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Autore: AlnyFMillen    23/03/2017    2 recensioni
"Da che ne ho memoria, la mia vita è sempre stata colorata dal profumo delle rose, abbellita dei più magnifici fiori. Eppure nell'istante esatto in cui voi entrate a farne parte, ecco che la mia completa esistenza viene ribaltata!
Non riesco più a percepire la bellezza del mondo, poiché perdo attimi infiniti nel pensare a voi.
Non rimango concentrata più a lungo di quanto già non mi sia permesso, perchè immagino tempi assieme che mai potranno esistere.
Non prendo sonno, la notte, persa nel ricordo dei vostri occhi.
Voi e solo voi.
Non so cosa accade ma al solo percepirvi il tremore pervade le mie membra, gli zigomi si tingono di rosso e lo stomaco rugge feroce.|...|
Una domanda allora mi tormenta: è forse così palese l'amore, tanto eterno quanto ingiusto, che io provo nei confronti di quest'uomo?"

Parigi, 1750.
Marinette Dupain-Cheng, figlia di una delle più importanti famiglie aristocratiche del tempo, si aggira furtiva per i sobborghi francesi.
Uno scontro, due occhi verdi, menzogne, danze e lacrime: madames et messieurs, la vie en rose!

"Siete voi, non è vero? Colei cui ho sottratto l'incompleta ma necessaria metà. Quello stesso cimelio dorato custodito con tanta cura, ora spezzato"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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❦La vie en rose


 
"Des yeux qui font baisser les miens 

Un reir qui se perd sur sa bouche 

Voilà le portrait sans retouche 

De l'homme auquel j'appartiens"

Edith Piaf❦
 
1
❦Centaurée❦ 

 
E' cosa ormai risaputa che uno scapolo in possesso di un vistoso patrimonio abbia bisogno soltanto una moglie. Questa verità è così radicata nella mente della maggior parte delle famiglie che, quando un giovane scapolo viene a far parte del vicinato -prima ancora di aver il più lontano sentore di quelli che possono essere i suoi sentimenti in proposito- è subito considerato come legittima proprietà di una o dell'altra delle loro figlie.

Peccato solo che, fin ad allora, nessuno avesse mai potuto far i conti con Marinette Dupain-Cheng.
La signorina sopracitata sfoggiava con orgoglio meritato il fisico snello di una donna appena in fiore fasciato dall'ormai abituale veste cittadina. Quell'ultima era stata indossata appositamente in occasione del giorno cui aveva deciso di recarsi al mercato sotto mentite spoglie di borghese. Ebbene si, Marinette non era assolutamente una commerciante. 
Per quanto i suoi genitori avessero sempre preferito rimboccarsi le maniche nei lavori manuali, le sue origini erano inevitabilmente ed indiscutibilmente nobili. Se poi il sangue che scorreva nelle sue vene fosse blu così come i grandi occhioni ed i boccoli fluenti, ne dubitava abbastanza. Nonostante entrambi i padroni di casa Dupain-Cheng, in particolare il padre, si ritenessero pienamente d'accordo con le sue scampagnate per la bassa società, non era comunque raccomandabile per una ragazza come lei aggirarsi indisturbata per i sobborghi francesi. Parigi era una città grande e piena di pericoli, verso la quale prestare massima attenzione. Avrebbero potuto riconoscerla, derubarla, aggredirla e chi più ne ha più ne metta. Inevitabile era stata la pretesa dei familiari che fosse sempre accompagnata da una personale guardia sotto copertura. Con la pelle così chiara e dei tratti così particolari, sarebbe risultata una facile preda, non fosse stato per gli interminabili strati di stoffa che aveva indosso. 
Si strinse di più nel proprio cappotto mogano, acquistato da un mercante a poco prezzo perchè potesse confondersi fra la calca che affollava le vie senza dare troppo nell'occhio. 
Eppure ormai aveva imparato: spalle forzatamente più curve del normale, cappuccio tirato fin sopra la base del naso, passo meno delicato di quanto non gli fosse stato insegnato. Decine di anni passati a cercare di inculcarle qualcosa di  concreto sul bon-ton, la postura e l'eleganza mandati all'aria in un solo istante. Magari avrebbe dovuto persino ancheggiare, ridere senza freni e correre come se non ci fosse un domani proprio come le ragazze che l'avevano urtata inavvertitamente passandole accanto proprio in quell'istante. Peccato che non potesse. Oh se avrebbe voluto lasciarsi cullare dal soffio del vento mentre urlava a squarciagola per le strade ma, semplicemente... non ne aveva il coraggio.
Lanciò un'occhiata curiosa all'uomo lontano pochi passi da lei. Non era brutto, tutt'altro. Non il classico principe  biondo e dagli occhi azzurri, eppure il suo aspetto doveva aver attirato più di un'occhiata lì in città. Capelli rossicci, sguardo d'un verdemare singolare. Mingherlino, si, probabilmente costretto a prendere le armi dal padre. Dietro i tratti ancora acerbi di un adolescente e l'espressione tirata, si intravedeva un giovane più buono di quel che non si volesse far credere.
"Nathanael perchè non vieni qui accanto a me?" domandò con pacatezza la ragazza.
L'altro la guardò prima con sorpresa, poi con incredulità, infine con scetticismo, gli occhi di ghiaccio solidificato. 
"M-Madamigelle non è consono che una guardia..." 
"Ma quale madamigelle e madamigelle, tutto questo non è credibile se tu rimani lì dietro a pedinarmi. In questo momento sono solo una ragazza di umili origini con il proprio -si portò il dito indice sulle labbra, alla ricerca della parola più appropriata, poi arrossì di botto- fidanzato" sussurrò quasi l'ultima parola, ma azzardò un piccolo sorriso di incoraggiamento.
"Una ragazza comune non userebbe modi tanto aristocratici" continuò Nathanael prima di avvicinarsi fino a far sfiorare la propria spalla con quella di Marinette. Le parve quasi di notare un leggero rossore sfiorare le guance del ragazzo.
"Suvvia, a restare poco dietro di me mi metti a disagio" insistette.
E in effetti era proprio così. Non le piaceva avere il fiato sul collo persino in quelle poche ore  di libertà sorvegliata. Averlo di fianco le faceva avere almeno una parvenza di vita in più nonostante l'altro non facesse nulla per collaborare ed, anzi, fosse rigido come un chiodo, la mano ferma sull'elsa della spada sulla quale era riportato il logo della famiglia.
Sbuffò atterrita. Si conoscevano sin da piccoli e, mentre lei cercava di dialogare in qualche modo del più e del meno, Nathanael continuava a voler tenere fra di loro un muro fatto di pura professionalità. 

Lo aveva incontrato per la prima volta in una delle sue segrete escursioni pomeridiane nelle cucine, orario nel quale queste erano completamente deserte. All'epoca lei aveva solamente cinque anni e le era stato proibito categoricamente di mangiare più dolci di quanti già non ne ingurgitasse. Ma si sa, biscotti di qua, croassan di là, era finita per andare alla ricerca di nuove delizie. Meringhe, era di quelle che aveva voglia. 
Pur essendo di un'altezza pienamente nella media finì per sbilanciarsi, cadde dalla sedia sulla quale aveva trovato appoggio e rovinò a terra. La botta col pavimento, seppur non molto forte, fu abbastanza perchè le facesse salire le lacrime agli occhi. Con lo sguardo appannato, riuscì a malapena a notare il bambino che la osservava da poco distante. Se ne stava appoggiato allo stipite della porta a guardarla serio.
"P-Perchè m-mi gua-guardi?" singhiozzò nella sua direzione.
"Non dovresti piangere..." fece lui avvicinandosi leggermente titubante. Sembrava a disagio.
Lei sfregò i pugnetti sugli occhi, lasciò ondeggiare i codini scompigliati a destra e sinistra e parlò come a giustificarsi.
"S-Sono cadu-duta"
"Perchè hai cercato di prendere quella roba lì" disse semplicemente, indicando con il dito la dispensa "E'alta alta, la mamma ti avrà detto di non arrampicarti. Però tu hai disubbidito e ti sei fatta male"
"Non lo faccio più" promise.
E da lì, di tanto in tanto, si erano ritrovati per giocare. Non c'era voluto molto perchè arrivasse a scoprire che quel ragazzino, all'apparenza tanto scostante, altro non era che di una timidezza struggente. Per lo più, passavano il tempo a disegnare sulle piastrelle nere del porticato. Non che fossero dei così grandi amici ma era bello poter scambiare più di due parole con un proprio coetaneo. La maggior parte delle volte Nathanael, però, diceva a malincuore di essere occupato con il padre, così poco per volta avevano finito per non vedersi più. Lei era diventata una vera aristocratica, lui una semplice guardia. 

Sospirò. Ora si che non aveva più nessuno con cui parlare. La vita di corte poteva essere estremamente difficile e solitaria per una che, come lei, non riusciva a fare amicizia tanto facilmente. 
Già, sarebbe bello se...
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto in malo modo quando un passante, l'ennesimo, le diede una spintarella poco più forte, rischiando di farla inciampare. Improvvisamente le parve di essere tornata nella cucina della sua residenza a sporgersi verso lo scaffale dei dolci per cercare di non cadere. L'equilibrio precario che si era faticosamente guadagnata vacillò una volta di troppo e lei si ritrovò faccia a faccia col terreno. Fortuna che Nath fosse lì accanto, pronto per ogni evenienza. Già, fortuna che... 
Arricciò le labbra sconcertata. No, c'era qualcosa che non andava. Le mani che le circondavano la vita erano troppo sicure, troppo decise, troppo lisce e curate per essere quelle del suo amico. Riusciva a vederle solo in parte, abbassando appena lo sguardo verso l'addome, ma era sicurissima che fossero mani diverse. Per assicurarsene decise dunque di tornare in posizione eretta, sempre con l'aiuto degli arti misteriosi. Due smeraldi di un verde intenso la imprigionarono non appena alzò il viso e la sua ipotesi trovò conferma.
"Excusez-moi" si scusò una voce calda con un sorriso.
Non si accorse nemmeno delle dita della guardia strette con prontezza attorno al suo braccio destro, Marinette; non si accorse che i magnifici occhi erano ormai scomparsi nè della domanda che le era stata posta. Per questo scosse leggermente il capo così da riprendere il controllo.
Che cosa assurda...
Solo un semplice scambio di sguardi, si ripetè, solo un semplice scambio di sguardi. Nulla di più. Perchè si sentiva tanto scombussolata? Come d'improvviso aveva avvertito lo stomaco stringersi, le gambe farsi molli e il respiro accelerare. Impossibile che un attimo fugace le avesse regalato tutto quell'oceano di emozioni. Portò una mano a toccarle la fronte, quasi a controllare che non fosse colpa di un'improvviso malanno. No, di febbre non ce ne era.
"Si è fatta male?" chiese Nathanael accorto.
Lei dissentì distratta mentre lo sguardo si perdeva tra la folla.

"Vorrei poter vedere quel banchetto"  
Il sole inondava Place du Tertre quel sabato mattina. Simbolo del quartiere di Montmartre, non era la classica piazza parigina visitata dalla nobiltà, tutt'altro. Sulla riva destra del Senna, molti erano i turisti ed i cittadini smaniosi di farsi immortalare da uno dei tanti artisti muniti di tavolozza e cavalletto. Banchi e piccoli negozietti circondavano l'ambiente, omoni barbuti e vecchie signore pronti a gridare la propria merce ai passanti. 
Marinette fece scorrere lo sguardo sul paesaggio a carboncino intrappolato in una tela poco distante, poi tornò a rivolgere la sua attenzione verso chi stava alla sua destra.
"Da sola, se possibile" continuò timorosa. 
Era sicura che Nathanael, per quanto incline ad assecondare ogni suo più piccolo desiderio, non avrebbe permesso che andasse in giro per un luogo tanto affollato senza nessuno a scortarla. Già era molto che suo padre avesse acconsentito quando l'aveva supplicato di diminuire la sorveglianza fino a un solo uomo, eliminarla non sembrava proprio un'alternativa plausibile. Era pur sempre una Dupain-Cheng, non mancavano mai di ripeterle, prima ed unica figlia di una delle casate più importanti dell'intera Francia. Ne era perfettamente a conoscenza e comprendeva l'ansia che attanagliava i genitori ogni qualvolta la sapevano lontana da casa, ma non credeva che una semplice visita in città, fatta nel pieno del giorno, potesse essere tanto pericolosa. E poi, per quanto sfuggisse sempre all'argomento, Nathanael adorava l'arte, di sicuro gli sarebbe piaciuto avere qualche secondo per poter dare un'occhiata ai meravigliosi quadri che lì erano esposti al pubblico. C'era ancora speranza, quindi, riposta nel buonsenso del suo accompagnatore.
"Madamiggelle, sa che..." 
Come volevasi dimostrare. 
Tentar non nuoce, no? Sarà per la prossima volta.
Sospirò afflitta, pronta a sorridergli quasi a scusarsi ma una voce la interruppe. 
"Una rosa per la signorina?"
Una ragazza. Avrà avuto più o meno sedici anni, constatò, e stava porgendo un mazzo di fiori ben compatto nella la loro direzione. Gli occhioni cielo brillarono quando Marinette si voltò incuriosita verso la merce di scambio.
"Un fiore?" domandò di nuovo, alternando lo sguardo da lui a lei.
Forse, riflettè l'aristocratica, non si sarebbe presentata occasione migliore per cercare di sviare la risposta di Nathanael.
"Lo vorrei davvero tanto"  rispose allora con un sorriso "Davvero molto. E' importante"
Il ragazzo la fissò sconcertato, palesemente confuso dalla piega che stava prendendo la situazione. Non riuscì a valutare per quanto restò a scrutarla, valutando le due opzioni. Infine socchiuse le palpebre, l'angolo destro della bocca ebbe un guizzo verso l'alto. 
"Come desidera" acconsentì timido.
Così, mentre la fioraia sfilava la rosa più bella e gliela porgeva e Nathanael provvedeva al pagamento, sul viso di Marinette si dipinse un sorriso pregno di pura gioia. Non seppe bene cosa successe poi. Ricordava un "Grazie mille" ad alta voce, l'ordine di comprare tutte le rose della ragazza, lo sguardo ansioso della guardia su di lei e la camminata, prima lenta e misurata, farsi sempre più veloce, sino a diventare corsa.
Continuò correndo a perdifiato tra un individuo e l'altro, nulla più che una macchia informe nel mezzo di mille ancora. Giunse davanti ad un negozio di stoffe, si appoggiò ad un sostegno in legno per poter regolarizzare il respiro, diede un'occhiata ai vestiti esposti ammirandone i colori e le forme. Restò incantata di fronte un abito color crema dal taglio semplice e subito la commerciante le chiese se fosse interessata. Negò e continuò la sua visita. Eppure... Tornò indietro, indicò all'anziana dietro il bancone ciò che aveva attirato la sua attenzione e ne chiese il prezzo. Poco dopo stava camminando con due buste sottobraccio, una contenente l'abitino, l'altra stoffe dei più svariati colori. Aveva ben in mente come avrebbe potuto passare il pomeriggio a ricamare qualche punto di qua e di là, così da apportare poche essenziali migliorare che avrebbero fatto risplendere il tessuto. Nemmeno mosse dieci passi che un altro oggetto la incantò.
Era una sensazione strana quella di trovarsi da sola in un posto simile, poter fare quel che più le pareva senza chiedere niente a nessuno. Non si sentiva malinconica come quando cuciva nella sua stanza, non triste come quando passeggiava nei giardini della magione. Stava così bene, era così, così, così... Libera. Nonostante sapesse di essere guardata costantemente da un supervisore pronto ad ogni evenienza. Quella era libertà e con la consapevolezza che avrebbe potuta respirala ancora per poco, non potè far a meno di assaporare ogni suo più piccolo particolare. C'era così tanto da vedere ma non le passò mai per la mente che osservare attentamente la più misera tra le cose fosse uno spreco di tempo. 
Si avvicinò ad un ripiano sul quale erano esposti graziosi elaborati in metallo fine. Quel che più la colpì fu una piccola ed articolata costruzione ramata: un cuore tondeggiante sulla parte frontale, lì dove i due lati erano più pieni. Pochi centimetri lontana dall'estremità destra più alta, una piccola pietra azzurra di forma romboidale, dalla quale si diramavano poi quattro gruppi di onde. Quelle finivano per scontrarsi con un ghirigoro circolare più largo, i cui rami verso l'interno circondavano a loro volta quattro pietruzze rosso fuoco, protettrici di quella centrale. Da lì verso l'esterno una serie di movimenti floreali disegnati finemente. A circa metà della struttura, sul bordo, vi era un piccolo salsicciotto lavorato a nastro che si allargava nella spaccatura dell'oggetto, dividendolo in due parti perfettamente speculari con una spada stilizzata. La lama avvolgeva la struttura sino a sfinarsi come a goccia perpendicolarmente al centro. 
Marinette se lo rigirò tra le mani, ammirata. Mai aveva avuto il piacere di vedere una tale meraviglia ed ora il suo sguardo ricolmo di ammirazione era rivolto verso il venditore, un omino di origini chiaramente orientali che la osservava gentile. Passò l'indice sul retro, più semplice e composto da una sola lamina incisa con stile simile a quello che aveva potuto vedere sul davanti. 
"Mi scusi, sa dirmi quanto viene?" domandò staccando gli occhi dal cimelio.
"Bello vero?" domandò l'uomo con un sorriso.
Lei fece cadere nuovamente lo sguardo sull'oggetto, annuendo.
"Lo prenda allora" la incitò lisciando la barbetta curata.
"Può dirmi quanto cost--"
Lui la bloccò con un cenno sbrigativo della mano.
"Lo prenda" ripetè.
"Ma io... Non posso. E' un così bel lavoro, potrebbe guadagnarci davvero bene. Non posso prenderlo come se niente fosse" insistette la ragazza.
Al che frugò nelle tasche del cappotto e ne tirò fuori una sacchetta. Fortuna che aveva avuto l'accortezza di portare quel poco di denaro.
"Tenga, è tutto ciò che ho con me. Spero basti" 
Non fece neanche in tempo ad alzare il capo e porgere i soldi all'anziano che questo era già scomparso. Marinette si guardò attorno, cercando di capire dove potesse essere andato, ma non trovò nulla al di là della densa calca parigina. Eppure era lì un momento fa, impossibile si fosse volatilizzato nel nulla. Non poteva certo lasciare i soldi sul banco ed andarsene, qualcuno avrebbe potuto rubarli. Doveva essere certa di consegnarli nelle mani del signore. Cosa fare, dunque? Andare via senza aver dato nemmeno uno spicciolo era fuori discussone. Restare lì ad aspettare che il venditore tornasse? Le pareva l'unica via d'uscita. Mentre rifletteva sul da farsi, venne spintonata violentamene da quello che dalla stazza sembrava senz'ombra di dubbio un uomo e finì per picchiare il fondo schiena a terra. Il cuore le volò di mano e si schiantò con un tonfo metallico accanto a lei.
Non è proprio la mia giornata decretò massaggiandosi la base della colonna vertebrale.
"Vogliate scusarmi, ero sovrappensiero e non vi ho vista. Sono mortificato" la raggiunse una voce dall'alto.
"Che modi" inveì sommessamente, pronta a dirne quattro a quel maleducato, ma restò bloccata nell'istante esatto nel quale incontrò il volto del suo aggressore.
Quegli occhi. Erano gli stessi che avevano rischiato di farla cadere qualche ora prima, ne era sicura.
Restò per un attimo a fissarli, verde foresta affogato nel blu del mare, il cuore martellante contro la gabbia toracica pareva dover volare via da un momento all'altro.
"Vi sentite bene?" gli smeraldi si dipinsero di una sfumatura leggermente impacciata, mentre il loro proprietario le porgeva una mano.
"N-nebe tottu... Ovvero, bene u-uttot..." cercò di rispondere accettando ben volentieri l'aiuto offerto. Che cosa le prendeva adesso? Non riusciva nemmeno più ad articolare una semplice frase. Eppure sapeva parlare e, a detta di sua madre, anche piuttosto bene se si metteva di impegno. Inspirò profondamente per riprendere il controllo.
"Vi ringrazio, non mi sono fatta nulla" concluse.
Era troppo confusa, però, per notare l'utilizzo del voi ed il  tono formale con il quale aveva argomentato la risposta, istintivi per lei ma inusuali tra persone di basso rango. Distolse educatamente lo sguardo dal ragazzo che le stava dinnanzi, spostandolo a terra ed arrossendo leggermente. Fu grazie a quel gesto quasi involontario che si accorse di aver cosparso l'intero passaggio con i suoi acquisti.
"Tranquilla, faccio io" disse l'altro quasi leggendole nella mente, non appena si riscosse e notò il disastro combinato. 
"Moun die" mormorò lei affrettandosi a rimettere in ordine.
Peccato che così facendo non diedero vita ad altro che danni. Infatti, entrambi si chinarono nello stesso istante e, concentrati come erano nel cercare di rimettere ogni cosa al proprio posto, finirono per scontrarsi nuovamente.
"Ouch" si lamentò lui massaggiandosi il capo.
"S-Scusate tanto! V-Vi siete fatto male?" chiese Marinette mortificata.
"Nulla, sono io quello dalla parte del torto" la rassicurò accompagnando il tutto con un sorriso che la fece inspiegabilmente arrossire.
"ADRIEN!" urlò una voce stridula da poco lontano.
Il giovane sbiancò, la stoffa rossa che stava raccogliendo ancora impigliata tra le dita.
"Mi dispiace" si affrettò a dire "Devo andare, scusatemi"
Detto ciò scattò in piedi con un balzo degno di un felino, affondò meccanicamente le mani nelle tasche e si diresse a passo veloce tra le bancarelle. Confusa, restò a fissare il punto nel quale si era dileguato il ragazzo mentre una mano faceva per scuoterla.
"Madamigelle si sente bene?" s'informò subito Nathanael, probabilmente riuscito a raggiungerla.
Marinette gli restituì uno sguardo rassicurante poco prima che i suoi occhi si sgranassero dalla sorpresa.
"Il cimelio!" sbottò allarmata, cominciando a tastare il terreno.
Non ricordava di averlo messo nelle buste, nè visto nascosto fra le stoffe. Diede ancora una veloce controllata, per esserne certa, ma non lo trovò. Continuò così a cercarlo sotto i tavoli, tra le crepe dei marciapiedi, ovunque potesse infiltrarsi anche solo un granello di polvere, fin quando la guardia- mobilitata anch'essa ai fini del ritrovamento- non l'avvertì che il tempo a sua disposizione era ormai scaduto. Così, a malincuore, attirò l'attenzione di una carrozza e indicò al cocchiere la strada verso la villa dei Dupain-Cheng.
Mentre varcava i cancelli della residenza ed iniziava ufficialmente la sua nuova prigionia, però, si accorse che almeno per quella notte la sua camera sarebbe stata un po'meno vuota, il suo letto un po' meno freddo. Avrebbe sognato di luci abbaglianti, viottoli vivaci, scrosciare di fiumi, voci calde, occhi verdi e cuori scomparsi.






 
A(l)n(y)golino:
Salve a tutte anime pie arrivate a fine capitolo!Per chi non mi conoscesse, piacere^^, per chi abbia avuto già la (s)fortuna di aver a che fare con me, riciao:) Sbarco finalmente in questo fandom dopo un estenuante periodo di letture silenziose.Spero di non aver già fatto casiniO_oAccetto consigli,critiche e chi più ne ha più ne metta ma prima di spaccarmi l'anima credo sia il caso di dire un paio di cosette.Quindi bando alle ciance senza senso,cercherò di essere sintetica.Intanto,riporto qui sotto il link dell'immagine a inizio pagina.
https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/originals/e8/31/3a/e8313a156ccd4d64640634b7257b44bd.png
Devo dire che è grazie a lei se questa storia è qui oggi :P
 Il titolo,La vie en rose,è una vecchia canzone di Edith Piaf.
Il nome del capitolo- Centaurée-  è equivalente a Fiordaliso. Nel linguaggio dei fiori assume il significato di "speranza in un legame".
La citazione iniziale,a destra ed in corsivo,è di Jane Austen.
Parlando del resto, non ho molto da aggiungere.Credevo di aver abbastanza su cui blaterare ed invece non è così,ma tanto meglio:9 Qualunque dubbio abbiate,sentitevi liberi di chiedere.Mi scuso per eventuali errori o strabicismi,non fatevi scrupoli nel segnalarmeli.E niente,al prossimo capitolo!
Salutoni,
AlnyFMillen
   
 
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