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Autore: Kim WinterNight    23/03/2017    2 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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ReggaeFamily

Beach under the Sun

[John]




«Quindi questa storia del concerto al Dodger Stadium è vera?» domandò Shavo, lanciandomi un'occhiata dubbiosa.

«Ma certo che lo è!» confermai.

«Ma perché lo hanno chiesto a Rick e non a David?» indagò ancora con le sopracciglia aggrottate.

Ero preoccupato per lui: non aveva toccato cibo, nonostante avesse ordinato soltanto una porzione ridotta di riso in bianco. Il viaggio doveva avergli fatto davvero male; speravo soltanto che il giorno dopo sarebbe riuscito a mangiare, altrimenti le cose potevano aggravarsi.

«Chi è David?» borbottò Daron con la faccia quasi immersa nel suo piatto ricoperto di cibo in quantità industriale.

«Il nostro manager, magari?» sbottai.

«Ah, perché, si chiama David?» ghignò Daron, poi mi mostrò il dito medio.

«Piantatela!» ci ammonì il bassista.

Sospirai. «Non lo so perché lo hanno chiesto a Rick, ma prima che Rick potesse dircelo, ha dovuto parlare con Beno. Non preoccuparti, non è una cazzata. È una cosa seria.»

Shavo annuì e spostò il piatto alla sua sinistra, per poi poggiarsi con i gomiti sul tavolo. «Okay, ricevuto. Oddio...» biascicò.

«Che c'è?» mi allarmai.

«Ho un'ansia...»

«Cristo, quanto melodramma! Ehi socio, lo vuoi quel riso o no?» strepitò Daron.

Sgranai gli occhi: il chitarrista aveva svuotato in men che non si dica il suo piatto e sembrava avere ancora fame. Osservai inorridito Shavo che gli passava il suo piatto e scuoteva la testa.

«Ottima scelta» esclamò Daron. «Il cibo non si spreca!»

«Sei una spazzatura ambulante, cazzo» brontolai, per poi finire di mangiare la mia insalata di pollo e patate. Avevo deciso che, per quella sera, non avrei sperimentato dei piatti tipici giamaicani. Avrei avuto tutto il tempo del mondo per farlo.

«Cosa facciamo dopo cena?» farfugliò Daron, sputacchiando chicchi di riso già masticati e spargendoli su tutto il tavolo.

«Che schifo! Non parlare mentre mastichi, ma sei proprio un...» mi inalberai, notando che Shavo impallidiva e si prendeva la testa tra le mani.

«Ma avete sempre qualcosa da ridire, voi due? Meno male che non saremo in camera insieme» sbuffò il chitarrista, pulendosi maldestramente la bocca con il tovagliolo rosso che aveva alla destra del piatto.

«Sei disdicevole, proprio come le tue fottute infradito» lo accusò Shavo. «Comunque, io voglio soltanto dormire. Non ho nessuna voglia di fare niente, non ne ho proprio la forza. Quindi passo. Se volete uscire, fatelo senza di me» annunciò, poi sbadigliò discretamente, coprendosi la bocca con una mano.

«Oh merda! Sono venuto in vacanza con due pensionati, che palle!» si lamentò il chitarrista, scolandosi l'ultimo sorso di birra che ancora stava dentro il suo bicchiere.

«Ti prego, non esibirti in qualcosa di schifoso, per favore» sottolineai in preda alla disperazione, guardandomi intorno e sperando che non ruttasse come un animale.

A quel punto notai che la nuova amica di Shavo entrava nella sala e raggiungeva con passo lento e strascicato una coppia che già sedeva a un tavolo poco distante dal nostro. L'uomo aveva dei tratti che lo accomunavano alla ragazza, doveva trattarsi di suo padre, mentre la donna era piuttosto giovane e dubitavo fortemente che si trattasse di sua madre.

«C'è la tua amichetta, Shavarsh» lo punzecchiò Daron, sollevando un po' troppo la voce.

«Ascolta, chitarrista rompicoglioni, sai che facciamo?» lo apostrofai, decidendo di lasciare Shavo in pace per un po'. «Andiamo a fare due passi. Voglio esplorare un po' i dintorni, e tu hai un senso dell'orientamento migliore del mio.»

«Cosa? Non ci penso proprio, detective Bosch» si ribellò lui, scuotendo il capo con forza. «Io mi sa che vado a esplorare la terrazza. O vado a cercare una sauna, una piscina... ho bisogno di relax, visto che nessuno di voi vuole andare a divertirsi da qualche parte. Per oggi vi perdono, ma domani non avrete scampo. Chiaro?»

«Fai come ti pare, nanerottolo, basta che sparisci dalla circolazione» borbottò Shavo, sbadigliando di nuovo.

«Okay, allora andiamo. Shavo, ti accompagno in camera, non vorrei che ti perdessi tra i corridoi... mi sembri molto confuso e stravolto...» decisi, alzandomi e afferrando il mio amico per un braccio.

«Forse è meglio, altrimenti lo troviamo morto in riva al mare, divorato da uno squalo...» scherzò il chitarrista, balzando in piedi a sua volta. «Bene, ci si vede domani, e guai a voi se mi svegliate prima di mezzogiorno!» concluse, per poi rivolgerci un cenno di saluto con la mano destra e avviarsi a grandi passi fuori dal ristorante.

Io e Shavo lo imitammo poco dopo, camminando lentamente. Mi adoperai per sostenerlo, notando che la stanchezza si era definitivamente impadronita di lui. Dopo essere usciti dal ristorante, ci ritrovammo in un piccolo corridoio che, una volta percorso, ci riportò nella hall.

Notai il receptionist che ci aveva accolto avviarsi verso l'uscita, salutando in maniera cortese un certo signor Skye, che doveva essere il proprietario dell'albergo o qualcosa del genere.

«Signori, buonasera» ci salutò quest'ultimo, indirizzandoci un sorriso educato mentre passavamo di fronte al bancone della reception.

«Salve» risposi io.

«Sera...» biascicò Shavo senza sollevare il capo. Mi sembrava di camminare con uno zombie.

«Siete voi a essere arrivati questo pomeriggio da Los Angeles?» domandò ancora l'uomo, e a quel punto mi fermai.

«Sì, siamo noi.» Annuii, sperando che smettesse di parlarci e ci lasciasse andare. «Lei è il direttore dello Skye Sun Hotel?» chiesi, tanto per essere un minimo educato.

«Il vice» annunciò, poi ci raggiunse e mi porse la mano. «Samuel Skye, piacere di conoscerla.»

«John Dolmayan, piacere mio. Mi scuso per il mio amico Shavo Odadjian, è molto stanco e il viaggio è stato traumatico per lui. Non ha neanche cenato... mi scusi, lo accompagno in camera, ha bisogno di riposo» blaterai, riprendendo a muovermi verso l'ascensore. Non avevo nessuna voglia di intrattenermi con quel tipo, non era proprio il momento adatto.

«Ma certo, si figuri. Buonanotte e buona permanenza nel nostro albergo!» esclamò infine in tono allegro, per poi tornare dietro il bancone.

Una volta in ascensore, ripensai all'uomo sulla quarantina che avevo appena incontrato. C'era qualcosa che non andava in lui, ma attualmente non ero in grado di capire cosa.

«Hai visto quei capelli?» bofonchiò Shavo con la schiena appoggiata contro il vetro panoramico. «Erano palesemente tinti di biondo!» esclamò poi.

«Cazzo, hai ragione!» A quel punto scoppiai a ridere. «Ridicolo.»

«Già... e non so neanche come ho fatto ad accorgermene...» farfugliò il mio amico, sbadigliando per l'ennesima volta.

Sospirai e lo spinsi fuori dall'ascensore.


Per evitare di ripassare per la hall e incontrare nuovamente Samuel Skye, decisi di cercare una scorciatoia o un'uscita secondaria. Erano soltanto le dieci di sera e non avevo niente da fare: non avevo particolarmente sonno perché avevo dormito in aereo, però non avevo voglia di stare con Daron a ubriacarmi nel bar sulla terrazza o a stare a mollo in una piscina.

Non mi restava che fare un giro e capire cosa si poteva fare di bello al di fuori dell'albergo. Scoprii, dopo essere uscito dall'ascensore al pianterreno, che c'era una porta di sicurezza che si affacciava verso l'esterno. La spinsi e mi ritrovai sul lato destro dell'edificio dipinto di bordeaux in cui alloggiavo con i miei amici. Un marciapiede di cemento seguiva il perimetro della palazzina, mentre un'altra passerella conduceva verso la spiaggia.

Seguii il sentiero e a un certo punto mi trovai di fronte un cartello con su scritto Beach under the Sun.

Era un nome singolare per una spiaggia.

La luna, un piccolo spicchio seminascosto da qualche nuvola passeggera, illuminava appena la superficie del mare, la quale sembrava nera come pece. Qualche lampione dalla luce tenue era disseminato lungo il sentiero, ma una volta superata la passerella di legno su cui erano sistemati, mi ritrovai immerso quasi del tutto nell'oscurità della notte. Sul lato sinistro della piccola lingua di sabbia si ergeva la scogliera, e in alto intravedevo il profilo della palazzina bordeaux. Soltanto due finestre erano illuminate, per il resto la struttura appariva buia e quasi sinistra.

Mi avvicinai alla riva, dal momento che l'acqua era calma e pareva quasi immobile, come se si trattasse di un quadro posto lì per essere ammirato dai turisti. Mi sedetti in riva, decidendo che mi sarei rilassato un po'. Quell'atmosfera mi incuteva una calma incredibile, non avrei mai immaginato che ciò sarebbe potuto accadere così presto. Si trattava solo di un po' di sabbia, qualche alga sparsa qua e là e una distesa infinita d'acqua salata che non accennava a dar segni di vita. Eppure era tutto così bello, rilassante...

Avvertii un movimento alla mia sinistra e mi voltai di scatto, leggermente allarmato. Notai una figura scendere agilmente dalla scogliera e dirigersi verso la passerella di legno, con passo spedito e qualcosa tra le mani.

Poi si fermò di botto e parve accorgersi della mia presenza. Si voltò nella mia direzione e notai che si trattava della nuova amica di Shavo.

«Cosa diamine fai qui?» mi domandò, avvicinandosi di qualche passo.

«Ho fatto una passeggiata. Non si può?» replicai con calma, rimettendomi in piedi e scuotendomi via la sabbia dai jeans.

«Di notte?» mi apostrofò. Camminò ancora verso di me, poi mi superò e lasciò cadere qualcosa sulla sabbia umida. Infine si inginocchiò sulla riva e immerse le mani nell'acqua, sciacquandole e sfregandole tra loro.

Abbassai lo sguardo e notai che aveva portato con sé un'enorme ciotola in plastica, che dentro doveva aver ospitato del cibo.

«Hai rubato la cena per caso?» scherzai, inclinando la testa di lato.

«No, erano degli avanzi per i gatti» spiegò.

«Gatti?»

«Bado a dei gatti randagi quando vengo qui. Altrimenti se ne occupa Dayanara, cioè... il receptionist.»

«Ah, bello.»

«Direi» borbottò lei, poi si allungò per afferrare la ciotola e la immerse in acqua.

Rimasi in silenzio, non sapevo esattamente cosa dire. Non ero un granché come interlocutore, specialmente quando avevo a che fare con una persona estranea.

«Non sei loquace come Shavarsh, eh?» buttò lì la ragazza.

«Io? Eh, no... mi dispiace» farfugliai.

«Ognuno ha il suo carattere» disse con una scrollata di spalle. «Com'è che ti chiami?» mi chiese poi.

«John. E tu?»

«Leah. Ah, tu sei quello con il nome normale, okay.»

Aggrottai le sopracciglia. «Come?»

«Niente, sono solo cazzate.»

«Okay.»

Leah si rimise in piedi e scrollò con forza la ciotola per liberarla dall'acqua in eccesso, poi si voltò e mi sorrise in maniera un po' incerta. «Okay, John... la, ehm, conversazione è stata molto interessante. Ora vado a buttarmi a letto, ci si vede in giro.»

Annuii e tentai di sorriderle a mia volta. «Certo, sicuro.»

Fece per andarsene, poi ci ripensò e si bloccò. «Come sta Shav? Si è ripreso?» indagò.

«Insomma. Non ha cenato e ho dovuto accompagnarlo in camera e metterlo a letto. Avevo paura che si perdesse per l'hotel o che cadesse addormentato in ascensore...»

Leah scosse il capo. «Poveretto. Be', domani starà meglio. Salutalo da parte mia e fagli tanti auguri di pronta guarigione» concluse, e nella sua voce notai una nota di preoccupazione.

«Senz'altro» assentii.

«Allora ciao.»

«Ciao.»

Detto questo, tornai a sedermi sulla spiaggia e riflettei. Quella ragazza era un po' strana, però avevo come l'impressione che tra lei e Shavo potesse nascere qualcosa. Forse era esagerato da dire, ma era come se tra quei due si fosse creato fin da subito un feeling particolare.

Chissà come sarebbe andata a finire.

Dal canto mio, mi trovavo bene in quel luogo, anche se dovevo ammettere che mi mancavano già i miei amati strumenti musicali.

Sarei sopravvissuto senza?

  
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