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Autore: Heihei    22/03/2017    1 recensioni
TRADUZIONE
La storia è stata scritta da Alfsigesey e pubblicata su fanfiction.net in lingua inglese.
Bethyl post-finale della 4 stagione
"Nulla sarà più facile di nuovo. Scappare da Terminus, sconfiggere una mandria di vaganti, cercare provviste. Ma niente di tutto ciò sarà difficile come innamorarsi e provare a costruire una vita insieme in mezzo a tutto questo."
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ULNA E RADIO

 

 

 

Beth trascorse la maggior parte della notte in stato d’incoscienza.

Randal e padre Gabriel la trasportavano a turno. La tecnica del pompiere era scomoda, ma pratica. Prendeva e perdeva conoscenza, entrava e usciva da quella condizione di stordimento estremo. Ricordò di essere inciampata, a un certo punto. Probabilmente, le avevano chiesto di camminare un po’ da sola quando erano troppo stanchi, ma non avevano lasciato che camminasse molto, questo lo sapeva.

Quando l’azzurro del cielo prese a schiarirsi, diventando del tipico colore che precede l’alba, si era parzialmente ripresa, abbastanza da realizzare di essere in piedi sul ciglio della strada. Delle voci parlavano, ma erano troppo intontita per capirle.

Alcuni dei cannibali scomparvero, per poi ritornare in pochi minuti a bordo di un’auto che avevano nascosto in precedenza da qualche parte lungo la strada. Registrò mentalmente la direzione che stavano seguendo e, quando nessuno la stava guardando, si strappò qualche ciocca di capelli biondi e le fissò a terra sotto una pietra, disegnando una freccia.

Non aveva la forza di volontà per parlare o per ascoltare le loro parole. Provò a gettarsi a terra, ma qualcuno la rialzava ogni volta.

All’alba, si svegliò davvero.

Fu il dolore a svegliarla. Il dolore e il movimento continuo a cui era sottoposta. Il suo intero corpo tremava.

Seguendo l’istinto, cercò di tirarsi su non appena aprì gli occhi e gli ultimi suoi secondi di coscienza e di panico della sera precedente le tornarono in mente con un conato di vomito. Con la mano destra, si mise alla ricerca della sinistra, che riusciva a vedere solo con la coda dell’occhio, ma quella visione svanì non appena la sua mente ricordò che il suo braccio, ora, era a metà. Il suo braccio mozzato entrò in contatto con la moquette dell’auto e le venne spontaneo gridare.

“Ssh!”, qualcuno la riprese.

Una mano troppo frenetica per essere davvero confortante si chiuse sulla sua spalla. Nella penombra, continuò a fissare il moncherino con il battito a mille e una smorfia di dolore, ricordando l’accaduto. Il suo braccio, mozzato all’altezza del gomito, era stato fasciato e non sembrava che sanguinasse ancora. Qualcuno doveva averle messo dei punti. Le avevano dato anche dei farmaci, perciò il dolore non era così esageratamente intenso.

Era ancora lì, ma non era preoccupata come avrebbe dovuto. Ripensò a quando aveva tentato di fuggire da Terminus per la prima volta.

La mano che aveva sulla spalla era scura e pesante. Si scostò, senza guardare a chi appartenesse. Necessitò di un altro paio di minuti per tirare dei respiri profondi, cercando di non guardare il suo braccio mutilato, prima di prendere coscienza dell’ambiente che la circondava: era nel retro di una Ford Expedition, che sgommava lungo la strada.

Si alzò quel tanto per bastava per vedere chi altro fosse in macchina con lei. Franco era alla guida, con accanto uno dei due fratelli armato di un fucile da caccia. L’altro era seduto nella seconda fila di sedili, tra le due donne. Al posto di una terza fila, c’era solo la moquette, impregnata di saliva e sudore. Avevano premuto il suo viso contro di essa prima che si svegliasse.

Accanto a lei c’erano Randal e padre Gabriel, che la osservavano entrambi preoccupati.

“Dove siamo?”, mormorò. Aveva la gola secca.

Avvertendo il suo bisogno, padre Gabriel svitò il tappo di una bottiglia d’acqua e gliela avvicinò al mento. L’afferrò con gratitudine, senza smettere di guardarlo, in attesa di una sua risposta.

“Non troppo lontano da dove ti abbiamo… trovata”, ammise. “Abbiamo riposato solo per un paio d’ore e poi abbiamo deciso di aspettare l’alba per tornare al campo.”

“Riposare?” Sentì una sguaiata, insolita risata rimbombare fuori dalla sua gola. “Quindi avete cenato e poi avete anche dormito per qualche ora!”

Il sorriso svanì dal suo volto. Non era neanche sicura del perché avesse riso, era stata avvolta da una strana euforia. Dovevano essere stati i farmaci.

“Voi non l’avete mangiato, vero?”, sperò.

“No”, Randal rispose bruscamente per entrambi. “Come avremmo potuto...”
“Io non ho mai mangiato carne umana”, disse padre Gabriel a bassa voce, “e non avevo intenzione di cominciare col tuo braccio.”

La sua espressione era un misto di rabbia e pietà.

Incapace di trattenersi ancora a lungo, Beth scoppiò a ridere. Sentì il modo in cui la macchina cominciò a rallentare, Franco doveva averla sentita. Si coprì la bocca con una mano per provare a fermarsi, ma le risate le uscirono ancora più forti. I suoi occhi si riempirono di lacrime in pochi secondi. Non sapeva se aveva gridato per il dolore o per l’euforia, ma le sue risate si trasformarono presto in singhiozzi.

“Che cazzo le avete dato?!”, sentì uno dei fratelli gridare.

“Volete farla stare zitta?!”, disse la donna rossa che Franco aveva chiamato Hilly.

“Beth… Beth, ti senti bene?”

Padre Gabriel non sembrava annoiato o stizzito come il resto dei presenti, sembrava preoccupato. Come se pensasse che fosse diventata pazza.

“Perché stai ridendo?”, sibilò Randal con gli occhi umidi spalancati e profondamente turbati.

“Perché non potevate fare cosa più stupida!”, esclamò, cercando di soffocare un ultimo signiozzo.

Daryl li massacrerà.

Sarebbe successo, se non l’avesse fatto prima la carne infetta.

“L’hanno mangiato tutti?”, chiese affannata. Le lacrime cominciarono ad asciugarsi, rimase a bocca aperta. “Hanno mangiato il mio braccio.”

Mangiare carne infetta doveva essere terribile quasi quanto un morso.

“Beth, mi dispiace tanto.” La voce di padre Gabriel tremò. “Mi dispiace tanto, non potevo fermarli...”

Era stanca di sentire scuse. Scosse la testa, dando un freno a tutta quell’ilarità che stava esternando.

Per quanto aprire la portiera e gettarsi sulla strada fosse allettante, sapeva che non era un’opzione da considerare. Anche se l’auto non era bloccata, aveva perso molto sangue e aveva assunto farmaci. Tra l’altro, erano riusciti già a catturarla ore prima, quando era ancora pronta a combattere. Adesso, invece, era ferita e insicura. Era troppo presto per capire come il suo braccio l’avrebbe condizionata. Non voleva pensarci.

Notò il colorito pallido della sua stessa pelle. Era sempre stata abbastanza chiara, ma ora lo era molto di più: era giallastra, come se fosse malata. Solo al pensiero di tutto quel sangue che era uscito dal suo braccio, lo stomaco le si contorse.

“Ho bisogno di stendermi.”

Poggiò la testa sulla pancia di padre Gabriel, coprendosi gli occhi con l’avambraccio che le era rimasto e cercando di ingoiare la bile che si stava facendo strada nella sua gola.

“Da quanto tempo siamo in viaggio?”

Sembrava una strada tortuosa, quella che avevano scelto di percorrere. Avevano preso una buca già un paio di volte da quando si era svegliata, quindi in pochi minuti.

“Da venti minuti o giù di lì. Sei stata incosciente per tutta la notte.”

“Abbiamo attraversato i boschi per tornare alla macchina?”

“...Sì”, rispose Randal con un sospiro, sporgendosi verso di lei.

“E ora stiamo tornando al vostro campo?”

“Esatto.”

Entrambi sembravano più afflitti di lei, le loro voci tremavano e quasi balbettavano. Vedevano la perdita del suo braccio più tragica di quanto stesse facendo lei.

Magari erano i farmaci a renderla stabile. Forse presto avrebbero smesso di fare effetto e si sarebbe sentita a pezzi, ma, per il momento, si sentiva assurdamente calma. Non era morta, quando così di recente aveva pensato che erano molte le probabilità che succedesse. Sapeva che stavano ancora pianificando di ucciderla, così aveva detto Hilly, la ragazza dai capelli rossi.

Volevano che diventasse il primo sacrificio di Terminus II.

Il sole stava sorgendo, era un momento critico, ma era quasi certa che Daryl e gli altri non ci avessero messo molto per arrivare alla torre idrica a riprendere gli altri. Lui aveva ancora tutta la notte per seguire le tracce.

Doveva essere nei pressi di quelle colline e, anche se il percorso non era poi così chiaro da quando si erano messi in viaggio, non erano lontani.

Si sarebbero ritrovati.

Si sarebbero sempre ritrovati.

Allo stesso tempo, Beth chiuse gli occhi ed ascoltò, respirando regolarmente e chiedendosi chi tra i cannibali avrebbe tossito per primo.

Fu Hilly.

 

 

–-----------

 

 

 

Carol osservò Bob mentre esaminava le ossa di Beth, con una mano sul mento.

“Sono i suoi ulna e radio sinistri”, disse.

Quelle ossa erano ancora più piccole e sottili di quanto si aspettasse. Beth era minuta, sembravano ancora quelle di un bambino, anche se un po’ più forti.

“Daryl ha detto che c’erano anche altre ossa più piccoli e altri pezzi… Credo che abbia perso solo l’avambraccio, altrimenti avremmo trovato anche l’omero.”

Il suo tono era grave, ma non sembrava demoralizzato.

In un certo senso, Carol provò quasi una sorta di gelosia nel vedere tutto il gruppo scattare per la ricerca di Beth, ma poi scacciò via quella sensazione, odiandosi per averlo anche solo pensato. Era il momento di gettarsi il passato alle spalle. Tutto.

Erano tutti nella jeep a seguire Daryl, che continuava a cercare tracce nell’oscurità a piedi. Maggie e Glenn erano avvinghiati l’uno all’altra. Era impossibile scegliere chi tra i due avesse più bisogno di conforto, ma a Carol sembrò che si stessero sostenendo a vicenda.

Abraham, Rosita e Eugene sedevano davanti, guidando a turno. Tutti gli altri erano raggruppati sul retro, circondati dal loro bottino di Terminus.

Nessuno suggerì che avrebbero dovuto risparmiare carburante.

Nessuno disse che avrebbero dovuto fermarsi a riposare.

Neanche Carol lo voleva. Ne aveva fatte di scelte difficili, ora voleva fare semplicemente la cosa giusta e, quel giorno, la cosa giusta era trovare Beth.

E confessare.

Dal lato opposto al suo, Rick sedeva accanto a Sasha e Tyreese. Non lontano da loro, Carl teneva la testa poggiata sulla pancia di Michonne, ma non stava dormendo. Nessuno di loro dormiva.

Rick alzò lo sguardo su di lei giusto in tempo per vederla perdere l’equilibrio per uno sbandamento dell’auto. Allungò una mano per afferrarle il braccio, aiutandola a sedersi di fronte a lui. Stando al suo volto preoccupato, doveva aver capito il motivo per cui si stava avvicinando.

“Te l’ha detto?”, gli chiese a bassa voce.

Tyreese e Rick si scambiarono un’occhiata, mentre l’espressione di Sasha s’incupì come si accorse di Carol.

“Sì, me l’ha detto”, disse Rick. La sua mascella era serrata, lo sguardo in fiamme. “Avresti dovuto dirlo prima. A tutti noi. Non posso continuare a fare questo con te, Carol. Devi decidere se sei davvero parte di questo gruppo o no. Decidi se sei davvero tornata dopo che ti ho mandata via.”

A quelle parole, gli occhi di Michonne ruotarono nella loro direzione e la testa di Carl sembrò sollevarsi leggermente. Non si guardò intorno, ma sapeva che stavano ascoltando tutti, o almeno ci stavano provando, dato il rumore del motore.

Annuì, guardando gli alberi scorrere dietro la testa di Rick.

“Lo so.” Stava iniziando a capirlo, come se avesse realizzato che fino a quel momento aveva camminato con delle catene alle caviglie. “Davvero.”

“Mi dispiace. Mi dispiace per tutto.” Rick scosse la testa. “Mi dispiace per Sophie, per Mika e per Lizzie. Mi dispiace per...”

Distolse lo sguardo da lei. Strinse ancora la mascella, incapace di forzare le parole ad uscire, ma Carol le aveva già predette.

“Avrei dovuto perdonarti molto tempo fa. Ci ho provato, Rick, l’ho fatto davvero. Non sono mai stata nella posizione per incolparti per ciò che è successo.”

Non riuscì a guardarlo negli occhi mentre lo ammetteva. Continuò a indietreggiare il più che poteva. Molti di loro ora potevano sentirla, la sua voce si era alzata per l’emozione.

Solo Glenn, Maggie e Carl sembravano aver capito, il resto della jeep sembrava sconcertata. In particolare, Carl incontrò il suo sguardo, contraendo la bocca in una smorfia.

“Hai perso tua figlia.” Rick riuscì finalmente a dire qualcosa. “Le avevo detto che sarei tornato. Mi aveva chiesto di non lasciarla.”

Carol si nascose il viso tra le mani. Era una condizione che non voleva accettare, ma non poteva sbarazzarsene, se la sarebbe portata dietro per sempre.

Non riuscì a vederlo, ma percepì un movimento alle sue spalle e sentì l’auto oscillare un po’ quando qualcuno si mosse. Le mani di Carl le cinsero entrambe le spalle, tirandola su.

“Manca anche a me”, disse semplicemente.

Ignaro di ciò che stava accadendo sul retro della jeep, Abraham aumentò di colpo la velocità, facendo scivolare tutti da un unico lato. Tyreese afferrò Carol prima che potesse darsi male e, mentre Rick faceva lo stesso con Carl, tutti provarono ad aggrapparsi a qualcosa.

Gli alberi scomparvero per lasciar posto alla luce rossa dell’alba non appena raggiunsero una strada.

“Li stiamo raggiungendo?”, chiese Maggie, separandosi momentaneamente da Glenn per afferrare la balestra di Daryl, aiutandolo a rimontare sulla jeep.

“Sì”, mugugnò lui, indicando la strada. “Ho trovato questa.”

Mostrò a tutti una ciocca di lunghi capelli biondi, illuminata dalla luce del mattino.

“Riempiva una freccia disegnata nel fango. Ci sta mostrando la strada.”

Il sollievo comparve negli occhi di Maggie.

“E’ viva.”

   
 
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