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Autore: Sophja99    22/03/2017    4 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo venticinque

In trappola


Vidar colpì alcuni degli esseri incappucciati con la lancia in un'unica, precisa e potente mossa: quelli vennero scaraventati lontano, scoprendo una via verso i cancelli del palazzo. «Corri, corri!» gridò il dio a Silye, mentre coglievano al volo l'opportunità di fuga.

«Dov'è Sleipnir?» urlò la ragazza, per farsi sentire oltre la voce imperiosa di Hel che comandava: «Inseguiteli!»

«Ora non c'è tempo» disse Vidar, senza alcun segno di affanno dopo il colpo con la lancia e la corsa.

Avevano guadagnato un po' di tempo per la velocità con cui gli ultimi eventi erano accaduti e loro si erano dati alla fuga, lasciando gli avversari, Hel in primis, sbigottiti. Tuttavia, quelli si erano lanciati subito al loro inseguimento e i due dovevano sbrigarsi se volevano riuscire a sfuggirgli.

Silye correva più che poteva, come innumerevoli volte aveva fatto nel bosco di Hoddmímir e per quanto lo strato di neve che copriva il suolo le permetteva; in poco raggiunsero il cancello di ghiaccio, ma la ladra, quando fece per aprirlo, si accorse che quello era chiuso.

«Non possiamo uscire» strillò Silye, mentre l'ansia, mischiata alla fatica, prendeva il possesso di lei e delle sue facoltà.

«C'è sempre un modo» affermò Vidar, risoluto. Almeno uno di noi riesce a pensare lucidamente si disse Silye, cambiando subito idea quando lo vide arrampicarsi sul cancello e scalarlo.

«Sei matto? È di ghiaccio: scivoleremo.»

«Avanti! Non c'è tempo» le gridò Vidar, poco prima di saltare dall'altra parte. Silye lanciò uno sguardo dietro di sé e vide le figure ammantate di nero avvicinarsi sempre più pericolosamente, correndo talmente veloci da sembrare che stessero volando, senza toccare il terreno. La ladra lasciò da parte ogni buon senso e si issò anch'essa sulle grate ghiacciate del cancello, arrivando sulla sommità.

«Lanciati, Silye!» esclamò Vidar sotto di lei, con la braccia aperte come a volerla rassicurare che poteva gettarsi senza temere di farsi male. La ragazza chiuse gli occhi e si tuffò, atterrando accanto al dio. Rischiò di sbilanciarsi e cadere di lato, ma le braccia forti e protettive di Vidar la sorressero, per poi lasciarla subito dopo, mentre Vidar riprendeva a correre lontano dal cancello di ghiaccio. Silye lo seguì, cercando quanto poteva di restargli dietro.

La ragazza ebbe appena il tempo di dare un'occhiata alle creature dietro di loro, che ora stavano tranquillamente oltrepassando il cancello probabilmente aperto da Hel, che si lanciò immediatamente in una corsa sfrenata. In pochi istanti ripercorsero a ritroso la via che portava fino al palazzo della dea e giunsero al ponte controllato dalla gigantessa Móðguðr. Anche stavolta la videro, in piedi e vigile, dando loro le spalle. La circuiorono e, quando lei li vide scappare e tentò di acchiapparli, ormai era troppo tardi, perché loro si erano già allontanati in fretta. Silye non riuscì a capire se la gigantessa si fosse gettata nell'inseguimento, perché non aveva più il coraggio, né il tempo o la forza di girarsi o fare altro se non correre.

Nonostante l'ansia e la paura che le creature potessero raggiungerli e prenderli e il luogo spettrale che li circondava, Silye trasse conforto dal movimento continuo delle gambe e dal leggero dolore che iniziavano a manifestare i muscoli dopo aver corso tanto. Era come se quelle rapide azioni le riportassero alla mente i giorni spensierati passati nel bosco insieme ad Úlfur e le innumerevoli volte in cui aveva percorso di corsa l'intero bosco seguita dal cane, impiegando quasi un'intera giornata.

Pensare al passato e al lungo periodo di vita e solitudine a Hoddmímir con Úlfur aveva il potere di calmarla, di farla concentrare sulla corsa e sul suo respiro e riflettere lucidamente sulla situazione. Per qualche motivo Hel aveva mandato alle loro calcagna degli strani individui vestiti di nero ed ora loro stavano scappando senza una meta, né una via d'uscita, dato che Sleipnir era rimasto nel palazzo della dea e non c'era modo di andarsene senza di lui. Erano in trappola.

«Dove stiamo andando? Come faremo ad uscire dall'Helheimr?» domandò Silye, con il fiato corto.

«Pensa solo a correre» disse di rimando Vidar, senza fermarsi, né girarsi verso di lei.

«Dimmelo!»

Finalmente il dio voltò la testa, anche se solo per poco, guardandola in faccia. «Non ne ho la più pallida idea.»

«Rassicurante!» affermò Silye, per mascherare la preoccupazione con l'ironia. «E allora cosa facciamo? Continuiamo a girare in tondo fin quando non ci reggeremo più in piedi?»

«Quello è il piano» ghignò Vidar.

«Andiamo: sono seria! Deve esserci qualcosa che possiamo fare per andarcene, oltre a questa pazzia.»

«Pensa a correre» ripeté ancora una volta il dio, facendo saltare i nervi a Silye, che si chiuse in un silenzio ostinato, lasciando che i piedi e le gambe si muovessero da sé, quasi in modo meccanico. Avanzavano tra la nebbia e il buio degli Inferi, lasciandosi dietro l'imponente e freddo palazzo di Hel.

Proseguirono ininterrottamente per quelle che a Silye parvero ore, fin quando non fu costretta a fermarsi, sfinita e con il petto che le sembrava in procinto di scoppiare per quanto velocemente si alzava e riabbassava. «Vidar» chiamò il dio, che finalmente si fermò e si voltò verso di lei. Silye notò che, nonostante l'enorme fatica, non dava alcun segno di stanchezza, né sudore. «Non possiamo continuare così» disse, per poi aggiungere sottovoce, per non farsi udire da Vidar. «Non ce la faccio.»

«D'accordo. Ormai dovremmo aver messo molte miglia tra noi ed Hel. Possiamo proseguire camminando.»

Silye annuì. Era sempre un'alternativa migliore al continuare a correre senza un luogo preciso verso cui si stavano precipitando.

A un certo punto la ladra iniziò a distinguere strane sagome in lontananza, sebbene queste fossero offuscate dalla nebbia. «Là!» gridò, indicando verso l'alto, dove aveva visto le ombre. «Là c'è qualcosa!»

«Quello... è l'Yggdrasill» mormorò Vidar, mentre l'oggetto si mostrava davanti a loro con sempre maggiore nitidezza man mano che gli si avvicinavano. Silye vide delle colline scure e sopra di esse lunghe radici che si levavano fino ad un punto non ben preciso, poiché doveva trovarsi troppo in alto da poter essere raggiunto ad occhio nudo. Dava una sensazione spettacolare vedere fin dove si spingevano le enormi radici dell'albero: un'ulteriore prova della sua grandezza e maestosità.

Si chiese come mai, quando era sotto l'effetto della runa della vista, non fosse riuscita a vedere anche l'Hel. Forse aveva potuto raggiungere la punta dell'ultima radice dell'Yggdrasill, che ora vedeva distintamente, ma non oltre. O forse quel luogo era talmente oscuro e nebbioso che la runa non riusciva a illuminarlo.

«Le radici ci porteranno all'Yggdrasill e a Midgardr...» disse il dio e Silye si voltò a guardarlo, trovando un'espressione pensosa, ma in cui traspariva una certa eccitazione, come se quell'idea lo entusiasmasse profondamente.

«Sul serio? Come pensi di riuscire a reggerti sulle radici e risalire? Insomma, guardale: ci metteremo una vita a scalarle e non è neanche detto che riusciremo a tornare in superficie!»

«C'è sempre un modo» affermò Vidar.

«Sei troppo ottimista. Io la vedo solo come una missione suicida. E se uno di noi cadesse? A quella altezza non oso pensare cosa potrebbe succedere...»

«Abbi un po' di fiducia. Sei insieme ad un dio, non ad un garzone qualunque» la rassicurò Vidar, ma quell'affermazione non aiutò affatto a calmare Silye. Odiava ammetterlo, ma l'idea di scalare quell'enorme concentrato e intreccio di radici, con il costante pericolo di rovinare e spiaccicarsi al suolo, la terrorizzava.

Vidar si voltò a guardarla per la prima volta dopo ore. Sul suo viso Silye poté leggere quanta risolutezza avesse il dio. Sarebbe stato bello lasciarsi andare e fidarsi di lui, ma come poteva se sapeva già in partenza che lui non si sarebbe minimamente preoccupato per lei e la sua incolumità? Se non ci avesse pensato lei stessa, nessuno l'avrebbe fatto al suo posto, né lei voleva che accadesse. Voleva decidere da sola le sue scelte e il suo futuro, secondo le sue sole esigenze.

«Allora?» domandò Vidar. «Ti fidi?»

«Affatto. Ma abbiamo altra scelta?»

Il dio non disse nulla, perché la risposta era già perfettamente chiara ad entrambi.

«Bene. Facciamolo.»

Nonostante il sangue le si stesse ghiacciando nelle vene mentre guardava le meravigliose radici dell'Yggdrasill, pensò che sarebbe stata pronta a tutto pur di lasciare quel regno infernale e Hel.

Raggiunsero la collina che si trovava esattamente sotto alle radici, come a creare un passaggio diretto tra esse e la terra, tant'è che il punto più alto di essa si trovava a breve distanza dalla radice più lunga. Tuttavia, man mano che salivano, Silye si accorse che il suolo era bagnato e scivoloso. Abbassò lo sguardo e vide che aveva le scarpe tutte sporche di una sostanza melmosa e nera, che ben poco somigliava alla normale terra. «Vidar...» iniziò, ma qualcosa la interruppe. Una scossa. Molto leggera, ma l'aveva percepita distintamente. La terra si era mossa e non sembrava l'unica ad essersene accorta, dallo sguardo interrogativo che il dio le rivolse.

«Ma cosa...» domandò l'altro, prima che un altro tremore li scuotesse. Silye si abbassò e toccò la terra con le mani, come nel tentativo di cercare un appiglio. Per pochi attimi tutto tacque e sembrò tornare alla normalità, quando improvvisamente arrivò un'altra scossa.

«Cosa sta succedendo?» chiese Silye, sebbene Vidar ne sapesse quanto lei.

E, infatti, lui le rispose: «Non ne ho la minima idea.»

La terra riprese a muoversi, ma non solo: si stava letteralmente sollevando. Di fronte a loro si alzò una sorta di mucchietto di terra, o almeno tale appariva da quella angolazione. In seguito, la terra davanti a loro emise un suono molto simile ad un ringhio profondo e che fece accapponare la pelle a Silye.

«Oh no» ebbe il tempo di mormorare la ragazza, troppo scossa e spaventata per dire altro.

Il suolo continuò a muoversi, solo che stavolta si stava come rigirando, mentre si sollevava e la terra cadeva ai lati, rivelando uno strato inferiore che tutto sembrava eccetto il terriccio su cui finora avevano camminato. Al suo posto apparve una superficie sempre dai colori scuri. Silye andò a scostare la pelle sopra e si meravigliò di vedere e percepire sotto il palmo della mano delle squame. Ritrasse subito la mano e fece per voltarsi verso Vidar per chiamarlo e dirgli cosa c'era sotto di loro, quando il rumore si fece più forte e da un semplice ringhio divenne un acuto ruggito. «Dobbiamo andarcene!» strillò, abbastanza forte da riscuotere Vidar dal torpore che sembrava averlo avvinto. La terra continuò ad alzarsi e ora rischiavano di cadere indietro se non si fossero appigliati a qualcosa. «Reggiti alle squame» disse Silye, afferrando una grossa scaglia.

Vidar seguì il suo consiglio e anche lui si piegò. «Questa non è una collina... È una creatura.»

«L'avevo capito» ebbe la forza di commentare Silye, nonostante le tremasseo le gambe e le mani per la paura.

L'essere si sollevò, costringendo i due a reggersi più forte su di lui per non cadere, per poi ricadere in avanti. Quindi, la parte anteriore ruotò, girandosi verso di loro e mostrando quello che doveva essere il muso della bestia. Le fauci si aprirono, facendo sfoggio di due lunghe file di denti aguzzi e sottili e stordendoli con la puzza dell'alito proveniente dall'interno della bocca. Silye si rese conto che quella creatura assomigliava moltissimo alla serpe che aveva più volte visto nelle sue visioni, Nidhöggr, ma allo stesso tempo era diversa. Forse erano gli occhi, non abbastanza sottili e neri, o le dimensioni, di gran lunga minori rispetto a quelle che pensava fossero di Nidhöggr. Tuttavia, poteva essere certa di trovarsi per la prima volta davanti ad una viverna in carne e ossa.

Silye dovette spostarsi per evitare un morso della creatura e in quel momento Vidar si alzò, infilzando il muso della bestia con la lancia. Quella inizialmente si ribellò e tentò di ritrarsi, ma fu tutto inutile; ormai il colpo era stato sferrato e non le rimaneva altro che una lenta agonia. Vidar estrasse la lancia e, per rendere la morte della viverna più veloce, la fece ricadere anche sul punto in cui doveva trovarsi il collo della creatura, spezzandoglielo.

Vidar stava per girarsi verso Silye, che per tutto il tempo era rimasta accucciata, quando si levarono altri ruggiti. Quella non era l'unica viverna a trovarsi là.

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Angolo dell'autrice:

Beh, si profilano molti problemi per Silye e Vidar (come se non ne avessero già abbastanzaXD). Come pensate che riusciranno a tirarsi fuori da questa situazione spiacevole?

Ringrazio tutti i lettori che continuano a darmi un incredibile e sentito supporto. Grazie mille!^^ A presto.

Sophja99

   
 
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