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Autore: Effem3    24/03/2017    0 recensioni
Alcuni racconti portano la maschera d'innocenza delle storie da leggere ai bambini prima di andare a dormire, sebbene celino qualcosa di molto più inquietante. Uno di questi racconti è quello del mondo dei sogni, ed il fascino ipnotico che ha sempre esercitato su Judith, diventerà presto la stessa ragione per cui si ritroverà catapultata in qualcosa di leggermente diverso da un incubo, ma non così simile ad un sogno, realizzando che Adam è più "nel mezzo" di quanto avrebbe potuto immaginare.
[-Pensa a me nel modo che preferisci. Fallo, però. Pensami, se ti capita. Ne avrei bisogno sul serio-
E così detto, si alzò ed uscì dalla stanza come aveva fatto il fratello, lo sguardo basso, le mani in tasca, zoppicante. Ed io, sciocca, rimasi immobile sul divano. Lo pensai.]
[cit.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[2°]



I ghirigori dei fiori sul muro iniziavano dalla parte bassa delle pareti e si arrampicavano fino al soffitto, confluivano tutti in un unico punto, in cui era dipinto il fiore più grande e dove pendeva l'enorme lampadario. Sembrava quasi la lotta delle piante per la luce. Abbassai gli occhi e tornai a fissarmi le mani, cambiando posizione sulla scomoda poltroncina. Mi trovavo nello studio del mio dottore, gli avevo raccontato quanto accaduto durante il giorno. La parte razionale di me era appena tornata in cima ed avevo cercato di soffocare le brutte sensazioni. Mi ero praticamente convinta di aver avuto un banale malore. Nonostante questo, mentre aspettavo che il medico elaborasse il mio racconto e mi rispondesse, non avevo potuto fare a meno di concentrarmi sui disegni che adornavano le pareti. Quando ero nervosa avevo il vizio di focalizzarmi sempre su qualcosa di piccolo ed insignificante. Mi aiutava a credere che la portata dei miei problemi non fosse poi così grande. Mi ripetevo sempre che se riuscivo a pensare a qualcosa di piccolo nei momenti di caos, allora significava che quel caos non era mai così grande da abbattermi.

-Senti-, la voce improvvisa del dottore mi riscosse, - sei sicura di non aver fatto nulla di particolare negli ultimi giorni? Di anomalo?-
-No, gliel'ho detto. Sono stata a casa, il massimo del mio movimento sono state normali cose che faccio ogni giorno...-
-Niente alcolici?-
-No-
-Judith, io non vorrei chiedertelo, ma hai mai fatto uso di stupefacenti?-
-Cosa?! Assolutamente no! Secondo lei se avessi preso delle sostanze sarei venuta da un dottore?!-
Ottimo, avevo buttato un'ora di attesa per farmi visitare da un tizio che mi dicesse che gli sembravo una drogata.
-Avere visioni non è una cosa normale, non senza una causa. Non hai assunto farmaci, non hai bevuto, non hai fatto uso di sostanze allucinogene, l'unica cosa a cui posso ricondurre tutto questo è la carenza di sonno della quale mi hai parlato ma l'unica cosa che ti posso consigliare è di dormire, appunto. Non me la sento di prescriverti dei sonniferi, potrei consigliarti delle gocce naturali che possano aiutarti a conciliare il sonno e rilassarti. Per la debolezza ti indico degli integratori e per sicurezza dovresti comunque fare delle analisi. Se dovessi continuare a vedere cose irreali ed a credere di avere delle visioni ti faremo fare una tac, che ne dici?-
-Senta, lasci stare. Arrivederci-
Una volta fuori dallo studio tirai un gigantesco sospiro di sollievo. A quanto pare avevo avuto una pessima idea, ma non potevo certo dire ad Aiden che il dottore mi credeva una specie di pazza, così quando salii in macchina gli dissi che mi aveva detto di comprare degli integratori e lui non si insospettì minimamente.
-Sai cosa facciamo adesso?-
-Cosa?-
-Visto che devo ancora rivedere Alex, ce ne andiamo in spiaggia, così lui ci raggiunge lì, che ne dici?-
Alex. Fino a qualche anno prima, non aveva fatto altro che odiarlo ad intervalli regolari di tempo, poi, complice la crescita forse, chissà come avevano iniziato a fare amicizia ed avevano tirato fuori il rapporto più bello che avessi mai visto. Forse lo idealizzavo un po', dal momento che io avevo avuto ben pochi amici degni di tale nome. Essendo sempre stata appiccicata a mio fratello, mi ero convinta che nonostante tutto avrei avuto lui e raramente ho rincorso le mie amicizie, anche quando ero nel torto. L'unico con cui avevo instaurato un rapporto duraturo era appunto Alex, ma semplicemente perché me lo ritrovavo in casa da anni.
-In spiaggia in tre?-
-E allora? Preferisci stare a casa? Dobbiamo festeggiare il mio ritorno!-
-Immagino che i festeggiamenti saranno molto “sobri”...-
Gli tirai un piccolo pugno sul braccio e risi, decidendo di rilassarmi. Osservai la strada scorrere finché non presi sonno; quando Aiden mi scrollò per dirmi che eravamo arrivati, sorrisi rendendomi conto di non aver sognato. Corsi immediatamente verso l'enorme distesa blu che avevamo di fronte e mi sentii in pace almeno per un po', sdraiata alla meno peggio su uno degli asciugamani che avevamo con noi. Alex arrivò poco dopo e non fu difficile notarlo visto che era vestito di tutto punto, aveva tagliato l'ammasso di ricci biondi che ora sembrava quasi ordinato, indossava dei jeans scuri, una camicia ed una cravatta, il che non solo era assurdo per lui, era soprattutto assurdo perché eravamo al mare. Il suo aspetto poteva significare solo una cosa: che aveva finalmente trovato un lavoro decente. Il ragazzo salutò mio fratello con un interminabile abbraccio e poi guardò me regalandomi uno dei suoi tanti sorrisi a trentadue denti.
Considerati i piani di mio fratello, non fu strano ritrovarmi un paio d'ore dopo a cercare di farlo smettere di bere. Io ed Alex eravamo allegri, mentre Aiden mi stava facendo impazzire, aveva avuto la geniale idea di ubriacarsi senza alcun motivo, ed era da circa un'ora che ripeteva una serie infinita di assurdità sulla sua vita da Americano, così quando gli levai il rum di mano e finalmente si accasciò sull'asciugamano, scoppiammo a ridere sollevati.
-Facciamo due passi?-
Sorrisi e guardai per l'ennesima volta la sua cravatta. A quanto pare Alex con il lavoro se l'era cavata, con il nodo un po' meno. Ci avviammo insieme lungo la riva del mare e mi sentii barcollare leggermente. Non avrei dovuto bere neanch'io.
-Allora, vuoi spiegarmi perché sei sparita nell'ultima settimana?-
Sollevai un sopracciglio interrogativa.
-Cosa? Non sono sparita affatto-
-Ah no? Ne sei sicura?-
-Beh...-
Forse lo avevo leggermente evitato perché mi stavo preparando a riaccogliere Andrea. In effetti, ero stata così in fibrillazione nell'attesa che mi vergognavo di parlarne con lui, che mi aveva invece sopportata quando ero relativamente depressa.
-Allora ti dico io cosa hai fatto, Jud. Quando ti sei resa conto che mancavano pochi giorni all'arrivo di Andrea hai iniziato con i tuoi film mentali ad immaginare come saresti stata felice. Quindi ti sei suggestionata, e hai iniziato ad essere impaziente e petulante, gli facevi telefonate ogni due ore, al colmo della gioia. Mia cara ragazzina lunatica. Mi sbaglio?-
Lo guardai fingendomi accigliata e poi scoppiammo a ridere entrambi. Ovviamente non potevo aspettarmi che non lo capisse.
-Non sei felice di esserti risparmiato le mie lagne di contentezza?-
-Eccome se lo sono! Ho avuto una settimana di pace interiore, grazie!-
Lo spinsi divertita mentre proseguivamo a camminare, finché non raggiungemmo un piccolo gruppo di scogli bassi e così finimmo per sederci lì sopra.
-E' bello essere libero dall'onere di proteggerti e controllarti-
-Quando mai ti ho permesso di fare l'una o l'altra cosa?!-
Gli occhi di Alex si addolcirono e mi strinse a se, dandomi un colpetto in testa.
-Io lo faccio sempre e sempre lo farò, inetta-
Mentre ricambiavo la sua stretta, iniziai a sentire il mio cuore nelle orecchie. La cosa strana era che non mi sentivo poi così emozionata, gesti come quello erano all'ordine del giorno per me ed il ragazzo, quindi non aveva senso che il mio cuore battesse così forte da farmi pulsare le tempie. La consapevolezza arrivò troppo tardi. Stavo avendo un altro dei miei attacchi, non era il battito del mio cuore che stavo sentendo, ma il solito rumore pressante, stavolta ben peggiore dei precedenti. Sentii il familiare tremore e mi sembrò che il mondo avesse preso a girare. Il suono stava aumentando di intensità e persi l'equilibrio perfino da seduta, sporgendomi in avanti. Non feci in tempo a riprenderlo, perché scivolai dallo scoglio e finii dritta nell'acqua senza neanche rendermene conto, toccando il fondo con i piedi poco dopo. Subito mi feci prendere dal panico, agitando le braccia in maniera convulsa per tenermi a galla nonostante toccassi perfettamente.
-Jud??!-
Alex si allungò verso di me e mi sollevò, apparentemente senza sforzo, tirandomi fuori dall’acqua e riportandomi sulla superficie sporca dello scoglio.
-Ma che ti prende? Come diavolo hai fatto a scivolare?!-
Non so se fosse stato per merito dell'acqua ma sentii un forte senso di freschezza, come se avessi appena preso una boccata d'aria rigenerante, tutte le orribili sensazioni che avevo provato nell’ultimo minuto svanirono in un battito di ciglia. Tutte tranne il rumore che sentivo ancora nelle orecchie, sebbene affievolito. Aveva nuovamente perso d’intensità e si era ridotto ad un leggero sottofondo. Lasciai che il ragazzo mi trascinasse in spiaggia e che mi avvolgesse con un asciugamano. Aiden si accorse di noi solo quando mi sedetti accanto a lui facendolo svegliare di soprassalto, rimase sbigottito almeno quanto il suo amico di vedermi improvvisamente fradicia, non osavo immaginare di che colore fosse la mia faccia. Se fosse successa di nuovo una cosa del genere sarei impazzita. Fortunatamente, quando Alex gli spiegò che ero praticamente finita in acqua dopo uno sbandamento, mio fratello si rese conto che non era proprio il caso di rimanere, evitò di farmi domande, per una volta, dicendo semplicemente ad Alex di guidare la nostra auto fino a casa, dato che lui era ancora mezzo ubriaco. Ormai eravamo di fronte alla porta dell'appartamento quando lo vidi. Stavo infilando la chiave nella serratura e mi ero voltata per essere sicura che Aiden, barcollante, fosse dietro di me. Il mio sguardo cadde alle sue spalle, verso una figura vestita di nero che perdeva evidentemente sangue da un braccio e camminava chinata in avanti. Scansai immediatamente mio fratello e mi mossi per andare ad aiutare quella persona, ma quando arrivai nel punto in cui l'avevo vista muoversi, mi sentii come se mi fossi improvvisamente riscossa dall’ennesima allucinazione. Non trovai nulla. Neanche una goccia di sangue al suolo, niente. Stavo davvero diventando pazza? Ero arrivata ad immaginare persone che in realtà non esistevano? Assurdo. L'unica cosa che desideravo fare in quel momento era infilarmi il pigiama e buttarmi nel letto, quindi fu esattamente ciò che feci senza, ovviamente, riuscire a prendere sonno. Considerate questo: come vi sentireste e, soprattutto, cosa fareste, se aveste nella testa un battito costante simile a quello di un cuore, a seguito di una visione totalmente priva di senso? Ok, qualcuno non considererebbe minimamente la cosa ed accetterebbe il fatto di poter avere una semplice allucinazione. Qualcuno si sarebbe fatto curare seriamente. Per quanto mi riguardava, avrei voluto pensarla così, ma qualcosa sembrava impedirmelo. Così, rimuginando, iniziò la paura. Paura per tutte le ore successive. Per tutta la notte. Con l'acuto suono nella testa. Quel “tum, tum, tum” mi stava distruggendo ed ero così spaventata che anche volendo non sarei riuscita a pensare razionalmente a cosa potesse essere, ed al perché mi stesse accadendo. Non mi mossi dalla mia stanza e rimasi ben sveglia e tremante nel letto, poi l'alba mi portò conforto e crollai sul cuscino, finalmente senza nessun rumore di fondo.


***


I sogni mi tormentavano da giorni. Ogni volta che andavo a dormire ero costretta a svegliarmi poco dopo aver preso sonno a causa di alcuni incubi, immagini sconnesse in cui vedevo apparire ombre e luce, immagini che come ho già detto non riuscivo mai a dimenticare. Comunque era diventato insostenibile trascorrere la notte a svegliarmi terrorizzata, quindi iniziai davvero a prendere delle gocce prima di andare a letto, ed avevo perfino chiesto ad Aiden di dormire in camera con me un paio di volte. Mi era sembrato di sognare, più di una volta, mentre mi sentivo totalmente sveglia, ed il battito costante che avevo udito inizialmente non si era più presentato con forza. Era come se fosse sempre presente ma si facesse udire solo ad intervalli; i miei incubi erano iniziati prima che iniziassi ad udirlo, ma da quel momento non avevano fatto che peggiorare e naturalmente la cosa mi inquietava. Sognavo spesso una porta e la mia impossibilità totale di aprirla, sognavo di trovarmi in alcune stanze senza uscita, di soffocare, di venire strangolata. Un sogno mi angosciò più degli altri. Mi trovavo sulla sabbia, completamente vestita, ed improvvisamente intorno a me centinaia di persone si sollevavano da terra, come se fossero state dormienti sotto i granelli gialli. Queste persone avevano il viso nero, come se gli avessero gettato in faccia della vernice. All'improvviso, tutte aprivano gli occhi ed io rimanevo allibita dal fatto che fossero vuoti, trasparenti. Poi l'oscurità mi avvolgeva ed iniziavo a gridare. Capite perché per me la notte fosse diventata una nemica? Il sonno anziché portarmi sollievo mi tradiva. Per questo motivo, come sempre negli ultimi giorni, giravo per i corridoi della sede universitaria con un enorme thermos di caffè in mano. Raggiunsi il davanzale della finestra più vicina e mi ci appoggiai per versarmi un bicchiere di quella magica bevanda, mi assicuravo di berne un po’ prima di ogni lezione, ma qualcosa rovinò il mio momento di estasi. Un paio di mani comparvero intorno al marmo del davanzale e non ebbi neanche il tempo di spostarmi. Un ragazzo si arrampicò dalla finestra come se fosse stato una scimmia ed entrò nell'edificio con un salto, facendomi praticamente volare il bicchiere per terra. Non appena si girò verso di me e mi guardò mi accorsi che era familiare. Era il tipo malmenato che avevo visto medicarsi nel bagno. Rendendosi conto che mi aveva praticamente travolta, si piegò a raccogliere il bicchierino di metallo del thermos e me lo porse con uno strano cipiglio sul volto.
-Sei narcolettica?-
-Come scusa?-
-Sai, quella gente che si addormenta di punto in bianco nel bel mezzo della giornata...-
-Non hai mai visto qualcuno bere del caffè senza avere strane malattie?- chiesi, con un tono fin troppo innervosito.
-La quantità di caffeina che ingerisci è impressionante, ti vedono sempre tutti aggirarti con quel thermos, inizi ad inquietarmi.-
Prima di rispondergli non potei non soffermarmi sul suo viso improvvisamente più vicino. Gran parte delle ferite che gli avevo visto in faccia erano sparite senza lasciare traccia. Aveva dei lineamenti duri ma in armonia, gli zigomi alti erano ancora leggermente violacei.
-Tu ti arrampichi dalla finestra come se non ci fosse nulla di strano, vai in giro come il reduce di una rissa da bar, ed io ti inquieto, scusa tanto?!-
-Almeno io riesco a dormire, signorina Grevi...-
Il mio volto perse totalmente colore. Com'era possibile che conoscesse il mio cognome?
-Come fai a sapere che non dormo?! Perché sai come mi chiamo?!-
-Non stavamo parlando del fatto che ti imbottisci di caffè? Mi pare ovvio che tu non dorma, no?-
Senza permettermi di ribattere il ragazzo si voltò e svanì dietro il corridoio più vicino. D'accordo, potevo accettare il fatto che avesse intuito la mia insonnia, ma il nome? Come faceva a conoscere il mio nome? Frequentavamo la stessa facoltà a quanto pare, magari lo aveva sentito in giro? Mi sembrava comunque piuttosto strano, visto che non ero esattamente una persona socievole e parlavo a malapena con un paio di persone del mio corso. Mi promisi che la prossima volta lo avrei trattenuto per farmi dare delle spiegazioni decenti. Forse avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse dai miei incubi e svenimenti, quello sembrava essere proprio il modo migliore di non pensarci. Presi in mano il cellulare per controllare l'orario e mi accorsi che avevo cinque chiamate perse. Proprio in quel momento ricominciò a suonare e lessi un numero sconosciuto prima di rispondere.
-Chi è?-
-Allora te lo ricordi che hai un telefono!-
-Alex?-
-Sì! Ho cambiato numero, non ti avevo avvisata? Dove sei?-
-No. Sono all'università, perché?-
-Ti va se pranziamo insieme? Non puoi andartene di lì?-
-Ma salterei la lezione...-
-E allora? Dai, non puoi fare questo piccolissimo sforzo? Mi sto annoiando!-
-Tu e mio fratello soffrite di una rara forma di egocentrismo…-
-Ci vediamo al solito posto?-
Dal momento che volevo distrarmi, alla fine accettai la sua proposta. Incontrai Alex poco dopo, trovandolo stranamente impaziente e con in mano un’enorme scatola piena di pizza, che a quanto pare stavamo per divorare nel nostro parco preferito. Pensai che, in un modo o nell'altro, una persona allegra come Alex poteva essere un ottimo scudo a tutta la mia negatività. Non aveva il mio stesso vizio di rimuginare, faceva sempre la prima cosa che gli passava per la testa, compreso organizzare un picnic improvvisato.
Eravamo sdraiati sull'erba da poco tempo ed avevo quasi iniziato a rilassarmi, eppure mi sentivo strana. Non saprei spiegare bene perché, ma avevo l’impressione di dimenticare delle cose mentre parlavo con il ragazzo. Scordavo le domande che mi faceva, mi sentivo distratta, cosa per la quale diedi la colpa al sonno, almeno finché non mi resi conto che mi erano sfuggiti interi pezzi di conversazione. Sentivo un assurdo disorientamento e mi ritrovavo a sbattere più volte le palpebre ed a scuotere il capo come se mi fossi appena svegliata da una catalessi.
-Senti, se non volevi venire bastava che me lo dicessi chiaro e tondo...-
A quanto pare ero stata più silenziosa del dovuto, o forse avevo detto qualcosa di sbagliato al ragazzo. Il punto era che non ricordavo assolutamente nulla!
-Ma che stai dicendo?-
-Mi sento abbastanza idiota a parlarti e farti domande se poi tu resti zitta, che ne dici?!-
Quantomeno mi aveva appena fatto capire che non avevo detto nulla di compromettente, ero solo rimasta muta.
-Scusa, mi sento la testa ovattata, è come se fossi fuori dal mondo. Lo so che è strano da dire, ma sono notti che non chiudo occhio e ho gli incubi, e sento sempre questo disorientamento nel cervello che mi impedisce di comportarmi da persona normale-
Sinceramente non so perché decisi di aprirmi proprio con la persona che in quel momento mi era più vicina. Ho sempre pensato che, quando si dice che è più semplice parlare dei propri problemi con chi non si conosce, sia vero. Quando ne parli ad un familiare, o ad un amico, sai per certo che farà dei commenti. Che si preoccuperà, o che cercherà di aiutarti. Certe volte invece hai solo bisogno di dire a qualcuno che stai male e poi andartene, non vuoi assolutamente essere aiutata. Vuoi aprirti, ma non condividere. Eppure, lo dissi ad Alex.
-E' per questo che bevi tutto questo caffè? Jud guarda che non puoi continuare a non dormire ad oltranza solo per colpa degli incubi. Hai provato con qualche infuso? Un sonnifero?-
-Francamente non mi pare il caso di usare sonniferi-
-A me non pare il caso di non dormire invece. Sembrava davvero che tu non fossi qui, mi sembrava di parlare con un manichino. Quindi se non hai sentito una parola di quello che ti ho detto prima, allora c'è davvero qualcosa che non va...-
-Mi stai dicendo che non sono normale? Perché credo di averlo già capito da sola-
Avevo appena usato un tono stizzito senza motivo. Alex mi guardò comprensivo, anziché arrabbiarsi della mia risposta, e poggiò il capo sul telo che avevamo steso sotto di noi.
-Perché non provi a dormire?-
-Adesso?-
-Eh già. Non hai sonno? Prova a farti almeno un sonnellino, io me ne starò qui buono a vegliare su di te come un tipico bravo ragazzo-
Non riuscii a non guardarlo almeno un po' scettica. L'idea di dormire non mi dispiaceva, eppure mi sentivo in imbarazzo. Iniziai a tormentarmi mentre fissavo un punto indefinito del terreno sotto di me. Volevo solo alzarmi ed andarmene via, nascondere a chiunque il mio problema.
-Di cosa ti vergogni?-
-Come?-
-Sei nervosa, ti si legge in faccia. Ho detto qualcosa di male? Non vuoi dormire?-
-Non hai detto nulla di male, è solo che odio aver bisogno di aiuto-
-Ma dai Jud, io non ti sto aiutando affatto. Se potessi aiutarti troverei una soluzione per il tuo star male, invece ti sto solo dicendo di riposarti un po'. Avanti, giuro che tra massimo un'ora ti sveglio-
E così alla fine gli diedi retta. Quanto strano poteva essere alla fin fine? Non dovevo sentirmi giudicata da Alex. Chiusi gli occhi e mi sdraiai il più comodamente possibile, sentendo immediatamente l'arrivo della sonnolenza.

Aprii gli occhi nel vuoto. Il mio sguardo cadeva su una distesa desertica immensa, color terra di Siena, senza neanche una casa o un edificio. Il cielo sopra di me era di un intenso color blu petrolio, con un leggero velo d'arancio ad indicare che era da poco passato il tramonto. Stavo sognando ovviamente, ma per la prima volta mi sembrava così reale. Come se fossi cosciente nel sogno. Continuando a guardare l'orizzonte, mi resi conto del fatto che stavo osservando tutto da una postazione alta e, finalmente, mi guardai i piedi. Ero su un'enorme roccia, di un colore più scuro rispetto a quello del deserto. Come accidenti ero finita lì sopra?! Mi vennero le vertigini appena mi sporsi verso il basso, mi trovavo a chissà quanti metri dal suolo.
“Fantastico”, pensò la me stessa del sogno, sarcasticamente. Un altro stramaledettissimo incubo. Sentii un risolino sommesso provenire dalle mie spalle e mi voltai di scatto, scorgendo una figura con le mani sui fianchi che mi guardava con un sorriso ironico. Quel sorriso era più che riconoscibile per me, sembrava quello del ragazzo con cui mi ero scontrata all'università, eppure aveva un aspetto diverso da quello che ricordavo. Il suo viso era ombrato, quasi come se gli avessero tirato in faccia della fuliggine. Indossava abiti completamente neri e l'unica cosa che mi confermò, oltre al ghigno, che fosse proprio lui, furono i suoi occhi grigi che spiccavano in mezzo a tutta quell'oscurità che gli aleggiava intorno. Evidentemente il mio subconscio aveva già elaborato quella persona in maniera negativa, altrimenti perché me lo sarei ritrovato in uno dei miei incubi?
-Subconscio? Un po' sorpassato, non pensi?-
Com'era possibile che avesse sentito tutto quello che avevo pensato? Volevo svegliarmi. Non avevo la pazienza di sopportare un incubo in maniera così cosciente, con un pazzo scriteriato che mi leggeva nella mente.
-Vuoi svegliarti? Ti ho portata in Australia, Ayers Rock, hai presente? Sai quando rivedrai un panorama del genere?-
Ayers Rock, ma certo. Quella mattina, mentre stavo andando a lezione, avevo notato un manifesto riguardante l’Australia sulle pareti del corridoio, aveva come sfondo proprio quella enorme distesa sabbiosa. La mia mente stava elaborando anche quello, a quanto pare.
-Va bene, continua pure a credere al tuo subconscio, ammettiamo che tu stia sognando. Allora io cosa dovrei essere? Una specie di misterioso ragazzo di cui ti sei invaghita? Sei rimasta stupita dall'episodio del caffè e dalla mia fantastica ironia?-
-Certo che no-
-E allora cosa sono?-
-Una rielaborazione mentale della pura irritazione-
Il ragazzo chiuse la bocca, facendosi morire in bocca le parole che stava per dirmi, per poi scoppiare in una fragorosa risata.
-Ottima risposta! In effetti potrei diventare la tua nemesi...-
Perché non riuscivo a svegliarmi? Era proprio necessario continuare quel sogno privo di senso?! Di solito quando avevo un minimo di coscienza onirica e desideravo di svegliarmi, ci riuscivo.
-Non ti sveglierai solo perché lo desideri. Questo sogno è mio, signorina Grevi, quindi ti conviene approfittarne, sei molto fortunata-
Forse era meglio ignorarlo e aspettare di svegliarmi, così mi sedetti a gambe incrociate dandogli le spalle ed iniziai a fissare la landa desolata che si estendeva sotto di noi. L'unica cosa su cui quel ragazzo aveva avuto ragione, era il paesaggio suggestivo, e quasi mi dispiaceva non apprezzarlo, ma chiusi comunque gli occhi iniziando a ripetermi di svegliarmi. Mentre mi rassegnavo al fatto che non ci fosse verso di uscire da quel sogno, sentii uno strano calore sul viso. Quando sollevai le palpebre mi ritrovai di fronte un enorme cerchio di luce bianca che si estendeva verso il cielo. Era quella luce a scaldarmi il viso, luce che portò il mio intero corpo in allerta. Sobbalzai quando il ragazzo dagli occhi grigi si fece accanto a me ed iniziò a guardare il cielo con degli occhi che non promettevano nulla di buono.
-Che cos'è?- chiesi, vivamente curiosa.
-E' ora di svegliarsi Judith-

Percepii il calore del sole sul volto nonostante non avessi ancora riaperto gli occhi e, prima che potessi percepire qualsiasi altra cosa, sentii pian piano un suono farsi sempre più forte nella mia testa. Il battito aveva finito la sua pausa ed era tornato a tormentarmi, guarda caso proprio dopo un altro sogno che mi sembrava più una visione. Solo quando mi girai sul fianco notai che qualcosa mi tratteneva all’altezza della schiena, precisamente il braccio di Alex, il quale mi stava non solo stringendo ma soprattutto fissando preoccupato; non sapevo se avevo parlato mentre sognavo, se semplicemente mi ero agitata, o se era allarmato dal mio respiro affannoso e dall’improvviso tremore che mi scuoteva. Affondai il viso sul suo petto e mi ritrovai a sperare che mi abbracciasse senza fare domande in attesa che tutto il resto scomparisse.
Il destino volle che il mio orecchio destro finisse proprio sul punto del suo torace dove potevo sentire battere il suo cuore. Il sangue mi si raggelò quando sentii che quel battito era identico a quello che pulsava nella mia testa. In quel momento non sapevo che doveva essere un presagio. Non mi rendevo conto che potesse essere qualcosa di più che la mia semplice immaginazione. Nonostante pregassi di starmi sbagliando, i due suoni si fusero in uno solo. Pensai che fosse solo una suggestione data dall’agitazione e cercai di riprendere sonno. Quanto mi sbagliavo. Nonostante avessi chiuso gli occhi sentivo ancora pulsare, le tempie iniziavano a farmi sinceramente male. Non capivo cosa stesse accadendo, era questo che mi succedeva ogni volta che ero stata male negli ultimi giorni? La mia mente si era, non so come, messa in sintonia con il cuore di qualcuno?
Il mio istinto di difesa continuava a farmi sbagliare, a farmi credere che fosse tutto frutto di un’allucinazione. Mi sentii scindere in due parti. Una gridava che sapevo cosa mi stesse succedendo, che non era normale sentire il cuore di qualcuno. L'altra continuava a placarmi ed a ripetermi che non stava succedendo nulla, che avevo avuto qualche mancamento a causa dello stress e confondevo i miei incubi con la realtà. Fu questa parte a prendere il sopravvento. A farmi regolarizzare il respiro, a farmi calmare. Forse, se non avessi avuto quel rifiuto, se avessi ammesso che tutto stava davvero succedendo, sarei impazzita, perciò fui grata di avere ancora così tanto autocontrollo, seppur discutibile, dentro di me.
-Qualcosa non va?-
-Non lo so… no. Mi fa solo male la testa-
Alex mi sollevò il viso, passandomi una mano sotto al mento e facendola scorrere fino alla fronte. Era davvero il suo cuore che sentivo? Le tempie... era come se mi ci avessero appena conficcato due lame, ed il dolore dalla testa sembrava propagarsi fino al collo.
-Se non mi dici cos'hai davvero non posso aiutarti…-, disse il ragazzo poco dopo.
-Te l’ho detto, ho mal…-
-Finiscila. Hai sempre avuto mal di testa, ma di certo non hai mai tremato così, come se stessi per avere un attacco di panico. Sembri sul punto di piangere, e non capisco perché tu non mi stia dicendo quale sia il problema! Ho fatto qualcosa di male?-
-No, davvero… è la testa, è come se me la stessero martellando dall'interno. È da quando è tornato Aiden che non sto bene, ti giuro che non so cosa mi stia succedendo ma non ha nulla a che fare con te-
-Mmm...-
Alex si passò una mano tra le ciocche bionde e fece un profondo sospiro, in evidente difficoltà su come prendere la situazione.
-Forse ti sta facendo allergia il tatuaggio che ti sei fatta? Perché non me l’hai detto, tra l’altro?!- Sollevai un sopracciglio perplessa e lo guardai in attesa di una spiegazione che non arrivò.
-Tatuaggio? Quale tatuaggio?- chiesi, interdetta.
-Sarà anche coperto dai capelli ma si vede, se volevi farne uno nascosto avresti dovuto scegliere un altro punto…- rispose Alex e, detto ciò, mentre procedeva a passarmi una mano sul collo, iniziò a ridere. Il suo indice si soffermò sul punto in cui, a quanto pare, avevo un presunto tatuaggio, sotto all’orecchio destro, verso la nuca; sembrerei pazza se vi dicessi che a quel punto iniziavo ad aver voglia di ridere anch’io? Istericamente, ovvio.
Scansai la mano del ragazzo e feci per mettermi seduta, prendendo poi il cellulare ed aprendo la fotocamera interna per usarla come specchio. Quando finalmente riuscii ad inquadrare il tratto di pelle che Alex aveva toccato, notai che c'era una strana macchia rossa fin troppo definita. Che fosse il segno che stavo davvero manifestando una qualche malattia? Sperai che fosse davvero una reazione allergica, magari qualcosa mi aveva punta nei giorni precedenti, tuttavia non potevo negare a me stessa che quella macchia fosse particolarmente simile ad un simbolo; il ragazzo accanto a me l’aveva scambiata per un tatuaggio perché, di fatto, sembrava uno strano segno a forma di cuore rovesciato che mi ricordava vagamente il simbolo di picche. Allungai la mano per toccarlo e non sentii nulla di particolare, non sembrava in rilievo, ma sottopelle. Se ciò non fosse stato abbastanza inquietante di per sé, immaginate la mia faccia quando, togliendo la mano, notai che la presunta macchia era improvvisamente scomparsa.  
-Dovresti andare da un dermatologo. Comunque, perché te lo sei fatto?-
Mantenere un respiro regolare quando ti stanno facendo domande e non hai la più pallida idea di cosa stia succedendo, è un’arte rara.
-No, non è niente, tranquillo, devo essermi graffiata… mentre lo grattavo, sì. Non significa nulla…-, risposi in fretta ed iniziai ad alzarmi, -senti, forse è meglio che vada, devo provare a seguire almeno mezza lezione-
Benché l’espressione di Alex non sembrasse neanche vagamente convinta delle mie parole, si limitò a fare un altro dei suoi sorrisetti.
-Immagino che la mia compagnia non sia più interessante di quella dei tuoi professori, accidenti, che affronto, il mio povero ego, mi sento male…-
Con un improbabile talento recitativo, scoppiai a ridere e diedi una spinta al ragazzo, fingendomi divertita e salutandolo poco dopo. Mi dispiaceva reagire in quel modo, ma ero troppo nervosa per parlare civilmente con qualcuno, perfino con lui, così non appena gli voltai le spalle e mi allontanai, tirai un sospiro di sollievo. Avevo due possibilità davanti a me: tornare a casa, disperarmi e sfogarmi con Aiden, sperare che trovasse una soluzione e che non si spaventasse troppo; oppure ignorare il panico appellandomi alla nuova ma ben accetta Judith capace di autocontrollo, distrarmi e poi tornare a casa una volta calma. Puntai verso il mio tanto amato borgo e mi augurai che rifugiarmi in quello, di mondo dei sogni, fosse la scelta giusta. 
   
 
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