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Autore: LilituDemoneAssiro    24/03/2017    1 recensioni
La scelta di Will è stata fatta: cadere e il suo bisogno di rinascere, portano lo spirito del cambiamento. La caduta, la perdita della grazia, e i nuovi occhi di Will si aprono al mondo. Le cose iniziano a prendere una piega inaspettata nel momento in cui il signor Graham comprende che la propria natura vive della sincerità delle proprie esternazioni, e il mondo ne avrebbe saggiato a breve uno spunto di tanto rinato gusto.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedelia Du Maurier, Hannibal Lecter, Jack Crawford, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Non sentivo sufficiente il ghigno stampato in fronte per mostrare al mondo la contentezza che i profumi della notte portavano tanto che, tra un passo e l’altro, non nego che mi lasciavo solleticare addirittura dall’idea di usare lo stesso serramanico che stretto tenevo nella mano destra, per dipingere quanto ancora mancante.

Tentavo di seguire Chyioh esperto segugio da caccia, col fucile carico stretto tra le mani che scrutava ogni angolo; ma tanti nuovi colori mi rendevano distratto come un bambino condotto la prima volta al parco giochi, e i miei pensieri riprovevoli, mi rendevano una massa informe di carne pulsante incapace di restare troppo a lungo, fedele a sé stessa.

Perso tra gli specchi disseminati in quel campo minato che era la mia mente contorta su sé stessa, guardando più attentamente tra i riflessi dell’acqua del torrente che stavamo risalendo durante la ronda, iniziavo a scorgere la mia figura che prendeva corpo in un altrove senza catene, tanto lucente quanto perso tra l’oscurità delle stelle.

Svanisco…

Nero giullare iniziavo a figurarmi, tra quei flutti, alla mercè della corte dei miracoli per la quale mi esibivo, mentre gli spettatori del mio teatrino della morte si deliziavano delle acrobazie che realizzavo senza eguali, tra i corpi dei cadaveri appena dissacrati e le urla mute di coloro ai quali le lingue erano appena state tagliate. La luna illuminava i sonagli della mia cinerea tenuta, e quando il copricapo tintinnava allo scuoter della testa, il sangue sullo stesso colato, volava sui volti della mia folla adorante: e l’applauso che dalla stessa ogni volta si alzava, riempiva le pareti del mio palazzo dei ricordi, rimbombando come nemmeno uno specchio esploso in centinaia di pezzi, cadendo a terra riesce a fare.

E più il pugnale nella carne affondavo, più mi sentivo innalzato; e più quelle mani imploranti mozzavo, più di quell’incubo mi sentivo il sovrano.

Almeno fino all’intonare dei violini della danse macabre.

Perchè mentre il mio spirito fluttuava tra le carezze dell’acqua, la danza in punta di piedi al cospetto di quello che sembrava il mio sire iniziava; e quando a terra rovinavo solo per vederlo sorridere di me, con me, e per me, le mie mani lorde di sangue e frattaglie si coprivano d’improvviso di un porporato manto che ai suoi piedi poggiavo, eterno custode della sua benevolenza, e la compiacenza tanto ne agognavo. La sua corona era fatta di ossa, indossava occhi come anelli, il suo mantello era cucito con la pelle dei suoi schiavi più indegni: ma nulla di quel mondo malato lo avrebbe toccato, finché fossi stato in grado di emettere anche solo un fiato, mio Titano tra i titani, ti servo il mio cuore pulsante, ancora caldo in mano.

Anche lui ha il Tuo volto…

Camminavo tra le ombre che bisbigliavano il mio nome, le sentivo ovunque sussurrarlo e chiamarmi; infime, maliziose seduttrici, orrende succubi in cerca di una nuova preda, allungavano le loro propaggini su di me senza alcuna vergogna, nella speranza che io venissi distratto dai miei propositi.

Trovavo esilarante sentirle squittire di dolore, mentre le schiacciavo sotto il calcagno.

In grado di riportarmi alla dimensione terrena solo il freddo della lama che nella tasca stringevo: all’apparenza freddo, nulla più, perché quell’acciaio lucente stretto nel pugno, fremeva come una compagnia alle prime armi; delicato quando lasciavo scorrere il polpastrello del mio pollice su tutta la lunghezza, impaziente quando tentando
di spingere la lama nel suo alloggio, trovavo parziale riluttanza. D’improvviso, però, qualcosa mi scosse e mi ritrovai destato tutto d’un colpo.

Non la vedevo più.

“Chyioh…?”.

“… Chyioh…? Chyioh! Dove sei?”.

“Chyioh maledizione! Dove ti sei cacciata!”

Ma non ricevetti alcuna risposta. Chyioh era scomparsa, o io sovrappensiero l’avevo persa di vista, non avrei saputo dirlo con certezza; fatto sta, che non era più qualche passo innanzi a me.

…Pensa Will, pensa… Chyioh camminava avanti a te: hai visto che stivali indossava, sta calmo. Conosci le sue impronte, segui le tracce, no…?

Fermare il respiro che iniziava a diventar corto, primo passo, rallentare i pensieri senza lasciarsi andare alla tensione, secondo, e terzo, dovevo assumere il controllo: lasciarmi andare in balia del contesto emotivo non era più un opzione spuntabile dalla lista, data la situazione avrebbe potuto condurre a conseguenze a dir poco disdicevoli, decisamente fuori la portata delle mie intenzioni e del risvegliato gusto che avevo ogni intenzione di testare.
Iniziai allora a scrutare nel terreno fangoso per rintracciare le impronte che Chyioh aveva lasciato ed una volta individuate, presi a seguirle, mentre non lasciavo un attimo di tregua al serramanico che tenevo nella tasca. Tra le pietre, accanto al cespuglio, dritto verso un gruppo di abeti, cercavo di non perderne un movimento: in un punto addirittura sembrava avesse appoggiato il calcio del fucile a terra, e si fosse voltata per attendere tanto erano più profonde, quasi come avesse avuto tutto il tempo di far scendere il suo seppur esiguo peso a terra, quasi a darmi modo di tenere un punto fisso per proseguire le mie ricerche.

…Chyioh ma che sta succedendo…

Fino a che, attraversando una leggera boscaglia, alla fine la vidi; era di spalle, rivolta verso il tronco di quella che sembrava un immensa quercia, con il fucile poggiato a terra accanto a lei.

Dopo aver rimosso un rovo che rimanendomi impigliato tra i capelli, graffiava la tempia sinistra, esclamai ad alta voce:

“Chyioh! Ti sei divertita, spero. Cosa hai trovato di così interessante da spingerti a lasciarmi indietro…”.

Quando lei si voltò, tuttora non comprendo se la mia mente avesse fotografato come più raccapricciante il ghigno che aveva stampato in volto vedendomi alla fine giunto alle sue spalle, o quello che la sua figura stava coprendo davanti il tronco.

Ridotto appena alle fattezze di un uomo, una figura accartocciata su se stessa era in ginocchio a terra, legata ben stretta, mugolante di dolore.

Avrà avuto sui trent’anni all’incirca, gli stinchi poggiavano su quello che sembrava uno strato di brecciolino, penitente in attesa del castigo; di corporatura robusta ma non grasso, nascondeva un abbigliamento anonimo sotto uno strato di leggera fanghiglia, come se fosse stato lasciato all’addiaccio, messo alla prova nello spirito oltre che nel corpo viste le intemperie che negli ultimi giorni avevano colpito l’area. Per quanto riguarda le scarpe, ne era stato privato e tenuto scalzo quasi sicuramente da tante ore quante aveva trascorso lì, ora alla mercé della sua guardiana, dato che la cianosi dei tessuti iniziava ad esser visibile anche a 3 metri di distanza, circa; e dato che le temperature toccavano picchi negativi poco felici principalmente la notte, non poteva esser legata esclusivamente a quanto fossero stati tenuti stretti da quel pezzo di corda che li teneva fermi.

I capelli biondi, lunghi, invece erano stati raccolti dietro la nuca, elemento composto in un quadro scomposto, quasi come se nulla dovesse interrompere la visione di cosa era in divenire, lì, dinanzi a me, stampato sul suo volto.

La bocca sigillata da un enorme pezzo di nastro isolante era lasciata come ultima tappa dal mio sguardo indagatore che, salendo sino le mani, vide finalmente ciò che più aveva grottescamente attratto la mia curiosità…

…. Le mani.

Erano tenute ferme da un nastro di stoffa, legato da un nodo scorsoio ad una corda che seguiva tutta la circonferenza dell’albero, mentre i palmi, sovrapposti, erano inchiodati al tronco.

Mi avvicinai col passo più svelto che mi fu possibile.

Chyioh mi aveva lasciato spazio arretrando di poco sulla destra, consentendomi di ammirare ed adulare la bellezza di quella composizione, come nemmeno davanti la Primavera a Firenze, accanto ad Hannibal. Qualcosa di familiare risuonava nell’aria, ed ero a dir poco estasiato: vedevo il male sotteso in quella sua costrizione, e sapendo che nulla era stato lasciato al caso, ne pregustavo i frutti, mentre istintivamente con una carezza, raccoglievo le lacrime che la guancia destra gli segnavano. Dato il fiotto di sangue che sgorgava rigoglioso dalla lacerazione sulle mani e quanto gli occhi fossero ancora strabuzzati in preda al dolore, evidente era come quella sevizia fosse fresca di esecuzione.

Mi voltai verso Chyioh.

“E’ un regalo di Hannibal, vero?”.

Lei annuì compiaciuta.

“Voglio sapere cosa ha fatto. Solo questo. Mi sarà sufficiente, conosco Hannibal, sono certo non metterebbe mai nelle le mie mani, carne innocente.”

Gettò sui miei piedi una copia del quotidiano locale.

Il titolo in prima pagina era dedicato allo scandalo scoppiato gli ultimi giorni, nella scuola superiore della cittadina che si trovava a poche miglia. Causa? Gli approcci poco professionali dell’insegnante di musica che, a detta delle testimonianze raccolte dalle autorità, era solito garantire il posto nel coro a studenti di ambo i sessi, purché gli stessi fossero stati docili e sottomessi ai suoi appetiti davvero poco consoni al ruolo che ricopriva.

…Aaaaa, cosa farei senza di te, Hannibal…Pensai, prima di sogghignare verso il mio nuovo amico, che non riusciva a smettere di fissarmi, dal fondo di occhi blu divenuti vitrei dal terrore.

Con tutta la calma e cortesia possibile, mi rivolsi alla mia silente guida:
“Chyioh, spero vorrai perdonarmi, ma avrei bisogno di un momento di privacy. Ho così tanto di cui discutere col nostro comune amico, e non vorrei che davanti estranei, sia restio ad aprirsi... La strada per il ritorno non è difficile da raggiungere, entro un paio d’ore sarò di nuovo nei paraggi. Vai a controllare se Hannibal piuttosto ha bisogno di te, le bende ormai andranno cambiate.”

…Vattene Chyioh, vattene… Qui ora debbono accadere grandi cose…

Sorniona come nemmeno un gatto che gioca con la preda tra gli artigli, la risposta giunse:

“…Vi siete trovati, eh…? A più tardi allora, Mr.Graham. Il mio lavoro, qui, è finito.”
Totalmente in preda al bisogno, neppure mi accorsi di lei che ci lasciava. Sentivo solo il serramanico nella mano destra che pulsava tra le mie dita, caldo, ora scorrevole sulla mia dimensione come il tocco di un amante esperto, appassionato, che pelle contro pelle non faceva altro che riempire l’aria intorno a me di ardente desiderio pronto ad esplodere. Mentre la sua vita volgeva al termine, la mia iniziava a scorrere a rilento, e il tempo dilatato mi accompagnava come un padre amorevole.

…Il Nero Giullare è pronto a danzare…

Al primo taglio mi commossi ritrovandomi ad ammirare la maestria con cui madre natura aveva disegnato la muscolatura sottostante: per una decina di centimetri, a sinistra dello sterno, avevo lasciato che la lama superasse prima la resistenza della maglia, poi quanto di inutile era in grado di opporre un morbido lembo di pelle umana, verso puro acciaio sullo stesso premuto, ed avevo ammirato il divino. Vedevo il volto del mio nuovo seppur fugace amico esplodere in un urlo muto, mentre le vene del suo collo si gonfiavano nel vano tentativo di lasciar esplodere quella lancinante agonia, senza risultato però, giacché le sue labbra ben serrate, poco spazio gli lasciavano. Tentava di contorcersi mentre affondavo e ritraevo la mano con cui impugnavo la passione per quell’amante conosciuto quella notte, ma io non vedevo altro che fiorire dinanzi a me, un intero vivaio pieno di magnificenti rose rosse.

Questo, era il mio divenire.

Allargai l’apertura sul suo sterno quanto più mi fu possibile per raggiungere il cuore, in fondo dato quello che avevo letto sul suo operato, era in mio diritto dubitare che ne avessi potuto trovare uno.

Credo che quelle che scuotevano il mio nuovo amico fossero state convulsioni, ad un certo punto, ma io non volevo interrompere la mia ricerca tanto accalorata e frenetica: raggiungere la rosa più bella dell’intero vivaio, non era cosa da tutti. Per me che la vedevo, era una benedizione: e mentre mi guardava, dal fondo, sotto il lucernaio delle costole che attorno la cullavano, baciata dalla luce della luna e protetta dalle altre più piccole che tentavano di crescerle più fitte attorno per difenderla, sentivo che nulla mia avrebbe impedito di strapparla dalla sua prigionia e tenerla tra le mie mani.

E così fu.

Il respiro affannoso non mi lasciava pensare in maniera lineare, e le mani tremolanti a malapena riuscivano a reggere il peso della mia vittoria: ma ora era lì, con me, la rosa più bella, la dea più amata, e come le raffigurazioni dell’Addolorata, le percezioni del mio Io divenivano un tutt’uno con l’universo circostante, servo fedele del cuore trafitto che tra le mani stringevo.

Mi rannicchiai su me stesso. Non ricordo di aver mai pianto, come quella notte.

E mentre cercavo di lavare il delirio del peccato dalla mia anima dannata, sentii un petalo lieve poggiarsi sulla mia spalla: un dolce tepore d’improvviso mi avvolse, abbracciandomi in un attimo di infinito odio e di infinito amore.

Era Hannibal.

Come di consueto, abile felino tra i felini, sapeva ottenere ciò che voleva e quando voleva, senza mai aver bisogno di chiedere, spettro di un’umanità consumata e mai rinata. Il profumo che portava con sé, in ogni caso, non smetteva un momento di consolare i miei pensieri oscuri, e superando gli abissi più tetri e le vette più impervie, sapevo saremmo stati sempre assieme.
Con appena un filo di voce, inclinai leggermente il volto verso destra, sul lato della schiena dove sentito poggiata la testa mentre mi cullava nel suo abbraccio ristoratore, e finalmente mi riuscì di proferire parola:
“Giacciono qui i resti della mia umanità, amore mio.”, …respirai profondamente, prima di proseguire. Ero annichilito da ciò che stringevo tra le mani, devastato, stordito, eppure era lì, e le mie dita serrate nella gabbia che lo proteggevano, ne erano la riprova. Stretto tra le mie mani, custodivo il segreto del mondo.

“Esserlo sempre stato un mostro, o esserlo divenuto, non fa alcuna differenza. Ho appena rimosso il cuore dal torace di un uomo perfettamente cosciente, senza alcun rimorso, stando attento unicamente a non rovinarlo nel rimuoverlo. Tra le mani ciò che stringo, non è la sua vita perduta: ma il mio biglietto per l’inferno. Promettimi solo una cosa, Hannibal…  ”.

“…Dimmi, Will.”.

“Non permettere mai che il mio operato vada sprecato. Aiutami ad onorare la bellezza di ciò che il mio divenire sta portando in questo mondo, o altrimenti sarebbe solo un altro omicidio… non lo potrei tollerare.  Ti prego…”, sussurrai, prima di intrecciare le sue mani con le mie, guardiani di un mondo che oramai non sarebbe stato più.
“…Non lasciarmi solo, ora, ho, ho…dio, ho paura, è così buio, fuori...”, gettai nel vento, prima di rovinare con la testa contro il suo petto.

...Aiutami ti prego, cosa mi sta succedendo, fa male, e brucia. Dio quanto brucia, mi sta aprendo da parte a parte come un animale al macello, sono un condannato in balia dei suoi torturatori, ma se smetto ora sono morto ancora prima di aver capito... Perché Hannibal, ti prego, aiutami, non lasciarmi…

Mentre la mano destra continuava a stringere il mio terrore, le dita della sua mano sinistra si liberarono delicate dalla mia presa e, come una piuma che leggera volteggia sul mondo, mi raggiungevano: il pollice sulle labbra mi chiedeva di riposare, mentre accompagnate dal palmo le dita disegnavano sulla mia guancia il simbolo del perdono.

Mi sorrideva, senza pretendere nulla da me; mi sorrideva, ed io ero di nuovo in me.

“…Tu sei la mia promessa più grande. Nulla che amo, a questo mondo, sarà di nuovo ridotta in pezzi finché io avrò solo un alito di vita in corpo. La paura della conoscenza è un retaggio che ti è stato indottrinato, non ti appartiene anima pura, quindi perché portarne il carico. Respira, una volta, respira, una volta ancora, e presto sarà tutto un brutto ricordo di quelli che senti, persi nei corridoi della memoria, ma talmente inutili da non sentire alcun bisogno di cercarli.”

Sereno come una giornata di primavera, fece scorrere il pollice coperto di sangue, su tutta la lunghezza delle mie labbra, prima di saggiare quale sapore avesse la mia vita, in quel momento.

 Il peso della sua grandezza gravava sulla mia miseria come una spada di damocle.

Lasciavo che la mia lingua scandisse le parole corrette senza emettere un suono che non fosse altro che una disperata richiesta che quel bacio non finisse mai. Il fiato non occorreva più, il tatto non esisteva più, l’Io mi abbandonava nel labirinto, il serpente avrebbe potuto smettere di morder la propria coda in quello stesso momento, lasciando l’universo intero estinguersi, padre Nulla che tutto vedi e nulla perdoni; io avevo già avuto tutto ciò che vite intere avrebbero potuto offrirmi, altro sarebbe stato solo oblio.

Stordito dalla pienezza dei miei stessi sensi, provvide lui ad un certo punto a restituirmi alla vita una volta ancora, staccandosi un momento da me, prima di pronunciarsi chiaramente:

“Per tutto l’amore che ho per te ti chiedo solo un favore. Se non te la senti di guardare, voltati. Non costringerti ad assistere. Lo farò, le tue mani torneranno linde e potranno esser lordate una volta ed ancora per quanto vorrai, ma non ho alcuna intenzione di ridurre le memorie della tua umanità ad uno sfizio per palati sottili. Voglio divorarti qui ed ora, come l’ho sempre voluto, fin dal primo momento che ti ho visto… Apri pure le tue mani. “

…Ti offro il mio cuore. Fanne ciò che vuoi….

In ginocchio, a terra, poggiai le mani sul mio ventre lasciando che le dita sbocciassero come un fiore.

“Non ho più alcuna paura, Hannibal. Buon appetito…”, riuscii appena a dire, poco prima che lui si avventasse su di me, strappando, masticando, ingoiando.

Gli baciai la nuca.

Non avrei staccato gli occhi da quella scena per nessuna ragione al mondo
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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