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Autore: thequeens    23/03/2017    0 recensioni
Questa è la storia di due anime sole che, incontrandosi, scopriranno valori di cui non avrebbero mai immaginato l’esistenza e diventeranno, l’una per l’altra, più importanti di quanto si aspettassero.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Ancora un'ultima volta, su" esclamò Dazai, all'ennesimo tentativo che Akutagawa fece nel provare a sopraffarlo con la sua abilità.

Era più di una settimana ormai che lo addestrava e, durante tutto quel tempo, Dazai non aveva fatto altro che incitarlo ad attaccare al massimo della sua potenza; aveva imparato a conoscere la sua abilità, e in breve tempo era riuscito a farsi un'idea generale di cosa potesse fare e quanto potesse spingersi oltre, ma Akutagawa era stanco: non aveva mai usato la sua abilità così a lungo, né che gli andasse farlo, dal momento che non riusciva a controllare quella bestia come voleva.

Sentiva che la fatica stava avendo il sopravvento, quindi non diede retta al suo mentore, ma continuò ad ansimare, le mani sulle ginocchia per sostenersi; un colpetto di tosse lo scosse.

"Allora?" gli fece Dazai.

Akutagawa si asciugò il sudore dalla fronte, cercando di guadagnarsi la comprensione dell'altro attraverso uno sguardo che aveva un'aria quasi implorante.

Dazai parve cogliere quell'implicita supplica, infatti, sebbene a malincuore, gli disse: "Sarebbe alquanto inutile farti continuare in queste condizioni. Per questa volta ti lascerò andare."

Fermo sulla porta Mori, con un sorrisetto sornione in volto, aveva osservato quel poco che bastava per poter valutare il metodo di insegnamento di Dazai e notare quanto, a suo avviso, inutile potesse essere per Akutagawa.

Nessuno dei due si era accorto della sua presenza e il boss dovette attirare la sua attenzione schiarendosi la voce. Vide Akutagawa rivolgergli un gelido e distaccato saluto, ma non gli diede troppa attenzione. Fece cenno di avvicinarsi a Dazai, che obbedì dopo essersi salutato brevemente col suo allievo.

Non appena raggiunse il boss, non fece in tempo a dire nulla o a salutarlo, che questi, poggiandogli una mano sulla spalla, gli disse: "Vieni, devo parlarti", invitandolo ad allontanarsi.

"C'è qualche problema?" chiese Dazai, una volta che si furono isolati abbastanza.

"Cosa speri di ottenere con quel metodo?" domandò retoricamente Mori.

Dazai non disse nulla e attese che l'altro continuasse.

"Hai forse dimenticato tutto ciò che ti ho insegnato?" chiese ancora il boss; un sorrisetto maligno iniziava a comparire sulle sue labbra, ma cercò di reprimerlo: "È così che ti ho addestrato?"

No, Dazai non aveva dimenticato nulla. Come poteva, del resto? Dopo essersi unito alla Mafia aveva passato svariati mesi a subire violenza fisica e psicologica dal boss; quest'ultimo lo definiva come il suo metodo di insegnamento, ma per il Dazai di un tempo era una vera e propria tortura. Ora, quell'uomo che l'aveva a lungo tormentato, gli stava chiedendo di fare esattamente la stessa cosa con Akutagawa; se fosse stato un essere umano normale avrebbe rifiutato, ma non lo era, quindi non fece altro che acconsentire e ripensare a quei ricordi con fredda indifferenza, come se fosse capitato ad un altro, non a lui.

"Non puoi lasciargli fare quello che vuole, devi essere più duro con quelli insubordinati come lui" continuò Mori: "Non vedi che non migliora?"

"Dal momento che abbiamo iniziato da poco, stavo cercando di essere un po' meno severo" spiegò Dazai, leggermente irritato dal fatto che qualcuno contestasse le sue capacità da insegnante.

"Sin dalla tua prima volta ti ho tirato su a suon di pugni, eppure guarda dove sei arrivato ora!" esclamò Mori: "Mi aspetto che tu faccia esattamente la stessa cosa con il tuo allievo" continuò serio.

Dazai annuì: "Farò del mio meglio."

Mori fece per andarsene, poi si voltò verso di lui e gli disse: "Prendi il toro per le corna e fagli capire chi comanda."

L'esecutore rimase da solo, ascoltando l'eco dei passi del boss allontanarsi; quando essi si affievolirono, se ne andò anche lui, dirigendosi a passo svelto verso il bar dove, sapeva, avrebbe trovato i suoi amici.

Lì passò una serata spensierato, sorbendosi, poi, le lamentele di Chuuya per quanto, a suo parere, fosse tornato tardi, "senza nemmeno fare una telefonata!"

D'altro canto, anche Akutagawa in quei giorni fu sereno, sentendo che, per la prima volta, la sua abilità avrebbe potuto farlo diventare un importante membro della Mafia.

Anche se Dazai non si era mai complimentato con lui, era convinto che sarebbe stata solo una questione di tempo; grazie ai suoi addestramenti sarebbe migliorato in fretta e gli avrebbe dato qualcuno di cui essere orgoglioso.

Il giorno dopo, motivato da quella convinzione, si diresse di nuovo dal suo maestro per un nuovo giorno di addestramento.

"Sei in ritardo" disse fermo Dazai quando vide il suo allievo fare finalmente il suo ingresso nella palestra. Ryunosuke rimase interdetto: il suo mentore non era mai stato puntiglioso sull'orario, siccome nella Mafia si narrava fosse lui stesso ad essere perennemente in ritardo.

"Non perdiamo altro tempo e cominciamo subito" sospirò il più grande staccando la schiena dal muro contro cui era appoggiato e mettendosi dritto in piedi proprio al centro della palestra: "Usa la tua abilità e prova a colpirmi" lo incitò Dazai. 

Akutagawa non se lo fece ripetere due volte: concentrò tutte le sue forze e riuscì a trasformare la sua giacca nella bestia nera che divorava qualunque cosa, e per sua grande contentezza gli ci volle meno del solito. Ma quella soddisfazione scemò nel momento in cui, quando spedì Rashomon verso Dazai, questi lo bloccò annullando la sua abilità e colpendolo con un calcio dritto in pancia. 

Akutagawa non capì. Fino a quel momento il suo mentore, colui che lo aveva portato via da quella fogna che erano i bassifondi e gli aveva garantito una ragione per vivere, non aveva mai alzato un dito su di lui. Eppure in quel momento non ci aveva pensato due volte prima di colpirlo, così forte da fargli sputare sangue. Dove aveva sbagliato? Aveva fatto come gli aveva chiesto, quindi perché? 

Cadde rovinosamente a terra, tossendo sommessamente e rotolando qualche metro più in là, poi udì la voce dell'esecutore: "Alzati e riprova" gli ordinò.

Poggiò i palmi a terra e, tremante, riuscì a rialzarsi quasi subito, continuando a sostenersi contro il muro. Non avrebbe perso tempo a pensare al motivo di quel gesto. Se quello era il suo metodo, se quello gli dava soddisfazione, allora Akutagawa lo avrebbe accettato pur di essere il motivo di quella soddisfazione. Un giorno sarebbe diventato forte grazie a quegli insegnamenti, Dazai avrebbe riconosciuto la sua forza e sarebbe stato fiero di lui per ben altri motivi.

Andarono avanti così per il resto dell'allenamento: non aveva mai preso così tante percosse prima d'ora, nemmeno quella volta in cui una banda di briganti, credendo fossero solo due ragazzini indifesi, aveva attaccato lui e sua sorella alle spalle, senza neanche dargli il tempo di capire cosa stesse succedendo; in quell'occasione se ne era uscito con qualche livido ma, dopo l'allenamento con Dazai, il suo corpo era pieno di contusioni, fortunatamente non visibili.

Quando finirono era tarda sera, e Ryunosuke, quella mattina, aveva proposto a Gin di incontrarsi fuori dall'edificio per tornare a casa insieme. Camminarono in silenzio per le strade di Yokohama, lui teneva le mani in tasca e lanciava qualche sporadica occhiata alla sorella: sembrava serena.

"Come stai?" le chiese all'improvviso.

Lei lo guardò leggermente stupita, non si aspettava quel tipo di interessamento da parte sua. 

"Bene" rispose: "Tu?"

Ryunosuke grugnì leggermente: "Ho visto giorni migliori" mormorò e cambiò immediatamente argomento: "Il vichingo ti tratta bene?"

Gin ridacchiò al soprannome che suo fratello aveva conferito a Chuuya. Quei momenti con sua sorella erano le uniche occasioni in cui si prendeva la libertà di sfottere i suoi superiori, ma rispettava la gerarchia, e davanti ad essi non si sarebbe mai permesso.

"Sì, è molto gentile" lo tranquillizzò.

Ryunosuke non poté negare di stare invidiando sua sorella, dal momento che il suo mentore non si dimostrava affatto gentile con lui.

"Non ha mai osato... toccarti?" enfatizzò particolarmente quell'ultima parola, per farne intendere il doppio fine che, tuttavia, Gin non colse, vista l'aria perplessa con cui lo stava guardando.

"Non ci prova con te, vero?" chiese più esplicitamente lui sospirando.

Gin avvampò: "No! È troppo grande per me!" sbottò: "E poi, sai... credo sia gay" disse poi più calma.

"Gay?" chiese Ryunosuke spalancando gli occhi.

"Sì, pensaci un attimo: lui e il signor Dazai vivono insieme e hanno solo un letto matrimoniale."

Akutagawa non disse più nulla, ma senza saperne il motivo percepì un vago senso di gelosia farsi strada nel suo petto.

Non avrebbe dovuto preoccuparsi della vita privata di Dazai, tuttavia il particolare che avesse potuto stare con uno come Chuuya lo infastidì leggermente.

"Tutto bene?" chiese Gin improvvisamente, scrutandolo con attenzione.

"Cosa?"

"Hai una faccia strana."

"È solo la mia faccia" rispose lui con nonchalance.

"Spiritoso" commentò Gin, tornando a rivolgere la sua attenzione alla strada davanti a loro, con grande piacere di Ryunosuke, il quale altro non desiderava che essere lasciato in pace a rimuginare su quanto accaduto quel giorno.

Decise che non avrebbe detto nulla a Gin; non voleva farla preoccupare in alcun modo. Magari, pensò, Dazai lo aveva trattato male per sfogarsi un po'. Dopotutto era un essere umano, le giornate brutte capitavano anche a lui.

Ma si sbagliava: infatti, anche nei giorni seguenti continuò a ricevere pugni e calci ad ogni errore. Gli sembrava quasi che più andasse avanti, più subiva violenze. Eppure si rendeva conto di stare migliorando giorno per giorno; allora perché continuava ad essere maltrattato?

Un giorno di qualche settimana dopo fece qualcosa di cui, in seguito, si pentì amaramente: era ormai da ore che stava continuando ad attaccare ed essere prontamente respinto dall'abilità di Dazai; lui, fermamente, continuava ad ordinargli di riprovarci, senza mai dargli tregua né tempo di riprendersi.

Fuori di sé dalla fatica e dalla frustrazione, Ryunosuke perse il controllo: "Ci sto mettendo tutto me stesso!" urlò con tutto il fiato che aveva.

Seguirono alcuni istanti di silenzio pesante; Dazai iniziò ad avvicinarsi a lui con il suo solito fare calmo.

Per un attimo Akutagawa pensò volesse aiutarlo a rialzarsi, magari sussurrandogli parole d'incoraggiamento o conforto, ma il suo rimase solo un semplice pensiero. 

Tutto quello che ricevette, invece, fu un pugno sull'occhio, forte come non mai; gli sembrò di vedere le stelle, da quanto era violento.

"Non usare quel tono con me" disse Dazai freddamente; se tutto quello che gli aveva fatto finora non lo aveva ferito abbastanza, quello che gli disse dopo fu come una coltellata dritta nel petto: "Evidentemente non ti stai impegnando abbastanza", gli disse. Poi, come se nulla fosse, tornò al suo posto, ordinandogli di ricominciare.

Quando finirono Akutagawa tornò a casa stordito, toccandosi l'occhio su cui spiccava un evidente segno scuro.

Entrò in casa e trovò Gin rannicchiata sul divano a guardare la tv, probabilmente uno dei tanti reality show da ragazzine; non ci fece troppo caso, dal momento che era troppo preso dal cercare di nascondere l'enorme livido sull'occhio, un po' con la mano, un po' sfruttando l'oscurità della stanza, illuminata solo dalla pallida luce dello schermo.

"Ehi, ciao!" gli fece sua sorella.

Ryunosuke ricambiò brevemente il saluto, studiando un modo per andare a medicarsi, a mangiare e a dormire senza che lei si accorgesse di nulla.

"Gin..." provò: "Perché non vai a dormire? È tardi."

La ragazzina passò uno sguardo all'orologio appeso di lato rispetto a loro: "Ma sono solo le nove."

Lui cercò di trovare la risposta che avrebbe potuto far sviare la conversazione a suo vantaggio, ma Gin lo precedette: "E poi ti stavo aspettando per cena."

(Mi ha fregato.)

"Io non... non mangerò stasera. Sono stanco, me ne vado a dormire. Tu cucinati qualcosa" disse Ryunosuke; fu convinto che con quella risposta sarebbe riuscito a chiudere il discorso e andarsene, ma quando lei si alzò, dirigendosi verso di lui con espressione leggermente delusa, cambiò idea.

"D'accordo. Buonanotte, allora" disse lei.

Il ragazzo, conscio di cosa stesse per fare, provò inutilmente a tirarsi indietro; Gin fece per abbracciarlo, ma si bloccò improvvisamente quando vide l'occhio nero del fratello, il quale era rimasto per tutto il tempo con la testa girata, nel tentativo di nasconderlo.

"Che hai fatto?" chiese, prendendo il suo viso tra le mani e sfiorando delicatamente le guance con i pollici.

"Niente" rispose lui, afferrando i polsi di Gin e scostandoli, per poi dirigersi verso la sua camera, intenzionato a chiudercisi dentro.

"Aspetta!" esclamò lei raggiungendolo di corsa e agguantandogli il braccio:

"Vuoi dirmi che cosa è successo?"

"No."

"Hai fatto a botte con qualcuno?" tentò Gin.

"Smettila di fare domande, non ti riguarda" la troncò lui freddamente.

"Mi riguarda eccome" alzò la voce lei incrociando le braccia.

Il ragazzo la fulminò con lo sguardo, ma la sorella non si scompose e continuò a fissarlo severamente.

Lui sbuffò seccato: la ragazzina non avrebbe ceduto facilmente, tanto valeva inventarsi una scusa qualunque e chiuderla lì.

"Sono scivolato e ho sbattuto la faccia contro il muro. È tutto" concluse, infilandosi le mani in tasca e guardando Gin: si ricordava di aver letto da qualche parte che per risultare credibili bisognasse mantenere il contatto visivo con l'interlocutore, in modo da non insospettirlo.

"Non ci credo" disse lei, facendo cadere il castello di carte che lui aveva accuratamente costruito: "Non sei così stupido da sbattere in quel modo. I riflessi per proteggere la faccia con le mani ce li hai."

Ryunosuke sospirò: "È stato Dazai mentre mi addestrava."

Proprio non riusciva ad accettare la verità; sebbene si fidasse ciecamente della sorella, solo ripensare a quel momento gli provocava una morsa di vergogna incalcolabile.

Gin era a dir poco scandalizzata: "Perché lo ha fatto?"

"Perché... non mi stavo impegnando abbastanza. E lui mi ha corretto."

Lei scosse la testa: "Non è questo il modo di correggere un allievo. È stato davvero cattivo" accusò sprezzante.

Ryunosuke provò un vago senso di fastidio a quelle parole: "Non ti permettere. È solo il suo metodo di insegnamento" ringhiò.

"Ti ha picchiato ingiustamente. Perché lo stai difendendo?"

"Adesso basta" sibilò lui stringendo i pugni, la testa bassa; e, in quel momento, Gin si rese conto che suo fratello non era poi così forte come voleva dimostrare.

"Non è giusto. Tu non meriti di essere trattato così" continuò lei, per poi dirigersi verso la cucina.

Il ragazzo non disse nulla; si limitò ad abbandonarsi sul divano e a fissare lo schermo della tv senza prestare realmente attenzione alle immagini che vi scorrevano. Pensava a come aveva risposto a sua sorella e si stupì di aver avuto quella reazione nei suoi confronti. In fondo lo stava solo difendendo, e aveva ragione: perché continuava a giustificare il suo mentore nonostante lo avesse trattato come un cane fino a poche ore prima?

Gin torno con un impacco di ghiaccio in mano, poi lo porse a suo fratello.

Ryunosuke lo premette contro l'occhio senza più dire nulla; lei, sebbene avesse altre domande, rispettò il suo silenzio e vi partecipò.

Rimasero così per svariati minuti, poi lui si alzò, andando a posare ciò che rimaneva del blocco di ghiaccio. Salutò brevemente la sorella e si buttò sul letto, infilandosi sotto le coperte, dando finalmente riposo al fisico stanco; una morsa gli attanagliò lo stomaco al sol pensiero che, il giorno seguente, sarebbe ricominciato tutto da capo.

   
 
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