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Autore: EmilyG66    24/03/2017    3 recensioni
Joker fa irruzione nel carcere dov’è stata portata nuovamente Harley con i suoi uomini. Le guardie vengono tutte uccise e l’arlecchina è libera di riunirsi al suo clown che credeva morto.
Di nuovo insieme entrambi ritornano a casa e festeggiano il loro pazzo amore.
Questa fanfiction tratta un ipotetico piccolo seguito dopo la fine di Suicide Squad. I personaggi non appartengono a me ma alla DC.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harley Quinn, Joker
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Harley non poteva credere che lui fosse vivo, sapeva che ci voleva ben altro che un’esplosione per farlo fuori ma lei ci aveva davvero creduto. E quanto ne aveva sofferto!
Lo aveva ritrovato sull’elicottero ma dopo neanche un minuto, trentanove secondi per essere più precisi, lo aveva perso di nuovo.
Ora invece era abbracciata al suo pasticcino, ne avvertiva il respiro roco, ne inalava l’odore e ne ascoltava la voce profonda nell’orecchio.
Era meraviglioso.
Il criminale smise di stringere la biondina solo per metterle il braccio destro attorno alle spalle e guidarla fuori da quella gabbia. L’arlecchina con un enorme sorriso era stretta alla vita del suo uomo mentre camminavano e non intendeva lasciare la presa per il momento.
Gli uomini del clown si disposero immediatamente attorno al duo formando un cerchio nel caso in cui vi fosse qualche superstite pronto a far fuoco.
Joker li ignorava e, platonicamente, non stava al centro ma sempre davanti come il leader che era, incurante che bastasse una pallottola alla testa per far finire la sua vita.
Una volta fuori dall’edificio i suoi uomini si diressero ognuno al proprio veicolo. Il criminale aveva fatto disporre in tutto tre automezzi per non dare nell’occhio.
Il primo della fila era una macchina sportiva dai vetri oscurati nella quale sarebbero entrati cinque uomini, come secondo veicolo seguiva un sub arancione che avrebbe ospitato persone e armi nel retro, il terzo mezzo invece era un camion pubblicitario nel quale stava la macchina viola fiammante del criminale rimessa a nuovo.
Il clown e la sua bambolina entrarono nel retro del camion e il portellone si chiuse velocemente facendo accendere le luci interne.
Il convoglio partì subito e Harley si stacco dal suo Puddin osservando l’auto che aveva assistito al suo abbandono momentaneo da parte del Joker.
La biondina però sapeva bene che, in caso di cattura, fosse meglio che Batman non mettesse le mani su entrambi, altrimenti nessuno dei due avrebbe potuto salvare l’altro.
Non che Joker ne avesse bisogno comunque.
Quindi la ragazza non era delusa dal comportamento del suo uomo perché aveva fatto di tutto poi per riprendersela.
In quel momento l’occhio dell’arlecchina cadde nell’angolo di destra, sul baule dei suoi oggetti personali che qualcuno doveva aver ripreso e vi si avvicinò.
Il re del crimine nel frattempo si stava togliendo la divisa da guardia, ovviamente personalizzata, rivelando il suo abbigliamento.
Harley aprì il baule, anche lei voleva cambiarsi.
Un’idea improvvisa le si formò nella testolina e sorridendo maliziosa voltò la testa all’indietro osservando il suo stupendo pasticcino.
Ora indossava una giacca bianca con le rifiniture nere, aperta come la camicia di seta bordeaux che portava sotto. Quest’ultima era libera dai pantaloni neri come le scarpe.
La ragazza si soffermò sullo sguardo intenso e serio del Joker passandosi la lingua tra i denti certa che lui lo vedesse.
Girandosi e dando le spalle al clown l’arlecchina si sciolse i capelli colorati, sperando che da un momento all’altro il suo Puddin vi avrebbe immerso le dita per tirarglieli, e si tolse la parte superiore della divisa arancione da carcerata gettandola a terra.
Rimase perciò con una maglietta bianca a maniche corte e con i pantaloni.
Poi Harley scalciò via le pantofole rosa, fece scendere lentamente i pantaloni vermigli muovendo i fianchi e le gambe in maniera seducente finché il tessuto non le arrivò alle caviglie e allora si piegò per “toglierlo” portando il suo fondoschiena eccessivamente all’infuori mostrando gli slip rossi.
Il suo pasticcino la stava divorando con gli occhi, poteva sentirne lo sguardo sulla schiena e le dava i brividi.
La biondina continuò lo show e si spostò un po’ in diagonale per dare una migliore vista di sé al criminale del suo cuore tirando su con estrema lentezza la maglia svelando lo stomaco e il petto coperto dal reggiseno rosso e nero.
Tolto anche l’ultimo indumento, e rimasta solo in intimo, la bambolina guardò nel baule e tirò fuori il vestito d’orato con i rombi neri con il quale era stata catturata dal pipistrello.
Indecisa se togliere il reggiseno o meno alla fine optò per tenerlo, tanto presto anche quello sarebbe finito nelle mani del Joker per essere tolto di mezzo.
Dunque Harley fece scivolare il vestito lungo il suo corpo da favola e cercò le scarpe.
Dall’altro lato del camion nel frattempo il clown respirava affannosamente stringendo i pugni, aveva uno sguardo affamato e lussurioso. Era da troppo tempo che non divorava la sua tortina e non vedeva l’ora di rimediare.
L’arlecchina richiuse il baule e andò ad appoggiarsi al cofano dell’auto in attesa del suo Puddin con un sorriso sulle labbra.
Lui conscio dell’invito più che evidente della biondina si diresse verso di lei con passo fermo e sorridendo a sua volta diabolico.
Premette il proprio corpo contro quello della sua bambina cattiva, poggiò la mano destra sul cofano della macchina salendo dal collo verso la nuca con la sinistra e spingendo ancora Harley all’indietro quasi volesse stenderla sull’auto.
-Mi stai tentando…-constatò seriamente il clown con voce profonda infilando le dita nella chioma della donna e tirandole indietro i capelli.
La sua tortina emise un gemito sia di dolore che di piacere esponendo il collo al Joker che lo assaporò con gusto.
La marchiò ovunque con succhiotti e morsi, segni che avrebbero ricordato a tutti che lei apparteneva a lui e che era ritornata nelle sue mani. Nel caso in cui il tatuaggio “Proprerty of Joker” non fosse chiaro.
Harley immerse la mano sinistra nei capelli verde evidenziatore dell’uomo e l’altra viaggiò sul petto scoperto ripassandone i tatuaggi.
Il criminale rispose afferrandole il fianco con la mano che aveva tenuto finora sul cofano e stringendolo mentre l’altra mano la toccava ovunque bramosa di quella pelle.
Il clown poi si dedicò al lobo dell’orecchio destro dell’arlecchina privo di tutti gli orecchini mordicchiandolo e leccandolo prima di impossessarsi delle sue labbra e dedicarsi solo a loro con foga e passione repressa.
La biondina allora alzò la gamba sinistra all’altezza del fianco dell’uomo intossicata dall’amore che provava per lui.
Avrebbe voluto che la prendesse in quel momento ma il re del crimine aveva altro in mente, infatti si staccò dal bacio con un sonoro schiocco bagnato.
-Sali. Facciamo una corsetta verso casa. –le disse questa volta con voce più aperta e divertita passando il pollice sulle labbra gonfie e umide della regina Gotham.
Harley sorrise come una bambina birichina e quando il criminale si allontanò lei si scostò dall’auto, facendo il giro ed entrando nella vettura. Il suo Puddin fece altrettanto mettendosi al posto di guida.
Ancora un paio di isolati e poi sarebbero potuti sfrecciare alla velocità della luce verso il loro loft.
Joker mise le mani sul volante pronto per quando il portellone si sarebbe aperto ma senza mettere ancora in moto.
L’arlecchina invece aveva raccolto le ginocchia di lato mettendole sul sedile e si teneva la testa poggiando il gomito sinistro sullo schienale.
Ammirava il suo pasticcino con venerazione e felicità.
-Mi sei mancato tanto Puddin. –affermò sbattendo le ciglia in maniera civettuola.
-Oh! Ma davvero? Che dolce. –fece lui divertito ma senza guardarla allargando il sorriso della compagna.
-Io ti sono mancata? –domandò la bionda passandogli lasciva la mano destra sul braccio.
Se fosse stata un’altra a rivolgergli tutte quelle attenzioni sarebbe già morta ma visto che si trattava di Harley era diverso e Joker lasciava correre.
-Piccola, certo che mi sei mancata. –confermò lui con quel tono dolce che però con gli altri sapeva anche di falso e di pericolo per poi guardarla.
La sua tortina emise un versetto sorpreso e si gettò al suo collo donandogli un veloce bacio a stampo affogando subito dopo nei suoi occhi. Successivamente Harley poggiò la testa sulla spalla di lui.
-Hai fatto la cattiva bambina in prigione? –le domandò facendola ridere nel suo modo folle.
-Solo con chi mi toccava. –ammise la bionda spostandosi dal criminale per osservare la sua reazione.
Joker indurì lo sguardo e contrasse la mascella, il suo volto bianco fece risaltare maggiormente il contorno rosso dei suoi occhi che sembravano ora iniettati di sangue.
-Qualcuno ti ha toccata? –ripeté con tono roco emettendo suoni pieni di rabbia e rancore respirando pesantemente.
L’arlecchina amava vederlo così, semplicemente possessivo, geloso e letale. Chi la toccava, la insultava o anche ci provava con lei si ritrovava una pallottola conficcata dritta dentro il cranio.
-Sì. –ammise facendo il broncio, che su quella faccia da bambina era davvero adorabile, prima di sorridere e mettersi a cavalcioni sul suo Puddin.
Sapeva bene come fargli tornare il sorriso da pazzo che aveva sempre.
-Ma li ho mandati tutti all’ospedale. –gli rivelò orgogliosa a un soffio dalle sue labbra con voce suadente.
Joker a quel punto rise e lei con lui.
-Brava la mia bambina! –si complimentò l’uomo.
Harley era il suo capolavoro, fu lui a crearla e lui doveva averla o distruggerla se mai volesse.
-Nessuno a più giocato con me. –continuò a dire la sua tortina con finto tono triste, il che lo fece sorridere ancora di più.
Il clown dunque si sporse verso di lei e le sussurrò: -Giocheremo insieme più tardi io e te, e ci divertiremo tanto. –affermò pieno di promesse decisamente eccitanti.
Entrambi si tuffarono nuovamente in uno dei loro baci famelici e il criminale accarezzò le cosce della sua metà sentendo i rilievi dei nuovi tatuaggi. Si staccò dalla biondina per osservarli.
Non erano ben fatti come quelli che già possedeva ma erano belli a modo loro e Joker sorridendo soddisfatto li lesse tracciandoli con le dita.
“Harley + Puddin”, “I love puddin”, “H+P” ecc…
L’arlecchina lo osservò docile e felice, era concentrato e allo stesso tempo entusiasta.
Il re del crimine rialzò lo sguardo e ripresero da dove si erano interrotti, ma non appena le mani di Harley si fecero più audaci andando verso i pantaloni lui la fermò.
-Ah ha baby. Dopo, a casa. –le disse. Lei semplicemente annuì e come sentì il rumore del portellone che si alzava automaticamente scese dalle ginocchia del suo Puddin che mise in moto l’auto.
La vettura corse svelta tra vicoli e strade provocando incidenti qua e là passando col rosso a tutta velocità sugli incroci.
Quando furono in vista del loro appartamento, in cima ad un vecchio palazzo, il criminale rallentò e si infilò nel garage sotterraneo che si richiuse subito dietro di loro.
L’auto fu parcheggiata e un’allegra ragazza bionda vi scese. Gli uomini del clown non erano ancora arrivati ma era meglio così. Nessuno li avrebbe interrotti.
La bambolina afferrò le mani del suo pasticcino e corse con lui sulle scale mentre entrambi ridevano. Presero poi l’ascensore e spinsero il bottone che portava al piano più alto, nella loro lussuosa abitazione.
A nessuno degli scagnozzi del Joker era concesso entrarvi, solo ed esclusivamente in alcune rare circostanze in cui il clown lo permetteva.
La porta per accedervi si trovava a destra dell’ascensore.
Una volta entrati si scorgeva un’enorme cucina rosso scuro sulla parete centrale mentre su quella opposta era posizionato un grande divano di pelle rossa fatto a “L” con tanto di tv appesa al muro.
Altri vari oggetti addobbavano l’ambiente e non c’erano finestre, solo luci. La privacy dei criminali ricercati prima di tutto.
La camera da letto era posizionata dietro una porta destra, un’enorme letto matrimoniale rosso e nero incombeva centrale sulla parete di destra e ai lati vi erano due enormi armadi scuri.
Verso la parte del Joker stava un camino acceso e per terra spiccava un bianchissimo tappeto d’orso. Nella parte sinistra invece una porta conduceva nel loro bagno privato.
Non appena varcarono la porta di casa Harley si aggrappò all’uomo circondandogli la vita con le gambe e lui l’afferrò baciandola e toccandole il fondoschiena portandola sul divano. Le scarpe furono subito abbandonate.
Quando la bionda fu distesa e il suo pasticcino le fu sopra le uscì un verso di disapprovazione nonostante il piacere che stava sentendo dopo tanto tempo passato senza il suo Puddin.
-Non mi avevi promesso che l’avremmo fatto sulla pelle d’orso pasticcino? –riuscì a domandare tra i sospiri.
Credeva che il clown non l’avrebbe ascoltata, comandava sempre lui, invece Joker la sollevò di nuovo e la portò in camera.
Come la sua bambolina avvertì il morbido pelo sotto la sua schiena e il calore del fuoco sorrise vittoriosa.
Da quel momento cominciarono a spogliarsi.
Il criminale fece subito. Bastava alzare il vestito dalla testa o tagliarlo con un coltello e la sua tortina era già in intimo mentre Harley invece aveva un po’ da fare tra pantaloni, giacca e camicia ma altrettanto velocemente anche il suo Puddin fu in mutande, anzi in boxer.
Entrambi ridevano, si baciavano e mordevano l’uno la pelle dell’altra mentre facevano l’amore. Poi riprendevano fiato e ricominciavano da capo.
Harley osservava il corpo bianco e sudato dell’amante sopra di lei, la luce del fuoco lo illuminava di un bell’arancione ed era bollente sotto le sue dita. Con i capelli spettinati, la pazzia e la lussuria impresse in quel viso lei lo trovava comunque assolutamente perfetto.
Dopo molte ore divertenti ma estenuanti l’arlecchina fu la prima ad addormentarsi. Tra la battaglia combattuta con i suoi nuovi amici, il tempo trascorso in prigione dov’era stata tormentata e tutte le emozioni contrastanti che aveva provato necessitava proprio di riposare.
Erano settimane che non dormiva bene senza il suo “Jokerino”. No, più di un mese. Quaranta giorni di prigionia che si era tatuata su una coscia per ricordare il tempo passato senza di lui dopo sette anni che stavano insieme.
Joker la guardava appoggiata alla sua spalla sinistra, entrambi contro il fianco del letto e nudi, coperti solo da un’altra pelle d’orso.
Il clown ammirava la sua creazione alla luce del fuoco come lei aveva fatto prima. Il viso da bambina dormiente, le labbra ferite dai propri denti d’argento, i capelli biondi, fucsia e azzurri che aveva continuato a tirare, il collo marchiato, la linea morbida del seno ecc…
Troppo bella.
Il criminale cominciò ad avvertire la stanchezza quindi distese la biondina sulla coperta e si alzò prendendola poi in braccio e infilandosi con lei nel loro letto.

Il suo ufficio nell’Arkham Asylum era identico a come lo aveva lasciato, cupo e angusto.
I pochi mobili all’interno: una scrivania con una sedia, dei cassetti porta-documenti e un lettino per i pazienti non sembravano impolverati.
Harley non sapeva come fosse arrivata lì né perché avesse di nuovo i capelli completamente biondi, gli occhiali neri sul naso e perché indossasse il vecchio completo bianco da psichiatra.
I suoi bei tatuaggi erano tutti spariti.
-Harley. –la chiamò una voce dall’angolo più buio della stanza.
-Puddin! –rispose lei mentre il clown avanzava uscendo dalle tenebre.
La bionda sollevata non poté fare un passo verso di lui che un’ombra saltò giù dal soffitto e l’arlecchina vi riconobbe Batman. Quest’ultimo prese a lottare contro l’uomo dai capelli verdi e in breve tempo lo riempì di pugni.
La psichiatra tentò di intervenire ma due uomini corpulenti in divisa le bloccarono ognuno il braccio mentre lei cominciava a dimenarsi. Improvvisamente un pianto riecheggiò nella stanza, e poi un altro.
Harley si voltò verso il suono che proveniva da sinistra e rimase scioccata quando vide, in un box che prima non c’era, due bambini piccoli con le lacrime agli occhi.
Avevano i capelli biondi e urlavano disperati. Erano i suoi figli, i LORO figli.
Un altro uomo entrò in fretta nella stanza con una pistola, si avvicinò al Joker e, mentre Batsy lo teneva fermo, la guardia gli poggiò la canna dell’arma sulla tempia e premette il grilletto.
Lo sparo fu forte e la psichiatra vide schizzare via il sangue del suo Puddin imbrattando le pareti bianche della stanza. Gridò di terrore e si accasciò a terra distrutta, stavolta era morto sul serio.
Altri due colpi e i bambini smisero di piangere mentre lei aveva appena iniziato. Un altro sparo e il suo mondo si oscurò.
L’arlecchina si tirò su di scatto emettendo un verso spaventato e con il respiro ansante si guardò intorno. Era a casa…nel loro letto.
Si portò una mano alla testa e inspirò piano, strinse le rosse coperte di seta e si girò osservando l’altro lato del materasso. Il suo pasticcino stava dormendo a pancia in sotto sereno con il volto rivolto verso di lei, per fortuna non l’aveva svegliato. Aveva il sonno leggero.
La donna si calmò a quella vista e toccò lievemente la tempia del suo amato, sfiorando la guancia, passando poi due dita in quei capelli verdi e stravaganti che la facevano impazzire baciandolo infine sulle labbra.
Era stato solo un incubo.
Ormai sveglia Harley, il più silenziosamente possibile, riappropriò del suo intimo e si infilò una vestaglia rossa semitrasparente con le spalline.
Il suo corpo era indolenzito ma le piaceva quella sensazione, le ricordava come il criminale l’avesse presa e che lui doveva avere tutta la schiena graffiata.
Si avviò in bagno chiudendo la porta.
Lo spazio era considerevole con un lavandino doppio a sinistra, una doccia grande sulla parete centrale e un water a destra.
La biondina ancora scossa e con un groppo in gola aprì il rubinetto e si mise a piangere sommessamente cercando di coprire i suoni con l’acqua che scorreva.
Joker non sopportava che piangesse e lei non lo faceva mai, ma sapere che non avrebbe potuto avere una famiglia con lui era davvero doloroso.
Non capiva neanche se il clown volesse dei figli o meno, non avevano mai discusso di questo e il fatto che uccidesse donne e bambini con le bombe e senza pietà la faceva riflettere.
Quando dormivano assieme, ovvero quasi tutte le notti, lui non usava precauzioni e lei prendeva le pillole e tutto filava liscio. L’arlecchina scosse la testa aggrappandosi al lavandino mentre piccole lacrime ancora scendevano dai suoi occhi azzurri.
Non era possibile avere dei figli per loro.
Non potevano cambiare città o aspetto, trovare un lavoro e vivere come gli altri, loro non erano normali. Il suo Puddin non era ordinario e lei lo amava proprio per questo anche se vivere per lui voleva dire abbandonare un’esistenza monotona e semplice.
-Perché la mia arlecchina piange? –domandò una voce dietro di lei.
Harley si congelò sul posto e alzò lo sguardo osservandolo nello specchio. Indossava un paio di boxer neri e la guardava senza emozioni.
La sua tortina chiuse il rubinetto e asciugò rapidamente il viso con il palmo della mano girandosi sul posto con un sorriso smagliante. Non voleva che pensasse che lui la rendesse infelice e non poteva dirgli la verità.
-Nulla Puddin, solo un brutto sogno. Non volevo svegliarti, torniamo a letto? –lo incoraggiò accostandosi a lui e allacciandogli ancora una volta le braccia al collo.
Anche il criminale spesso aveva degli incubi che lo assillavano nel cuore della notte e quando succedeva l’arlecchina era sempre accanto a lui coccolandolo, solo perché glielo permetteva, finché non si assopiva.
Di nuovo allegra Harley gli diede un bacio sulle labbra, poi entrambi uscirono dal bagno infilandosi nuovamente nel letto. La biondina più serena si rannicchiò al clown disteso sulla schiena e si riaddormentò dopo qualche minuto.
Se aveva lui non le serviva nient’altro.
Fine.
  
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