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Autore: catoptris    24/03/2017    0 recensioni
Los Angeles era argomento off-limits, lo sapevano tutti. La ragazza iniziava a dare in escandescenza al solo sentirlo nominare. O al sentir nominare la famiglia Blackthorn.
La verità è che le mancavano più di quanto realmente volesse ammettere: ricordava a malapena gli occhi di Ty, il volto dolce di Dru, la sicurezza con cui si muoveva Livvy, i piccoli versi che faceva Tavvy - anche se ormai aveva sicuramente imparato a parlare. Le mancava perfino Mark, sempre con quell'aria da ragazzo perfetto e imbattibile, che lo accumunava in maniera inquietante sia con Jace che con il popolo fatato, del quale possedeva i tratti. Li ricordava vagamente, ma sapeva con certezza che erano delicati e precisi. Ma più di tutti, era Julian a mancarle. Il suo migliore amico, con il quale aveva affrontato anche troppo a soli dodici anni. Sarebbero dovuti diventare parabatai e restare insieme, lì nell'Istituto di Los Angeles.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Emma odiava fare shopping con Isabelle.
Emma odiava l’idea di dover partecipare a un matrimonio con un abito da cerimonia.
Emma odiava lasciare il proprio letto dopo esservi stata trascinata giù con la forza.
Questo poteva essere un semplice riassunto della mattinata: dormiva da ore – le capitava spesso da qualche giorno – quando Clary e Izzy si erano presentate nella sua stanza come due tornado in miniatura, buttandola giù dal letto e costringendola a vestirsi.
“Dovresti provare a bere del caffè,” le suggerì Cristina, colpendole dolcemente la spalla – la bionda si stava infatti addormentato, cullata dal movimento della macchina.
“Detesto il caffè,” replicò lei mugugnando e riaprendo gli occhi. Cristina si voltò lentamente verso di lei e dischiuse le labbra. “Cosa c’è?” domandò quindi Emma, accigliata.
“Eretica!” dichiarò, facendo scoppiare a ridere l’altra.
“Forza, forza, non abbiamo tempo da perdere,” le richiamò Izzy con un sorriso bonario sulle labbra, aprendo lo sportello di entrambe. Un gruppo di ragazzi Mondani si fermò vedendole uscire dall’auto, ma lo sguardo di Clary fu talmente fulminante che decisero di dileguarsi nel giro di qualche secondo.
“Emma, Cristina, benvenute nel paese delle meraviglie,” dichiarò poi, raggiungendo l’entrata del negozio. Un basso borbottio – probabilmente qualcosa di poco fine – abbandonò le labbra di Emma, ma fu la prima a entrare una volta aperta la porta. Vedendo l’espressione di Isabelle, però, decise che non sarebbe stata lei a rovinare quella giornata. Non completamente, almeno. E sicuramente non a lei.

“Mi sento un confetto,” protestò Cristina da dietro la porta del camerino. Emma sollevò lo sguardo per l’ennesima volta verso il soffitto.
“Sono sicura che non è così, Tina,” sospirò. “E anche se fosse, è un matrimonio. Saresti in tema,” aggiunse, trattenendo a stento una risata. Sentì l’amica replicare in spagnolo, senza capire una sola parola, ma il sorriso sulle sue labbra si ampliò. “Avanti, vieni fuori!” disse quindi, bussando un’ultima volta. Passarono pochi momenti, poi la serratura scattò ed Emma fece qualche passo indietro, le labbra distese e il capo appena inclinato. Cristina uscì lentamente, le braccia rigide lungo i fianchi e il capo chinato in avanti. Le labbra di Emma si dischiusero. “Stai benissimo, altro che confetto!” esclamò.
“Mi sa che è troppo stretto,” mugugnò nuovamente l’altra, portandosi le mani contro i fianchi.
“Invece io credo che vada portato così. Ti fa due tette favolose,” fu il commento divertito di Emma.
“Emma!” la richiamò quindi Cristina, guardandola scandalizzata. Ci mise qualche istante a metterla a fuoco, poi dischiuse le labbra. “Em, santo Raziel, stai benissimo,” mormorò, ammirata. Le guance della bionda, incredibilmente, si tinsero di un tenue rosato che fece sorridere l’altra. Sfiorò delicatamente la stoffa avorio e argento del semplice abito che indossava, tracciando con la punta delle dita la linea che le piccole perline seguivano, dando quasi movimento all’abito stesso. Per loro, il bianco era il colore del lutto. Eppure sentiva che sarebbe stato sbagliato indossare un abito dorato: quello era il giorno di Isabelle.
“Emma? Oh, sembri una bambola di porcellana, sei bellissima!” esclamò una voce alle sue spalle. La bionda si voltò, incontrando lo sguardo illuminato di Isabelle – nuovamente nei suoi abiti mondani – e Clary, che stringeva tra le braccia un abito verde e dorato.
“Non ci hai fatto vedere il vestito!” protestò Emma, portandosi le mani sui fianchi. Una piccola risata sfuggì dalle labbra di Izzy, che si strinse flebilmente tra le spalle.
“A tempo debito,” dichiarò, facendo sbuffare la bionda. “Dovreste prenderli. Tutti e due,” aggiunse, indicando le ragazze con un cenno del capo prima di sorridere e roteare sui tacchi.

Il giorno del matrimonio arrivò di colpo, come se fossero uscite il giorno prima dal negozio. Più Emma si sforzava, meno ricordava cosa avesse fatto in quel periodo: si era allenata? Era uscita? Quanto era passato?
“Secondo te quando torneremo all’Istituto di Los Angeles?” le chiese Cristina, dalla stanza. Emma, all’interno del piccolo bagno, per poco non cadde. Uscì di tutta fretta, il vestito indossato solo per metà e i capelli raccolti sul capo in maniera disordinata.
“Perché diamine lo stai chiedendo?” le chiese, come se avesse il fiatone. Tina le dava le spalle, intenta a sistemarsi i capelli davanti lo specchio che Isabelle aveva portato in camera di Emma.
“Perché mi sembra strano essere ancora qui – non che mi dispiaccia, Em – ma sono passati circa cinque mesi e ancora non hanno risolto ciò che dovevano,” mormorò, stringendosi tra le spalle prima di voltarsi nella sua direzione. “Non sei ancora pronta,” constatò, con un sopracciglio appena inarcato. Ma Emma era come paralizzata: circa cinque mesi?
“Io – non riesco ad allacciare il vestito,” replicò in un mormorio, voltandosi di spalle. Cristina la raggiunse silenziosamente, aiutandola con rapidità.
“Coraggio, è la sposa che deve arrivare in ritardo, non noi – ti sistemo i capelli e andiamo,” la rimbeccò con fare divertito. Emma le rivolse un sorriso, ma non si sentiva realmente lì. Tentava di ripercorrere con la mente i mesi passati accanto a Cristina, ai Blackthorn. A Julian. Le mancavano dei tasselli e non sapeva dove andarli a prendere: ricordava gli allenamenti con Ty – diminuiti da quando Kit era arrivato – e quelli con Mark. Ricordava Dru che le correva incontro per parlarne di un nuovo libro. Ricordava Livvy e le sue occhiatine divertite nel chiederle qualche informazione – no, come li chiamava? Gossip, ecco. Ricordava, naturalmente, le uscite con Cristina, gli allenamenti, le notti insonni che l’altra riusciva a superare dopo qualche tazza di caffè. Ma Julian? Niente. Era come se fosse scomparso dalla sua vita, come se ci fosse stata una rottura del terreno che li costringeva a camminare su strade parallele, ma mai a incrociarsi. Aveva il vago ricordo di averlo visto allenarsi con Jace ed essersene andata per non interromperli, anche più di una volta.
“Terra chiama Emma, sei ancora tra noi?” la voce di Cristina la colpì in faccia come una secchiata d’acqua gelida, mentre le agitava una mano davanti gli occhi.
“Stavo solamente pensando,” replicò, sobbalzando sul posto. Lo sguardo di Cristina si addolcì mentre le scioglieva i capelli, iniziando a districarli con le dita.
“A Julian,” disse, al suo posto. Emma si afferrò il labbro inferiore tra i denti, distogliendo lo sguardo dallo specchio – dove il riflesso dell’amica la osservava quasi con compassione.
“Continuate a dare per scontato sia Julian, chi ti dice che non stessi pensando a te? Mi pare di averti già detto che questo vestito ti rende uno schianto,” rispose con un brontolio. Cristina scosse il capo, sospirando.
“Apprezzo il complimento,” iniziò, posando entrambe le mani sulle sue spalle. “Ma so che è lui. Hai un certo sguardo,” aggiunse, osservandola nel riflesso. Emma rimase con le labbra dischiuse per qualche istante prima di chinare nuovamente lo sguardo. “Perché non mi dici cosa è successo tra voi due, Em? Posso aiutarti,” disse quindi. La bionda chiuse gli occhi, le labbra rosate strette tra di loro – una parte di lei avrebbe voluto strapparsi di dosso quel vestito, indossare una vecchia tuta e correre via, non curandosi di nessuno; l’altra sapeva quanto questo sarebbe stato irrispettoso nei confronti di Isabelle. E poi ci teneva a vederla nel giorno più felice della sua vita.
Come poteva Cristina aiutarla? Aiutare lei, che in vita sua non aveva mai avuto bisogno di nessuno per tenersi in piedi? Come poteva essere possibile?
“A dodici anni mi aveva chiesto di diventare parabatai,” dichiarò, lasciando fuoriuscire dalle labbra un lento sospiro. Era Cristina, e Cristina sapeva sempre come aiutarla. Iniziò a raccontare, sperando di non far fare tardi a entrambe. Sarebbe stato imbarazzante.

“Ti hanno messo delle ortiche nei pantaloni?” domandò Diego, spuntando alle spalle di Mark e Julian. Quest’ultimo non riusciva a stare un secondo fermo, strofinandosi le mani contro le gambe, sistemandosi la giacca, allentandosi e stringendosi nuovamente la cravatta.
“A me una volta è successo,” protestò il biondo, accigliato. “Non è stato divertente.”
Sia Diego che Julian lo guardarono per qualche istante con un sopracciglio inarcato, poi Jules sospirò scuotendo la testa.
“Le cerimonie mi rendono nervoso,” replicò, borbottando. Un ampio sorriso si dipinse sulle labbra di Diego, facendo venir voglia a Julian di colpirlo in faccia. Perché era ancora lì? Non poteva semplicemente tornare a fare il Centurione lontano da loro?
“Le cerimonie o le bionde che ci saranno?” chiese con un piccolo ghigno. Julian sbarrò gli occhi, rivolgendo un’occhiataccia a Mark che, involontariamente, indietreggiò. Non lo avrebbe mai ammesso, ma vedere il fratello con quell’espressione lo spaventava sempre a morte. Sembrava pronto a mangiarselo vivo – per una volta, quindi, fu grato a Diego. Di norma lo detestava, ma vederlo avvolgere il braccio attorno le spalle del fratello e frapporsi tra i due lo tranquillizzò.
“Non prendertela con lui, è abbastanza chiaro,” disse, facendo schioccare le labbra. “Ascolta, non ci conosciamo molto bene, e non conosco bene neppure la biondina, ma se le cose stanno così allora fatti avanti,” inarcò entrambe le sopracciglia con un sorrisetto a curvargli le labbra. “Che ti costa?”
Julian strinse le labbra, guardando davanti a sé e respirando lentamente, quasi a dover mantenere la calma. Prese quindi il braccio di Diego per scostarselo dalle spalle, mentre un sorriso ironico gli attraversava le labbra.
“Nulla, direi,” dichiarò, a denti stretti. “Ma, se posso darti io un consiglio, non chiamare mai Emma biondina,” aggiunse, scostandosi definitivamente da lui. “A meno che tu non voglia liberarti delle tue ginocchia,” terminò, allontanandosi di gran carriera.

Per tutti è chiaro, ma non per i Blackstairs.
   
 
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