra mentre controllava la strada ed ogni tanto tirava occhiate all’amico per vedere le sue espressioni. Cosa impossibile, visto che guardava perennemente fuori dal finestrino. «Però prima vorrei passare in un posto.»
Clint annuì, li avrebbero coperti Bruce e James, non c’erano problemi per quello.
«Ditemi dove volete andare ed io vi ci poterò, my Lord.» Stark si fece scappare una leggera risata prima di rispondere.
 
 
 
«Ehi, guardate! C’è il ragazzo di Rogers!» Un tipo fin troppo muscoloso con la giacca della squadra di football indicò la coppia di damerini in giacca e cravatta che stavano entrando nel parchetto della scuola pubblica.
«Siamo ancora in tempo ad andare via, Tony.» Clint disse la frase a bassa voce così che solo lui potesse sentirla. Era abbastanza sicuro che quella mandria di muscoli fosse in grado di annusare l’odore della paura. Ed ora lui ne aveva un po’.
«Tu giochi con arco e frecce da quando hai due anni e ti fai spaventare da degli energumeni di prima categoria? Toglili le giacche ed il loro ruolo nella squadra e li vedrai correre da mamma.» Diede un paio di pacche sulle spalle dell’amico, il quale sospirò. A quel punto pregava solo di uscire vivo da quella scuola.
Tony si era guardato intorno per tutto il tempo, fino ad arrivare alle scale della porta principale. Clint guardò la porta, poi l’amico, poi la porta. Diavolo no.
«Non dirlo, Tì.»
«Dobbiamo entrare.» Barton stava pensando di rimanere lì, tipo cane legato ad un palo che aspetta il suo padrone fuori dal supermercato. Non sarebbe stato male. «Con Steve ci sarà anche Natasha, Clint.»
Ci voleva poco per convincerlo a fare cose che non voleva, bastava nominare la sua ragazza e tutto cambiava. Tipo ora era lui a farsi strada tra gli sguardi dei ragazzi della pubblica. Non che avesse qualcosa contro le scuole pubbliche, solo che si sarebbe sentito più a suo agio ad entrarci in borghese, senza la divisa della Revenclaw addosso.
«Oh, eccoli!» Clint indicò il gruppetto per poi salutarli.
Nessuno ebbe il tempo di chiedere cosa ci facessero lì che Tony prese per un polso Steve e se lo tirò dietro fino allo sgabuzzino del bidello visto poco prima.
Barton inclinò leggermente la testa, mentre Natasha aveva corrucciato la fronte e gli altri due si erano trovati con la bocca spalancata.
 «Molto utile per far smettere le voci.»
 
Stark si chiuse la porta alle spalle, non aveva riflettuto molto su quanto poteva essere grande il magazzino di una pubblica, decisamente più piccolo di quello della Revenclaw. Lasciò perdere tutte le cose buttate a caso e spostò lo sguardo verso il biondo davanti a lui. Sopracciglio alzato, braccia incrociate al petto, bocca che si stava aprendo per parlare.
«Sei sicuro di essere un genio?» Riferito ovviamente alla scelta di trascinarselo dietro in uno dei posti usati troppo spesso da ragazzi adolescenti con ormoni a palla.
Aveva ben altro nella testa. Una domanda che gli girava dal momento in cui aveva letto l’articolo e visto le foto. Voleva delle risposte, voleva sapere se si stava logorando per un reale motivo o se fosse tutta una sua fantasia.
«Conoscevi la cameriera?»
Acqua gelata.
Quella domanda era stata come acqua gelata per Steve. Aveva capito male, sì, non glielo aveva chiesto davvero. Sicuramente aveva sbagliato a comporre la frase per lo stato di agitazione probabilmente dato dal vedere l’articolo.
«Scusa?»
«Conoscevi la cameriera, Rogers?»
Lasciò andare le braccia lungo il corpo.
No, nessuno sbaglio.
Steve sentì un’ondata di delusione mista a qualcosa di strano, che non riusciva ad identificare. Si sentiva ferito dalla congettura alla quale era arrivato Stark. Gli dava fastidio non ci avesse pensato due volte, nonostante tutto. Alla fine era colpa del comportamento del moro se le cose erano rimaste identiche a prima.
«Non me lo stai chiedendo davvero.»
«Rispondimi.» Stava iniziando a perdere la pazienza. Il non rispondere aumentava il suo dubbio. Era abituato che solo i colpevoli non rispondevano o aggiravano le domande.
Steve scosse la testa e si fece scappare una risata nervosa, per poi guardare Tony negli occhi.
«Non importa quello che dirò, vero?» L’altro ragazzo rimase impassibile, non voleva farsi leggere. «Posso dirti la verità, ma non andrebbe a braccetto con l’idea contorta che ormai ti sei fatto, giusto?» Quella domanda fece scostare lo sguardo di Stark dai suoi occhi azzurri. Steve sospirò. «Mi crederesti se dicessi che non la conosco?»
Ci furono almeno due minuti di silenzio nei quali Tony fissava il moccio immerso nell’acqua marroncina –chissà da quanto tempo era lì- e Steve fissava lui, il tutto finì con lo sbattere della porta che rimase su per miracolo.
 
 
 
«Oh-oh.» Bucky fu il primo ad esprimere quello che più o meno era il pensiero di tutti nel vedere uscire Steve dal magazzino sbattendo la porta e con un’espressione tutt’altro che felice.
Si fermò davanti al gruppo solo per poter prendere il libro e, visto che c’era, parlare a Barton.
«Scusami Clint, ma non penso che ci sarò Sabato.» Prese ciò che gli serviva dal suo armadietto, lo sbatté e se ne andò verso la curva del corridoio.
Natasha prese la mano del suo ragazzo, si scambiarono uno sguardo nel quali entrambi si scusavano. Lui per qualsiasi cosa avesse fatto Tony, anche solo per averlo portato lì e non avergli detto di aspettare nel pomeriggio; lei per l’impulso di seguire il suo amico, che ora aveva sicuramente più bisogno di lei di quanto ne avesse Clint.
Guardò la sua ragazza scomparire dietro l’angolo insieme ai suoi due amici.
«Possiamo andare.» Barton si voltò trovandosi alle spalle Stark, il quale non aveva proprio un bellissimo aspetto, quindi tempestarlo di domande sarebbe stato controproducente e da cattivo amico, perciò annuì e si avviò in sua compagnia verso l’uscita.
Che fosse successo un disastro era palese quanto il fatto che non volesse parlarne. Avrebbe aspettato novità da Natasha, sperando di riuscire a sistemare tutto e che in un certo senso non fosse proprio così irrecuperabile.
- Il tuo amico è un coglione.
Okay, la persona in cui riponeva più fiducia gli aveva appena distrutto tutte le speranze di riappacificare i due.
 
 
 
Era stata la giornata più difficile e pesante di tutti i suoi diciassette anni. Aveva retto fino ad un certo punto le beffe di alcuni suoi compagni di classe conquistandosi una meravigliosa nota disciplinare. La cena di quella sera non sarebbe stata più piacevole della mattinata.
Tony abbracciò uno dei cuscini del letto sul quale si era buttato appena rientrato.
Si era reso conto troppo tardi di aver sbagliato a comportarsi in un certo modo con Steve, come al solito rifletteva solo dopo le strigliate da parte dei suoi amici. Ormai era andata ed era abbastanza sicuro di potersi immaginare Rogers fare i salti di gioia per non essere costretto a vederlo tutti i Sabati pomeriggio più le sere delle uscite a gruppo.
Infondo andava bene così. Ognuno per la sua strada. Tanto non aveva una cotta per Rogers.
«Signorino Stark, c’è un ragazzo che l’attende.»
Non aveva sentito i passi di Jarvis avvicinarsi e tanto meno la porta aprirsi, ma a quelle parole schizzò seduto sul letto, guardò il maggiordomo per qualche secondo e scattò giù per le scale.
Forse era Steve, forse era andato lì per chiarire bene la cosa. Sì, alla fine aveva capito che per uno del suo calibro doveva essere difficile fidarsi delle persone ed era normalissimo dubitasse di chiunque gli si avvicinasse troppo e troppo in fretta.
O forse no.
Tony si fermò di colpo appena entrò nella sua visuale il ragazzo che lo stava aspettando. Doveva smettere di farsi film mentali, le cose non andavano mai come voleva lui.
«Stark.»
«Non sono dell’umore per qualsiasi cosa, Barnes, puoi andare.» Detto quello si voltò e fece per fare le scale a ritroso.
«Si tratta di Steve.»
Bucky guardò l’altro ragazzo bloccarsi, dare una veloce occhiata all’orologio che aveva sul polso, scendere le scale e sorpassarlo. Il che lo portò ad inarcare un sopracciglio, capire Stark era davvero difficile, doveva ammetterlo.
«Seguimi.»
Barnes sbuffò e fece come gli era stato chiesto con poca gentilezza. Lo stava facendo per il suo amico, doveva ricordarselo prima di lanciargli dietro qualcosa.
A breve si ritrovò in una specie di laboratorio di Dexter con aggiunta di macchine e moto vecchio stile. Rimase a bocca aperta. Era lì che Tony spendeva la maggior parte delle sue ore notturne, dunque, mica male come “posto sicuro”.
Al padrone di casa non andava molto a genio il fatto di averlo portato lì, invece, ma voleva evitare di alterare suo padre più di quanto già non fosse. Sperava solo di riuscire a far andare via James prima dell’arrivo del genitore senza dover farlo passare per l’uscita che si era fatto in quella stanza.
«Dunque?» Bucky spostò lo sguardo dalla collezioni di auto a Stark, ricordandosi improvvisamente il motivo della sua visita.
Si schiarì la voce. «Dunque: sai di essere un cretino.» Tony inarcò un sopracciglio e fece per controbattere, ma Bucky lo interruppe subito. «Non era una domanda.» L’altro ragazzo incrociò lo braccia al petto con un’espressione evidentemente d’offesa, però la cosa non scalfì minimamente l’interlocutore. «Solo un cretino potrebbe dare dell’approfittatore ad uno come Steve.» Stark arricciò le labbra è sposto lo sguardo verso il terreno. «Soprattutto se in quello Starbucks ci siete andati per tuo volere, mentre lui fremeva per tornare a casa.» Tony spalancò gli occhi tornando sul volto del ragazzo di fronte a lui.
Cazzo.
Si diede una manata in faccia.
Come aveva fatto a dimenticarselo? Non aveva solo dato dell’approfittatore a Steve, l’aveva incolpato di aver organizzato proprio tutto quando alla fine lui nemmeno voleva andarci in quel locale. Si sarebbe autoflagellato se non tenesse così tanto a se stesso.
Barnes riteneva il suo lavoro compiuto, uscito da lì avrebbe mandato un messaggio ai ragazzi con un bel “tutto sistemato, amatemi pure” in stampato maiuscolo con tanto di grassetto e sottolineatura. Prima però doveva essere certo che il moro non se ne fosse stato lì a piangere per l’amore probabilmente perduto tutta la vita.
«Sabato pomeriggio presentati da lui e fai le lezioni normalmente.» Tirò fuori il telefono sotto gli occhi stupefatti dell’altro. «Ti ho appena inviato il suo indirizzo. Fai un’altra stronzata e la prossima volta non sarò così amichevole.»
Stark annuì in silenzio, ringraziando fosse ancora presto per farlo uscire dalla porta d’entrata come un comune mortale. Non si preoccupò di dire una parola, provava ancora un certo astio nei confronti di quel ragazzo, probabilmente a causa del codino. Bucky non ci fece comunque caso, aveva capito che certe cose le riservava solo ai suoi amici più stretti e lui era andato lì solo per Steve. Sapeva che c’era rimasto male, anche se non lo diceva apertamente.
 
 
 
La giornata era andata meglio di quanto Rogers poteva immaginarsi, tralasciando il “fattore Stark” di quella mattina, aveva avuto anche un paio di inviti al ballo da due ragazzi della scuola, cordialmente rifiutati. Aveva mille altre cose per la testa ed accettare un invito così presto voleva dire iniziare ad uscirci con quella persona, ed uscire con quella persona voleva dire passarci ore anche a scuola, e andare alla stessa scuola voleva dire che se mai non si fossero piaciuti si sarebbero scambiati a mala pena un “ciao” o peggio.
Peggio, perché da due anni a quella parte era sempre lui il problema: le sue relazioni non duravano più di una settimana per il semplice fatto che oltre l’aspetto c’era sempre così poco di interessante, niente lo stimolava davvero. Sapeva che poi gli sguardi truci da parte di chi conosceva uno di quei ragazzi da più tempo di quanto conoscesse lui –tutta la scuola, praticamente- lo avrebbero seguito fino alla fine dell’anno. No, non avrebbe assolutamente retto una cosa del genere.
Però gli andava bene così. Stare solo non era un dispiacere, aveva più tempo per lui e non era tanto male. Aveva anche imparato nuove ricette, tipo quella che stava preparando prima che Margaret Rogers schiaffasse il giornale sul tavolo facendo sobbalzare il figlio. Neanche la porta aveva sentito, tanto era preso dal non far bruciare le cose.
«C’è qualcosa che mi devi dire, Steven?» Braccia incrociate, piede destro che picchiettava sulle mattonelle, sguardo impenetrabile e “Steven”, per niente buoni segni.
Il ragazzo decise di fare finta di niente, spense i fornelli e riempì due piatti nella completa calma, appoggiandoli poi sul tavolo uno di fronte all’altro.
«E’ pronta la cena.» Si sedette seguito dalla madre che non smetteva di fissarlo.
Peggy mangiava con tutta tranquillità, mentre Steve se ne stava ricurvo a guardare il piatto perché sapeva che se avesse alzato gli occhi si sarebbe trovato quelli della madre ancora intenti a ricevere una risposta.
La verità è che non si aspettava la notizia venisse stampata in una pagina interna al Times, e sicuramente non pensava arrivasse fino a lei. Dunque fecero tutta la cena in completo silenzio, fino a quando Steve prese i piatti e li portò al lavello causando un sospiro stremato da parte della donna.
«Non sono arrabbiata, Steve…»
Oh, no, certo. Mi hai solo chiamato Steven. Ma a voce alta non poteva dirlo o si sarebbe trovato il coltello che aveva dimenticato sul tavolo infilzato in una natica. Sua mamma aveva un’ottima mira.
«…solo che se me l’avessi detto prima avrei potuto preparare Howard in qualche modo.» Vide suo figlio scuotere la testa ed era abbastanza sicura stesse sorridendo. Uno di quei sorrisi tirati che fa lui quando la situazione gli sembra troppo assurda.
Peggy prese il coltello da buttare nel lavello come scusa per potersi avvicinare al figlio.
«Penso che non sia una piacevole giornata per Anthony, oggi.» No, sapeva dove stava per andare a parare e doveva assolutamente fermala prima che proponesse di andare a passare una serata con o peggio farlo restare lì per la notte.
«Sì, povero lui.» L’aveva detto con una non curanza tale che aveva messo in standby la madre. Di solito capiva tutto al volo, questa volta evidentemente era tacitamente contenta nel sapere il figlio finalmente con qualcuno capace di fargli passare le giornate in modo diverso confronto al solito.
Infondo pensava che non avesse mai avuto una storia in vita sua, ma ancora non ce la faceva a rivelare di averle mentito per un bel po’. 
Sciacquò l’ultimo piatto e lo poggio a sgocciolare, per poi sospirare leggermente.
«Non stiamo insieme.» Spostò lo sguardo su Peggy. «Stavamo scherzando e la cameriera doveva essere una giornalista in erba.» o una stronza patentata, ma la signora Rogers non amava quando suo figlio faceva uso improprio del linguaggio. Lei poteva, lui no.
Peggy incrociò le braccia al petto dopo essersi fatta raccontare del perché e del per come si trovassero in uno Starbucks da soli.
«Punto uno: da quando sei diventato così spavaldo? Punto due: ora chiami Howard e gli spieghi.» Mentre diceva l’ultima frase si era già messa a rovistare nella sua borsa in cerca del cellulare.
«Non ne ho intenzione. Stark se la sa cavare da solo.» Vide la madre scuotere la testa e porgli il cellulare.
«Non con suo padre, Steve.» Guardava il figlio, che ancora non prendeva in mano l’oggetto. Cavoli, era davvero cocciuto. «Senti, Howard è molto intelligente –un genio, non c’è che dire-, ma non ha la mente tanto aperta per quanto riguarda certe cose, sai? Ora potrebbe star sgridando Tony inutilmente e…» Vide il figlio accigliarsi di colpo.
Tony?
Okay, gli andava bene che i suoi amici avessero preso il vizio di usare il soprannome visto che tutti lo chiamavano così –ma tutti tutti, anche chi scriveva gli articoli-, però da sua madre non poteva reggerlo. Era stata lei ad insegnargli il peso dell’uso dei nomi, cognomi e compagnia bella. “Mai soprannomi o abbreviazioni se non ti importa o se non hai un legame” e lei Stark l’aveva visto solo alla cena, alla quale non si era comportato un granché.
Evidentemente aveva ancora per la testa quell’immagine di un Anthony in fasce, magari sperava che quella serata fosse stata una piccola cosa a parte. Vedeva sempre il buono nelle persone.
«...e probabilmente beccarsi una punizione? Oh, povero piccolo Anthony, come potrà mai reggere una punizione?» Il sarcasmo usato in quella frase mise in allarme Peggy, che appoggiò il telefono sul tavolo ed allungò una mano verso il figlio, il quale indietreggiò. «Sia mai, vero? Infondo è così buono, così educato. Non andrebbe mai nella scuola di tuo figlio a fare una scenata incolpandolo di aver organizzato tutto solo per finire tra i nomi più ricercati del giorno.» Mentre sputava fuori quelle parole una dietro l’altro aveva iniziato ad infilarsi le scarpe da corsa, grazie al cielo aveva già su le braghe della tuta.
«Steve, non puoi andare a correre ora, è tardi.»
Sì, era tardi, ma lui aveva bisogno di scaricare la rabbia che era tornata dopo aver pensato a quella mattina, alla sfacciataggine di quel dannato ragazzo ed al fatto che l’abbia fatto rimanere male più di quanto poteva ammettere. 
 
 
 
Stava girando per la città da non sapeva quante ore, non sapeva dove si trovasse e non aveva idea di quanto alcool avesse ingerito fino a quel momento. Evidentemente tanto, perché quando tirò fuori il portafoglio per controllare quanto ancora si potesse permettere ci trovò solo scontrini messi in malo modo. Bene, ora che suo padre gli aveva ritirato la carta voleva proprio vedere come avrebbe fatto a tirare avanti per un altro mese senza chiedere soldi al grande boss.
Aveva perso il conto di quante volte era sgattaiolato fuori casa per poter andare a far serata con gli amici o semplicemente andare a vedere come rimaneva viva quella città anche nelle ore più buie. Questa volta era stato diverso, però: era uscito dalla porta principale, come una brava drama queen che si rispetti. Niente passaggi segreti del laboratorio, solo un grande ed immenso “vaffanculo” prima di sbattersi la porta alle spalle.
Probabilmente il grande magnante delle Stark Industries aveva smesso di vedere sotto ottima luce Steven Rogers dopo che gli aveva implicitamente detto di essere un pessimo padre e se Tony era fatto così lui era l’unica persona da incolpare.
Che poi perché aveva pensato avesse fatto una bella cosa quella Domenica mattina ancora non lo capiva, non aveva difeso lui ma i suoi amici. Per Steve lui rimaneva una persona da evitare il più possibile e dopo la scenata di quella mattina aveva finalmente la libertà di poterlo evitare praticamente per tutta la vita. Per questo aveva deciso che Barnes poteva tenersi i suoi consigli, perché se Rogers non lo voleva tra i piedi, nemmeno Tony voleva lui tra i suoi.
Forse.
E comunque quello doveva essere stato il karma, per forza. Lui aveva accusato il biondo senza pensarci troppo o ripercorre gli avvenimenti del giorno precedente ed ora si trovava a girovagare per una zona di New York che non riusciva a riconoscere con troppo alcool in corpo per riuscire a distinguere le figure sul display del cellulare.
Poi chi avrebbe chiamato? I suoi amici sicuramente no, l’avrebbero preso a parole. Sarebbero andati a soccorrerlo, sì, ma poi preso a parole per tutto il tempo. Suo padre men che meno. Le possibilità rimaste equivalevano allo zero. Accidenti a lui che non si fidava.
Decise di girare a caso, che prima o poi avrebbe riconosciuto la strada. Invece si trovò in un angolo cieco, con delle scale di ferro che portavano alle abitazioni e tanta voglia di urlare.
Realizzò di aver bevuto troppo e le strade erano quasi completamente buie lì, era meglio sedersi da qualche parte ed aspettare di migliorare. Oppure il Sole. La prima delle due cose.
Si sedette sul quarto scalino della scala di ferro appoggiando la testa alla ringhiera e tenendosi strette le gambe al busto. Pregava solo che non fosse finito proprio sotto la casa di qualche malavitoso.
 
 
 
Margaret Rogers si comportò come una normalissima madre in pena girovagando per la casa per trovare cose a caso da fare, tipo sistemare i libri in ordine alfabetico per autore e poi per titolo, fino a quando non sentì le chiavi girare nel chiavistello della porta. Lasciò perdere i libri e si avviò verso l’entrata spalancando la bocca nel vedere entrare suo figlio con un Anthony ciondolante al fianco.
«Che diavolo è successo?» Chiuse la porta e cercò di aiutare Steve andando a sorreggere l’altro ragazzo dalla parte libera.
«L’ho trovato sulle scale.» Fece un cenno verso una sedia per far capire alla madre dove lo voleva portare.
«Non sarebbe meglio sul divano?» Rogers roteò gli occhi.
«No, sul divano rischia di addormentarsi.» Non voleva immaginarsi come sarebbe stata la mattina successiva avere uno Stark che si lamentava perché l’avevano fatto dormire su uno scomodissimo divano causandogli mal di schiena.
Appoggiarono Tony sulla prima sedia che trovarono e finalmente vennero messi a fuoco dal ragazzo, il quale scoppiò in una fragorosa risata. Con tutte le probabilità esistenti il suo inconscio l’aveva portato nella via letta quel pomeriggio, perfetto. Forse sarebbe stato meglio farsi prendere da un poco di buono.
«Stark, quanto hai bevuto?»
«Mio Dio, Stebe, sempre con questo tono autoritario.» Il biondo inarcò un sopracciglio e poi soffiò. Doveva lasciarlo sulle scale e fregarsene altamente, perché diavolo l’aveva portato su?
«Tony, da quanto sei fuori casa?» Ecco, la voce della madre era più pacata e tranquilla. Così si poteva ragionare. Per quanto ancora lui fosse in grado di farlo, ovvio.
«Non so…» Fece spallucce. «…prima di cena?» I Rogers spalancarono gli occhi.
«Metto su un caffè.» Appena finita la frase la madre si spostò verso i fornelli.
«Non gli serve un caffè, gli serve dormire un po’.» Tony guardò la scenetta con un sorriso divertito stampato in volto, non perché capisse davvero ciò che stava succedendo ma perché rideva sempre per tutto quando era ubriaco.
«Si deve riprendere, Steve!»
«Dovresti fargliene dieci per farlo riprendere.»
«Gliene farò dieci, allora!» Il biondo scosse la testa capendo nuovamente da chi aveva preso il suo carattere ed il perché aveva tirato su Stark dalle scale.
E anche perché lo stesse tirando su dalla sedia con tutta la delicatezza che poteva, pronto a portarlo in camera sua e concedergli di dormire in un posto un po’ più comodo del divano.
«Ora lo porto a dormire, ma’!»  
«Allora il caffè lo berrà domani!» Perché ormai la moca era pronta e sul fornello.
Peggy guardò il figlio fare un gesto a caso e sparire con l’altro ragazzo nel corridoio. Poteva dirle quello che voleva, ma comunque un po’ ci teneva a quel piccoletto.
 
 
 
Steve fece sedere Tony sul materasso del letto e lo maledisse per essere uscito con Jeans e camicia. Davvero, che ci faceva in casa con la camicia? Fece un grande respiro prima di iniziare a sbottonare l’indumento bianco, facendo sobbalzare l’altro ragazzo.
«Oh, non avevi detto “dopo la terza uscita”?»
«Wow, sei insopportabile anche da ubriaco.» Per tutta risposta ebbe un mugugno quasi di frustrazione.
Qualsiasi cosa facesse o dicesse era insopportabile per Rogers, anche quando obbiettivamente non aveva detto niente di che, solo rimarcato una battuta fatta dall’altro.
«Sarei insopportabile anche nell’intento di salvare un cucciolo, per te.» Se non fosse stato ubriaco probabilmente se ne sarebbe stato zitto, ma se non fosse stato ubriaco sarebbe tornato a casa e Steve non gli avrebbe dovuto togliere i vestiti. Quindi era stata una buona idea spendere così tanto per l’alcool, tutto sommato.
No, okay, che stava pensando? Aveva bevuto troppo, decisamente.
«In quel caso non saresti te.» Steve tolse la camicia sotto gli occhi sbarrati di Stark. 
Sarà anche stato ubriaco, ma quelle parole le aveva recepite abbastanza bene. Bell’immagine che s’era fatto Rogers di lui.
Intanto il biondo si era fermato a guardare il fisico del moro che, doveva ammettere, non era affatto da buttare. Certo, non aveva la sua stessa dose di muscoli, ma una tartaruga accennata c’era e le braccia dovevano essere state allenate a forza di aggiustare cose.
«Se vuoi mi metto in posa.» E via che il colorito rosa pallido della carnagione di Steve lasciò il posto ad un rosso pomodoro maturo che portò un ghigno sul volto di Tony.
Per tutta risposta prese la camicia e la posizionò sulla sedia, maledicendosi per essersi perso via.
«STEEEBE, avresti ancora i pantaloni da togliermi.» Ora era sicuro la sua pelle stesse prendendo fuoco.
«Togliteli da solo!» Sbottò mentre usciva dalla stanza per dirigersi verso il bagno con un cambio tra le braccia.
 
 
 
Finita la doccia decise di aspettare ancora un po’ prima di tornare in camera a controllare la situazione, così da essere sicuro che Stark dormisse già. Si diresse verso la cucina-salotto dove vide sua madre scorporare i cuscini dal divano.
«Io ci dovrei dormire lì.»
«No, tu dormi di là con Tony. Se dovesse stare male qualcuno deve accompagnarlo fino in bagno, non trovi?»
NONONONONONONONONO.
Il ragazzo sbuffò. Sapeva che sua madre sarebbe rimasta di quell’idea e quindi via a tornare in camera con i cuscini del divano dopo essersi bevuto mezzo litro d’acqua. Quella non era decisamente la sua serata. Una volta nella stanza posizionò il tutto ai piedi del letto e prese una coperta dall’armadio.
«Speravo dormissi con me.» Sobbalzò per lo spavento perché era convinto stesse già dormendo. Aveva evitato di accendere la luce ed ammazzarsi tre volte per quello, invece Tony era sveglio.
«Smettila di scherzare e dormi.»
Il problema era che non stava scherzando. La stanchezza aveva preso il sopravvento, mescolata all’alcool dava il via libera alla bocca di Stark.
«Lo salverei un cucciolo dalla strada, Stebe.» La voce era leggermente incrinata, questo colpì in modo negativo lo stomaco dell’altro ragazzo già coricato nel giaciglio improvvisato. Odiava far rimanere male le persone, ma quando era innervosito non pensava troppo a quello che diceva, poi se ne pentiva. Sperava solo che il giorno dopo non se lo ricordasse.
«Smettila di chiamarmi “Stebe” e dormi.»
Altri attimi di silenzio, poi nuovamente riempito dalla voce del moro.
«Vienici alla festa di Clint, dai.» Steve sospirò pesantemente. Quella cosa sarebbe andata avanti per molto, ancora, forse non rispondere l’avrebbe portato a stare zitto e cedere al sonno. «Ne sarebbe felice ed io giuro che non dirò niente. Non ti parlerò, me ne starò buono buono nel mio angolino.» Macché, avrebbe continuato ad andare avanti.
«No, non lo farai.»
«No, hai ragione.» Comparve un sorriso divertito su entrambi i volti e di nuovo il silenzio.
Questa volta durò un attimo di più, come se Tony si fosse preso del tempo per pensare.
«Perché non mi sopporti, Stebe?» Preferiva quando usava il suo cognome accompagnato da quel tono di menefreghismo che lo caratterizzava. Così era troppo tranquillo, troppo morbido e gli serviva tutta la sua concentrazione per ricordarsi del perché davvero non lo poteva reggere.
«Perché sei uno spaccone, Stark.» Sentì una leggera risata venire dal letto.
«Sì, penso sia quella l’impressione che do.» Il silenzio che cadde poi fu terribile per Steve.
Impressione. Già, forse aveva ragione. Forse era tutta un’impressione quella che aveva di Stark, alla fine non era così terribilmente insopportabile nell’ora di lezione, non lo era stato anche quel pomeriggio da Starbucks. Anzi, lì era stato lui a tagliare corto ogni tentata chiacchierata.
«Scusami per stamattina, sono un idiota.» Steve sorrise a quelle parole.
«Cavoli, non ho mai un registratore a portata di mano quando serve.» Tony rise di nuovo, e quella risata stava iniziando a piacere un po’ troppo a Steve. «Ora dormi.»
Rogers non lo vide, ma il moro annuì in silenzio. «Solo promettimi che verrai alla festa.» Il biondo sorrise di nuovo dopo aver sospirato.
«Promesso. Buonanotte Stark.»
«Buonanotte Stebe





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Note dell'autrice: Non ho molto da dire, solo volevo ringraziare le persone che seguono questa storia, chi l'ha messa tra i preferiti, tra i ricordati e chi recensisce. Grazie mille, davvero. <3

Un bacio,
BR.
   
 
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