Fanfic su attori > Cast The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: LilituDemoneAssiro    24/03/2017    0 recensioni
Sebastian Stan, al suo primo contratto importante, cerca di farsi forza nell'universo Hollywoodiano e a testa alta, prova a combattere le paure che lo rendono un ragazzo introverso. Fino a che un incontro inaspettato, sconvolge le sue certezze e lo costringe a guardare il mondo da un'altra prospettiva. Forse, migliore.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Evans
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi sussurra “Ora tocca a me”, prima di stringermi la testa al petto.
Oddio, di nuovo quel profumo….
Tentai di chiudere gli occhi pregando di non lasciare trasparire la debolezza, ma ottenni l’effetto contrario, e mi ritrovai in ogni angolo, marchiato senza rimedio.

Sono perso nel tuo profumo, maledetto, e non ho la più pallida idea del cosa sto facendo, della ragione per cui lo sto facendo, e dove mi sto dirigendo: chi sei per farmi questo, smettila…

Ma invece di allontanarlo e dare retta al buonsenso, preferii incrociare le mie dita dietro le sue scapole, finendo ad abbandonarmi. Credo di esser crollato lì, perché quando aprii gli occhi nuovamente Chris non c’era più e al suo posto un aroma di pancetta e uova strapazzate, mi aveva raggiunto dalla cucina.

Sta preparando la colazione: era il momento di mettere immediatamente la tuta e raggiungerlo.

“Non avevi mai acceso un fornello prima, vero?”, disse, mentre con maestria le uova saltavano sulla padella e la pancetta sfrigolava sulla piastra. “La pasta era così scotta che quasi non la staccavo, quindi d’ora in poi facciamo che all’occorrenza, la cucina resta il mio campo” proseguì ridacchiando, mentre serviva a tavola un piatto così ordinato anche a vedersi, che divenni paonazzo memore della performance imbarazzante della sera prima: aveva leccato il piatto nonostante la mediocrità del risultato, aveva mangiato tutto solo per farmi contento.
-Cosa devo fare. In questi casi, cosa bisogna fare- continuavo a ripetermi ossessivamente. -Per favore, qualunque voce nella mia testa disposta ad aiutami, risponda immediatamente o prevedo il disastro di qui a breve-; la sabbia del castello aveva resistito per anni alle peggiori tempeste mentre ora veniva letteralmente spazzata via da un vento leggero, e io non avevo davvero la più pallida idea della direzione da prendere.
Nonostante tutto la mia vita non era così male con gli alti e bassi di una carriera al decollo, conoscenze utili, rapporti fugaci per variare la routine; perché cambiarla, perché lasciarsi cambiare ad un momento di debolezza. La mia vita era basata su una metodica ripetizione degli stessi eventi in grado di assicurarmi il necessario equilibrio, non c’era alcuna necessità di scavare nel tunnel in cui mi ero infilato, e un profondo terrore mi colse.

Tornai a casa quella sera, completamente svuotato.

Avevo lasciato qualcosa a casa di Chris, durante la colazione. Dopo quello che avevo visto e vissuto, una parte di me si era rifiutata di prendere la strada del ritorno verso casa, e aveva preferito rimanere lì con lui, a vegliarlo, pronto a non lasciarlo mai solo. Si era staccata da me -non avevo avuto molta scelta- come se quella fosse stata l’unica cosa giusta da fare, lasciandomi solo con i miei sensi di colpa.

L’unico problema era dato dal fatto che volevo raggiungerla. Volevo raggiungerli entrambi.

Nel mio letto, la sera, non potei fare a meno di piangere fino a perdere i sensi, altro modo di dormire non mi riusciva, tanto era doloroso il macigno che sembrava volermi sfondare il petto. I giorni successivi mi sforzai di lavorare sul bisogno di ristabilire i ritmi consueti, sicuri, conosciuti: studio, prove con l’insegnante di capoeira, scene davanti al green screen, allenamento in palestra, casa. Evitavo di riprendere l’argomento con lui non tanto per il timore di fargli del male, quanto per quello che stava accadendo a me. Sarei arrivato a fine riprese senza drammi, me lo dovevo, ma a questo punto allentai l’amicizia con lui, o qualcosa d’incontrollabile sarebbe accaduto, e io sarei tornato il solito ragazzino impaurito.

Il giovedì successivo, con la morte nel cuore, finsi un malore pur di evitare il giovedì al pub: mi pugnalò il cuore sentire la sua voce rattristata all’idea di non vedermi, al sentirmi dire “Riprenditi in fretta Sebastian: cos’è Captain America senza il suo Bucky….” .Il suo Bucky. Cerco di starti lontano, ma a quanto pare sai come centrarmi anche a distanza. Il suo Bucky, eh…La mia fantasia poteva essere senza speranze, ma tu non facevi nulla per evitarle contorsioni inutili; anzi, sembravi nato solo per alimentarle.

I giorni, seppur a fatica, sembravano riprendere un corso quasi conosciuto. Nulla di nuovo dietro l’angolo, nulla di diverso, nessun disastro in avvicinamento, e il giovedì successivo la scusa pronta per saltare l’appuntamento venne quasi spontanea da questa lingua biforcuta:” Ho un appuntamento con una ragazza stasera, scusami Chris, dobbiamo rimandare”. Peccato che la sensazione di disgusto per quello che avevo appena fatto, salì così in fretta da procurarmi la nausea, e il suo silenzio al telefono non mi aiutò affatto.

“Chris tutto bene? Dai, non mettermi il broncio, sai che mi farò perdonare. Ma questa è una bomba, e sono abbastanza sicuro di riuscire a portarmela a letto stasera stessa: sono occasioni che non vanno sprecate” ridacchiai, mentre guardavo intorno a me e sceglievo contro cosa potevo iniziare a tirare pugni fino a rompermi le mani.

Tu eri quello che la sera della sua crisi, gli aveva promesso che non lo avrebbe mai ferito. Dimmi cosa cazzo stai facendo, gridò quella che credevo fosse la mia coscienza: non parlavamo da così tanti anni che non ricordavo neppure esistesse.

Si limitò a salutarmi e chiuse la telefonata.

Sei un mostro signor Stan, continuavo a ripetere alla mia immagine, mentre fissavo lo schermo del cellulare che si stava spegnendo. Sei un mostro, complimenti. Stai benissimo nell’ambiente di cui tanto ti lamentavi, anzi, hai appena dimostrato che volendo potresti arrivare a stenderlo ai tuoi piedi. Sii fiero di te, almeno.

Rovinai indietro sul letto, cercando di coprire gli occhi con la mano che teneva il cellulare, ero tentato di richiamarlo e rimangiarmi tutto, dirgli che non avrei mai voluto dire quella stupidaggine, che mi stavo mettendo alla prova per verificare le mie capacità, non lo so, o qualunque cosa in grado di riportare indietro le lancette dell’orologio. Ma ormai il danno è fatto, mi limitai ad un vano tentativo di controllo del respiro per impedire al cuore di accelerare troppo, e andai avanti.

Ordina il sushi, stasera hai bisogno di consolarti.

Ma lo stomaco era serrato e, anche se ero solito fare anche gare tra di noi sul set per vedere chi ne trangugiava di più, quella sera nemmeno il sushi era dalla mia parte. Mi accasciai sul divano a quel punto, cercando l’apatia in un punto fisso della stanza; e probabilmente l’intento fu raggiunto, dato che quando mi ripresi dal torpore, fuori era completamente buio.

A quel punto, sentii il campanello.

Lanciai imprecazioni a non finire contro chi rompeva l’anima a quell’ora dato che l’indomani sarebbe iniziato il week-end, le riprese erano concluse, cambiamenti al copione ulteriori non erano previsti e quella era la serata meno adatta per richiedermi interazione con il genere umano. Infastidito come pochi, aprii la porta senza neppure controllare chi era.

Chris. Era Chris.

Mi stava fissando con gli occhi rossi e gonfi, le labbra erano contratte in una smorfia di dolore, dalla postura sembrava fosse quasi sul punto di darmi un pugno, quando le uniche parole che uscirono dalla sua bocca furono:” Perché. Dimmi cosa ho fatto. Ti chiedo scusa, ma dimmi cosa ho fatto. Sono due settimane che mi eviti, non ce la faccio più.”

No, anche questo no. Non puoi pensare di arrivare così nella mia vita, spazzare via tutto, lasciarti riempire di melma, e farti trovare qui ad implorare un perdono che non devi. Tu non devi niente a nessuno, sei l’essere umano migliore che io abbia mai conosciuto; sei tutto quello che ho sempre sognato di incontrare, oasi nel deserto di questo pellegrino in fin di vita. Mi hai salvato la vita e sei tu qui pronto ad implorare il mio perdono? Quando dovrei essere io a gettarmi a terra, stringendoti le ginocchia per non vederti andare via, per poter brillare ancora un po’ della tua grazia riflessa... Quello imboccato era un sentiero senza ritorno, solo allora me ne resi conto.

Con un filo di voce lo supplicai di entrare.

Lui non fece più di qualche passo, ma io chiusi la porta d’ingresso sperando che quel po’ di forza che stavo raccogliendo, non fluisse via attraverso gli interstizi nascosti delle mura che ci circondavano: pregai l’anima mia, ovunque fosse nascosta, di sostenermi in quel momento. Raccolsi le sue mani tra le mie, ramingo senza dio in preghiera al santuario della sua umanità, e finalmente riuscii a scollare le labbra:

”Di cosa hai di che farti perdonare, Chris. Di avermi voluto bene fin dal giorno in cui mi hai conosciuto? Di essere così maledettamente pieno di affetto per questo mondo malato, da riuscire a voler bene anche ad un povero stronzo come me?” e presi un momento per riprendere fiato. Per una serpe, smettere di sputare veleno può essere estremamente faticoso. Ma quando lo guardavo, vedevo la luce che non si piega davanti alle ombre, vedevo la primavera spaccare il ghiaccio dell’inverno e lasciare la vita fiorire, bella come se fosse il suo primo fiore, quello appena sbocciato. Aveva un cuore immenso l’uomo che avevo di fronte, e io mi sentivo dannatamente fortunato all’idea di averlo conosciuto.

Aveva gli occhi pieni di lacrime, ma nulla gli aveva impedito un passo ancora verso di me - la vaniglia che accarezza la sua pelle lattea ormai mi annebbia completamente i sensi, sono in balia della marea-, pensai prima di diventare una miniatura pronto a nascondermi nella tasca della sua giacca. Però ora mi guardava dritto negli occhi, non aveva più lo sguardo mesto rivolto al pavimento, ed era eterno come una montagna che bacia il cielo, forte come finora non lo avevo mai visto.

“Mi chiedo se potrai ….” , ma non ebbi modo di concludere la frase.

Sentivo le sue guance ancora umide dalle lacrime versate, mentre le sue labbra erano premute contro le mie. Sto cercando io di chiederti scusa, non il contrario, maledizione! La mia testa urlava, mentre il mondo mi implodeva dentro. Sentivo di dovergli un atto di puro affetto, un momento di coraggio in cui potevo dimostrargli quanto la mia vita fosse stata travolta nel momento in cui, dopo averlo conosciuto, si era accorta che il buio sovrastante in realtà era la mappa dell’intreccio di stelle più radioso dell’intera volta celeste. Eppure anche di quella scelta, lui era riuscito a liberarmi. Mi aveva dato la possibilità di essere io ad odiarlo, ad allontanarlo, a prenderlo a pugni se non avessi apprezzato il gesto, aveva ancora una volta posto aventi a sé, la mia integrità, il mio benessere: fortunatamente, nel mentre di quel vortice di inutili psicodrammi, il corpo aveva scelto di ignorare completamente ciò in cui la mente si dipanava e con il braccio sinistro già gli cingevo un fianco mentre con il destro, avevo sollevato la mano dietro la sua nuca, in una silente carezza.

Sono morbide, le tue labbra, non lo avrei mai immaginato: hanno il sapore dell’immensità, in un mondo infinitamente piccolo… Rendi la mia vita degna di essere vissuta Chris Evans, qualunque cosa tu faccia.

Dopo secondi di serafica pace, mi scostai leggermente e poggiai la testa sul suo petto: il battito del suo cuore calmo e pacato, mi rassicurava. Non stava in alcun modo rimpiangendo la scelta fatta pochi secondi prima, l’ansia era un ricordo lontano, e il respiro era scandito in maniera solenne e regolare. Aveva voluto tutto quello che era accaduto in quegli ultimi momenti, nulla in lui lasciava trasparire ripensamenti, anzi: ora ai miei occhi appariva come una roccia, forte in mezzo alla corrente, unico appiglio di questo marinaio alla deriva. Solo in un secondo momento ebbe il coraggio di ammettere che avrebbe voluto avvicinarsi a me fin dal nostro primo incontro, tanto lo avevo colpito; non posso negare che il tutto mi riempì d’orgoglio.

Lì per lì, le implicazioni di quanto era accaduto, comunque, non ci sfiorarono minimamente ma scossi da un leggero moto d’imbarazzo in cui nessuno riusciva a riprendere parola, preferii rompere il silenzio offrendogli per cena il sushi che mi ero fatto consegnare: “Dai, non l’ho cucinato io, Master-Chef che altro non sei. Vuoi dividere la cena o preferisci ricordarmi quanto sono scarso in cucina…”, sospirai, beato del calore del suo petto accanto al mio viso.

“Apriamo quelle buste allora, ho una fame indecente. Per correre da te, ho saltato anche la cena. Povero il mio stomaco…”, ridacchiò. Le sue braccia ora mi avevano completamente circondato, e non desideravo altro che lasciarmi trasportare ancora un po’, ma era ora che dimostrassi che non si era trovato faccia a faccia con un bambino. Quindi dopo un momento iniziale diciamo abbastanza concitato, i giovedì insieme erano ripresi, anche se in una diversa sede: eravamo sempre io e lui, del cibo, qualche birra, e la voglia di vivere.

Seduti a tavola, io lo guardavo e pensavo che non avrei mai più voluto altri occhi addosso. Mai più.

Meglio non correre troppo però, voglio dare ad ogni momento trascorso con lui il giusto peso, sottolinearlo con la giusta armonia: quella che stava crescendo non era una infatuazione adolescenziale, non era la lieve fiammella di un lume che si accende per le strade al sopravvenire delle tenebre: era un devastante incendio che sarebbe arrivato a far impallidire anche il sole, tanto era potente.

La tenerezza dei suoi modi mi ancorava alla realtà, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso; volevo imprimere nella memoria ogni centimetro di lui, ogni sua movenza, ogni abitudine così da poterle tenere a mente quando mi fossi ritrovato nel mondo, lontano. Sorridevo nel vederlo mangiare di gusto, ammiccavo nel vedere quanto fosse bastato poco per renderlo allegro e farlo stare bene, in fondo non volevo altro fin da quando lo avevo conosciuto, quindi perché fare una questione del come fossi arrivato a vederlo sorridere, continuavo a domandarmi. Inutile spreco di energie. Un primo bacio con un tuo coetaneo c’era già stato quando non avevi neppure 15 anni, nell’angolo buio dei bagni dei ragazzi della scuola, convinti che non vi vedesse nessuno: ma era stato più uno scontro senza ferite troppo gravi, in cui nessuno dei due aveva ben capito dove la scelta potesse portare, e dove non vi erano stati né vinti né vincitori. Ma almeno la curiosità era stata affrontata, il dubbio era stato risolto, ed eri andato avanti senza troppe domande. Non ti aveva disgustato, ma non avendo neppure provato nulla, non sapevi bene cosa potesse rappresentare per te.

Sapevo però cosa lui stesse iniziando a rappresentare per te.

Non essendomi mai trovato a desiderare tanto intensamente la felicità di qualcuno che non fosse quella del sottoscritto, sorridere anche solo all’idea di saperlo allegro mentre combina il disastro con il sushi e la soya sul tavolo, era quanto di più avessi mai potuto chiedere: tu che ti sei fatto spazio tra i miei pensieri senza nessuna pretesa, tu che mi siedi davanti e mi guardi come se non avessi aspettato altro che di conoscermi, solo ed esclusivamente tu.
Romantico. Mi portavi ad essere romantico. Ti guardavo e ti sognavo ricoperto di fiori, disteso in un prato sotto il sole del mattino che guardi il mondo attraverso quei cristalli che hai a posto degli occhi, prima di voltarti verso di me che ti guardavo estasiato, mentre mi baciavi ancora. Ancora, ne volevo ancora.

Tu guarda in che bel casino ti sei infilato, Sebastian Stan
, sospirai dentro di me. Meglio concludere questa giornata senza ulteriori stravolgimenti, per ora ne abbiamo avuti abbastanza entrambi.

“Se vuoi, puoi restare a dormire. Non mi dispiacerebbe riuscire a riposare come abbiamo fatto l’altra volta.” Dissi, con tutta la naturalezza che potevo. Non trovavo nulla di strano nel saperlo accanto, anzi, addormentarmi col suo profumo che dolce mi cullava, e svegliarmi ritrovandolo lì, era una necessità da soddisfare se non volevo letteralmente sentire male. Mi prese la mano poggiata sul tavolo, e sorridendomi disse “Se lo vuoi, resterò ogni volta che lo vorrai.”

Gli prestai una maglietta e dei pantaloni che utilizzavo per coricarmi. I 15 kg in più degli allenamenti che aveva messo su per prepararsi al ruolo più importante d’America però si vedevano e, mentre a me quanto gli avevo prestato calzava senza pretese, a lui specialmente sul petto tiravano, e non poco. Come fai ad essere qui con me, non è possibile… ma lui per fortuna sembrava fin troppo divertito dall’ironia della taglia in più necessaria, che attento alla mia espressione perplessa: il tutto, mentre già aveva preso posto sul divano.

“Ti va di guardare la partita? Stasera giocano i Lakers se non sbaglio. Solo qualche minuto per vedere risultato e come si comportano, poi spengo. Ho così tanto da chiederti prima di andare a dormire…”.

Io non proferii parola, ma trovai più semplice appoggiarmi a lui mentre accendeva lo schermo. Lo tenevo stretto, e nel sentire la radio cronaca, concentrato com’ero su tutt’altro rispetto alla partita, finii per assopirmi. Mi svegliò la sua mano sulla guancia, mentre mi chiedeva se volessimo andare a letto, ormai era ora di dormire, e io fui estremamente contento nel dirigermi ancora mezzo intorpidito verso la camera. Avevo l’abitudine di dormire sul fianco sinistro da quando ero piccolo e dopo aver preso il mio posto, fui scosso da un brivido lungo tutto il corpo quando lo sentii abbracciarmi, e darmi la buonanotte mentre teneva il petto appoggiato sulla mia schiena ed il suo respiro mi carezzava la base del collo.

“Buonanotte Occhibelli”… ed un bacio ancora all’angolo della bocca, mi cullò fino al limitare dei miei pensieri prima del sogno.

Sei completamente in balia della marea, Sebastian. Cosa farai ora.

Nonostante fossimo alla fine di Gennaio, e io non riuscivo a scaldarmi neppure davanti il camino, il solito freddo che mi tagliava pelle era scomparso: un dolce tepore lasciava un lieve formicolio solleticarmi la punta delle dita mentre la sua presenza mi avvolgeva come un mantello sotto la neve facendomi sentire al sicuro, protetto.

Forse è ora che la piccola serpe smetta di sputare veleno… pensai, prima di incrociare i miei piedi ai suoi e sprofondare nell’oblio di un dolce riposo.

Farlo diventare parte delle mie giornate divenne un obbligo a cui non potevo venir meno. Oramai le riprese erano concluse, restava solo il lavoro in post produzione con la computer grafica e quant’altro necessario per completare le scene specialmente quelle girate davanti il green screen, quindi eravamo liberi di decidere del nostro tempo libero, insieme. Non avevamo più bisogno di accampar scuse con la troupe per giustificare la strada di uscita degli studios assieme, potevamo semplicemente farci un colpo di telefono mentre eravamo fuori per decidere da chi avremmo dormito la sera successiva.

Io mi accorgevo di guardarlo mentre eravamo in riunione, e trovarlo bellissimo.

Non tanto per l’aspetto fisico che era evidentemente in grado di bucare gli schermi e raggiungere le folle, ma per l’amorevole conforto che mi dava sapere che quella tigre bianca avesse scelto proprio me. Trovavo solo terribilmente fastidioso quando le fans tentavano di lanciarsi addosso a lui per ottenere autografi o abbracci, o le colleghe lo avvicinavano con fare viscido tentando di estorcergli incontri fuori dal set: a quella sensazione non potevo rimediare però, era parte del nostro lavoro anche la possibilità di lasciar sognare, quindi dovevo solo mantenere la calma e lasciare la lingua biforcuta nascosta dietro i denti. Ma se quella stronzetta mora si avvicina ancora, …. Pensai prima di tirarmi un ceffone sulla guancia. Smettila. Non essere patetico.

Mi scoprii geloso. Sensazione decisamente sconosciuta, ma con cui era il momento di fare i conti; poteva essere almeno un’altra fronte da cui imparare. Bastava solo mantenere il controllo e non lasciarsi sopraffare, parlavo in fondo solo di un’emozione come le altre che poteva essere elaborata e studiata, incamerata ed utilizzata all’occorrenza sul set, perché no. Ma il risultato di ragionamenti simili spesso non mi portava a fare altro che allontanarmi qualche momento dal gruppo verso i servizi, per poter ripetere gli esercizi di respirazione imparati durante le lezioni yoga e tornare in una dimensione più umana.

Specialmente quando lei faceva capolino in zona. Era solo una comparsa, eppure i giorni successivi iniziai a trovarla sempre più di frequente fuori dagli uffici dell’executive, o in zona mentre Chris si trovava in riunione con il suo agente e dire che la trovavo piuttosto seccante era riduttivo. Prendeva il caffè dove Chris era solito fermarsi la mattina, ed iniziò addirittura a frequentare la stessa palestra dove Chris era costretto ai soliti allenamenti estenuanti. Ricorderò sempre quanto li odiava, quanto li trovasse inutili per la sua recitazione, e quanto lo facessero sentire sminuito nell’impegno che profondeva nell’interpretare quel ruolo.

Angelo sensibile, hai una purezza d’animo che spesso quasi mi spaventa.

Lei per quel che mi riguardava, invece, stava per essere promossa nella scala della mia irritabilità da seccante ad irritante, e dire che iniziavo a non sopportare più quella faccia intorno a lui, era un eufemismo. Una mattina poi, l’apice fu raggiunto proprio mentre lo stavo raggiungendo per il brunch. Aprile inoltrato ci permetteva uscite all’aperto davvero gradevoli, ma lei era riuscita a farmi una sorpresa davvero inaspettata e poco gradita, durante il nostro meet-up, facendosi trovare all’ingresso del ristorante dove Chris mi stava aspettando, intenta a lasciargli un biglietto e scappare conscia della mia figura in lontananza che si avvicinava.

Arrivai come uno strale che centra il bersaglio. “Cosa ti ha dato. Mostramelo.”, gli intimai.

“Stai tranquillo, non è successo nulla.”, tentò di replicare.

“Ti ho detto mostramelo, sto perdendo la pazienza. Se non vuoi che la raggiungo e faccio un casino, mostrami…quel…maledetto…biglietto.”

Lui sospirò e si arrese all’evidenza del mio stato d’animo, quindi mi porse il biglietto che in mano, aveva già quasi stracciato. Lo aprii, e lessi Rhonda Thompson, call me 555-6743 XOXOXO.

Divenni livido di rabbia. Avevo serrato i pugni tanto da lasciar quasi le unghie entrare nel palmo della mano, respiravo in maniera così pesante da sentir girare la testa, e se non me ne andavo a breve rischiavo qualche stupidaggine, cosa che al momento non potevo permettermi con la premiere del Primo Vendicatore in arrivo. Non ci pensai due volte, mi voltai e me ne andai. Con gli occhiali da sole prontamente calzati, la testa rivolta a terra e il cuore in pezzi, preferii sparire senza dare alcuna spiegazione: avrei voluto sbattere la testa contro il muro fino a rompermela, per quanto male sentivo pur di non soffrire più.

Perché Sebastian, perché, smettila, riprendi il controllo.

Sarebbe dovuto capitare prima o poi, era assurdo anzi che ancora non fosse accaduto. Poi io non avevo alcun diritto su di lui, era liberissimo di vedere chiunque, quindi di cosa si stesse parlando in quel processo alle streghe che avevo allestito nella mia testa, ancora non mi era chiaro. Oltretutto l’avevo lasciato davanti al ristorante senza alcuna spiegazione, senza una parola, davanti ai camerieri che avevano assistito alla scena e probabilmente lo avevano messo nell’imbarazzo di dover rispondere alla domanda se il tavolo fosse prenotato ancora per due. Cosa gli ho fatto, dannazione… Iniziai a prendere a pugni il volante mentre mi dirigevo verso casa e, dato l’ematoma comparso la sera, fui stupito di come fossi riuscito a non romperlo.

Le mura del mio appartamento dovevano aiutarmi a riprendere una dimensione quasi umana, e dopo aver indossato il completo delle buone intenzioni, presi per andare al suo indirizzo. Avevo bisogno di tranquillizzarlo, chiedergli scusa e riportare le cose nel giusto equilibrio; se la bilancia si piegava troppo rischiavamo entrambe le nostre carriere, e non avrei mai voluto fargli una cosa simile.

Davanti al portone dovetti prendere un profondo respiro prima di suonare il campanello, ma davanti le responsabilità non era più il caso di fuggire, quindi a testa alta mi mossi.

Il suono dell’apertura si fece sentire quasi istantaneamente e dopo l’ennesimo profondo respiro, entrai e presi le scale per il piano superiore, dove mi attendeva una scena inaspettata, questo era da ammettere.

Signor Evans, cosa ti sta succedendo, pensai immediatamente mentre gli occhi si erano sbarrati, decisamente increduli. Era al telefono, paonazzo. Urlava, imprecava, prendeva a pugni i mobili…

“Non ti permettere mai più! Devi sparire, non me ne frega niente di quello che volevi! Dimmi chi ti ha dato il cazzo di permesso di presentarti ad un mio impegno, addirittura! Fatti rivedere ancora e chiamo la polizia, maledetta pazza!”, e giù il telefono sbattuto a terra, mentre cercava di riprendere fiato dalle urla. Ansimava come avesse appena concluso una maratona, ed ero terrorizzato che si lasciasse prendere dal panico.

Ma cos’hai fatto, Chris… E mi avvicinai verso di lui; ma mentre ancora teneva lo sguardo fisso a terra nel tentativo di riprendere il controllo, le sue parole, leste, fecero
piazza pulita del marasma in cui ci eravamo ritrovati fin dal mattino:” Nessuno mai deve farti sentire fuori luogo. Tu non sei fuori luogo, gli altri lo sono e lo saranno sempre”. Era maledettamente calmo mentre con quella sentenza, mi inchiodava a terra.

Di colpo si voltò poi verso di me, quasi digrignando i denti, e afferrandomi per le spalle il tono di voce salì di nuovo: “Tutto devi pensare, tutto! Tranne che io possa guardare altri che occhi che non sono i tuoi!”, prima di stringermi a sé con tutta la forza che aveva. Io ero geloso in un contesto che oramai aveva del surreale ma lui, lui sembrava…sembrava quasi innamorato. Mentre io affondavo sempre di più. Mi stringeva, e non pensavo ad altro che a quanto fossi stato ingenuo ed immaturo, nell’essermi lasciato confondere senza alcuna valida ragione.

Sei sicuro di quello che stai per fare? Attento, ogni passo falso adesso ti può portare verso la fine, la lingua biforcuta sibilava dietro le quinte. Eppure lasciarmi attirare dal dolce scintillare del pomello di quella porta nascosta tra i miei pensieri, aveva il volto dell’umanità che per tanto tempo era stata ignorata.
“Sssshhhh… Non volevo comportarmi in quel modo. Non volevo anzi e non dovevo.” Presi il suo volto tra le mani, mentre la presa non era più salda, e lo baciai. Non risparmiai un briciolo di attenzione e devozione in quel bacio, saggiando ogni movenza con estrema attenzione e certosina pazienza, per sentire come le corde del mio essere vibrassero ad ogni movimento, ad ogni battito.

Siamo vita che pulsa, quando siamo insieme: sono tuo fin dal primo giorno che ti ho incontrato.

Lasciata aperta la porta, non avrei più controllato ciò che poteva entrare od uscirne, e a quel punto non mi importava più. Tutta la passione che avevo, tutto il trasporto, doveva trasparire: non ti avrei più negato nulla di me, continuavo a ripetermi mentre lo legavo a me per sempre.

In questo bacio, ti regalo tutto l’amore che ho. Dovremo stare attenti, il mondo è crudele e può non capire, ma farò tutto ciò che è necessario perché nulla ti ferisca mai più.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: LilituDemoneAssiro