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Autore: sofimblack    23/03/2017    0 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VII
Io sono Elle




 

Gennaio, III e IV settimana


 



R

 

Era come se stessero giocando una partita a scacchi, tentando di interpretare le intenzioni dell’altro senza svelare le proprie. Lei non era disposta a dire proprio tutto-tutto ad Elle, ma solo quanto poi le sarebbe tornato utile dire. Lui probabilmente pensava la stessa cosa. In fin dei conti quella era diventata una mera questione di fiducia; in un caso come quello, così fuori da qualsiasi schema o binario tradizionale, era essenziale fidarsi - e guadagnarsi la fiducia - delle persone giuste. Un solo errore, un solo passo falso e ci si rimetteva la vita; non fidarsi però equivaleva ad isolarsi e a non andare da nessuna parte. Sapeva bene che ogni passo che faceva verso Kira metteva sempre più a repentaglio la propria vita, eppure era stata lei stessa ad insistere per entrare in quel gioco pericoloso… dopotutto, poteva benissimo essersene rimasta nel suo comodo bilocale a Winchester passando le giornate a vendere dischi, e tanti cari saluti.

Rae sospirò, quasi esasperata da se stessa. Ma che problemi aveva? Oltre alla preveggenza, un passato da incubo ed un’estrema impulsività, s’intende. Negli ultimi giorni si era chiusa nella propria stanza d’hotel, macerandosi incessantemente nei propri pensieri. Al di là del caso Kira -che comunque non era cosa da poco- la preoccupavano anche questioni pratiche: banalmente, stava finendo i soldi. Quando se ne era andata dall’Inghilterra aveva portato con sé tutti i suoi risparmi e la liquidazione del lavoro, ma non sarebbero durati a lungo. Certo, poteva sempre vendere la casa della sua famiglia in Inghilterra, ma fare questo - soprattutto a distanza - avrebbe richiesto tanto di quel tempo che lei non aveva. Avrebbe perciò dovuto trovarsi un lavoro, sperando di riuscire comunque a dedicarsi al caso Kira, la ragione effettiva per la quale si trovava a Tokyo. Chissà, magari c’era un luna park da qualche parte in cui sentivano il bisogno di assumere una chiaroveggente… cercò di immaginarsi col turbante, avvolta da uno scialle di perline mentre con tono mistico sussurrava alle persone se e quando avrebbero trovato il vero amore. Divertente, agghiacciante, infattibile. Ripensò con affetto nostalgico al negozio di dischi nell’Hampshire, poi decise di smetterla di rimuginare e di darsi una mossa. Si vestì con cura, cercando di indossare gli abiti migliori che avesse: un paio di jeans stretti ed un semplice maglione bordeaux, quasi della sua taglia e senza alcun buco. Sulle scarpe non poteva farci nulla, si era portata dietro solamente le sue vecchie vans sdrucite. Tentò allora di truccarsi un po’, cercando di non esagerare con l’eye-liner e la matita nera, infine diede una qualche forma ai propri capelli. Erano davvero molto lunghi ormai, liscissimi se solo li avesse pettinati e curati con costanza.

Si sentiva decisamente più che presentabile. Per prima cosa andò in un internet point per stampare il proprio curriculum, che fortunatamente teneva in una chiavetta usb che portava sempre con sé. Tutto il resto della giornata se ne andò rimbalzando tra i vari negozi, ristoranti, bar-karaoke, pasticcerie, insomma ovunque. Tutti erano molto gentili con lei, continuavano ad inchinarsi e a blaterare scuse, ma il problema fondamentale era che lei non sapeva il giapponese, stava imparando giusto le formule base di cortesia e certo quello non era sufficiente per lavorare a contatto col pubblico. Maledizione. L’ultima cosa che fece prima di tornare nella sua stanza fu andare in una libreria internazionale.

Quando ne uscì in tasca aveva 28.000 yen in meno e sotto il braccio un libro voluminoso: “Come imparare il giapponese”.

 


 

 

Shinichi Hotel. Stasera. Ore 22.30. Stanza 2039, chiedere di  Mr. Loyd. NON FARTI SEGUIRE DA NESSUNO, NON DIRE A NESSUNO DOVE VAI. DA QUESTO MOMENTO ENTRERAI IN CONTATTO CON INFORMAZIONI STRETTAMENTE RISERVATE.
 

Quando Rae lesse quel messaggio, un paio di settimane dopo che lei ed Elle avevano parlato, sentì il cuore in gola. Le cose si stavano smuovendo, finalmente anche lui aveva fatto la sua mossa. Guardò il telefono per controllare l’ora. 18.43. Si informò minuziosamente sulla zona in cui si trovava l’hotel, su come raggiungerlo e quale linea metropolitana prendere, e ovviamente si presentò lì con esagerato anticipo. Non che lei fosse una persona estremamente puntuale, semplicemente fremeva dalla voglia di sapere cosa sarebbe accaduto… inoltre lo abbiamo già detto che era molto impulsiva, sì? Dunque Rae si trovava lì davanti all’hotel, lo stomaco vuoto e quasi due ore da passare a girarsi i pollici. Che idiota, avrebbe potuto almeno cenare prima di andare lì! Ebbe tutto il tempo per girovagare un po’, trovare un posticino in cui facevano il ramen più buono del mondo, girarsi (e fumarsi) tre o quattro sigarette, osservare i passanti… piano piano si stava rilassando.

Era tornata sotto l’hotel, sedendosi su una provvidenziale panchina nella piazzetta davanti all’edificio. Come spesso le capitava si chiuse nella sua bolla dalla quale guardava il mondo, senza accorgersi dello scorrere del tempo; fu solo dopo un bel po’ che le venne in mente di controllare che ore fossero. 22.37. Dannazione! Perché diavolo riusciva sempre a fare tardi nonostante partisse con ORE di anticipo? Si precipitò dentro l’hotel, sperando che Elle non avesse cambiato idea - qualsiasi fosse la sua idea. 

«Buonasera, stanza 2039 a nome Loyd, grazie.»

L’addetto della lussuosa reception la squadrò perplesso dalla punta dei capelli spettinati fino alla suola sdrucita delle sue scarpe, ma non fece commenti. Le diede le indicazioni per raggiungere il ventesimo piano e la chiave della stanza. La chiave? Strano… in effetti però un computer non avrebbe certo potuto andare ad aprirle la porta. Ma qualcuno ce lo avrebbe dovuto portare… Meditando ad una velocità vorticosa entrò nell'ascensore ed in men che non si dica era davanti alla porta. Cercò di calmarsi. Una sensazione curiosa la colse all’improvviso; sentì che qualunque cosa ci fosse stata dall’altra parte non era pericolosa, ma le avrebbe irrimediabilmente cambiato la vita. Oh beh, le sue predizioni cominciavano proprio ad essere scadenti e banali. Forse l’idea del luna park era da tenere in considerazione, dopotutto. Il tempo di un lungo respiro, poi girò la chiave nella toppa ed entrò. 

 

Ciò che vide la lasciò completamente esterrefatta, la bocca aperta in una buffa “o”.

«Buonasera Rae, sei in ritardo.»

Davanti a lei, mentre la fissava con occhi di fuoco che ricordava fin troppo bene, c’era il ragazzo strambo, quello sul quale si era arrovellata a proposito del 5 novembre, quello dai capelli nerissimi e che non si metteva mai la giacca… quello che, a quanto pareva, era il famigerato Elle, o comunque qualcuno che evidentemente stava collaborando con lui. Bella entrata in scena, complimenti. Annaspò un attimo; non le capitava spesso di essere presa completamente in contropiede, perciò fu con un certo sforzo che tentò di articolare un qualche suono sensato. In tutto ciò lui se ne stava al centro della stanza, scalzo, ad osservare con vivo interesse ogni emozione che le attraversava il volto. Aveva tutta l’aria di essere un test.

«Tu…?!». Ok, poteva uscirsene con qualcosa di migliore. Fece un altro respiro. Si calmò un poco. «Beh, se non altro almeno con te posso parlare in inglese, e meno male! Sono negata per il giapponese.»

«In realtà ci siamo già parlati… lo realizzi solamente adesso che con me puoi parlare in inglese?»

Il suo tono canzonatorio la indispettì, facendola arrossire. Aveva ragione, ovviamente, ma al momento il suo senso logico se ne era andato chissà dove, lasciandola a dire cose stupide.

«Comunque, di tutte le tue possibili reazioni che avevo calcolato questa è decisamente la più sorprendente» commentò infine lui, vagamente divertito. 

«Sì, “sorprendente” credo sia una parola calzante al momento. Assurdo…» mormorò lei tra sé, ancora sconvolta. Poi, come recuperando il filo del discorso, chiese finalmente qualcosa di sensato:

«Quindi …sei tu Elle?».

Lui annuì, facendosi estremamente serio.

«Io sono Elle.» 

Sapeva che era così, sapeva di potergli credere perché stava dicendo la verità. Però era una coincidenza veramente troppo incredibile, come era possibile che…? Non ebbe tempo di rifletterci sopra. Senza neppure accorgersene si immobilizzò, sopraffatta da un’ondata di cose che le si riversarono dentro, paralizzandola. Aveva capito qualcosa di nuovo, o forse più semplicemente unito tutti i tasselli. 5 novembre. Lui era Elle. C’era Kira di mezzo. Elle sarebbe morto il 5 novembre. E sapeva un’altra cosa. Elle aveva già incontrato Kira. Dunque Kira aveva già il suo volto… gli serviva solo il nome. Cominciò a sudare freddo. Però il 5 novembre era lontano… forse c’era qualche speranza.

Tutto ciò durò per nemmeno un paio di secondi, mentre Elle la studiava con particolare intensità, senza chiederle niente, senza offrirle una sedia o un po’ d’acqua. La stava letteralmente analizzando, e fu soltanto quando si fu ripresa un poco che le parlò, apparentemente ignorando quel che era accaduto.

«Ti ho fatta venire qui perché tu mi vedessi. Perché anche tu vedessi chi sono, riconoscendomi come io ho riconosciuto te. Parlare di coincidenze è assolutamente inutile, sotto ogni punto di vista. Con questo intendo dire che siamo pari: sai che io ho riposto fiducia in te.»

«Beh, non siamo esattamente pari. Tu sai il mio nome».

La voce stentava a tornarle normale.

«Non ti ritengo tanto ingenua da pensare che io ti riveli il mio nome; a proposito, da questo momento in poi dovrai chiamarmi Ryuzaki. Ora che hai ottenuto quel che volevi, ovvero la mia attenzione e la mia fiducia, voglio sapere tutto quello che mi devi dire.»

La sua voce era incredibilmente calma, ma al tempo stesso tagliente, determinata. Non l’avrebbe mollata finché non sarebbe stato soddisfatto. D'altronde era lei che era voluta arrivare a questo punto... com'è che adesso quasi vacillava? Da dove cominciare?

«Non penso proprio che tu mi crederai e, soprattutto, smettila di dire che ti fidi di me. So che non è vero, è una bugia bella e buona perciò falla finita. È irritante» disse infine, a denti stretti.

Lui si limitò a sorridere, senza negare. Beh, non poteva certo aspettarsi che lui le avrebbe creduto a cuor leggero solamente perché gli aveva offerto una caramella circa una vita prima. Adesso doveva concentrarsi su cosa dire. Ugh.

«Ci ho pensato a lungo ma in realtà non so bene da dove cominciare… al momento non ho prove tangibili di quel che ti dirò… anzi, mi prenderai per pazza. Sì, mi prenderai sicuramente per pazza! In effetti forse è stato un errore contattarti… anche se io ho bisogno del tuo aiuto…»

Rae in quel momento stava entrando nel panico e aveva cominciato a straparlare, cosa che le capitava di rado ma che probabilmente in quel momento era inevitabile. Si zittì. Elle andò a sedersi - o meglio, ad accovacciarsi - su uno dei due divanetti verdi che erano nella stanza; lì accanto, su un tavolino basso, c’era una confezione aperta di cioccolatini. Ne prese uno con studiata lentezza, lo scartò e se lo mise in bocca, assaporandolo. Ripeté l’operazione con altri due cioccolatini, senza minimamente accennare ad offrirgliene uno, poi finalmente fissò lo sguardo su di lei, concentrato.

«Bene, se tu non vuoi dire nulla vorrà dire che lo capirò da solo. Dunque, posso affermare senza ombra di dubbio che tu non sei Kira e che non cerchi di uccidermi. Anzi, deduco che pure tu voglia punire Kira, vendicandoti. D’altronde ha ucciso tuo padre e, nonostante quello che aveva fatto a tua madre e nonostante i tuoi sentimenti a riguardo siano sicuramente confusi, tu non puoi certo perdonare una cosa dal genere. Posso capirlo.»

Rae se l’era aspettato che lui avrebbe controllato il suo passato, ma non credeva che glielo avrebbe spiattellato in faccia così, senza il minimo tatto.

«Quindi mi è chiaro perché tu abbia bisogno di me e, più in generale, della polizia giapponese. Tuttavia l’unica maniera che hai per collaborare con me è di convincermi che anche tu possa essere utile alle indagini. Ma in che modo? Hai dimostrato di sapere delle cose, alcune perfettamente logiche per una mente abbastanza attenta, altre però erano informazioni che non potevi avere né ricavare. Ne deduco che tutta la questione stia in quante cose sai ed in che modo tu le sappia. Da quale parte vuoi cominciare?»

Sorprendente. Le aveva detto tutto ciò con una calma quasi irreale, quasi noncurante, ma Rae era senza parole… ora capiva perché la prima cosa che l’aveva colpita di lui fosse stato lo sguardo. Lei credeva di saper vedere ed osservare, ma lui era avanti anni luce: non solo vedeva ed osservava, ma riusciva a capire la psiche umana ed a fare collegamenti esatti con estrema facilità e precisione. D’altronde non per nulla era “l’investigatore migliore del mondo”, come lo definiva la televisione. Chissà, se lui avesse avuto tutte le sue premonizioni magari avrebbe già risolto il caso… A quel punto decise di vuotare il sacco, almeno in parte.

«Partendo dal presupposto che tutto ciò che ti dirò potrà sembrarti una follia… come hai detto tu alcune cose che so non avrei avuto modo di averle né ricavarle. Il punto è che… io le so e basta. Chiamala intuitività, sesto senso, preveggenza. Lo so che è tutto assurdo ed illogico e le prime volte che mi capitava credevo di essere pazza… però, come avrai già capito, anche in tutto il caso Kira ci sono cose assurde ed illogiche. Stai combattendo con la razionalità qualcosa di irrazionale e tutto ciò non ti porterà a nulla, almeno sul piano concreto. Io… so che in qualche modo c’entra un quaderno. In realtà però quello l’ho sognato quindi non è esattamente…»

Si interruppe all’improvviso e lentamente le spuntò sulla faccia un sorriso soddisfattto. Forse sapeva come acquisire un minimo di credibilità: in tutto quel groviglio di percezioni che le erano piombate addosso nonappena lo aveva visto ce n’era stata una che lì per lì aveva ignorato, sconvolta da tutto il resto. Però magari…

«Ecco una “prova”. So che non sei qui da solo. C’è una persona con te, che ti ha cresciuto e che consideri come la tua famiglia, anche se non lo ammetteresti mai… probabilmente l’unica, al momento, con la quale tu abbia un legame che possa dirsi affettivo. È qualcuno la cui apparenza inganna, che ha molte più abilità di quanto non mostri. Non ho percepito altro ma credo che per il momento questo possa bastarti come prova. Non sono pazza… io, semplicemente, so

Decisamente, in un luna park avrebbe fatto faville.

 

L

 

No, impossibile. Tutto quello era… oltre. Oltre le sue capacità di comprensione. Chi diavolo era quella ragazza che aveva davanti? Come aveva fatto? Sapeva di Wammy, del loro rapporto… sapeva cose private, personali, che nessuno poteva conoscere o aver capito anche se per caso li avesse visti insieme. Non c’era alcun modo logico in cui lei potesse saperle. Forse aveva cercato informazioni sul suo conto? Impossibile, aveva fatto sparire ogni traccia del suo passaggio alla Wammy’s House. Doveva davvero credere che esistessero quelle cose? Quante erano le probabilità che lei stesse bluffando e avesse tirato a caso, indovinando? Molto basse, vicine al 9%. Ancora più basse considerato tutto ciò che aveva detto finora e confrontato con le poche cose riscontrabili con la realtà. Un quaderno nero. C’era di mezzo un quaderno nero. Kira. Volti e nomi. Forse Kira utilizzava un quaderno per appuntarsi i nomi delle sue vittime… il che poteva essere considerato come una prova per incastrarlo. Tutto questo dando per certo ciò che Rae gli aveva detto. Eppure non aveva motivo per non crederle… non era pazza, d’altronde aveva pure visto i numerosi referti medici. Evidentemente non mentiva quando diceva di averlo pensato pure lei, ecco perché si era fatta così tanti esami: non soltanto, come aveva ipotizzato, per accertarsi di non avere la stessa malattia del padre. No, era perché aveva iniziato ad avere queste “percezioni”. Kira. Light Yagami. Come faceva ad uccidere? Tramite la logica riusciva sempre ad arrivare alle giuste conclusioni ma stavolta… non è che aveva ragione lei? Stava davvero combattendo contro l’illogico? E non era forse vero che, nella sua convinzione che Kira fosse Light Yagami, stava seguendo puramente l’istinto data la totale assenza di prove concrete? Si riprese in fretta. Dunque, doveva analizzare la situazione; ponendo per vera l’ipotesi che Rae avesse capacità sovrannaturali, quali elementi aveva? Decise di assecondare il discorso almeno per il momento per poi rifletterci con calma in seguito, a mente fredda.

«Come funziona questa tua facoltà?»

 

 

R

 

Lei lo guardò quasi sorpresa, forse stupita di essere presa sul serio con così tanta facilità. Si adeguò senza sforzo a quel piacevole cambiamento.

«Beh, non è una cosa molto precisa. A volte sono delle vaghe intuizioni o sensazioni, altre delle vere e proprie consapevolezze. Non sono visioni, a meno che non si tratti dei sogni, ma quelli sono più confusi e simbolici, spesso li comprendo davvero solo in un secondo momento. Tendenzialmente se sono vicina ad una persona - ed intendo in senso fisico ma anche in senso affettivo, empatico o, come nel caso Kira, con la mente - si amplificano. Ho capito di avere manovra di intervento: quello che vedo è ciò che accadrà se non faccio nulla, se invece mi intrometto tutto può cambiare.»

Elle si alzò ed andò verso di lei, che per tutto il tempo era rimasta in piedi al centro della stanza; le si avvicinò moltissimo, scrutandola nel profondo, cercando di entrarle nella testa. Lei fu presa dal familiare nodo allo stomaco che le veniva quando si guardavano, che non c’entrava nulla con visioni e percezioni e che nonostante fossero passate settimane era rimasto immutato. Si chiese distrattamente se Elle dormisse a sufficienza: aveva delle profonde occhiaie a solcargli il viso, più marcate rispetto a quando l’aveva visto in Inghilterra. Probabilmente il caso Kira lo stava logorando ancora di più di quanto non facesse con lei.

«E cosa hai scoperto su di me a Winchester?» chiese a quel punto lui noncurante, inchiodandola con lo sguardo e con quella domanda apparentemente innocente. Merda. Avrebbe decisamente dovuto aspettarsi una cosa del genere da lui. Stava commettendo troppe volte l’errore inconscio di sottovalutarlo. Lui continuava a guardarla, aspettando una sua risposta. “Tu morirai il 5 novembre”. No, non poteva dirglielo… e comunque, non avrebbe mai permesso l’avverarsi di quella premonizione. 

«Niente.»

Elle le sorrise, quasi dolcemente, e lei per un momento credette di averla fatta franca. Per un solo microscopico secondo fu convinta di essere riuscita a mentire "al grande Elle". Che ingenua.

«Stai mentendo.»

Appunto. Il sorriso che le aveva rivolto non era affatto dolce, in realtà aveva dietro un “credi di potermi ingannare così facilmente?” grande come una casa. Per la prima volta ebbe serie difficoltà a sostenere il suo sguardo.

«Qualsiasi cosa io abbia percepito su di te… farò di tutto affinché non accada…»

«…ma non me la dirai.»

«No.»

«Seccante.»

Lo vide adombrarsi un poco, allontanandosi da lei.

«Stai omettendo fin troppe cose, che aiuto puoi darmi se non mi riveli niente? Sai che, volendo, potrei costringerti a dirmi tutto? Non mi mancano i mezzi, né la pazienza.»

«Non potresti, sarebbe inutile… io ti dirò comunque ogni cosa necessaria alle indagini, non una parola di più, ma è esattamente ciò che ti serve no? Inoltre so già che non mi costringerai …e lo sai pure tu. Credi che bluffare con me ti darà qualche risultato?»

«A questo punto sospetto di no» rispose lui semplicemente, ancora valutando ed elaborando. Mangiò un altro cioccolatino. 

«Parlando di cose pratiche… che lavoro pensavi di trovarti?» chiese infine.

«Cosa?»

Rae rimase nuovamente spiazzata a causa del brusco cambio di argomento. Adesso voleva per caso perdersi in convenevoli?

«Sei qui da un po’ e, come emerge dal tuo conto in banca, a breve finirai i soldi. Risolvere il caso Kira probabilmente richiederà un lasso di tempo molto più lungo di quello che puoi permetterti e tu sei determinata a restare in Giappone. Ti servono soldi e dunque ti serve un lavoro. Perciò ripeto, che lavoro pensavi di trovarti?»

Ecco. Iniziava ad essere quasi snervante quella sua sorta di onniscienza.

«La cosa ti riguarda…?» 

Parlare con lui l’aveva sfiancata, non tentò di negare né si curò di essere gentile… tanto lui non lo era mai.

«Ovviamente. Voglio verificare quanto di ciò che hai detto è vero, se hai mentito e in che modo - nel caso tu abbia le capacità che dici - mi sarai utile. Se vuoi collaborare con me allora ho bisogno che tu sia sempre reperibile ed a mia disposizione, se tu lavorassi perderei un sacco di tempo prezioso. I soldi non sono un problema. Se davvero vuoi aiutarmi allora domani ti trasferirai in un appartamento nel quartiere di Kichijoji e se sarà necessario potrai comunicare con me tramite Watari, il mio assistente personale. Di qualsiasi cosa avrai bisogno potrai chiedere a lui… anche se sospetto che non gli chiederai mai alcunché. Non provare a cercarmi di persona perché sarebbe inutile: la sede del quartiere generale cambia continuamente. Ovviamente non dovrai dire niente a nessuno, né di quello che fai per me né di altro. Il fatto che tu qui non abbia legato con nessuno ci risparmierà ulteriori scocciature.» 

Rae sul momento non disse nulla, colta da un’ondata di irritazione. Tutto ciò che la riguardava era stato controllato, analizzato e poi sbattutole in faccia senza il minimo riguardo. Sospirò. In fondo se l’era cercata.

«Te l’hanno mai detto che sei un megalomane ossessivo con manie di controllo?» 

Elle ignorò la domanda.

«Watari verrà a prenderti alle 9.00. Almeno domani sii puntuale.» 



AAAAAAAAAAAAAAH!
Ciao a tutti ^^ 
Finalmente, dopo averli (avervi) fatti penare per 7 capitoli... eccoci all'incontro! Adesso sì che le cose si fanno interessanti... eheheheh. Sono super esaltata (non so se si nota ^^') anche se in realtà ciò vuol dire che sarà ancora più complesso per me visto che in qualche modo dovrò farli interagire T_T... ma, giustamente, voi direte "ok, ma a me che me ne frega?". Nulla! Infatti voi dovete soltanto mettervi comodi e godervi l'andare delle cose :) 
Come sempre vi invito a lasciare una recensione se vi va di farlo e ringrazio tutti voi lettori che, silenziosi o meno, mi state accompagnando in questa avventura!
Bye~

sofimblack

  
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